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La disciplina particolare della liquidazione coatta amministrativa delle SGR. La liquidazione giudiziale del fondo o del comparto insolvente.

15 Settembre 2013

Sido Bonfatti, Professore Ordinario di Diritto Commerciale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia

1. La liquidazione coatta amministrativa delle SGR.

La disciplina della “crisi” della SGR presenta aspetti peculiari rispetto a quelle delle SIM (e delle SICAV) sotto due principali profili: (i) la previsione di una disciplina particolare per le attività dei Commissari liquidatori funzionali alla (cessione o alla) liquidazione dei fondi e dei comparti della SGR; e (ii) la previsione dell’assoggettamento a procedura di liquidazione (giudiziale) dei fondi e/o dei comparti (o di taluno di essi) della SGR, a prescindere dall’adozione di provvedimenti di rigore nei confronti della Società.

Sotto il primo profilo, mentre rimane confermato che la disciplina della procedura di l.c.a. è regolata dalle disposizioni del T.U. bancario richiamate dall’art. 57, co. 3, TUF per tutti gli intermediari (SIM, SGR, SICAV, ecc.) qui considerati, si precisano (art. 57, co. 3-bis TUF, introdotto dal d.lgs. n. 47/2012) le disposizioni del TUB applicabili anche alle attività dei commissari volte alla gestione, alla cessione o alla liquidazione dei fondi e dei comparti già gestiti dalla SGR assoggettata a l.c.a.

Occorre infatti considerare che se per ciò che concerne gli effetti dell’apertura della l.c.a sulla società di gestione è sufficiente il rinvio alle norme del TUB che disciplinano il subentro degli organi della procedura agli esponenti aziendali della società assoggettata a l.c.a.: per ciò che concerne i fondi comuni di investimento gestiti dalla SGR, invece, occorrerà tenere conto della presenza di Organi autonomi, previsti dalla disciplina di settore, a presidio della correttezza tecnica ed amministrativa della loro gestione, nonchè della circostanza che nonostante l’assoggettamento della SGR a l.c.a., i fondi comuni di investimento (o taluno tra essi) potrebbero di per sè non presentare alcuna anomalia. L’art. 1, co. 17, lett. a) del d.lgs. n. 42/2012 ha quindi introdotto il comma 3-bis nell’art. 57 TUF, sancendo che nell’ipotesi di assoggettamento della SGR a l.c.a. “i commissari liquidatori provvedono alla liquidazione o alla cessione dei fondi da questa gestiti e dei relative comparti, esercitando a tali fini i poteri di amministrazione degli stessi”.

La norma in questione aggiunge anche che “i partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione”.

Tale ultima previsione è coerente con la visione dell’istituto che pare affermarsi in giurisprudenza, dove è risultata esclusa l’opposizione allo stato passive della SGR in l.c.a. proposta dai partecipanti di un fondo comune di investimento immobiliare gestito dalla stessa, sulla base della argomentazione che “i partecipanti al fondo sono sostanzialmente titolari dei diritti sui beni conferiti nel fondo, la cui titolarità formale spetta tuttavia alla SGR che in quel momento gestisce il fondo, con la conseguenza di vantare unicamente un diritto di credito al valore residuo della quota, all’esito della liquidazione del fondo e del pagamento dei creditori”1.

Secondo i primi commentatori2 la ricostruzione proposta dalla sentenza in commento assimilerebbe il fondo comune di investimento gestito da una SGR “alla proprietà fiduciaria (e, più precisamente, ad un trust, considerato dal Tribunale la “matrice culturale del fondo comune di investimento”, in cui i partecipanti al fondo sono sostanzialmente titolari dei diritti sui beni conferiti nel fondo la cui titolarità formale spetta tuttavia alla SGR che in quel momento gestisce il fondo)” e, sotto il profilo operativo della liquidazione, richiama quanto previsto dall’art. 155 l.fall. in tema di patrimoni destinati costituiti da un soggetto poi dichiarato fallito.

Orbene, il nuovo comma introdotto dal d.lgs. n. 47 del 2012 rende chiaro, in linea con quanto effettuato dalla sentenza sopra richiamata, che al pari di quanto previsto dall’art. 155 l.fall. in tema di patrimoni destinati (a norma del quale se è dichiarato il fallimento della società che gestisce il patrimonio, l’amministrazione dello stesso è attribuita al curatore fallimentare che provvede alla sua cessione o, se questa non è possibile, alla liquidazione del patrimonio), la liquidazione coatta di una SGR comporta la liquidazione o la cessione (ma, sembrerebbe doversi dire la cessione e, in caso di impossibilità di questa, la liquidazione) dei fondi da questa gestiti e dei relativi comparti.

In ipotesi di liquidazione, poi, i partecipanti ai fondi gestiti da una SGR in liquidazione coatta amministrativa (i) non godono di un diritto di rivendica ma esclusivamente di un diritto di credito sul residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione; e (ii) non godono del diritto di affidare la gestione del fondo ad altra SGR, posto che dalla data dell’emanazione del decreto di liquidazione coatta amministrativa cessano le funzioni degli organi del fondo”.

L’art. 1, co. 17, lett. b) d.lgs. n. 47/2012 ha introdotto anche il comma 6-bis dell’art. 57 TUB, secondo il quale “qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata, uno o più creditori o la SGR possono chiedere la liquidazione del fondo al tribunale del luogo in cui la SGR ha la sede legale”. In tale ipotesi “il Tribunale, sentiti la Banca d’Italia e i rappresentanti legali della SGR, quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio”. A seguito della “liquidazione giudiziale” del Fondo “la Banca d’Italia nomina uno o più liquidatori che provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis; possono essere nominati liquidatori anche SGR o enti. Il provvedimento della Banca d’Italia è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Si applica ai liquidatori, per quanto compatibili, l’articolo 84, ad eccezione dei commi 2 e 5, del T.U. Bancario”. Per l’ipotesi poi che successivamente la SGR che gestisce il fondo sia sottoposta a l.c.a, i commissari liquidatori della SGR “assumono l’amministrazione del fondo sulla base di una situazione dei conti predisposta dai liquidatori del fondo stesso”.

In tale disciplina i primi commentatori hanno individuato un (ulteriore) elemento di continuità tra la disciplina dei fondi comuni di investimento e quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, come disciplinati dagli artt. 2447-bis ss. cod.civ. Si è osservato in proposito3 che “a norma dell’art. 2447-novies, co. 2, cod. civ. si procede alla liquidazione del patrimonio destinato quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l’affare cui esso è stato destinato o nel caso in cui ne facciano richiesta i c.d. creditori particolari nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio; similmente, il comma 6-bis dell’art. 57 TUF prevede che qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata se ne può chiedere la liquidazione (anche qui da parte dei creditori o del soggetto che amministra il fondo) al tribunale del luogo in cui la SGR ha la sede legale (ed il tribunale, sentiti la Banca d’Italia e i rappresentanti legali della SGR quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio)”.

Ad una prima lettura la norma parrebbe rivolta a consentire alla SGR od ai creditori del fondo “insolvente” di provocarne la liquidazione tramite l’intervento giudiziale, nonostante l’eventuale contrarietà dei partecipanti al fondo, e dunque con il proposito di consentire alla società di gestione ed ai creditori di conseguire coattivamente il risultato liquidatorio in ipotesi non perseguito spontaneamente dai partecipanti al fondo. Certamente il fenomeno descritto rappresenta una possibile chiave di lettura della disciplina in commento, come dimostrato proprio da uno dei (pochissimi) casi sino ad oggi occorsi4. Tuttavia l’importanza dell’intervento normative sta altrove.

A prescindere dalla circostanza che i partecipanti al fondo provvedano o non provvedano alla deliberazione di liquidazione volontaria dello stesso, il profilo problematico è rappresentato dalla circostanza che il relative procedimento (demandato al Regolamento del fondo, nel rispetto delle linee–guida dettate dalle disposizioni regolamentari di settore – oggi costituite dal Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio approvato con provvedimento della Banca d’Italia 8 maggo 2012 -) non è in grado di soddisfare le esigenze conseguenti alla ipotesi di “insolvenza” del fondo, perchè postula – nella sostanza – il pagamento integrale dei creditori, e considera esclusivamente l’ipotesi del rimborso parziale dei partecipanti. Mentre nel caso di pagamento integrale dei creditori e di eventuale “stralcio” delle sole pretese dei partecipanti è effettivamente concepibile un procedimento di liquidazione “ordinaria”, condotto secondo regole tendenzialmente privatistiche, pur se caratterizzate da profili di carattere organizzativo tendenti ad assicurarne la efficacia e l’efficienza; nel caso invece di “insolvenza”, e cioè di prospettazione di un pagamento parziale anche dei creditori, emergono esigenze connesse: (i) al necessario rispetto del principio generale della “par condicio”, che consigliano l’adozione di procedimenti soggetti alla vigilanza di organi “terzi”; (ii) alla necessaria tutela dello status quo dei rapporti patrimoniali trai creditori ed il “debitore” comune, che impongono l’introduzione del divieto di costituire (volontariamente) e di acquisire (in ipotesi contro la volontà del debitore) titoli costituitivi di diritti di prelazione e/o di provvedere al, o conseguire il, soddisfacimento dei crediti individuali; e (iii) alla introduzione di meccanismi funzionali ad agevolare il conseguimento dell’adesione dei creditori a soluzioni di composizione negoziale della “crisi” o favorendone la formazione (tramite la previsione dell’efficacia vincolante del consenso della maggioranza anche nei confronti dei creditori dissenzienti); oppure consentendo l’intervento sostitutivo di autorità pubbliche. E’ per tale ragione che nell’ipotesi in discussione le procedure di liquidazione “ordinaria”, pur disponibili per le imprese finanche – come visto – per i “patrimoni” privi di soggettività giuridica come i fondi comuni di investimento – come si preciserà -, non sono utilmente introducibili, e devono essere sostituire da procedure di carattere “concorsuale”5.

In questo contesto la considerazione della inapplicabilità alla insolvenza dei fondi comuni di investimento di qualsiasi procedura di regolazione delle “crisi”, per la semplice ragione connessa alla mancanza di personalità giuridica dei fondi stessi6, fa comprendere quanto provvidenziale sia stato l’intervento normativo che ha portato alla disciplina della “liquidazione giudiziale” del fondo comune di investimento a prescindere dalla condizione della società di gestione. Ed a tale proposito pare opportuno precisare che laddove (anche) la società di gestione venga assoggettata, “successivamente”, a l.c.a., i commissari liquidatori della SGR assumeranno anche l’amministrazione del fondo o dei fondi (già dichiarati in via giudiziale) “insolventi”: ciò che induce a ritenere che allorchè l’assoggettamento a l.c.a. della SGR preceda qualsiasi intervento sui “fondi”, nell’ipotesi di “capienza” degli stessi, si applichi l’art. 57, co.3-bis (cessazione delle funzioni degli organi del fondo ed attribuzione dei relative poteri amministrativi ai Commissari liquidatori); mentre nell’ipotesi di “insolvenza” del fondo o di taluno dei fondi i Commissari liquidatori siano legittimati, in qualità di rappresentanti della SGR, a chiedere la liquidazione giudiziale del fondo ai sensi dell’art. 57, co. 6-bis TUF, per poi venire designati dalla Banca d’Italia liquidatori anche del fondo o dei fondi assoggettati a “liquidazione giudiziale”7. Nè della dichiarazione giudiziale di “insolvenza” del fondo si ritiene si possa fare a meno, nonostante la pendenza della già intervenuta l.c.a. della Società di gestione, in considerazione degli effetti sui terzi che – come si avrà modo di vedere – la sentenza pronunciata dal tribunale ai sensi dell’art. 57, co. 6-bis, TUF, è in grado di produrre.

Per tale ragione si deve concludere che nell’ipotesi di insolvenza del fondo comune di investimento la Società di gestione non debba sottoporre ai partecipanti (in ipotesi anche consenzienti) l’approvazione della liquidazione “ordinaria” del fondo, bensì debba ricorrere alla procedura di “liquidazione giudiziale” di cui all’art. 57, co. 6-bis, T.U.F.

2. Presupposti, effetti e procedimento di “liquidazione giudiziale” dei fondi comuni di investimento.

Per ragioni di comodità espositiva abbiamo definito le situazioni nelle quali si pone l’esigenza di una disciplina delle “crisi” del fondo comune di investimento, a prescindere dalla presenza del presupposto per interventi di rigore sulla società di gestione, come la condizione di “insolvenza” del fondo.

La definizione non è precisa, stante la lettura della norma che oggi condiziona l’applicabilità della previsione introdotta nell’art. 57, co. 6-bis, TUF, la quale allude alla incapacità del fondo di “soddisfare le obbligazioni dello stesso”, ed alla mancanza di “ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata”. Di tali precisazioni occorre dunque tenere conto, anche se le situazioni delineate vengono effettivamente già ricondotte alla nozione – per l’appunto – di “insolvenza”8.

L’art. 57, co. 6-bis, TUF prevede anche, come ulteriore presupposto per la pronuncia della “liquidazione giudiziale” del fondo, l’accertamento da parte del tribunale del “pericolo di pregiudizio”: circostanza che peraltro sembrerebbe risultare in re ipsa, allorchè siano risultati accertati gli altri presupposti della incapacità del fondo a soddisfare le obbligazioni facenti capo allo stesso e della mancanza di ragionevoli prospettive di superamento della situazione critica, essendo connaturale a tale situazione il pericolo (a non dir d’altro) di: (i) atti preferenziali; (ii) acquisizione di titoli di prelazione da parte di taluni creditori in danno degli altri; (iii) soddisfacimenti preferenziali (per es. attraverso il compimento di operazioni con il fondo comportanti l’assunzione da parte dei terzi di obbligazioni suscettibili di compensazione con crediti pregressi); eccetera.

Gli effetti della “dichiarazione giudiziale” dell’insolvenza del fondo sono anzitutto rappresentati dalla conseguente nomina da parte della Banca d’Italia di uno o più liquidatori (che provvedono secondo quanto previsto dall’art. 57, co. 3-bis, TUF): nomina che pare risultare atto dovuto, alla stessa stregua della emanazione del provvedimento di assoggettamento a l.c.a. della società di gestione, ove intervenga la “dichiarazione giudiziale” della sua “insolvenza” (cfr. art. 195, co. 4, l.fall., richiamato dall’art. 82, co. 1, TUB per le banche, al quale fa rinvio l’art. 57, co. 3, TUF per le SIM, le SGR e le SICAV).

Gli effetti invece delle nomina dei liquidatori da parte della Banca d’Italia sono poi rappresentati, anzitutto, dall’applicabilità agli stessi, in quanto compatibile, dell’art. 84 TUB, ad eccezione dei commi 2 e 5 (cfr. art. 57, co. 6-bis, TUF). Ciò comporta che: (i) i commissari rivestano la qualifica di pubblici ufficiali; pongano in essere atti che si ripercuotono sul patrimonio del fondo; procedano alle operazioni funzionali alla sua liquidazione, (ii) la Banca d’Italia può emanare direttive per la liquidazione del fondo (della cui eventuale inosservanza sono personalmente responsabili i liquidatori) e può stabilire che talune categorie di operazioni siano soggette alla sua autorizzazione; (iii) i liquidatori debbano presentate annualmente alla Banca d’Italia una relazione, informando periodicamente i creditori (e i partecipanti al fondo) sull’andamento della liquidazione, secondo le modalità stabilite dalla Banca d’Italia; (iv) ai liquidatori si applichi l’art. 72, commi 7, 8 e 9 TUB (“poteri e funzionamento” degli organi della procedura di Amministrazione Straordinaria dell’impresa bancaria); e (v) i liquidatori, previa autorizzazione della Banca d’Italia, possano ricorrere alla collaborazione di coadiutori.

Di per sè, peraltro, gli effetti così individuati non soddisferebbero adeguatamente le esigenze poste dalla “insolvenza” del fondo, nulla disponendo – ad esempio – sul versante della protezione del patrimonio del fondo da azioni individuali dei singoli creditori; nè sul terreno di favorire l’adesione degli stessi a soluzioni di composizione negoziale della “crisi” (o l’adottabilità di soluzioni comunque vincolanti per i creditori).

A tale risultato è possibile pervenire (e si ritiene corretto pervenire, alla luce della ratio complessiva della disciplina neo introdotta nell’art. 57 TUF) solo interpretando per così dire estensivamente il rinvio (contenuto nel comma 6-bis della norma) a “quanto disposto dal comma 3-bis” dell’art. 57, riferendo detto rinvio non tanto all’operato dei liquidatori – che, recita la disposizione, “provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis” -, bensì più in generale al contesto nel quale i liquidatori “provvedono”, così rendendo applicabili anche alla “procedura “di “liquidazione giudiziale” del fondo le disposizioni del TUB richiamate dal comma 3-bis per la liquidazione coatta amministrativa della società di gestione. La conclusione è sorretta da più di un argomento interpretativo: (i) in via preliminare, la ratio dell’intervento riformatore, il quale “tende, da un lato, ad evitare il rischio che, data l’attuale lacuna normativa, l’incapienza di un singolo fondo possa comportare interventi giudiziali destabilizzanti per la stessa SGR e per tutti i fondi, anche capienti, dalla stessa gestiti; dall’altro a fornire adeguata tutela ai creditori del fondo insolvente (sic!), prevedendo una specifica possibilità di ricorso al tribunale per far cessare la gestione del fondo e un conseguente intervento dell’autorità di vigilanza per assicurare modalità idonee di liquidazione o cessione del fondo stesso9; (ii) secondariamente, la circostanza che il richiamo del co. 3-bis dell’art. 57 TUF per regolare l’operato dei liquidatori del fondo nominati dalla Banca d’Italia a seguito della sentenza di liquidazione giudiziale dello stesso, ben può ricomprendere le norme rese applicabili (dal comma 3-bis cit.) per l’appunto all’operato dei liquidatori della società di gestione; e infine (iii) la circostanza che nel momento in cui l’art. 57, co. 6-bis, prevede l’assoggettamento della SGR a l.c.a. successivamente alla “liquidazione giudiziale” del fondo, si limiti a prevedere la consegna della “situazione dei conti” da parte dei liquidatori del fondo ai commissari liquidatori della società, senza rinviare alle disposizioni del TUB richiamate dall’art. 57, co. 3-bis, per l’ipotesi di apertura della L.C.A. sulla SGR: il chè appare perfettamente coerente con l’idea che tali disposizioni fossero già divenute applicabili con la sentenza di liquidazione giudiziale del fondo.

A tale stregua la disciplina di questa “procedura” risulta adeguatamente caratterizzata (inter alia) da: (i) la produzione di “effetti protettivi” per il patrimonio del fondo (cfr. art. 83 TUB); (ii) un ordinato procedimento di accertamento delle passività facenti capo al fondo (cfr. artt. 86-89 TUB); (iii) efficienti modalità di liquidazione degli assets del fondo (cfr. art. 90 TUB)10; e (iv) un efficace procedimento di composizione della “crisi” del fondo attraverso la predisposizione di una proposta di concordato di liquidazione dello stesso, soggetta al vaglio del tribunal nell’eventuale contraddittorio con i creditori e con ogni altro “interessato” (tra i quali, beninteso, i partecipanti al fondo in liquidazione), in applicazione dei richiamati artt. 93 e 94 TUB.

Per ciò che concerne infine il procedimento attraverso il quale perseguire e conseguire la “liquidazione giudiziale” del fondo, si segnalano: (i) la natura, espressamente individuata in quella dei procedimento in camera di consiglio (cfr. art 737 ss. cod.proc.civ.); (ii) la legittimazione attiva, riservata ai creditori ed alla stessa SGR; (iii) la competenza, attribuita al tribunale del luogo in cui la SGR ha sede legale; (iv) la forma dell’atto introduttivo, che in mancanza di precisazioni deve essere individuate nel ricorso (cfr. art. 737, co. 1, cod.proc. civ.); (v) la forma del provvedimento conclusivo, che viene espressamente individuata nella sentenza, con la conseguenza che il regime di impugnazione non sarà quello (delineato dagli artt. 739 e 740 cod.proc.civ.) tipico dei provvedimenti (decreti) che definiscono i giudizi camerali, bensì quello tipico delle sentenze (termine c.d. breve di trenta giorni dalla notificazione e, in difetto, termine c.d. lungo di sei mesi dalla pubblicazione) – senza peraltro che la forma dell’impugnazione assuma le vesti della citazione in appello, dovendo mantenere quelle del ricorso, ai sensi degli art. 739-740 cod. proc. civ.: Cass., n. 10521/1994; Cass., n. 8587/1991-).

 

1 Trib. Milano, 29 marzo 2012, n. 65566/10 R.G., in www.ilfallimentarista.it

2 G. PESCATORE, Commento all’art.57, in F. Vella (a cura di), Commentario T.U.F., Giappichelli, Torino, 2012, I, pp.556-557

3 PESCATORE, op.loc.ultt.citt.

4 V. Trib. Milano, Sez. II, 22 gennaio 2013, n. 19/13, nella quale l’istanza di liquidazione giudiziale proposta da un creditore, e condivisa dalla SGR, seguiva il rigetto da parte dell’assemblea dei partecipanti della proposta di liquidazione ordinaria del fondo avanzata dalla SGR

5 Puntualmente, in argomento, in occasione di un altro (tra i pochissimi) casi di applicazione dell’art. 57, co. 6-bis, TUF, il Tribunale ha affermato che “la messa in liquidazione volontaria del fondo comune [“insolvente”] non impedisce l’accoglimento del ricorso [ex art. 57, co. 6-bis, TUF], in quanto in questo modo si attiva una procedura di liquidazione in sede amministrativa destinata a prevalere su quella di diritto comune perché finalizzata alla tutela della par condicio creditorum” (Trib. Lecce, Sez. I, 5 marzo 2013, n. 21/2013).

6 Da ultimo, in questo senso, Cass., 20 maggio 2013, n. 12287; Cass. 15 luglio 2010, n. 16605 (commentata da BABANTI SILVIA, Alcune riflessioni in merito alla natura dei fondi comuni di investimento, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 9, 2013)-

7 In mancanza di una disciplina di carattere concorsuale delle situazioni di “crisi” del fondo si è ipotizzato, nella pratica (cfr. Trib. Lecco, Sez. I, 5 marzo 2013, n. 21/2013) che la società di gestione del fondo in “crisi” potesse costituire una nuova società (c.d. NewCo), attribuendone l’intero capitale sociale al fondo, e “conferendole” le attività e le passività facenti capo allo stesso, in funzione della successiva presentazione da parte della NewCo di una domanda di concordato preventivo.

In tal modo le attività facenti capo al fondo (“conferite” nella NewCo) sarebbero state realizzate al riparo da atti o iniziative suscettibili di violare la par condicio creditorum, ed in una condizione di totale trasparenza; mentre le passività facenti capo al fondo sarebbero state soddisfatte secondo le regole canoniche del concorso dei creditori – nulla rimanendo, ovviamente, per i partecipanti al fondo; e nessuno spazio di manovra rimanendo più né agli organi di amministrazione della società di gestione, né agli organi del fondo in “crisi”-.

8 Secondo Trib. Lecco, Sez. I, 5 marzo 2013, n. 21/2013, “la novella [introduttiva dell’art. 57, co. 6-bis TUF] … richiama nozioni, quali l’incapacità di fare fronte alle obbligazioni e all’assenza di prospettive di ripresa, sostanzialmente coincidenti con quella di insolvenza ex art. 5 l.fall.”.

9 Relazione all’art. 1, co. 17, d.lgs. n. 47/2012

10 Nell’ambito della procedura di liquidazione giudiziale del fondo comune di investimento (immobiliare) aperta con la sentenza di Trib. Milano, Sez. II, 22 gennaio 2013, n. 19/13 la Banca d’Italia, su istanza del liquidatore, ha rilasciato l’autorizzazione a contrarre un finanziamento bancario funzionale a porre in essere determinate attività sul patrimonio del fondo, tese a valorizzarlo maggiormente in funzione di una più proficua liquidazione, “ai sensi dell’art. 90, comma 4, TUB, richiamato dall’art. 57, commi 3-bis e 6-bis TUF”.

Da segnalare che l’istanza di autorizzazione del liquidatore precisava che il credito derivante dall’erogazione prospettata sarebbe stato caratterizzato dal “beneficio della restituzione in prededuzione”.

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