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Approfondimenti

La distribuzione dei prodotti illiquidi e complessi dopo l’intervento della Consob

11 Marzo 2022

Francesco Mocci, Partner, Studio Legale Zitiello e Associati

Giacomo Chieregato, Associate, Studio Legale Zitiello e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Con avviso (assai laconico) del 3 febbraio 2022 pubblicato sul proprio sito web[1], la Consob ha revocato due provvedimenti che avevano avuto un considerevole impatto nell’orientare le pratiche degli intermediari: la Comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, avente ad oggetto “il dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi” (di seguito, la “Comunicazione sui prodotti illiquidi”), e la Comunicazione n. 0097966 del 22 dicembre 2014, avente ad oggetto la “distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail” (di seguito, la “Comunicazione sui prodotti complessi”).

Secondo l’Autorità di Vigilanza, le due comunicazioni sarebbero oramai superflue, in considerazione dell’innalzamento del livello di tutela riconosciuto oggi agli investitori rispetto a quando erano state emanate. Si sostiene invero che “gli orientamenti forniti dalla Consob nell’ambito delle citate Comunicazioni risultino direttamente o indirettamente assorbiti dalle più ampie e articolate regole dettate dal vigente quadro normativo”.

In particolare, viene fatto riferimento alla sopravvenuta entrata in vigore della Direttiva 2014/65/UE (“MiFID 2”) e del Regolamento (UE) n. 600/2014 (“MiFIR”), con la conseguente introduzione di penetranti regole relative alla fase di concezione e design degli strumenti finanziari e l’attribuzione alle Autorità di Vigilanza, nazionali ed europea, di intensi poteri di product intervention.

Inoltre, vengono menzionati numerosi atti legislativi comunitari che hanno introdotto regole complementari a quelle di MiFID 2 e MiFIR e ulteriori obblighi informativi o limiti alla commercializzazione di determinati prodotti[2].

L’intervento della Consob ha fatto sorgere diversi dubbi nel mercato, perché alcune indicazioni contenute nelle comunicazioni revocate non sono riproposte, per lo meno in termini chiari e inequivocabili, nella normativa vigente; il che ha fatto dubitare della necessità, o quantomeno opportunità, di continuare a rispettarle.

Se da un lato, come si vedrà, diversi “suggerimenti” dell’Autorità di Vigilanza sono in effetti stati codificati ed è quindi agevole per gli intermediari orientarsi (ponendosi in continuità con la situazione precedente, senza modificare procedure e contratti), ad analoga conclusione non può giungersi con riguardo a quelle indicazioni contenute nelle due comunicazioni revocate che la Consob sembra, ad una prima lettura, ritenere siano state “indirettamente”, ma non esplicitamente, assorbite dalla normativa comunitaria vigente.

2. La Comunicazione sui prodotti illiquidi

È opportuna una breve panoramica dei contenuti delle due comunicazioni, in modo da procedere a una gap analysis rispetto alla normativa oggi vigente.

La Comunicazione sui prodotti illiquidi è stata introdotta nel marzo del 2009, in un contesto di grave crisi finanziaria. Si trattava di un’iniziativa dell’Autorità nazionale particolarmente significativa e in qualche modo pioneristica, perché anticipava di diversi anni gli interventi del legislatore comunitario e dell’ESMA.

Si consideri a tal proposito che la stessa definizione di illiquidità – la difficoltà di smobilizzo di un prodotto a condizioni di prezzo significative – seppur di dominio comune, è stata codificata solo con la comunicazione in commento[3].

L’obiettivo della comunicazione era colmare il gap informativo tra intermediari e clienti, particolarmente intenso in caso di accesso da parte di investitori meno evoluti a prodotti le cui caratteristiche e rischi non apparivano di immediata comprensione, specie per quanto concerne le difficoltà di uscita dall’investimento.

I prodotti espressamente menzionati dalla Consob come solitamente illiquidi erano le obbligazioni di propria emissione delle banche, i contratti derivati OTC e le polizze vita a contenuto finanziario. Non era tuttavia da escludersi l’applicazione della comunicazione, mutatis mutandis, anche a strumenti finanziari diversi; ne rappresenta una chiara dimostrazione il fatto che gli obblighi in materia di distribuzione di prodotti illiquidi sono stati invocati nei casi di sottoscrizione di azioni proprie (non ammesse alla negoziazione su mercati regolamentati o altre trading venues) di banche popolari da parte della clientela retail[4].

Nello specifico, le richieste dell’Autorità di Vigilanza si sostanziavano in misure di trasparenza, in presidi volti a garantire la correttezza delle modalità di determinazione del prezzo di vendita nonché in maggiori accortezze nelle valutazioni di adeguatezza e/o di appropriatezza, per verificare l’effettiva rispondenza dei prodotti al profilo del cliente.

Di particolare rilevanza erano le prescrizioni in ambito informativo, che presentavano significative aggiunte alle disposizioni del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (il “TUF”) e del Regolamento Intermediari approvato dalla Consob con delibera n. 16190 del 2007, all’epoca vigente.

In tempo utile prima dell’investimento, gli intermediari erano così invitati a comunicare al cliente: (i) la scomposizione delle voci che concorrevano all’esborso complessivo (c.d. unbundling), distinguendo tra fair value e costi che gravavano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente; (ii) informazioni in merito alle modalità di smobilizzo, con evidenza delle eventuali difficoltà di liquidazione e conseguenti effetti in termini di costi e tempistiche; (iii) l’avvertenza, se del caso, che l’unica fonte di mercato era rappresentata dall’emittente stesso o da una società ad esso riconducibile, specificando le regole di pricing applicate; (iv) confronti con prodotti semplici, noti, a basso rischio e di durata analoga; (v) scenari di rendimento dello strumento da condurre mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive.

Nella rendicontazione periodica, inoltre, si richiedeva l’esplicitazione del fair value del prodotto e il presumibile valore di realizzo, determinato sulla base delle condizioni applicate in caso di smobilizzo.

La Consob definisce oggi le raccomandazioni della comunicazione come disposizioni di soft law, volte cioè a orientare gli operatori verso comportamenti virtuosi senza avere però la forza vincolante tipica degli atti aventi forza di legge, non essendo previste sanzioni in caso di inadempimento.

Questa affermazione va tuttavia letta nel contesto della procedura Lamfalussy, all’epoca seguita per la produzione normativa in ambito comunitario[5]. La comunicazione costituiva infatti una misura di livello 3, con cui le Autorità nazionali specificavano il contenuto delle previsioni normative per garantirne un’uniforme applicazione nell’Unione.

Come era lecito attendersi, le relative previsioni sono state progressivamente recepite nella prassi. Gli intermediari hanno infatti rivisto in maniera profonda i propri processi di vendita, per adeguarsi alle best practices caldamente suggerite dall’Autorità.

La giurisprudenza ha considerato le raccomandazioni una mera esplicazione di obblighi già direttamente rinvenibili nella normativa di rango primario[6] e ha in più occasioni condannato gli intermediari finanziari per non essersi adeguati alla comunicazione[7].

Insomma, la Comunicazione sui prodotti illiquidi era da considerarsi a tutti gli effetti diritto vivente.

Ciò premesso, occorre verificare se, come sembrerebbe emergere dal tenore dell’avviso del 3 febbraio 2022 le raccomandazioni contenute nel provvedimento in commento siano state tutte recepite nella normativa europea, che pure non prevede una disciplina specifica per i titoli illiquidi[8].

Una tale conclusione è certamente vera per le misure relative alle valutazioni di adeguatezza e appropriatezza che, con l’introduzione della direttiva MiFID 2, devono essere condotte in maniera più approfondita, considerando le specifiche capacità del cliente di comprendere lo strumento in cui intende investire, anche tramite la raccolta di maggiori informazioni per la determinazione del profilo di rischio[9].

Analogamente, le raccomandazioni della Consob sulle cautele da adottare nella definizione della politica commerciale da parte degli intermediari appaiono senza dubbio trasfuse nella ben più pregnante disciplina della product governance introdotta dalla direttiva MiFID 2, che dedica grande spazio alle modalità di definizione del catalogo prodotti e alla individuazione della strategia distributiva più consona al prodotto e al mercato di riferimento individuato da produttore e distributore.

Per quanto attiene invece ai modelli di pricing non sono rinvenibili disposizioni che replichino i dettami della comunicazione.

Va però considerato che, con l’introduzione della direttiva MiFID 2, l’attenzione del legislatore comunitario si è rivolta anche alla fase di ideazione, sviluppo e progettazione degli strumenti finanziari, con l’introduzione delle già citate norme di product governance. In particolare, l’art. 65 del nuovo Regolamento Intermediari, approvato dalla Consob con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018, riproponendo il contenuto dell’art. 9 della direttiva delegata della Commissione n. 2017/593, impone agli intermediari di valutare “la struttura dei costi e degli oneri proposta per lo strumento finanziario”, garantendo che gli stessi “siano compatibili con le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimenti”, “non compromettano le aspettative di rendimento dello strumento finanziario” e la loro struttura “sia adeguatamente trasparente per i mercato di riferimento”. Regole comunque meno dettagliate rispetto a quelle della comunicazione sugli illiquidi.

Per gli obblighi informativi la questione è più articolata.

Alcune richieste della Consob presenti nella comunicazione assurgono a regola generale. La nuova impalcatura regolamentare introdotta con la direttiva MiFID 2 stabilisce infatti l’obbligo per gli intermediari di comunicare ai clienti al dettaglio eventuali difficoltà di smobilizzo degli strumenti finanziari, indicando le possibili modalità di disinvestimento [10]. Inoltre, con specifico riguardo ai prodotti di investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIP) [11], il cliente deve essere specificamente reso edotto di ulteriori informazioni circa la possibilità di smobilizzo e gli scenari di rendimento[12].

Quanto alla raccomandazione di illustrare al cliente al dettaglio il confronto tra il titolo illiquido e altri prodotti più semplici, noti e di simile durata, un precetto così puntuale non è rintracciabile nella normativa vigente. Tuttavia, l’art. 54 del Regolamento (UE) 565/2017 ha introdotto il c.d. giudizio di equivalenza, da effettuarsi in sede di effettuazione del test di adeguatezza. Nel dettaglio, si prescrive agli intermediari di “valutare, tenendo conto dei costi e della complessità, se servizi di investimento o strumenti finanziari equivalenti possano corrispondere al profilo del cliente”.

Un disallineamento più apparente che reale è rinvenibile anche con riguardo alla rendicontazione. La Comunicazione sui prodotti illiquidi imponeva di informare la clientela del presumibile valore di realizzo, calcolato al netto delle commissioni applicate per lo smobilizzo. Oggi, nell’ambito della rendicontazione a carico degli intermediari che detengono strumenti finanziari dei clienti, è previsto che essi comunichino il valore di mercato o, se non disponibile, il valore stimato dello strumento – da determinare “con la massima diligenza possibile” – segnalando che ciò può essere conseguenza di una mancanza di liquidità[13].

Non vi sono invece nella normativa vigente, di primo e secondo livello, previsioni che impongano agli intermediari di informare preventivamente il cliente della circostanza che l’unica fonte di mercato di uno strumento finanziario potrebbe essere l’emittente o una società facente parte del suo gruppo, come invece raccomandato nella Comunicazione sui prodotti illiquidi.

Con riguardo però ai prodotti strutturati distribuiti alla clientela al dettaglio, l’Opinion ESMA del 2014 (“Structured Retail Products Good practices for product governance arrangements”, su cui si tornerà nel prossimo paragrafo), prevede ai punti 35 e seguenti che gli intermediari debbano adottare misure molto simili rispetto a quello previste dalla comunicazione revocata. Per cui anche in questo caso l’aporia appare superabile.

Discorso a parte merita il complesso tema della scomposizione dei costi, su cui aveva particolarmente insistito la comunicazione in commento con previsioni che, nel 2009, erano sembrate davvero rivoluzionarie.

Il tema della disclosure sui costi e oneri è infatti una delle principali e più discusse novità introdotte dalla direttiva MiFID 2[14].

Per ciò che rileva in questa sede, si osserva che ora le imprese di investimento sono tenute a comunicare i costi e gli oneri in forma aggregata, sia in percentuale che in termini monetari prima della prestazione di un servizio di investimento e della raccomandazione od offerta in vendita di ogni singolo strumento finanziario. Il cliente può tuttavia domandare la scomposizione dei costi nelle varie voci e conoscere così nel dettaglio quali siano le componenti del complessivo costo sostenuto.

Se, quindi, con la Comunicazione sui prodotti illiquidi la scomposizione dei costi – particolarmente utile per prodotti in cui alcune componenti del corrispettivo riconosciuto all’intermediario erano di fatto internalizzate nel costo complessivo e come tali difficilmente percepibili dal cliente (si pensi ai derivati OTC) – era l’opzione standard, lo scenario è lievemente differente con il quadro normativo attuale, dove l’evidenziazione delle singole voci è soltanto eventuale.

Deve peraltro rilevarsi che:

  • la Consob, con la comunicazione n. 1 del 7 maggio 2020, ha richiesto, ma soltanto con riferimento alla rendicontazione ex post, che “la voce relativa ai costi e oneri degli strumenti finanziari dovrebbe recare separata evidenza di quelli impliciti inclusi nel prezzo (quali ad esempio le commissioni di strutturazione)”. Per lo meno in sede di rendicontazione periodica, le differenze con quanto previsto dalla Comunicazione sui prodotti illiquidi si assottigliano ulteriormente;
  • la già citata Opinion ESMA del 2014, almeno fino a quando non verrà anch’essa ritirata, prevede (cfr. punti 32 ss.) per i prodotti strutturati distribuiti a clienti retail obblighi di disclosure dei costi di strutturazione e del fair value dei prodotti sostanzialmente analoghi a quelli previsti dalla Comunicazione sui prodotti illiquidi;
  • infine, le Q&A in materia di investor protection diffuse dall’ESMA, al punto 17 della sezione dedicata ai costs and charges, specificamente prescrivono che “mark-ups and structuring costs that are embedded in the transaction price need to be identified and disclosed to clients by the investment firm”.

In definitiva, da un’analisi complessiva della normativa (comunitaria e nazionale) vigente e degli orientamenti delle Autorità di vigilanza può ricavarsi una sostanziale persistenza delle regole a suo tempo dettate dalla Consob per i prodotti illiquidi.

3. La Comunicazione sui prodotti complessi

Passando alla Comunicazione sui prodotti complessi, la sua emanazione è avvenuta a seguito della pubblicazione di due Opinion dell’ESMA del 2014[15], volte a contrastare il fenomeno dell’eccessiva diffusione presso la clientela retail di prodotti particolarmente rischiosi e spesso non conformi alle esigenze finanziarie di tale tipologia di investitori[16].

Può così essere idealmente divisa in due parti.

Nella prima, vengono recepite le Opinion dell’ESMA. Non avendo carattere innovativo, la revoca della Comunicazione non ha di fatto alcun effetto pratico. Infatti, le due Opinion dell’ESMA sono ancora in vigore e gli intermediari sono comunque tenuti ad attenersi alle indicazioni ivi contenute.

Nella seconda, vengono invece introdotte alcune raccomandazioni agli intermediari, di cui va ben intesa la sorte dopo la revoca.

Si inizia con previsioni tipicamente di product governance, oramai assorbite dalla normativa vigente post-MiFID 2: attenzione nella costruzione del catalogo d’offerta alle caratteristiche della clientela target, ai conflitti di interesse (nascenti anche dai rapporti tra emittente e distributore), alla struttura dei costi dei prodotti offerti.

Si prosegue con un richiamo all’importanza della profilatura della clientela e alla raccolta di informazioni fornite spontaneamente dal destinatario. Ancora, si ribadisce la necessità di procedere alla corretta scomposizione dei costi del prodotto: tutte questioni oramai disciplinate compiutamente dal nuovo framework normativo, come si è già avuto modo di evidenziare.

Alcuni punti non risultavano coperti dagli orientamenti ESMA e non lo sono ancora nemmeno con l’entrata in vigore della normativa di riferimento oggi applicabile.

Il più rilevante è senz’altro il suggerimento agli intermediari di prevedere “stringenti limiti di concentrazione”, ossia di applicare dei limiti percentuali degli investimenti in prodotti complessi rispetto al portafoglio del cliente.

Nella prassi, la raccomandazione dell’Autorità ha portato a soluzioni differenziate: alcuni operatori hanno introdotto, sia nei portafogli in consulenza che in gestione, un limite generale per tutti i prodotti complessi; altri hanno distinto tra singole categorie di prodotti.

Per tutti, l’imposizione di limiti di concentrazione ha determinato un appesantimento operativo. Un caso tipico concerneva le gestioni di portafogli: gli intermediari erano infatti tenuti a prevedere negli allegati relativi alle linee di gestione disponibili la misura massima degli investimenti in prodotti complessi, con la conseguenza che ogni cambio di tale limite necessitava di una modifica contrattuale, nelle forme consentite dall’ordinamento.

Un altro punto originale è rappresentato dall’obbligo per gli intermediari di indicare nella rendicontazione relativa al servizio di gestione di portafogli “i prodotti a complessità molto elevata effettivamente oggetto delle operazioni di investimento”, come si leggeva nei chiarimenti applicativi rilasciati dalla Consob successivamente all’emanazione della comunicazione in commento[17].

Inoltre, la Consob era andata addirittura contro gli orientamenti dell’ESMA, laddove aveva ritenuto che le obbligazioni subordinate non fossero, per la sola presenza della clausola di subordinazione, titoli complessi (cfr. le appena menzionate Q&A del 2015).

È però il paragrafo 4.2.3 della comunicazione in commento ad avere avuto un impatto davvero significativo sul mercato. Si tratta della porzione di provvedimento in cui la Consob ha introdotto il concetto (e il relativo elenco) di prodotti complessi considerati normalmente non adatti alla clientela al dettaglio (c.d. “black list”)[18].

Infatti, nelle Opinion dell’ESMA non vi era traccia di una ulteriore classificazione dei prodotti complessi in sotto-categorie, una delle quali sottoposta peraltro a regole di vendita molto stringenti.

Infatti, la vendita di prodotti della black list ai clienti al dettaglio era possibile soltanto in considerazione di particolari caratteristiche socio-economiche del cliente, del suo patrimonio minimo presso l’intermediario, del rispetto di soglie quantitative della prestazione di servizi ad alto valore aggiunto come la consulenza c.d. evoluta.

Nel nuovo quadro normativo consolidatosi a seguito dell’entrata in vigore della direttiva MiFID 2, di “black list” di prodotti non vi è traccia. Ci sono naturalmente penetranti poteri di intervento attribuiti alle Autorità di vigilanza, che possono vietare determinate modalità di vendita o la distribuzione tout court di determinati prodotti a specifiche fasce di clientela; ma non esiste una sfiducia preventiva verso determinate asset class, come invece avviene nella Comunicazione sui prodotti complessi[19].

4. Conclusioni

Le raccomandazioni contenute nelle due comunicazioni revocate dalla Consob, come si è visto dalla breve ricostruzione che precede, sono in effetti in gran parte assorbite nella regolamentazione vigente.

In alcuni casi, sono gli stessi provvedimenti normativi a rendere superflua la sopravvivenza delle indicazioni di dettaglio dell’Autorità nazionale; in altri casi, i suggerimenti della Consob sono in qualche modo stati recepiti dall’ESMA, che li ha elevati a regole europee.

Rimangono, soprattutto con riguardo alla Comunicazione sui prodotti complessi, delle aree scoperte.

Trascorso un comprensibile periodo di tempo transitorio, è prevedibile che il mercato reagisca abbandonando pratiche operative tipicamente nazionali che non sono riflesse nell’ordinamento comunitario. Si pensi, in particolare, alla disciplina dei limiti di concentrazione degli investimenti in prodotti complessi e alle cautele rafforzate (e tipizzate) per la vendita ai clienti retail di prodotti appartenenti alla black list stilata dalla Consob.

Si può certamente accogliere con favore l’intervento della Consob, che ha innanzitutto semplificato il quadro (in senso lato) normativo in materia di servizi di investimento, caratterizzato oramai da tempo da un’iperattività del legislatore e dell’Autorità di vigilanza comunitari.

Inoltre, la revoca delle due comunicazioni elimina un elemento di eccessiva rigidità della disciplina interna, che si risolveva in una penalizzazione degli intermediari operanti nel nostro Paese senza reali benefici per la clientela al dettaglio.

 

[1] Reperibile all’indirizzo https://www.consob.it/documents/46180/46181/avviso_20220203.pdf/2500d2da-1c24-41b0-b0aa-1ce4a494de41.

[2] L’avviso cita in tal senso il Regolamento (UE) 1286/2014 (il “Regolamento PRIIPs”), il Regolamento (UE) 2017/2402 (il “Regolamento STS”) in materia di cartolarizzazioni semplici, trasparenti e standardizzate; il Regolamento (UE) n. 2015/760 (il “Regolamento ELTIF”) in materia di fondi di investimento europeo a lungo termine; la Direttiva 2019/879/UE (la “BRRD II”) concernente gli strumenti sottoposti a meccanismi di bail-in nonché la Direttiva 2016/97/UE sull’intermediazione assicurativa (la “IDD”).

[3] I prodotti illiquidi sono definiti nella comunicazione come “quelli che determinano per l’investitore ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, a condizioni di prezzo significative, ossia tali da riflettere, direttamente o indirettamente, una pluralità di interessi in acquisto e in vendita”. La quotazione in un mercato regolamentato, in un sistema multilaterale di negoziazione o l’obbligo di riacquisto dello strumento garantito dall’emittente comportano una presunzione relativa di liquidità.

Nella disciplina di MiFID I, l’unico riferimento ai prodotti illiquidi era infatti contenuto nel considerando 51 della Direttiva 2006/73/CE, ove si richiedeva alle imprese che fornissero il servizio di gestione di portafoglio un mandato espresso per poter investire in tali strumenti; regola recepita all’art. 38, comma 5, del previgente Regolamento Intermediari. In nessuno dei due testi normativi era pero presente una definizione di illiquidità.

[4] Si veda in proposito la decisione del Tribunale di Verona del 25 marzo 2017, n. 687 secondo cui le azioni non negoziate in mercati regolamentati sarebbero assimilabili a derivati OTC “con riguardo al tipo di mercato in cui vengono trattate e alle conseguenze, anche in termini di rischiosità dell’investimento che ciò comporta, piuttosto che alle azioni quotate”. Parimenti, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF), chiamato più volte a pronunciarsi sulle vicende che hanno interessato alcune banche popolari, ha ritenuto che il collocamento delle azioni di tali istituti fosse soggetto alle disposizioni della Comunicazione sui prodotti illiquidi (cfr. ex multis Decisioni nn. 44/2017, 189/2018, 2261/2020).

[5] La procedura Lamfalussy, utilizzata in ambito comunitario per la produzione normativa, si componeva di quattro livelli diversi. Il primo passaggio prevedeva l’adozione della legislazione quadro (livello 1) e di misure di esecuzione dettagliate (livello 2). Per l’elaborazione tecniche delle misure di esecuzione, la Commissione si avvaleva del parere di comitati composti da rappresentanti delle Autorità di vigilanza. I Comitati contribuivano all’attuazione coerente delle direttive comunitarie negli Stati membri garantendo una cooperazione efficace tra le Autorità di Vigilanza e una convergenza delle loro pratiche (livello 3). Infine la Commissione controllava l’adeguato recepimento in tempo utile della legislazione europea nel diritto nazionale (livello 4).

[6] Particolarmente significativa in tal senso è la recentissima decisione Cass. 18 febbraio 2022, n. 5344, che ha stabilito che “L’adempimento degli obblighi di correttezza e trasparenza nella prestazione dei servizi di investimento impone anche l’adozione di idonee ed oggettive procedure di fissazione del prezzo dello strumento finanziario e ciò discende dalla normazione primaria, essendo incensurabile l’assunto della Corte d’Appello che ha attribuito alla Comunicazione della Consob DIN/9019104 del 2.3.2009, nella parte in cui ribadisce che la determinazione del fair value sulla base di strumenti basati su metodologie riconosciute e diffuse sul mercato proporzionate alla complessità del prodotto, valga anche per i prodotti di propria emissione ovvero per gli intermediari che operano in contropartita diretta con la clientela, valenza meramente interpretativa e non anche innovativa o creativa di una regola non già esistente, come invece assume parte ricorrente”. Si veda inoltre Trib. Firenze, 24 febbraio 2020 che, in maniera ancor più netta, attribuisce valore cogente alla Comunicazione, affermando che essa “impone agli intermediari finanziari che propongano alla clientela strumenti finanziari illiquidi (…) di rendere trasparenti i relativi costi”.

[7] Le controversie hanno riguardato principalmente l’investimento in azioni di banche popolari, di cui era in dubbio anche la natura illiquida, nonché la sottoscrizione di contratti derivati OTC.

[8] Manca in particolare una disciplina organica degli strumenti finanziari illiquidi. L’illiquidità viene tuttavia in rilievo varie volte nella regolamentazione. Si pensi all’art. 57 del Regolamento delegato (UE) 565/2017, quale uno degli elementi che può determinare la complessità di uno strumento, ai fini della possibilità per l’intermediario di poter prestare i servizi esecutivi in modalità di execution only; o all’art. 48 del medesimo Regolamento, in cui l’illiquidità di uno strumento finanziario rappresenta una delle informazioni da fornire al cliente nella fase precontrattuale; o, ancora, agli orientamenti ESMA sugli obblighi di product governance, in cui l’illiquidità costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nell’individuazione del target market (cfr. orientamento V.2, punto 21).

[9] L’art. 25, par. 2, MiFID 2 impone che le informazioni su conoscenza ed esperienza in ambito finanziario del cliente siano attinenti “al tipo specifico di prodotto o servizio”, che quelle sulla sua situazione finanziaria comprendano “la capacità di tale persona di sostenere perdite” e quelle sugli obiettivi di investimento includano “la sua tolleranza al rischio”. Inoltre, in tema di prodotti illiquidi, gli Orientamenti ESMA su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della MiFID 2 raccomandano che nella valutazione di adeguatezza gli intermediari tengano conto: (i) del “periodo di tempo durante il quale il cliente è disposto a detenere l’investimento”; (ii) del “reddito fisso e totale del cliente, se tale reddito è percepito su base permanente o temporanea”; (iii) dei “beni del cliente, comprese le attività liquide, gli investimenti e i beni immobili, che comprendono gli eventuali investimenti finanziari, beni personali e investimenti immobiliari, fondi pensioni e depositi in contanti posseduti dal cliente”; (iv) degli “impegni finanziari regolari del cliente, che possono comprendere gli impegni finanziari che il cliente ha assunto o intende assumere”.

[10] L’art. 48 del Regolamento delegato (UE) 2017/565 dispone infatti che le imprese di investimento, prima di prestare servizi di investimento, forniscano alla clientela “una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari” che tenga conto delle “caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, il funzionamento e i risultati dello strumento finanziario in varie condizioni di mercato, sia positive che negative, e i rischi propri di tale tipo di strumento”. La descrizione dei rischi, deve contenere, se pertinente, “informazioni sugli ostacoli o le limitazioni al disinvestimento (…) inclusa una presentazione dei possibili metodi di uscita e delle conseguenze di tale uscita, degli eventuali vincoli e dell’arco temporale stimato per la vendita degli strumenti finanziari prima di poter recuperare i costi iniziali dell’operazione in tale tipologia di strumenti finanziari”.

[11] Sono PRIIPs i prodotti per cui l’importo dovuto all’investitore al dettaglio è soggetto a fluttuazioni a causa dell’esposizione ai valori di riferimento o al rendimento di una o più attività che non siano direttamente acquistati dall’investitore stesso ovvero un prodotto assicurativo che presenti una scadenza o un valore di riscatto che sia esposto, in tutto o in parte, in via diretta o indiretta, a fluttuazioni di mercato. Rientrano dunque nella definizione di PRIIPs, inter alia, gli strumenti finanziari derivati, i fondi comuni di investimento, le polizze unit-linked e i depositi strutturati.

[12] Cfr. Art. 8 del Regolamento PRIIPs, secondo cui la documentazione di offerta di un PRIIP (il KID) deve contenere, tra l’altro, “l’indicazione del periodo minimo di detenzione raccomandato e, ove applicabile, del periodo minimo di detenzione richiesto”, “la capacità di operare disinvestimenti prima della scadenza e le relative condizioni, comprese tutte le commissioni e le sanzioni applicabili”, “scenari di performance adeguati e le ipotesi formulate per realizzarli”.

[13] Cfr. art. 63, par. 2, lett. f) del Regolamento (UE) 565/2017.

[14] Come noto, con la direttiva MiFID II (cfr. art. 24, paragrafo 4) e con il Regolamento (UE) 565/2017 (cfr. art. 50) sono stati introdotti obblighi informativi sia ex ante che ex post in ordine ai costi e oneri applicati ai clienti in relazione agli strumenti finanziari e ai servizi di investimento prestati. L’attuazione di tali obblighi ha comportato incertezze, che hanno provato a risolvere l’ESMA con le Q&A on MiFID II and MiFIR investor protection and intermediaries topics e la Consob con la Comunicazione 1/2020 “sulle modalità di adempimento dell’obbligo di rendicontazione ex post dei costi e oneri connessi alla prestazione di servizi di investimento e accessori”. La disciplina in questione è stata inoltre una di quelle oggetto di maggiore attenzione nell’ambito della proposta di revisione di MiFID 2. Per un excursus, ci si permette di rimandare a F. Mocci, MiFID II rewiev: le indicazioni del final report ESMA su incentivi e costi e oneri, su www.dirittobancario.it.

[15] Cfr. Opinion del 7 febbraio 2014, denominate “MiFID practices for firms selling complex products”, reperibile sul sito dell’ESMA all’indirizzo https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/2015/11/ipisc_complex_products_-_opinion_20140105.pdf e Opinion del 27 marzo 2014 denominata ”Structured Retail Products – Good practices for product governance arrangements”, reperibile sempre sul sito dell’Autorità europea all’indirizzo https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/2015/11/2014-332_esma_opinion_u_structured_retail_products_-_good_practices_for_product_governance_arrangements.pdf.

[16] Cfr. F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2020, p. 156.

[17] Q&A Consob del 23 giugno 2015.

[18] Sono annoverati nella black list: (i) prodotti derivati da operazioni di cartolarizzazione di crediti o di altre attività; (ii) prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziativa dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale; (iii) prodotti finanziari credit linked; (iv) derivati OTC con finalità speculative; (v) prodotti finanziari strutturati non negoziati in trading venues, il cui pay-off non rende certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente.

[19] Gli artt. 40 e 42 MiFIR attribuiscono, rispettivamente, all’ESMA (temporaneamente) e alle Autorità di vigilanza (in via permanente) il potere di vietare o limitare la commercializzazione, la distribuzione o la vendita di strumenti finanziari – in via generale – in presenza di “timori significativi in merito alla protezione degli investitori” oppure di “una minaccia all’ordinato funzionamento e all’integrità dei mercati finanziari”.

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