SOMMARIO: La Comunicazione “La Bussola per la Competitività”, pubblicata dalla Commissione europea nel gennaio 2025, propone un ambizioso programma per rilanciare la competitività dell’Unione europea in un contesto globale dominato dalla rivalità tecnologica e industriale tra Stati Uniti e Cina. Il documento delinea tre priorità strategiche – innovazione, decarbonizzazione e sicurezza – e le accompagna con una serie di riforme volte a rafforzare il Mercato Unico, mobilitare capitali pubblici e privati, ridurre i costi normativi e coordinare le politiche nazionali ed europee. L’articolo ricostruisce criticamente i contenuti della Comunicazione, evidenziandone la portata sistemica, la coerenza con i rapporti Letta e Draghi e le principali condizioni di efficacia.
ABSTRACT: The “Competitiveness Compass” Communication, published by the European Commission in January 2025, sets out an ambitious agenda to relaunch the European Union’s competitiveness in a global context marked by industrial and technological rivalry between the United States and China. The document identifies three strategic priorities—innovation, decarbonisation, and security—and supports them with a series of reforms aimed at strengthening the Single Market, mobilising public and private capital, reducing regulatory burdens, and enhancing coordination between national and EU policies. This article critically analyses the content of the Communication, highlighting its systemic ambition, consistency with the Letta and Draghi reports, and key effectiveness conditions.
1. Introduzione
Qualche mese orsono, il 29 gennaio del 2025, la Commissione europea ha pubblicato una nuova comunicazione, denominata La Bussola per la Competitività[1], dove ha disegnato le direttrici lungo le quali l’Unione europea dovrebbe organizzare il rilancio della propria economia, in un contesto dove le (altre?) grandi potenze – Stati Uniti e Cina, in particolare – si sfidano per imporre (anche all’Unione) la loro supremazia tecnologica e per monopolizzare risorse preziose, come le terre rare e le fonti di energia.
Più nel dettaglio, la Commissione ambisce a: rilanciare l’innovazione; sostenere la decarbonizzazione; e fare dell’Unione un’area ancora più sicura e meglio difesa. Inoltre, essa si propone di realizzare questi obiettivi: semplificando il contesto normativo; sfruttando appieno i vantaggi di scala offerti dal Mercato Unico; finanziando la competitività attraverso un’Unione del Risparmio e degli Investimenti e un bilancio dell’UE ricalibrato; garantendo, al tempo stesso, posti di lavoro di qualità ed equità sociale; nonché meglio coordinando le politiche industriali delineate a livello europeo e nazionale. Infine, nella Comunicazione la Commissione pianifica – ancorché non sempre con il medesimo grado di dettaglio – le tappe dei differenti processi ordinamentali che, entro il 30 novembre 2029 (data della fine del mandato dell’attuale Commissione), dovrebbero fare del Mercato Unico un luogo:
«[1.] [d]ove gli innovatori possano raggiungere rapidamente i processi produttivi [; 2 dove] le imprese possano accedere con facilità ai finanziamenti grazie a un mercato dei capitali privati che sia integrato ed efficiente su scala europea[; 3] [d]ove una start-up possa stabilirsi ed espandere le proprie attività – attengano esse a beni o servizi – in qualsiasi parte del Mercato Unico[; 4] [d]ove una quota equa dei principali attori globali nei settori deep-tech sia rappresentata da imprese europee e i settori manifatturieri e agricoli riescano a coniugare con successo competitività e transizione verso una produzione a basse emissioni e sostenibile[; 5] [d]ove i lavoratori possano crescere in occupazioni di qualità e contare su una protezione sociale solida e duratura[; 6] [d]ove tutti i consumatori possano servirsi di energia e prodotti puliti a prezzi accessibili, ovunque e in qualsiasi momento, grazie a uno dei più grandi mercati e reti infrastrutturali continentali del mondo[e; 7] [d]ove l’UE e gli Stati membri sfruttino il proprio peso collettivo per agire insieme e ridurre le dipendenze eccessive»[2].
Bastano dunque queste poche parole per comprendere come la Bussola per la Competitività rappresenti un documento decisamente ambizioso che, però, stante la sua natura evidentemente programmatica, non può ad oggi sottoporsi ad alcun vaglio tecnico-giuridico che possa dirsi accurato o definitivo. Detto più esplicitamente: giacché il contenuto della Comunicazione che qui si commenta è di politica industriale, allo stato non è possibile svolgere delle considerazioni articolate in merito all’efficacia e/o all’organicità delle nuove e/o novellate regole che la Commissione dovrebbe introdurre per trasformare le sue aspirazioni in realtà.
Tuttavia, fin da ora, possono elaborarsi tre osservazioni di carattere generale.
In primo luogo, fedele al trinomio economia-pace-prosperità che si pose anche alla radice della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, fin dalle prime pagine della Comunicazione, la Commissione chiarisce, anche sulla scorta dei rapporti Letta e Draghi[3], come il tema – chiaramente economico – della competitività europea sia strumentale al raggiungimento di fini più alti, politici e sociali, come la difesa dei confini dell’Unione e del welfare dei suoi cittadini. Non disdegnando una certa enfasi che – come si sarà già intuito – caratterizza l’intera Comunicazione, la Commissione infatti scrive:
«[i]n gioco per l’Europa non c’è solo la crescita economica, ma il futuro stesso del suo modello. Se l’Europa non aumenta la propria produttività, rischia di rimanere bloccata su un sentiero di bassa crescita, con meno reddito per chi lavora, meno welfare per i più svantaggiati e meno opportunità per tutti. […] La nostra libertà, sicurezza e autonomia dipenderanno più che mai dalla nostra capacità di innovare, competere e crescere. Questi saranno gli elementi chiave per finanziare le transizioni tecnologica ed energetica dell’UE. Garantiranno la sostenibilità del nostro modello sociale distintivo e forniranno le risorse necessarie affinché l’Europa possa garantire la propria sicurezza e svolgere un ruolo globale negli affari internazionali»[4].
In secondo luogo, riprendendo un’idea chiaramente espressa nel rapporto Draghi, la Commissione evidenzia a più riprese l’urgenza delle riforme e degli investimenti da attuare, nonché – e soprattutto – la necessità che non solo le istituzioni dell’Unione Europea, ma anche i governi e i parlamenti degli Stati Membri siano consapevoli dell’unicità e della gravità del momento storico che stiamo vivendo, così da agire senza indugio e in modo compatto e organico. Assai chiaramente, infatti, la Commissione scrive:
«[l]a finestra di opportunità è stretta. L’UE deve scegliere se agire in modo coeso per un futuro di prosperità sostenibile per tutti o accettare la divisione e il declino economico»[5].
In terzo luogo, le riforme che la Commissione pianifica vengono spesso presentate come dei “rimedi”, ossia come delle soluzioni a problemi empiricamente accertati. In questo senso, quindi, la Comunicazione offre dei seri elementi di concretezza che aiutano a stemperare il timore che questi nuovi progetti ordinamentali finiscano per essere privi di proporzione, congruità ed efficacia. Volendosi esprimere in ossequio ai principi della c.d. Better Regulation[6], è l’ancoraggio a queste criticità reali e ben documentate che conferisce legittimità – non solo politica, ma anche tecnica – alla massiva azione regolatoria che la Commissione intende di realizzare.
Ciò detto, in questo breve scritto ci si propone di offrire una illustrazione ragionata della Bussola per la Competitività, senza dimenticare di menzionare le azioni che la Commissione ha già intrapreso, in questo primo quadrimestre del 2025, per tenere fede ai suoi buoni propositi e per escludere che si tratti di mere velleità. Al riguardo, anche per aiutare il lettore a raccapezzarsi, nelle conclusioni si introdurrà uno schema delle riforme che dovrebbero essere attuate nel corso dei quadrimestri.
2. Il fermento che ha preceduto la Comunicazione
Molto – se non tutto – di quello che forma oggetto della Bussola per la Competitività ha avuto inizio con gli studi Much more than a Market e The Future of European Competitiveness curati rispettivamente da Enrico Letta e Mario Draghi[7]. Questi hanno infatti fornito analisi dettagliate e convergenti delle criticità strutturali che fino ad ora hanno compromesso la capacità dell’Unione europea di mantenere e rafforzare la propria posizione economica nel mercato globale.
In particolare, la relazione Letta della primavera del 2024 ha evidenziato come il Mercato Unico – spesso celebrato come una delle più grandi conquiste dell’integrazione europea – si sia nel tempo inceppato, irrigidito e frammentato, complice una certa inerzia politica. Così, lo strumento che avrebbe dovuto garantire mobilità, concorrenza, innovazione e la capacità di operare su scala mondiale è oggi diventato teatro di barriere persistenti, soprattutto nei servizi, nell’economia digitale, nella finanza e nella mobilità del lavoro, ad evidente discapito della posizione concorrenziale che l’Unione occupa rispetto a Cina e Stati Uniti. Per questo, la relazione Letta ha proposto di rilanciare il processo di integrazione europea, muovendosi lungo due direttrici. In primo luogo, essa propone l’adozione di un nuovo metodo di lavoro – il “metodo del Patto” – in ragione del quale gli Stati membri si dovrebbero impegnare reciprocamente, su base volontaria ma vincolante, a rimuovere ostacoli, ad armonizzare regole, ad accettare un maggiore grado di interdipendenza. In secondo luogo, la relazione Letta vorrebbe che il Mercato Unico non fosse pensato come un mero strumento economico, ossia come un luogo di scambio, ma come un’infrastruttura di cittadinanza economica che, quindi, serva anche a sostenere la coesione sociale, a ridurre le disuguaglianze territoriali e ad offrire opportunità reali.
La relazione Draghi, presentata nell’autunno 2024, evidenzia invece come la crescita europea del passato sia dipesa da fattori “esterni” all’Unione: la stabilità geopolitica post-Guerra Fredda che avrebbe consentito agli Stati membri di investire le proprie risorse in ambiti differenti da difesa e sicurezza; l’accesso a energia a basso costo, come il petrolio russo; e la crescente domanda di prodotti e servizi proveniente da “tutto il globo” alimentata e sostenuta dalle politiche del libero scambio. Al contrario, l’UE avrebbe mancato di valorizzare le proprie risorse, per così dire “interne”: non avrebbe sfruttato appieno il Mercato Unico; avrebbe imposto vincoli regolatori onerosi; limitato il sostegno finanziario alle imprese; tollerato la delocalizzazione delle filiere; e avrebbe lasciato ristagnare la produttività. Quest’ultima in particolare – alla quale il rapporto Draghi dedica molto spazio – risentirebbe non solo di un tasso d’innovazione inferiore a quello di Stati Uniti e Cina, ma anche dell’incapacità strutturale dell’UE di trasferire l’innovazione nei processi industriali, ostacolando così la diffusione di tecnologie applicabili e scalabili. Per Draghi, occorrerebbe dunque rilanciare gli investimenti in ricerca, competenze, salari e start-up tecnologiche, anche perché il declino demografico impedirebbe di puntare su un aumento quantitativo del lavoro. Del resto – conclude la relazione – proprio la transizione verso un’economia decarbonizzata e digitale potrebbe offrire quella leva strategica per rendere oggi possibile – e più semplice di quanto si pensi – un nuovo ciclo di innovazione.
Evidentemente, dunque, le relazioni Letta e Draghi si sostengono a vicenda. Congiuntamente, esse affermano che se, per un verso, senza un Mercato Unico pienamente funzionante la competitività dell’Unione sarebbe una mera illusione, per altro verso, senza ambizione competitiva, anche il Mercato Unico rischierebbe di essere una costruzione sterile, priva di visione.
Non deve dunque stupire se, nel Consiglio Europeo del novembre 2024, i leader degli Stati membri abbiano fatto proprie le proposte dei rapporti Letta e Draghi, concludendo un Patto per la competitività europea basato sia su un Mercato Unico pienamente integrato, sia su una rilanciata competitività, da intendersi non come fine a se stessa, ma come strumento per rafforzare il modello sociale europeo, la sicurezza collettiva e la proiezione internazionale dell’UE[8].
Ed è in questo contesto che è nata la comunicazione oggetto di questa analisi: una Bussola operativa per orientare le priorità industriali dell’Unione – vale a dire, innovazione, decarbonizzazione, e difesa – e per definire le azioni strategiche e gli strumenti che la Commissione, con un mandato esplicitamente incentrato sulla crescita e sull’investimento, sarà chiamata a implementare nel corso dei prossimi cinque anni per rilanciare la competitività europea.
3. Obiettivo Innovazione: per la costruzione di un ecosistema integrato e strategico per la sovranità europea nei settori tecnologici chiave
Come si diceva, in molte delle sue pagine, la Comunicazione presenta le riforme da varare come delle risposte normative mirate, ossia come delle nuove/novellate regole tese a risolvere i problemi strutturali che affliggerebbero l’UE.
Così, parlando di produttività e innovazione, la Commissione ricorda come l’Europa non sia, di per sé, meno innovativa di altre grandi economie globali. La quota di brevetti depositati nell’Unione è infatti del tutto comparabile al numero di brevetti rilasciati negli Stati Uniti e in Cina. Tuttavia, solo un terzo dei brevetti ottenuti dalle università europee viene effettivamente assorbito dal tessuto industriale europeo e/o commercializzato nel Mercato Unico. Di conseguenza, i dati raccontano di un’Unione che sconta un divario innovativo nei confronti delle altre potenze mondiali, perché non riesce a trasformare le innovazioni congeniate all’interno dei suoi confini in concreti prodotti e servizi a disposizione delle sue imprese e dei suoi cittadini, oltre che del resto del mondo.
Per questo, la Commissione si propone di intraprendere un’azione multilivello che – provando a ordinare in termini logici le varie proposte – vuole innanzitutto rafforzare l’attività di ricerca, soprattutto nei settori chiave come quello dell’AI. Più nel dettaglio, la Commissione intende:
- non solo canalizzare i fondi dei privati verso l’innovazione europea[9], ma anche aumentare, tramite lo European Research Area Act, la spesa pubblica in ricerca e sviluppo fino al 3% del PIL dell’Unione[10], promuovendo progetti ad alto impatto, allineando le priorità tra Stati membri e UE, e incoraggiando la circolazione e la mobilità, in tutto il territorio dell’UE, sia di conoscenze sia di ricercatori[11];
- continuare a sostenere il ruolo di promozione e coordinamento dello European Innovation Council[12], ossia di quell’organismo che già oggi governa la ricerca europea c.d. “ad alto rischio” e “alto potenziale” sulla falsa riga di quanto avviene, negli Stati Uniti, attraverso la Defense Advanced Research Projects Agency, c.d. DARPA[13]; nonché[14]
- coordinare le operazioni di questo European Innovation Council con quelle dello European Research Council[15] per dare vita a una sorta di CERN per lo sviluppo dell’AI[16].
In aggiunta, la Commissione ritiene che sia necessario investire in infrastrutture digitali, come dati, reti in fibra, soluzioni wireless e satellitari, 6G, cloud computing e AI. In particolare, la Commissione vuole:
- realizzare la Strategia per l’Unione dei Dati per facilitare la condivisione sicura di dati pubblici e privati;
- adottare il Digital Networks Act per rilanciare – ma non è chiaro secondo quale meccanismo –gli incentivi di mercato alla costruzione di reti digitali, ridurre i costi normativi, migliorare la connettività digitale per gli utenti finali, e meglio coordinare la politica di spettro dell’UE;
- elaborare l’AI Development and EU Cloud Act per continuare a rafforzare le capacità di calcolo europee, nonché a sostenere le fabbriche di intelligenza artificiale, invero già costituite e, proprio in questi mesi, rianimate grazie all’AI Factories Initiative[17]; e infine
- alimentare lo sviluppo dell’AI tramite la c.d. Apply AI Strategy, la quale mira a stimolare l’uso industriale dell’AI sia in settori privati come la manifattura, l’automotive, l’energia, la robotica, la farmaceutica, l’aeronautica e i servizi finanziari, sia in settori pubblici, come la sanità e la giustizia.
In aggiunta, muovendo dalla convinzione secondo cui l’innovazione – e, in particolare, l’innovazione dirompente – sarebbe appannaggio delle start-up ed osservato come, al momento, queste imprese siano ostacolate non solo dalla frammentazione del Mercato Unico, dalla scarsità di capitale di rischio e da una mobilità insufficiente dei talenti[18], ma anche da un sostegno poco mirato alla loro capacità di innovare, la Commissione vuole[19]:
- incentivare l’utilizzo dei regulatory sandbox, per ridurre i costi normativi che anche queste imprese devono sostenere;
- disegnare un 28º regime giuridico opzionale, volto a semplificare gli oneri per le imprese innovative attraverso norme armonizzate in materia di diritto societario, fallimentare, del lavoro e fiscale;
- ripensare le regole antitrust in tema di concentrazioni anche al fine di governare con intelligenza il caso di grandi imprese che acquistano start up per sopprimerne la loro innovazione[20];
- riesaminare il quadro normativo che governa il trasferimento tecnologico, per così accelerare la diffusione delle innovazioni nel mercato[21].
Infine la Commissione, proprio in ragione del loro alto contenuto innovativo, considera strategiche alcune industrie che, di conseguenza, si dispone a governare in via specifica tramite i seguenti regolamenti[22]:
- il Biotech Act, dedicato all’innovazione nelle scienze della vita e nella bioeconomia;
- l’Advanced Materials Act per supportare lo sviluppo di materiali ad alte prestazioni;
- il Quantum Act per sostenere la leadership europea nel calcolo e nelle comunicazioni quantistiche; e, infine,
- lo Space Act per rafforzare la competitività e la resilienza della filiera spaziale europea.
Lo si ribadisce, dunque, il piano per rilanciare l’innovazione europea, e così colmare il divario con le altre potenze globali, è complesso e articolato. Inoltre, per lo meno sulle prime, presenta alcune criticità. In primo luogo, l’azione della Commissione sembra molto concentrata sull’offerta di innovazione, ma ancora lontana dalla sua domanda: ancora, cioè, non è chiaro come la Commissione vorrebbe indurre le imprese – soprattutto quelle di medio-piccole dimensioni, che appartengono al tessuto industriale più tradizionale – a modificare le proprie catene produttive e quindi a domandare tecnologie innovative. In secondo luogo, appare quasi paradossale l’idea secondo cui l’azione di innovatori e imprese sarebbe facilitata dall’elaborazione di nuove regole. Pur animata da intenti razionali, la proliferazione delle norme nonché di svariati collegi e commissioni chiamate ad applicarle rischia di appesantire ulteriormente il quadro giuridico in cui operano le imprese europee, con regole di massima, eccezioni per i singoli comparti e molteplici interlocutori a cui rivolgersi.
Come si vedrà[23], la Bussola per la Competitività cerca di risolvere questo secondo problema non solo riducendo i costi normativi, ma anche rispondendo all’esigenza, sempre di carattere generale, di coordinare il disegno dell’Unione non solo con le aspirazioni dei singoli Stati membri, ma anche con la circostanza che vuole che siano proprio gli Stati a controllare alcune delle leve che dovrebbero essere azionate per rilanciare l’innovazione europea. Al riguardo è stato ad esempio notato che, in mancanza di un regolamento – quale il futuro European Research Area Act – che vincoli gli Stati membri a tenere alcune politiche, non sarà possibile superare le barriere strutturali che ostacolano la libera circolazione di ricercatori, conoscenze e tecnologie[24]. E ciò perché, finora, l’azione lasciata libera e volontaria degli Stati Membri non si è rivelata sufficiente alla creazione di uno spazio comune di ricerca.
4. Obiettivo decarbonizzazione: Integrare le scelte a favore della transizione ecologica nella politica industriale europea per rafforzare la competitività dell’Unione
Sembra eccessivo, ma per ciò che concerne la transizione verde, la Bussola per la Competitività pare essere divenuta già obsoleta e poco precisa, perché a fine febbraio del 2025 la Commissione ha provveduto a pubblicare una nuova Comunicazione, ossia Il patto per l’Industria Pulita: Una Tabella di Marcia Comune verso la Competitività e la Decarbonizzazione[25]. In questo secondo documento, la Commissione riprende e approfondisce le questioni introdotte nella Comunicazione che qui si commenta, offrendo un’idea più chiara e dettagliata dei suoi proponimenti, ma anche obbligando l’interprete – o, forse, si dovrebbe dire il lettore, visto che allo stato non sono ancora state emanate delle norme – a fare un importante sforzo di coordinamento tra tutti questi testi programmatici.
In buona sostanza, finora la Commissione ha riaffermato l’ambizione di diventare un’economia climaticamente neutra entro il 2050, nonché l’obiettivo intermedio di raggiungere, entro il 2040, una riduzione delle emissioni del 90%. La Commissione, infatti, muove dalla convinzione che questo orizzonte temporale stabile serva a fornire certezza agli operatori economici. D’altro canto però, complice il Rapporto Draghi, la Commissione ha avvertito la necessità di integrare le politiche climatiche con quelle industriali, economiche e commerciali in un unico piano che – inevitabilmente – procede lungo differenti, ancorché sinergiche, direzioni.
Più nel dettaglio, nella Bussola la Commissione anticipa di voler regolamentare in via specifica alcune industrie che ritiene cruciali perché strategiche per la catena del valore europeo e perché ad alte emissioni, come: (a) il settore dei trasporti che diventerà oggetto del Sustainable Transport Investment Plan; (b) i comparti dell’acciaio, dei metalli e della chimica per cui la Commissione si predispone ad adottare the Steel and Metals Action Plan e The Chemicals industry package[26]; nonché (c) le industrie automobilistica e agricola per le quali la Commissione ha già, rispettivamente, elaborato una nuova comunicazione[27] e un altro documento programmatico[28].
Inoltre, la Commissione dedicherà molte attenzioni al problema della “fuga del carbonio” (carbon lickage), ossia al fenomeno che negli ultimi anni ha visto le imprese dell’UE – e, in particolare, quelle ad alta intensità energetica che rientrano nel Sistema di Scambio delle Emissioni (c.d. ETS) – trasferire la loro produzione in Paesi con regole climatiche meno rigide di quelle europee. Evidentemente, questa strategia non solo vanifica gli sforzi climatici dell’UE, ma altresì danneggia la competitività delle imprese europee. Ecco perché nella Bussola la Commissione annuncia una revisione del Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere (c.d. CBAM) che terrà conto: della situazione delle industrie energivore coperte dall’ETS; del rischio di elusione del sistema (cioè aggiramenti intenzionali delle regole); e degli effetti non intenzionali lungo le catene del valore. Così, questa revisione valuterà: un ampliamento del campo di applicazione del CBAM a nuovi settori e prodotti a valle (cioè prodotti finiti o semilavorati che incorporano materiali soggetti al CBAM) e misure per evitare impatti negativi sulle esportazioni europee, cioè per tutelare la competitività esterna delle imprese soggette a costi ambientali interni. E ciò con il duplice obiettivo di prevenire la fuga di carbonio e promuovere la diffusione globale dei medesimi meccanismi per la determinazione del prezzo del carbonio[29].
Nello stesso solco, sempre nella Bussola, la Commissione annuncia la revisione della direttiva ETS, che introdurrà incentivi per la rimozione permanente di carbonio, rendendola economicamente sostenibile e integrandola nel modello di business delle imprese. E ciò perché la Commissione spiega che, per raggiungere la neutralità climatica, non basterà azzerare le emissioni: sarà necessario rimuovere attivamente CO₂ dall’atmosfera (negative emissions), soprattutto per i settori dove è difficile abbattere del tutto le emissioni, come quello dell’ acciaio e del cemento[30].
Infine, come spiega più approfonditamente nel Piano per l’Industria Pulita, la Commissione valuta che per realizzare la decarbonizzazione l’Unione debba seguire le seguenti politiche:
(i) operare per offrire energia a prezzi accessibili. Al riguardo, la Commissione ha osservato come i prezzi dell’energia, nell’attuale contesto europeo, siano elevati e soggetti a forti oscillazioni, con ricadute negative su famiglie e imprese. E ciò per due ragioni. La prima riguarda la persistente dipendenza dell’Unione dalle importazioni di combustibili fossili, che continuano a coprire circa i due terzi del suo fabbisogno complessivo. A fronte di ciò, la Commissione si propone di proseguire con determinazione lungo la strada della decarbonizzazione ma, al tempo stesso, constata come si tratti di un processo che realisticamente si estenderà oltre la durata quinquennale del suo mandato.. La seconda ragione che spiega il livello e la volatilità dei prezzi dell’energia è, invece, di natura più congiunturale e risiede in distorsioni e inefficienze, come un’impostazione non ottimale delle tariffe di rete, un’imposizione fiscale poco razionale, o ancora una limitata integrazione tra i mercati energetici dei diversi Stati membri. Ecco che allora la Commissione intende da subito affrontare questo intreccio di criticità, sia alimentando e sostenendo gli investimenti in infrastrutture energetiche, come reti elettriche, network per il trasporto dell’idrogeno e della CO₂, e sistemi di stoccaggio, sia adottando un Affordable Energy Action Plan, finalizzato a garantire a cittadini e imprese un accesso diretto a fonti pulite e a basso costo[31]. E, in effetti, con riguardo a questo secondo profilo la Commissione ha così proceduto, pubblicando nel febbraio del 2025 un’apposita comunicazione, denominata Piano d’Azione per un’Energia a Prezzi Accessibili[32]. Essa prevede moltelici mosse e segnatamente di: riformare le tariffe di rete e i meccanismi fiscali che oggi pesano in modo eccessivo sulle forniture energetiche; promuovere strumenti contrattuali più stabili, come i contratti a lungo termine, per ridurre l’esposizione di consumatori e imprese alla volatilità dei mercati; accelerare l’armonizzazione delle regole per il Mercato Unico dell’Energia, anche migliorando il coordinamento tra le autorità di regolazione e potenziando le infrastrutture di interconnessione tra gli Stati membri; mobilitare investimenti pubblici e privati, sia attraverso fondi europei, sia rimuovendo gli ostacoli regolatori che rallentano la realizzazione dei progetti infrastrutturali; preparare l’Unione alla gestione di crisi energetiche future attraverso appositi strumenti di gestione del rischio che variano dalle riserve strategiche di gas alla cooperazione tra Stati membri in caso di interruzioni delle forniture, passando per una maggiore trasparenza sugli stoccaggi e un monitoraggio coordinato dell’offerta e della domanda;
(ii) creare mercati guida per la domanda di tecnologie e prodotti a basse emissioni. In altri termini, la Commissione punta su differenti strumenti per creare ed alimentare una “domanda verde” che sia in grado di sostenere la competitività delle imprese europee nella transizione. Più nel dettaglio, con riferimento alla domanda privata, la Commissione rimarca l’importanza delle etichettature di modo che i consumatori siano informati sulla natura verde, ossia a bassa emissione di carbonio, di beni e servizi. Con riguardo alla domanda pubblica – o, anche, alla domanda privata specifica di settori strategici – la Commissione vorrebbe invece intervenire sulla disciplina degli appalti, includendo nei bandi requisiti di sostenibilità, di resilienza e di contenuto verde minimo[33];
(iii) incrementare i finanziamenti pubblici e favorire gli investimenti privati nel percorso di decarbonizzazione. Come precisato nel Patto per l’Industria Pulita, con riguardo agli investimenti pubblici, la Commissione intende procedere in tre modi. In primo luogo, nel prossimo quadro finanziario pluriennale includere un Fondo per la competitività che offrirà un forte sostegno all’industria innovativa per gli investimenti sostenibili e uno sportello unico semplificato per l’accesso ai finanziamenti dell’UE. In secondo luogo, la Commissione vuole raccomandare agli Stati membri di adottare incentivi fiscali a sostegno del patto per l’industria pulita. Infine, la Commissione si propone di rendere la disciplina degli aiuti di Stato più flessibile, allorché gli Stati membri vogliano sostenere particolari settori e tecnologie verdi. Tuttavia, in proposito occorre notare come questo tipo di politiche consenta alla disomogeneità nella capacità dei diversi Stati di sostenere le proprie industrie attraverso sussidi di minare l’integrità del mercato unico. Invece, in relazione alla mobilitazione dei capitali privati, la Commissione intende aumentare la capacità di rischio di InvestEU e, così, attrarre sempre più capitali privati a sostegno di progetti verdi da realizzarsi, se del caso, anche con l’ausilio del gruppo BEI. Più chiaramente, posto che InvestEU è un programma pensato proprio per incoraggiare gli investimenti privati, offrendo una garanzia pubblica nel caso in cui il progetto si riveli di scarso successo e posto che, all’interno di InvestEU, il gruppo BEI è l’attore che più spesso gestisce i fondi, valuta i progetti e concede i finanziamenti, nella Bussola e, soprattutto, nel Patto per l’Industria Pulita, la Commissione promette di avere un occhio di riguardo per le iniziative connesse alla decarbonizzazione, annunciando dunque ai privati che quelle iniziative (e non altre), diventando meno rischiose perché degne di ricevere fondi pubblici (anche in garanzia), risulteranno anche particolarmente meritevoli di denari privati;
(iv) valorizzare la circolarità in rapporto alla strategia per la decarbonizzazione. A detta della Commissione, infatti, l’Unione dovrebbe organizzare in modo più efficiente la propria domanda di materie prime strategiche[34], anche riutilizzando, rifabbricando e riciclando i materiali e i beni che si realizzano tramite tali materie prime. Detto altrimenti, la Commissione desidera creare/alimentare un mercato secondario per questi input così da incrementare la resilienza economica dell’Unione. Il Circular Economy Act dovrebbe, quindi, servire a favorire la libera circolazione di prodotti riciclati, materie prime secondarie e rifiuti, come quelli elettronici. Ad esempio, questo regolamento permetterà di armonizzare i criteri per la cessazione della qualifica di ‘rifiuto’ in modo da agevolare il passaggio dallo status di rifiuto a quello di ‘materia prima di seconda mano’; semplificherà, digitalizzerà ed amplierà in modo mirato la responsabilità estesa del produttore, così da sostenere la domanda di prodotti “circolari”; e fornirà incentivi per incrementare l’uso dei rottami metallici e la digitalizzazione obbligatoria delle autorizzazioni alla demolizione e delle verifiche pre-demolizione;
(v) curare gli interessi dell’Unione nei mercati globali, non solo attraverso la conclusione di partenariati per il commercio ed il sostegno ad investimenti puliti seguendo la strategia che prende il nome di Global Gateway Investment Package [35], ma anche tramite un miglior governo di quegli strumenti che impongono alle imprese extra-UE di operare nel Mercato Unico adeguandosi alle nostre condizioni di sostenibilità. In questo solco si collocano, ad esempio, la decisione di riesaminare il regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti nell’UE, nonché il già menzionato rafforzamento del CBAM; ed, infine,
(vi) favorire un’allocazione efficiente dei talenti, preservando il modello sociale dell’Unione. Come si avrà modo di evidenziare anche oltre[36], la Commissione vuole infatti garantire che la transizione verde generi benefici equamente distribuiti tra i cittadini europei e, a tal fine, intende investire su competenze, occupazione di qualità e coesione sociale. Così, sarà definita una Union of Skills per migliorare l’accesso a formazione e riqualificazione nei settori strategici, con una razionalizzazione degli strumenti esistenti e un sostegno finanziario al programma Erasmus+. Verrà inoltre rafforzato il riconoscimento e la trasferibilità delle competenze, anche attraverso la digitalizzazione e il reclutamento di talenti da Paesi terzi. Ancora, la Commissione svilupperà con le parti sociali una “tabella di marcia” per condizioni di lavoro dignitose e processi equi di ristrutturazione. Verranno poi potenziati strumenti di accompagnamento, come il Fondo di adeguamento alla globalizzazione e il Fondo per una transizione giusta, per attenuare l’impatto sociale delle ristrutturazioni aziendali e, più in generale, dell’adozione di modelli di produzione e distribuzione meno ‘labor-intensive’. Si istituirà un osservatorio europeo per monitorare l’equità della transizione e si promuoveranno norme sociali attraverso l’uso di condizionalità nei finanziamenti pubblici. Infine, saranno valutate modifiche alle regole sugli aiuti di Stato e incentivi per sostenere la formazione e l’occupazione, oltre a orientamenti sul leasing sociale per facilitare l’accesso ai prodotti puliti.
Complessivamente, dunque, anche i sei punti appena riassunti testimoniano come il disegno della Commissione di integrare le politiche climatiche con quelle industriali rappresenti un progetto complesso e articolato il cui successo, quindi, dipenderà dall’avverarsi di molteplici condizioni: dalla semplicità e coerenza degli strumenti introdotti, alla convergenza delle volontà politiche e delle abilità realizzative degli Stati membri; dall’attivazione tempestiva della domanda verde, alla capacità dell’Unione di costruire alleanze internazionali sulla transizione. Senza il verificarsi di queste condizioni, cioè, il Piano per l’Industria Pulita rischia di rimanere una cornice promettente, ma insufficiente ad affrontare le sfide strutturali della competitività europea.
5. Obiettivo sicurezza e difesa: per un’Unione europea indipendente e influente
Per chi è solito occuparsi delle regole che governano l’economia dell’Unione, la parte della Bussola dedicata al ruolo che l’Unione dovrebbe tenere nel contesto geo-politico mondiale rappresenta una novità, ancorché parziale.
Di ‘non-nuovo’ c’è l’idea secondo cui il commercio internazionale si possa configurare, non solo come vettore di crescita, ma anche quale strumento per costruire e consolidare la pace tra i paesi. L’UE ha costruito nel tempo una rete di connessioni globali che sostiene la sua prosperità e, al contempo, la sua sicurezza. Ad oggi, infatti, il commercio estero di beni e servizi rappresenta già una quota rilevante del PIL dell’Unione Europea. Nel 2023, il commercio transatlantico tra UE e Stati Uniti ha superato i 1.500 miliardi di euro; insieme, UE e USA rappresentano quasi il 30% del commercio mondiale. Guardando al futuro, si prevede che il 90% della crescita economica globale avverrà al di fuori dei confini europei. Più in generale, poi, il commercio con svariati partner commerciali non solo favorisce la crescita del PIL e l’accesso a nuovi mercati, ma consente anche la diversificazione delle catene di approvvigionamento, elemento chiave per aumentare la resilienza del sistema economico europeo. In questo senso, quindi, l’Unione europea deve e vuole tentare di rimanere un’economia aperta, ispirata ai principi del libero scambio.
Tuttavia, di ‘nuovo’ c’è la necessità di considerare le scelte commerciali europee alla luce delle crescenti tensioni con e tra Stati Uniti, Cina e Russia, nonché in vista del progressivo accreditamento politico di paesi come India e Brasile. Detto diversamente, in un contesto mondiale sempre più segnato dalla competizione tra blocchi e dall’uso politico delle interdipendenze economiche (c.d. network weaponization), l’apertura commerciale europea può trasformarsi in un fattore di rischio. In una battuta, dunque, l’Unione deve diventare meno dipendente da alcuni attori politici e, dunque, meno vulnerabile alle loro decisioni con riguardo alla fornitura, ad esempio, dei semiconduttori, oppure di alcuni elementi chimici basilari per la produzione di farmaci e fito-farmaci indispensabili per la salute dei cittadini europei o per la produttività dei suoi raccolti[37].
È dunque in questo contesto che la Commissione ha opportunamente proposto, già nel marzo del 2025, il Critical Medicine Act[38] ed è sempre in questo contesto che già nella Bussola la Commissione si diceva intenzionata a conciliare competitività e resilienza, integrando le politiche commerciali e industriali con quelle di sicurezza e difesa. Più nel dettaglio – anche se in queste pagine della Comunicazione la descrizione delle iniziative da intraprendere diventa più qualitativa e meno dettagliata – la Commissione scriveva di voler[39]:
(i) continuare nell’attività di individuazione e gestione dei rischi a cui il sistema produttivo europeo è esposto. Del resto, già nel 2023, la Commissione ha agito in questa direzione – ossia con l’intento di garantire standard di sicurezza in merito alle catene del valore – adottando nel 2023 la European Economic Security Strategy, la quale ha identificato quattro aree di rischio e dieci tecnologie critiche per dunque predisporre misure proporzionate e mirate per proteggerle. Tra queste rientrano il controllo degli investimenti diretti esteri, le restrizioni all’export e il monitoraggio degli investimenti in uscita[40];
(ii) diversificare le proprie relazioni commerciali, per ridurre la dipendenza da singoli Paesi. A tal fine, la Commissione evidenzia di nuovo quanto già osservato nelle prime pagine della Bussola, ossia l’importanza della ricerca, dell’innovazione, del riciclo e della formazione di riserve, nonché il sostegno finanziario mirato alla creazione e al potenziamento delle capacità europee di produzione e trasformazione di materiali, tecnologie, beni e servizi critici. In questo ambito si collocano allora non solo il già menzionato Critical Medicines Act, ma anche la volontà – anche questa già riportata – di creare una piattaforma per aggregare la domanda di risorse critiche, così da aumentare il potere negoziale dell’Unione sulla scorta di quanto già fatto con il piano AggregateEU[41];
(iii) intensificare l’attività di sviluppo e consolidamento di partenariati tramite accordi di libero scambio come quelli raggiunti con il Mercosur (ossia Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) e con il Messico, i quali permettono agli esportatori europei di risparmiare denari in dazi doganali, consentono loro di godere sia di un accesso privilegiato agli appalti pubblici banditi in quei paesi, sia di un accesso preferenziale esclusivo ad alcune materie prime critiche e beni ecologici, nonché di beneficiare delle protezione di oltre 350 Indicazioni Geografiche dell’UE per prodotti alimentari tradizionali. Inoltre, in questo ambito già si situa il sopra-menzionato Global Gateway Investment Package introdotto nel 2021 dall’Unione con il duplice scopo di rafforzare la presenza geopolitica ed economica dell’UE nel mondo, aiutando lo sviluppo sostenibile dei paesi partner dei Balcani, dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, grazie ad investimenti (fino a 300 miliardi di euro entro il 2027) in infrastrutture (strade, ferrovie, porti, reti digitali, energia pulita, scuole, ospedali) accompagnati dalla promozione di “valori europei” come trasparenza, sostenibilità ambientale, standard sociali e diritti umani. Infine, nella direzione di ampliare il peso economico-politico dell’Unione, devono essere letti gli Accordi sul commercio digitale (in corso di negoziazione con la Corea e già conclusi con Singapore); gli Accordi di Mutuo Riconoscimento (già attivi o in fase di sviluppo con diversi partner, tra cui Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda, Svizzera e Stati Uniti, con l’obiettivo di ridurre i costi delle procedure di conformità); gli Accordi per la Facilitazione degli Investimenti Sostenibili (il primo dei quali è stato finalizzato, mentre altri sono in fase di elaborazione); nonché il nuovo Patto per il Mediterraneo, una ambiziosa iniziativa per la Cooperazione Trans-mediterranea sull’Energia e le Tecnologie Pulite stimolerà investimenti pubblici e privati su larga scala nelle energie rinnovabili;
(v) combattere – finalmente – la concorrenza sleale di paesi che, non essendosi adeguati alle regole del libero scambio, perché sovvenzionano indiscriminatamente le loro industrie, e tollerando politiche ambientali e del lavoro contrarie ai diritti fondamenti, mettono le loro imprese nelle condizioni di presentarsi sul mercato europeo con prezzi incredibilmente contenuti. In risposta, l’Europa ha iniziato a rafforzare i propri strumenti di difesa commerciale, pensando a una revisione sia del Regolamento sulle sovvenzioni estere, sia la Direttiva sugli appalti pubblici, di modo che le imprese europee ricevano un trattamento di favore[42];
(vi) investire nella difesa dell’UE, tenuto conto di come questa impresa possa fare da volano per la competitività europea, purché le imprese aumentino la loro scala, riducano le inefficienze e riescano ad essere effettivamente interoperabili. Di conseguenza, la Commissione e l’Alto Rappresentante presenteranno – anzi hanno già presentato nel primo quadrimestre del 2025 – un Libro Bianco sul Futuro della Difesa Europea per delineare le azioni necessarie a rafforzare e sostenere gli sforzi degli Stati membri affinché investano di più in difesa, in modo peraltro più efficace e coordinato[43]. Detto altrimenti, gli Stati dovranno: aggregare la propria domanda attraverso un maggiore ricorso agli appalti congiunti, cooperare nella ricerca e sviluppo, concentrarsi su iniziative comuni europee, nonché mettere in comune le risorse e le capacità industriali attraverso Progetti di Difesa di Interesse Comune Europeo. In quest’ottica, la Commissione intende lavorare anche a un Piano Europeo di Adattamento Climatico e a una Strategia Europea per la Resilienza Idrica. Parallelamente, sulla base del rapporto Niinistö, la Commissione e l’Alto Rappresentante presenteranno altresì – di nuovo, hanno già presentato – una Strategia per l’Unione della Preparazione, che delineerà un approccio comune alle minacce esistenti e potenziali[44], anche rispetto a questioni specifiche come la cyber-sicurezza, gli eventi catastrofoci e l’accesso all’acqua. E tutto ciò nel quadro della più generale iniziativa per la difesa dell’Unione[45];
In definitiva, anche sotto questo profilo, l’UE si trova di fronte a una sfida sistemica: potenziare il suo ruolo di attore commerciale globale senza sacrificare la sua industria e senza rendersi vulnerabile. Per farlo, deve modificare il suo paradigma di riferimento e, in particolare, superare la tradizionale dicotomia tra apertura e protezione, così da integrare in modo coerente commercio, competitività e sicurezza. Detto più esplicitamente, le politiche industriali non devono più essere considerate un elemento accessorio rispetto alla politica commerciale, ma il loro fondamento. E allo stesso modo, la sicurezza non deve più essere intesa come un vincolo esterno, ma come una condizione costitutiva della crescita economica.
6. Facilitatori orizzontali
Dopo aver indicato le direzioni verso le quali l’Unione Europea dovrebbe procedere per incrementare la propria competitività, la Bussola punta verso gli strumenti che dovrebbero facilitare questo cammino. E, anche in queste pagine, la Comunicazione adotta il metodo seguito in precedenza: muove dalle criticità constatate in punto di fatto per proporre poi delle soluzioni. In particolare, si concentra su cinque questioni che, però, non tratta con il medesimo grado di dettaglio.
Così, anche sulla scorta della Relazione Letta, la Commissione osserva che nel 2023 la quota del PIL dell’UE rappresentata dagli scambi tra Stati membri è diminuita sia per i beni (23,8%) sia per i servizi (7,6%). Più in generale, all’interno del Mercato Unico – che conta 23 milioni di imprese e 450 milioni di consumatori – il commercio transfrontaliero di servizi è inferiore a un terzo di quello dei beni e, a differenza di questi ultimi, non supera il commercio di servizi con i Paesi extra-UE. Per questo, dunque, nella Comunicazione la Commissione dice di voler rilanciare l’integrazione tra gli Stati Uniti, sempre alla luce delle dimensioni continentali dei rivali dell’Unione europea, quali Stati Uniti e Cina. Tuttavia, nella Bussola per la Competitività, la Commissione non propone ancora alcuna soluzione concreta ed innovativa. Essa si limita soltanto a ribadire – più e più volte – come sia necessario: rimuovere le ultime barriere interne che bloccano il libero fluire di merci e servizi; collaborare con gli Stati; definire e adottare standard tecnologici globali in tempi rapidi; creare una task force rafforzata chiamata a garantire un’applicazione effettivamente armonizzata delle regole che governano il Mercato Unico; ed, infine, accelerare l’integrazione europea in alcune industrie strategiche, come le comunicazioni elettroniche, l’energia, i mercati finanziari e la difesa. Fa forse eccezione – ma per la novità dell’argomento e non per il dettaglio della proposta – la scelta di considerare anche il fenomeno dell’ingresso di nuovi Stati Membri nell’Unione europea. Al riguardo, la Commissione osserva come un’integrazione anticipata e graduale dei Paesi candidati in alcune parti del Mercato Unico consentirebbe alle imprese di introdursi nelle catene del valore europee, facilitando il processo di convergenza e promuovendo investimenti, commercio e competitività[46].
Analogamente, con riferimento al mercato del lavoro, la Commissione osserva come i cambiamenti imposti a quest’ultimo dalla rivoluzione digitale e dalla transizione verde abbiano determinato un deficit di manodopera e competenze che penalizza soprattutto le piccole e medie imprese. Pertanto – e come si diceva – la Commissione europea intende promuovere una vera e propria Unione delle Competenze. Questa iniziativa mira a rafforzare l’offerta formativa e a migliorare l’allineamento tra le competenze disponibili e le richieste del mercato del lavoro, attraverso investimenti mirati, apprendimento continuo, programmi di mobilità, attrazione di talenti dall’estero e valorizzazione dei percorsi formativi alternativi. Tra gli strumenti previsti a tal fine figurano un piano strategico per le materie STEM, una strategia per l’istruzione e la formazione professionale, e un’azione specifica sulle competenze di base. Inoltre, la Comunicazione riconosce come la competitività passi anche dal coinvolgimento nel mercato del lavoro di sempre più soggetti. In un contesto di invecchiamento della popolazione, sarà dunque fondamentale aumentare la partecipazione attiva, soprattutto tra donne, giovani, lavoratori anziani, persone con disabilità e altri gruppi sottorappresentati. Per farlo, occorreranno politiche mirate: condizioni lavorative eque, salari dignitosi, equilibrio vita-lavoro, e servizi accessibili come l’assistenza all’infanzia e a lungo termine. La Commissione, con il coinvolgimento delle parti sociali, intende allora definire una Tabella di marcia per il Lavoro di Qualità e un Piano per l’Abitazione Accessibile. Infine, per la Commissione sarà indispensabile garantire che i lavoratori possano adattarsi e affrontare i cambiamenti tecnologici in sicurezza. Per questo motivo, il Semestre Europeo promuoverà la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, affinché siano più inclusivi, efficaci ed efficienti. Le riforme pensionistiche dovranno essere accompagnate da misure che favoriscano una vita lavorativa più lunga, l’invecchiamento attivo e mercati del lavoro dinamici e aperti. Tuttavia – e di nuovo – la Bussola non va oltre l’elencazione di queste iniziative che, per quanto ragionevoli e condivisibili, mancano ancora di concretezza[47].
Sono altri tre i ‘facilitatori’ che, nella Bussola, occupano di più i pensieri della Commissione: la riduzione dei costi imposti dalla regolazione; la necessità di rendere più ricche le fonti di finanziamento a disposizione delle imprese europee; e l’esigenza – forse primigenia – di coordinare al meglio l’azione (politica) della Commissione e degli Stati membri.
6.1 I costi normativi
Come noto, nel confrontarsi con le regole, le imprese sostengono una serie di costi che si possono così organizzare. Anzitutto vi sono i costi di interpretazione, legati alla necessità di comprendere il significato delle regole: questi includono le spese per consulenze legali e specialistiche, la formazione interna del personale e l’incertezza derivante da norme ambigue o soggette a modifiche frequenti. Una volta compresa la normativa, le imprese devono affrontare i costi di compliance, ovvero quelli necessari per adeguare le proprie strutture e procedure alle regole: si tratta di costi organizzativi, tecnologici, amministrativi e di certificazione, spesso significativi. A questi si sommano i costi di interazione con la Pubblica Amministrazione, come i tempi di attesa per ottenere autorizzazioni, le risorse dedicate alla gestione burocratica e i danni derivanti da inefficienze o ritardi. Se poi il rispetto della normativa non è pienamente garantito — anche per ragioni di complessità — le imprese possono poi incorrere nei costi determinati da sanzioni e contenziosi, inclusi quelli per eventuali danni reputazionali. Infine, esistono costi strategici ed economici più ampi, come il vincolo a modelli di business meno flessibili (lock-in normativo), il rischio di svantaggi competitivi rispetto ad imprese operanti in contesti normativi più leggeri, e il costo-opportunità legato al fatto che risorse destinate alla compliance non possono essere investite in innovazione o crescita.
Non tutti questi costi normativi sono evitabili, però: alcuni sono necessari per il buon funzionamento del mercato e per la tutela di valori che si ritiene debbano essere preservati, mentre altri derivano da inefficienze e sovraccarichi burocratici che potrebbero essere ridotti. Ecco perché, nella Bussola, la Commissione si propone – e giustamente – di eliminare questo ultimo genere di costi; non certo di smettere di garantire alcuni diritti per ridurre i costi normativi che le imprese sostengono[48].
Più nel dettaglio, la Commissione rimarca gli imponenti costi amministrativi – comprensivi anche dei c.d. “tempi di attesa” e/o “tempi di esecuzione” – che, ad oggi, due terzi delle imprese sostengono per ottenere autorizzazioni all’esercizio di particolari attività o per dare conto di – tecnicamente, per rendicontare – come hanno utilizzato i fondi pubblici ai quali hanno avuto accesso. Di conseguenza, la Commissione scrive:
«[t]utte le istituzioni dell’UE, nazionali e locali, devono compiere uno sforzo significativo per produrre norme più semplici e accelerare la velocità delle procedure amministrative. L’accesso ai fondi o l’ottenimento di decisioni amministrative devono diventare più rapidi ed economici per imprese e cittadini»[49].
Così, la Commissione enumera una serie copiosa di misure che dovrebbero condurre, nel rispetto dei già seguiti principi della Better Regulation, alla desiderata semplificazione normativa: da una revisione dell’accordo interistituzionale che governa le modalità di collaborazione tra la Commissione medesima, il Parlamento europeo e il Consiglio, a una più accurata valutazione dei costi degli atti delegati e di esecuzione proposti. Ancora, la Commissione si propone di estendere ad un numero sempre maggiore di imprese le procedure semplificate e accelerate che già esistono[50], nonché di prevederne di nuove[51]. Inoltre, essa sceglie di creare una terza categoria di imprese, denominate small mid-cap, descritte letteralmente come imprese «più grandi delle PMI ma più piccole delle grandi aziende» alle quali verrà riservata una regolamentazione “su misura” e, quindi, semplificata rispetto a quella attuale e più proporzionata alle loro caratteristiche[52]. Ancora, la Commissione sottolinea come la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione secondo formati basati su dati standardizzati e il ricorso a strumenti come la fatturazione elettronica, la firma elettronica, la trasmissione elettronica dei documenti e il passaporto digitale dei prodotti serviranno tutti a ridurre i costi normativi, posto che l’e-IDAS europeo, ossia il portafoglio digitale europeo per le imprese, assurgerà a modello per fare impresa in modo semplice e digitale nell’UE[53]. In aggiunta, sempre al fine di ridurre gli oneri di rendicontazione e, più in generale, tutti quelli amministrativi, la Comunicazione ha annunciato l’adozione dei c.d. ‘pacchetti omnibus’ per la semplificazione. E, in effetti, il primo – quello relativo alla rendicontazione sulla finanza sostenibile e, più in generale, relativo alla due diligence e alla tassonomia in materia di sostenibilità – è già stato pubblicato insieme alla promessa semplificazione del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) per gli operatori di mercato più piccoli[54].
Infine, nella Bussola, la Commissione ha il coraggio di rendersi accountable e fissare degli obiettivi quantitativi, dichiarando di voler ridurre gli oneri di rendicontazione oggi – e, più in generale, tutti gli oneri amministrativi domani – di almeno il 25% per tutte le imprese e di almeno il 35% per le PMI.
Cambiando parzialmente prospettiva, la Commissione intende anche lavorare per garantire un’applicazione unitaria delle norme europee[55], nonché organizzare in modo meno dispersivo le modalità di accesso agli strumenti di finanziamento dell’UE che – come la Commissione ha il merito di riconoscere – sono «attualmente frammentati in troppi programmi»[56]. Più in generale, si deve infatti constatare come molti dei costi normativi – soprattutto i costi di compliance – sostenuti dalle imprese nascano dall’assetto disordinato della legislazione, talché può capitare che una stessa attività sia sottoposta a molteplici disposizioni, tra loro sovrapposte se non in conflitto. Per questo la Commissione vuole, sotto la responsabilità del Commissario per l’Attuazione e la Semplificazione, esaminare l’ordinamento europeo per «individuare modalità di semplificazione, consolidamento e codificazione della legislazione ove necessario»[57]. E ciò non solo sulla scorta di un costante dialogo con le imprese soggette a dette norme che, evidentemente, dovrebbero servire a individuare l’esistenza di eventuali problemi applicativi (c.d. reality check), ma anche in ragione di un diverso approccio normativo: non più fondato su controlli dettagliati e, quindi, sull’idea di dover evitare le patologie, ma basato sulla fiducia nelle imprese e sugli incentivi a che esse rispettino la legge, come dovrebbe essere quando ci si propone di governare la fisiologia di un sistema[58]. Infine, la Commissione si propone di valutare con maggiore attenzione l’impatto che le norme di nuova emanazione potrebbero avere sulle PMI, tenuto altresì conto di quelli che potrebbero essere gli effetti dei differenziali di costo rispetto ai concorrenti internazionali.
6.2 Finanziamenti
Anche il potenziamento delle fonti di finanziamento viene interpretato dalla Commissione come un facilitatore del piano per il miglioramento della competitività europea. L’Europa – osserva la Commissione – non è priva di capitale, ma questo è prevalentemente canalizzato attraverso il credito bancario. Per favorire un ambiente più favorevole al capitale di rischio, le prossime iniziative previste nell’ambito dell’Unione del Risparmio e degli Investimenti comprenderanno strumenti per sostenere il venture capital, anche attraverso un nuovo programma denominato TechEU, che sarà realizzato in collaborazione con il Gruppo BEI e investitori privati. L’obiettivo è cioè colmare il divario nei finanziamenti destinati all’innovazione di frontiera, in settori come AI, semiconduttori, tecnologie quantistiche, scienze della vita, robotica, mobilità autonoma e stoccaggio dell’energia.
Più in generale, la Commissione promuoverà un uso più ampio dei Progetti Importanti di Interesse Comune Europeo (IPCEI), in combinazione con lo Strumento di Coordinamento per la Competitività.
Alcune pagine della Bussola sono poi dedicate alla necessità che l’UE trovi delle fonti di finanziamento per sostenere il rilancio della propria competitività. Giusto per avere contezza dell’ordine di grandezza dei finanziamenti necessari, il rapporto Draghi stima il fabbisogno in una cifra compresa tra i 750 e gli 800 miliardi di euro all’anno fino al 2030, il che significa che il tasso di investimento sul PIL dell’UE dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali all’anno, tornando – ma questo è un dato positivi – ai livelli già sostenuti negli anni ’60 e ’70.
Ora, posto che nel 2022 il tasso di risparmio delle famiglie europee era superiore del 65% rispetto a quello delle famiglie statunitensi, la Commissione osserva come, accanto alla sempre vera necessità di impiegare i fondi pubblici in modo più mirato ed efficace, l’Unione si debba impegnare per mobilitare gli investimenti privati – sia quelli retail, sia quelli gestiti dagli investitori istituzionali – verso progetti e imprese «made in Europe» – per usare le parole della Commissione. In altri termini, servirà ridurre la quota di capitali privati europei (circa 300 miliari di euro l’anno) che attualmente vengono investiti al di fuori dell’Unione, di modo che i cittadini europei investano di più nelle imprese e nell’economia dell’Unione.
E, a tal fine, la Commissione si propone di: integrare e approfondire i propri mercati dei capitali per renderli più liquidi; stimolare una maggiore propensione al rischio da parte degli investitori privati, usando i fondi pubblici come leva di attrazione; sviluppare una nuova strategia per una Unione del Risparmio e degli Investimenti che si dovrebbe articolare in due passaggi cruciali: raggiungere gli investitori retail tramite sia il sostegno a fondi pensione integrativi che quindi potrebbero canalizzare i risparmi verso l’economia, sia la promozione a livello europeo di prodotti di risparmio e investimento a basso costo .
Parallelamente, la Commissione agirà per rimuovere gli ostacoli alla fusione guidata dal mercato delle infrastrutture finanziarie, promuoverà misure per sviluppare il mercato della cartolarizzazione dell’UE al fine di creare capacità di finanziamento aggiuntive per le banche (che dovrebbero avvantaggiare in particolare le imprese e le PMI), e proporrà una supervisione molto più unificata. Proseguirà inoltre con la riforma e l’armonizzazione dei regimi di insolvenza a livello UE, attualmente ancora molto frammentati, inclusi aspetti come la gerarchia dei crediti, i criteri di insolvenza o le regole per le garanzie finanziarie e il regolamento dei pagamenti. Infine, verranno rimossi gli ostacoli fiscali agli investimenti transfrontalieri.
Infine, la Commissione propone una strategia mista pubblico-privato per colmare il divario di investimenti in Europa. Il bilancio UE sarà usato non tanto per finanziare direttamente, ma per attirare investitori privati, riducendo il loro rischio e massimizzando l’effetto leva dei fondi pubblici. In particolare, la Commissione intende sfruttare il potenziale del Gruppo BEI per attrarre capitali privati nelle aree strategiche, dalla decarbonizzazione alla difesa, mobilitando in parallelo le risorse proprie del Gruppo. L’obiettivo è ampliare l’utilizzo di strumenti finanziari (prestiti, garanzie, equity) in tutti i settori prioritari sostenuti dal bilancio dell’Unione, anche semplificando i mandati operativi di BEI e altri partner finanziari. La logica è quella già sperimentata con successo da InvestEU, che ha generato oltre 218 miliardi di investimenti, di cui circa due terzi provenienti da fonti private.
In questa visione, un ruolo sempre più centrale sarà affidato agli strumenti di de-risking finanziati dall’UE, capaci di sostenere investimenti a rischio più elevato e su scala maggiore nei settori chiave per la competitività europea. L’architettura aperta di questi strumenti offre inoltre l’opportunità di rafforzare la cooperazione tra BEI, banche promozionali nazionali e istituzioni finanziarie internazionali, creando sinergie operative e ampliando la capacità d’intervento nei singoli Stati membri. Il ricorso a strumenti finanziari di de-risking – con un moltiplicatore medio superiore a 15 – consente infatti di mobilitare risorse ben superiori ai contributi pubblici iniziali.
In parallelo, la Commissione propone una revisione della struttura e dell’allocazione del bilancio UE per renderlo più mirato a sostenere la competitività dell’Unione. L’esperienza del regolamento STEP (Strategic Technologies for Europe Platform) ha già mostrato come concentrare i fondi UE su priorità industriali ben definite – come il digitale avanzato, il clean tech e le biotecnologie – permetta un uso più efficace delle risorse. STEP ha unificato l’accesso a 11 programmi finanziari attraverso un portale unico, facilitando l’incontro tra promotori di progetti, autorità di gestione e investitori. Il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) sarà l’occasione per ampliare questo approccio, riducendo la frammentazione attuale e istituendo un Fondo Europeo per la Competitività. Questo fondo sosterrà le tecnologie strategiche europee – dall’intelligenza artificiale allo spazio – con una capacità d’investimento integrata, che includa anche gli IPCEI, la ricerca e l’innovazione.
In questo contesto, la politica fiscale europea viene ripensata in chiave più favorevole agli investimenti. Oltre alla spesa diretta, il bilancio pubblico dovrà essere utilizzato per ridurre il rischio degli investimenti privati e agevolare il loro ingresso in progetti strategici. Tuttavia, poiché i bilanci nazionali rappresentano circa il 50% del PIL europeo, il successo di questa strategia dipenderà dal coordinamento delle politiche fiscali tra gli Stati membri. L’obiettivo è convergere verso una logica comune che orienti le risorse nazionali verso beni pubblici europei e settori tecnologici chiave.
A tal fine, il nuovo Quadro di Governance Economica dell’UE introduce margini fiscali più ampi e flessibili per sostenere le priorità comuni. Le nuove regole prevedono percorsi di aggiustamento del debito più graduali rispetto al passato, come dimostrato dalla prima applicazione del nuovo schema: a cinque Stati membri è stato concesso di estendere il periodo di aggiustamento da quattro a sette anni, in cambio di riforme e investimenti. In prospettiva, la Commissione intende rendere strutturale questa logica, combinando sostenibilità fiscale e tutela degli investimenti pubblici, attraverso un maggiore coinvolgimento degli Stati membri e una più efficace attuazione dei programmi nazionali.
6.3 Il c.d. coordination tool
Il terzo facilitatore al quale la Commissione riserva uno spazio considerevole è il c.d. coordination tool, il quale è stato pensato muovendo – di nuovo – da una constatazione di buon senso: di primo acchito, il piano per il rilancio della competitività si presenta come una strategia dell’Unione, ossia come una strategia comune. Tuttavia, molte delle leve fondamentali per la sua attuazione – in materia di istruzione, fiscalità, diritto societario, mercato del lavoro, infrastrutture – restano nelle mani dei governi nazionali. Di conseguenza, senza un coordinamento più stringente, il rischio è che si producano squilibri: alcuni paesi – già più avanzati sul piano della competitività – potrebbero beneficiare in misura maggiore degli strumenti messi in campo; altri – con sistemi produttivi meno reattivi o risorse pubbliche più limitate – potrebbero invece restare ai margini. Una vera strategia europea per la competitività dovrebbe dunque interrogarsi anche su come rafforzare la dimensione solidaristica e coesiva dell’azione pubblica.
Per il momento, comunque, il c.d. coordination tool è il nuovo meccanismo concepito per rendere più efficace, coerente e mirata la collaborazione tra l’Unione Europea e i suoi Stati membri nel rafforzare la competitività strutturale dell’Europa. La sua finalità principale è superare la frammentazione attuale delle politiche industriali e di ricerca, promuovendo l’allineamento delle strategie nazionali e dell’UE intorno a priorità comuni, selezionate sulla base del loro impatto potenziale sulla produttività, sull’innovazione e sulla resilienza economica. I settori d’intervento riguarderanno aree ad alto valore strategico, come le infrastrutture energetiche e digitali, le biotecnologie, l’intelligenza artificiale, e le capacità produttive critiche, come ad esempio la produzione di medicinali essenziali.
A differenza di un semplice strumento di finanziamento, esso rappresenta un vero e proprio meccanismo politico di coordinamento, volto a indirizzare con maggiore efficacia le scelte di investimento e le riforme strutturali nei singoli Stati membri. Ad oggi, molti governi nazionali implementano politiche autonome per rafforzare la propria competitività, ma in assenza di un quadro comune queste iniziative risultano spesso disallineate, con il rischio di duplicazioni, dispersione di risorse e limitata capacità di incidere sui fattori sistemici della competitività europea. Lo strumento di coordinamento si propone di colmare proprio questa lacuna, facilitando l’emersione di progetti transfrontalieri di interesse comune, capaci di generare valore aggiunto europeo e di accompagnare la trasformazione economica verso un modello più sostenibile, digitale e competitivo, anche in termini occupazionali.
Per conseguire questi obiettivi, la Commissione prevede di integrare lo strumento nel quadro del Semestre Europeo, semplificandolo e riorientandolo verso la competitività a lungo termine. In questo modo, le priorità identificate tramite il Coordinamento per la Competitività potranno confluire nelle Raccomandazioni specifiche per Paese, diventando parte integrante della governance economica europea. Ciò permetterà un monitoraggio strutturato dei progressi, una valutazione ex ante della coerenza tra riforme e investimenti nazionali e un più forte orientamento strategico dell’azione pubblica. Allo stesso tempo, lo strumento potrà dialogare con altri canali di finanziamento esistenti, come il NextGenerationEU, potenziandone l’impatto attraverso una maggiore coerenza tra visione strategica e uso delle risorse.
Sul piano finanziario, il Coordinamento per la Competitività sarà affiancato da un nuovo Fondo per la Competitività, destinato a razionalizzare la spesa pubblica attualmente distribuita su una pluralità di programmi frammentati e talvolta sovrapposti. Il fondo sarà pensato per mobilitare capitali privati, ridurre i rischi per gli investitori e sostenere lo sviluppo di progetti strategici lungo tutto il loro ciclo di vita, dalla fase iniziale di innovazione fino alla scalabilità industriale e alla piena operatività sul mercato.
In sintesi, lo Strumento di Coordinamento per la Competitività fungerà da catalizzatore di una nuova governance economica europea, capace di promuovere una visione industriale comune, sostenere l’integrazione delle politiche tra livello europeo e nazionale e rafforzare il posizionamento dell’Europa in un contesto globale sempre più competitivo e interdipendente.
7. Alcune osservazioni conclusive
È certamente opportuno che, in quello che sembra essere un punto di svolta nelle sorti dell’Occidente, l’Unione Europea tenti di disegnare o, se si vuole, di riprogettare il suo futuro. Quindi ciò che ci si appresta a dire nelle prossime righe non vuole suonare come una critica feroce ai contenuti della Bussola per la Competitività, ma come una presa di coscienza, di modo che tutti gli attori coinvolti nei cambiamenti che ci aspettano siano consapevoli della complessità degli stessi e, dunque, dell’impegno che essi richiedono. Animati da questo spirito, ecco allora alcune brevi osservazioni conclusive.
In primo luogo – lo si è detto diverse volte ormai – la Bussola si presenta come una strategia di rilancio ambiziosa e onnicomprensiva. La tabella qui di seguito riportata potrebbe servire ad averne contezza.
Periodo | Innovazione | Decarbonizzazione | Sicurezza e Difesa | Facilitatori |
Q1 2025 | – AI Factories Initiative | – Clean Industrial Deal and Affordable Energy Plan
– Automotive Industry Dialogue – Vision for Agriculture and Food |
– White Paper on European Defense
– Preparedness Union Strategy – Internal Security Strategy – Critical Medicines Act |
– Omnibus Simplification and Definition of Small Mid-Caps (26 Feb 2025)
– Savings and Investments Union (19 March 2025) – Union of Skills |
Q2 2025 | – Start-up and Scale-up Strategy
– Life Sciences Strategy – EU Quantum Strategy – Space Act |
– New State Aid Framework
– Oceans Pact |
– Water Resilience Strategy | – Single Market Strategy |
Q3 2025 | – Apply AI, AI in Science, and Data Union Strategies | – Sustainable Transport Investment Plan | – Joint Purchasing Platform for Critical Raw Minerals (Q2–Q3) | |
Q4 2025 | – 28th regime (inizio nel Q4)
– European Innovation Act (inizio nel Q4) – EU Cloud and AI Development Act (inizio nel Q4) – Quantum Act – Digital Networks Act |
– Industrial Decarbonisation Accelerator Act
– Chemicals Industry Package |
– Trans-Mediterranean Energy & Clean Tech Cooperation Initiative | – Quality Jobs Roadmap |
2025 (Quadrimestre non specificato) | – European Biotech Act and Bioeconomy Strategy | – Steel and Metals Action Plan
– European Port Strategy & Maritime Strategy – High Speed Rail Plan – Carbon Border Adjustment Review – Amendment of the Climate Law |
– Conclude and implement trade agreements, Clean Trade & Investment Partnerships
– Next MFF |
– European Business Wallet
– Next MFF (Competitiveness Fund & Tool) |
Q1 2026 | – Electrification Action Plan & European Grids Package | |||
Q4 2026 | – Circular Economy Act | |||
2026 (Quadrimestre non specificato) | – European Research Area Act
– Advanced Materials Act |
– Revision of Public Procurement Directives
– European Climate Adaptation Plan |
– Skills Portability Initiative
– Revision of the Standardization Regulation |
Tuttavia, l’estrema ampiezza degli obiettivi e la qui rappresentata moltiplicazione degli strumenti proposti rischiano di tradursi in dispersione, sovrapposizione normativa e, in ultima istanza, in un sovraccarico attuativo che potrebbe vanificare gli sforzi iniziali. Il rischio, già emerso in altri cicli di programmazione europea, è dunque quello di un’agenda eccessivamente densa e poco gerarchizzata, in cui il coordinamento tra livelli di governo diventa più auspicato che garantito.
In secondo luogo, la Bussola riconosce esplicitamente il peso dei costi normativi e l’urgenza della semplificazione, ma propone, al tempo stesso, una serie notevole di nuovi atti legislativi. La retorica della Better Regulation si scontra cioè con l’inflazione normativa che l’attuazione della Bussola inevitabilmente comporta. L’Unione sembra dunque oscillare tra il desiderio di alleggerire il carico regolatorio e l’istinto a normare ogni ambizione e ogni animal spirit, rischiando di soffocare sul nascere proprio quelle innovazioni che intende promuovere.
Ancora, mentre l’intervento sull’offerta innovativa è analitico e dettagliato, resta carente la riflessione sulla domanda. Le misure volte a stimolare la domanda di innovazione – soprattutto da parte delle PMI o dei settori tradizionali – sono ancora abbozzate o trascurate. Si intravede così una potenziale frattura tra gli strumenti sofisticati pensati per i “campioni tecnologici” e la realtà di un tessuto industriale europeo eterogeneo, in larga parte ancora lontano dall’assorbire tecnologie di frontiera.
La Bussola poi riconosce la necessità di un nuovo equilibrio tra livello europeo e nazionale, ma affida questa esigenza a strumenti di governance ancora poco robusti. Il Coordination Tool e il Semestre Europeo, per quanto potenziati, non sembrano in grado – almeno per ora – di vincolare in modo incisivo le agende degli Stati membri. Senza un salto di qualità in termini di integrazione politica e di mutualizzazione delle risorse, i progetti inclusi nella Bussola rischiano di restare subordinati alla disponibilità – molto diseguale – degli Stati a investire nella competitività europea. Da questo punto di vista si comprende anche come per la Commissione europea sia assai più facile vincolare le imprese e non gli Stati membri.
Rispetto invece al tentativo di ridefinire il rapporto tra apertura commerciale e sicurezza strategica, esso è certamente condivisibile e necessario. Tuttavia, la logica difensiva (contro la concorrenza sleale, le dipendenze critiche, le asimmetrie globali) potrebbe prevalere su quella propositiva (costruzione di alleanze, promozione di standard europei, investimento geopolitico). Serve dunque un chiaro orientamento politico per evitare che la difesa della competitività si trasformi in un alibi per una nuova forma di protezionismo autoreferenziale.
In generale, occorre anche osservare come molti degli obiettivi indicati nella Bussola – in particolare quelli relativi alla transizione ecologica e alla sicurezza industriale – richiedano tempi di attuazione medio-lunghi. Nondimeno, come la medesima Commissione riconosce, gli strumenti operativi e i vincoli di bilancio sono tarati su cicli politici brevi. Questo disallineamento tra orizzonte strategico e tempistica decisionale potrebbe minare la coerenza e la credibilità del piano, soprattutto se non accompagnato da meccanismi di monitoraggio e revisione dinamici.
Pertanto, a pochi mesi della sua pubblicazione ci si sente di evidenziare come la Bussola per la Competitività rappresenti un documento importante, che prova a dare coerenza a istanze economiche, industriali, ambientali e geopolitiche. Tuttavia, almeno per ora, essa indica una mera direzione di marcia più che un itinerario. Il suo successo dipenderà da tre condizioni non tecniche ma politiche: (i) il coraggio della leadership europea, (ii) la disponibilità dei governi nazionali a condividere sovranità strategica, e (iii) la capacità di comunicare ai cittadini che competitività non significa sacrificio sociale, ma investimento nel proprio futuro.
[1] Commissione europea, Communication from the commission to the European parliament, the European council, the council, the European economic and social committee and the committee of the regions, A Competitiveness Compass for the EU, Brussels, 29.1.2025,COM(2025) 30 final (d’ora in poi anche la “Comunicazione”). La Comunicazione è al momento disponibile solo in inglese. Le traduzioni qui proposte sono mie.
[2] Ibidem, p. 25.
[3] Si veda, in proposito, il successivo paragrafo 2.
[4] Comunicazione, p. 1.
[5] Ibidem, p. 26.
[6] Con l’espressione ‘Better Regulation’ si intende un approccio metodologico e politico finalizzato a migliorare la qualità, l’efficienza e l’efficacia della regolazione normativa. Nell’Unione europea, il concetto si è sviluppato progressivamente a partire dagli anni Novanta, affermandosi come risposta sia all’esigenza di contenere il volume e i costi delle regolazioni, sia al crescente scetticismo di cittadini e imprese nei confronti della complessità burocratica e dell’opacità decisionale delle istituzioni europee. Tra gli obiettivi principali della Better Regulation figurano: ridurre gli oneri amministrativi superflui, assicurare che le norme siano basate su evidenze e valutazioni d’impatto accurate, garantire il rispetto del principio di sussidiarietà, promuovere la competitività e l’innovazione, e assicurare la coerenza delle politiche con obiettivi strategici di lungo periodo (come la transizione digitale, la sostenibilità e l’attuazione degli SDGs). Complessivamente, dunque, chi supporta la Better Regulation non vuole alcuna forma di deregolamentazione, ma invita a regolare meglio: con norme più intelligenti, flessibili e future-proof, capaci di adattarsi ai cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. Anche per questo, la Better Regulation valorizza un approccio partecipativo alla formazione delle regole che coinvolga gli stakeholder. Dal 2001, infatti, le istituzioni UE hanno progressivamente integrato anche questo principio nei loro processi legislativi, elaborando strumenti operativi, manuali metodologici e piattaforme digitali per la consultazione pubblica.
[7] Enrico Letta, Much more than a Market. Speed, Security, Solidarity. Empowering the Single Market to deliver a sustainable future and prosperity for all EU Citizens, Aprile 2024, disponibile all’indirizzo https://www.consilium.europa.eu/media/ny3j24sm/much-more-than-a-market-report-by-enrico-letta.pdf, (d’ora in poi anche “Relazione Letta”); e Mario Draghi, A competitiveness strategy for Europe (Part A) e In-depth analysis and recommendations (Part B), Settembre 2024, disponibili agli indirizzi https://commission.europa.eu/document/download/97e481fd-2dc3-412d-be4c-f152a8232961_en?filename=The%20future%20of%20European%20competitiveness%20_%20A%20competitiveness%20strategy%20for%20Europe.pdf e https://commission.europa.eu/document/download/ec1409c1-d4b4-4882-8bdd-3519f86bbb92_en?filename=The%20future%20of%20European%20competitiveness_%20In-depth%20analysis%20and%20recommendations_0.pdf (d’ora in poi anche “Rapporto Draghi”).
[8] Consiglio europeo, Dichiarazione di Budapest sul nuovo patto per la competitività europea, 8 novembre 2024, disponibile all’indirizzo https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2024/11/08/the-budapest-declaration/.
[9] Cfr. successivo para. 6.
[10] Il conseguimento di questo obiettivo di bilancio – definito già nel 2000 con la Strategia di Lisbona e successivamente confermato in programmi come Europa 2020, ma finora non attuato – richiederebbe un investimento complessivo in ricerca e sviluppo superiore a 515 miliardi di euro, sommando le spese pubbliche e private dei vari Stati membri. Tuttavia, nel 2023, la spesa dell’UE in ricerca e sviluppo si attestava a circa 381,4 miliardi di euro, pari al 2,22% del PIL dell’Unione. Solo alcuni Paesi, come Germania e Svezia, superavano la soglia del 3%, mentre altri, tra cui Italia e Spagna, restavano al di sotto (cfr. https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=R%26D_expenditure). Di conseguenza, per realizzare pienamente questa politica di investimento è necessaria una volontà comune e risoluta da parte di tutti gli Stati membri.
[11] Comunicazione, p. 5.
[12] Lo European Innovation Council (EIC) è stato istituito nel 2021 all’interno del programma Horizon Europe, ma aveva iniziato a operare in forma pilota già prima. Il suo obiettivo principale è aiutare a trasformare le invenzioni in prodotti o servizi di successo, soprattutto nei settori tecnologici avanzati o emergenti (come intelligenza artificiale, biotecnologie, energie pulite, ecc.). L’EIC si distingue per tre caratteristiche fondamentali: (a) finanzia progetti ad alto rischio ma ad alto potenziale, anche in fase molto iniziale (prototipi, prove di concetto); (b) combina grant e investimenti in equity: può offrire sia contributi a fondo perduto sia investimenti diretti nel capitale delle imprese, tramite l’EIC Fund; e (c) offre supporto su misura, con mentoring, coaching e contatti con investitori o grandi imprese.
[13] Fondata nel 1958, DARPA ha il compito di promuovere lo sviluppo di tecnologie rivoluzionarie per la difesa, ma il suo impatto si è esteso ben oltre il settore militare, contribuendo alla nascita di Internet, del GPS e di molte tecnologie digitali avanzate. Essa coordina team di progetto temporanei che provano a elaborare e rapidamente sperimentare idee pionieristiche che difficilmente riceverebbero finanziamenti pubblici, per l’elevata avversione al rischio delle altre agenzie governative che gestiscono questi ultimi.
[14] Comunicazione, p. 5.
[15] Lo European Research Council (ERC) è un organismo dell’Unione Europea dedicato al finanziamento della ricerca scientifica d’eccellenza. È stato istituito nel 2007 nell’ambito del programma quadro per la ricerca e l’innovazione dell’UE (attualmente Horizon Europe, 2021–2027) ed è gestito dalla Commissione Europea con un ampio margine di autonomia scientifica. Come chi lavora in accademia sa, l’obiettivo principale dell’ERC è sostenere i migliori ricercatori, di qualsiasi nazionalità, che desiderano condurre progetti pionieristici presso istituzioni di ricerca situate in Europa. Si distingue dagli altri strumenti di finanziamento europei perché, stando alle parole di chi lo ha istituito: non impone priorità tematiche: finanzia la ricerca “curiosity-driven”, cioè guidata dalla curiosità scientifica, anche quando non ha applicazioni immediate; premia l’eccellenza individuale: la selezione si basa esclusivamente sul merito scientifico del ricercatore e sulla qualità innovativa del progetto; ha una forte componente competitiva: solo una piccola percentuale delle proposte riceve il finanziamento.
[16] Comunicazione, p. 7.
[17] Le AI factories sono nate principalmente con il Regolamento (UE) 2021/694, che istituiva il Programma Europa Digitale per gli anni 2021–2027; sono state sostenute nell’AI Innovation Package del gennaio 2024 e, da ultimo, sono state rinverdite nel primo quadrimestre del 2025 con l’iniziativa di cui diceva nel testo. Esse, destinate specificatamente alla creazione e all’addestramento di grandi modelli fondamentali di IA generativa, sono centri per lo sviluppo tecnologico concepiti proprio per offrire alle imprese, ai ricercatori e alle istituzioni pubbliche gli strumenti necessari per progettare, testare e utilizzare soluzioni di IA avanzata. Non si tratta semplicemente di laboratori o centri di ricerca: sono vere e proprie infrastrutture che combinano potenza di calcolo, accesso a dati, modelli di IA pre-addestrati e supporto tecnico e formativo, con l’obiettivo di rendere l’innovazione accessibile anche a chi non ha risorse interne per svilupparla da zero. Il finanziamento delle AI Factories arriva sia dall’Unione Europea, tramite programmi come Digital Europe, Horizon Europe e Connecting Europe Facility, sia dagli Stati membri, che cofinanziano i centri nei propri territori. L’investimento complessivo previsto è di circa 2,1 miliardi di euro. Oltre al finanziamento diretto, le AI Factories si inseriscono all’interno di un ecosistema digitale europeo più ampio, che include anche i Data Spaces settoriali, l’iniziativa GAIA-X per l’infrastruttura cloud europea e la European Open Science Cloud (EOSC). I beneficiari principali delle AI Factories sono le piccole e medie imprese (PMI), le startup, i centri di ricerca, le università e le pubbliche amministrazioni. Le PMI, in particolare, possono: accedere a modelli di IA già esistenti e ambienti di test, ricevere supporto per sviluppare soluzioni personalizzate, ottenere formazione, consulenza tecnica e accesso a potenza di calcolo che altrimenti non sarebbero sostenibili. Al riguardo si vedano le informazioni disponibili all’indirizzo https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/ai-factories.
[18] Cfr. sulla rimozione di questi tre ostacoli, successivo par. 6.
[19] Comunicazione, p. 4.
[20] Ibidem, p. 6.
[21] Ibidem, p. 7.
[22] Ibidem, pp. 5-7.
[23] Cfr. successivo paragrafo 6.
[24] Cfr. quanto si legge al seguente indirizzo https://sciencebusiness.net/news/european-research-area/hopes-rise-new-laws-unlock-european-research-area?
[25] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Il patto per l’industria pulita: una tabella di marcia comune verso la competitività e la decarbonizzazione, Brussels, 26.2.2025 COM(2025) 85 final, disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:52025DC0085
[26] Comunicazione, pp. 10-11.
[27] Non è questa la sede per discuterne, ma cfr. Commissione europea, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European economic and social committee and the committee of the regions. Industrial Action Plan for the European automotive sector, Brussels, 5.3.2025, COM(2025) 95 final, disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52025DC0095. Anche questa comunicazione – che si articola in cinque aree principali: innovazione e digitalizzazione, mobilità pulita, competitività e resilienza della catena di approvvigionamento, competenze e dimensione sociale, e un ambiente imprenditoriale equo – propone alcuni temi già inclusi nella Bussola come la necessità di investimenti pubblici importanti che facciano da traino per quello private; il desiderio di tutelare il modello sociale europeo; il bisogno di evitare che gli stati extra-UE risultino più competitive dell’Unione, grazie a comportamenti scorretti.
[28] Ci si riferisce alla tabella di marcia prevista dalla Visione per l’agricoltura e l’alimentazione, presentata nel febbraio 2025, che definisce l’orientamento strategico dell’UE per il settore agroalimentare nel periodo 2025-2029. Il documento mira a trasformare l’agricoltura europea in un modello sostenibile, competitivo e attrattivo per le nuove generazioni, articolandosi in quattro aree chiave: equità e attrattività del settore, competitività e resilienza, sostenibilità ambientale e adattamento climatico, valorizzazione del cibo e delle aree rurali. Tali priorità sono accompagnate da principi trasversali come la semplificazione normativa, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione. La strategia promuove un’agricoltura rigenerativa e a zero emissioni entro il 2040, il rafforzamento delle filiere locali, il ricambio generazionale, e l’adeguamento degli standard per le importazioni. È fondata su un dialogo strutturato con gli attori del settore, ma ha sollevato critiche da parte di organizzazioni ambientaliste e dei consumatori, che evidenziano lacune nella revisione dei sussidi e nella promozione di modelli alimentari più sostenibili. Per queste ed altre informazioni sul punto si veda quanto disponibile all’indirizzo https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_25_530.
[29] Comunicazione, pp. 10-11.
[30] Ibidem.
[31] Comunicazione, p. 8.
[32] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni. Piano d’azione per un’energia a prezzi accessibili, Bruxelles, 26.2.2025, COM(2025) 79 final, disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52025DC0079
[33] Comunicazione, pp. 9-10.
[34] Facendo leva su altre esperienze, la Commissione intende creare una piattaforma per l’aggregazione della domanda e un meccanismo di abbinamento per le materie prime strategiche. In una seconda fase, a integrazione del regolamento sulle materie prime critiche e in linea con le raccomandazioni della relazione Draghi, la Commissione intende istituire un apposito centro dell’UE per le materie prime critiche finalizzato all’acquisto in comune di materie prime critiche per conto delle imprese interessate e in cooperazione con gli Stati membri. Tra gli altri interventi potrebbero figurare il coordinamento delle scorte strategiche, il monitoraggio della catena di approvvigionamento e la messa a punto di prodotti finanziari per investire nell’approvvigionamento a monte, nell’UE e in paesi terzi.
[35] Il Global Gateway vuole infatti promuovere investimenti sostenibili e infrastrutture di qualità nei Paesi partner, soprattutto in Africa, Asia e America Latina, come alternativa ai modelli di sviluppo cinesi. Mira a rafforzare connessioni globali nei settori dell’energia, del digitale, dei trasporti, della salute e dell’istruzione, promuovendo al tempo stesso valori europei come trasparenza, sostenibilità e buon governo. Cfr. sul punto quanto spiegato al seguente indirizzo https://international-partnerships.ec.europa.eu/policies/global-gateway_it
[36] Cfr. successivo paragrafo 6.
[37] Comunicazione, p. 13.
[38] Il Critical Medicines Act (CMA) è stato proposto nel contesto dell’Unione Europea della Salute, che mira a garantire che tutti i cittadini europei abbiano accesso ai medicinali necessari. Integra le misure normative già proposte, in particolare la riforma della legislazione farmaceutica dell’UE. Più nel dettaglio, il CMA vuole migliorare la disponibilità, l’approvvigionamento e la produzione di medicinali critici all’interno dell’Unione Europea. Inoltre, esso mira ad aumentare l’accesso ad altri medicinali di interesse comune, come quelli per le malattie rare, e ad affrontare il problema della mancanza di alcuni farmaci in determinati mercati. Grazie al CMA potranno essere: (i) designati Progetti Strategici per i medicinali critici o i loro ingredienti, in modo che possano beneficiare di un accesso agevolato ai finanziamenti e di procedure accelerate; (ii) utilizzati gli appalti pubblici per incentivare la resilienza delle catene di approvvigionamento dei medicinali critici o per migliorare l’accesso ad altri farmaci di interesse comune; (iii) sostenuti acquisti congiunti tra diversi Stati membri, su richiesta di questi ultimi, per affrontare le disuguaglianze nella disponibilità e nell’accesso ai medicinali; nonché (iv) esplorate partnership internazionali con paesi o regioni affini, per ampliare la catena di approvvigionamento e ridurre la dipendenza da fornitori unici. Infine, la Commissione provvederà a fornire linee guida sugli aiuti di Stato per aiutare gli Stati membri a sostenere finanziariamente questi progetti strategici. Per queste informazioni si veda quanto disponibile all’indirizzo https://health.ec.europa.eu/document/download/2abe4fc8-059e-47d9-a20a-d9e3bfc5dc2c_en?filename=mp_com2025_102_act_en.pdf
[39] Comunicazione, pp. 13-16.
[40] Si veda sul punto la Comunicazione Congiunta al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo e al Consiglio sulla Strategia Europea per la Sicurezza Economica, Bruxelles, 20.6.2023, JOIN(2023) 20 final, disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX%3A52023JC0020.
[41] AggregateEU è un meccanismo istituito dalla Commissione Europea nell’aprile 2023 per aggregare la domanda di gas naturale da parte delle imprese dell’UE e dei Paesi della Comunità dell’Energia, facilitando così acquisti congiunti e coordinati a livello europeo. L’obiettivo principale è garantire forniture sufficienti e diversificate di gas, ridurre la volatilità dei prezzi e aumentare la prevedibilità, sfruttando il peso collettivo del mercato europeo. Il funzionamento di AggregateEU prevede che le aziende partecipanti comunichino il proprio fabbisogno di gas, che viene poi aggregato e messo a gara sul mercato internazionale. Successivamente, le aziende possono concludere contratti di acquisto con i fornitori di gas, sia individualmente che congiuntamente. Questo approccio è particolarmente vantaggioso per le imprese più piccole o per quelle situate in paesi senza sbocchi sul mare, che potrebbero avere meno accesso diretto ai fornitori globali. Per ulteriori dettagli si vedano le informazioni disponibili all’indirizzo https://energy.ec.europa.eu/topics/energy-security/eu-energy-platform/aggregateeu_en.
[42] Comunicazione, p. 14.
[43] Sul tema si legga quanto disponibile a questo indirizzo: https://commission.europa.eu/document/download/e6d5db69-e0ab-4bec-9dc0-3867b4373019_en?filename=White%20paper%20for%20European%20defence%20%E2%80%93%20Readiness%202030.pdf
[44] Di nuovo, le informazioni relative a questo tema sono disponibili al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/api/files/document/print/en/ip_25_856/IP_25_856_EN.pdf
[45] Comunicazione, pp. 15-16.
[46] Comunicazione, pp. 18-19.
[47] Ibidem, pp. 22-23.
[48] Ibidem, pp. 16-18.
[49] Ibidem, p. 17.
[50] Ad esempio, partendo dal quadro per le autorizzazioni nel settore delle energie rinnovabili e dal Net Zero Industry Act, la proposta di Decarbonisation Accelerator Act estenderà le procedure accelerate anche ad altri settori in transizione (ad esempio, quelli ad alta intensità energetica). Si vedano, al riguardo, le informazioni disponibili agli indirizzi https://single-market-economy.ec.europa.eu/industry/sustainability/net-zero-industry-act_en e https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/14505-Industrial-Decarbonisation-Accelerator-Act-speeding-up-decarbonisation_en.
[51] Le procedure relative agli IPCEI (Progetti Importanti di Interesse Comune Europeo) e alle infrastrutture energetiche di Interesse Comune saranno semplificate e accelerate. A seguito della proposta di revisione del quadro farmaceutico dell’UE per accelerare le autorizzazioni e semplificare i processi regolatori, la Commissione sta preparando misure attuative a breve termine per ridurre gli oneri e semplificare il settore dei dispositivi medici. Inoltre, sarà presentato quest’anno un pacchetto di semplificazioni sostanziali per ridurre concretamente gli oneri a carico degli agricoltori e offrire loro un sollievo operativo.
[52] Comunicazione, p. 18.
[53] Ibidem.
[54] Questo pacchetto omnibus include: (a) una proposta di direttiva che modifica la CSRD e la CSDDD; (b) una proposta che posticipa l’applicazione dei requisiti di rendicontazione della CSRD per le aziende che devono rendicontare nel 2026 e 2027 (onde 2 e 3) e che rinvia la scadenza di attuazione della CSDDD al 2028; (c) una bozza di atto delegato che modifica le comunicazioni della tassonomia e gli atti delegati sul clima e l’ambiente, in consultazione pubblica; e (d) delle proposte di regolamento per modificare il CBAM e il regolamento InvestEu. Cfr. sul punto quanto si legge all’indirizzo https://commission.europa.eu/publications/omnibus-i_en, dove sono disponibili tutti i documenti qui menzionati.
[55] Per garantire parità di condizioni nel Mercato Unico, nonché per contrastare la frammentazione e il cosiddetto gold plating, la Commissione perseguirà un approccio deciso verso una piena armonizzazione e una rigorosa attuazione. Oltre al lavoro sulla semplificazione della conservazione dei dati nell’ambito del GDPR, la Commissione continuerà a lavorare per un’applicazione più armonizzata ed efficace.
[56] Comunicazione, p. 21.
[57] Comunicazione, p. 17.
[58] Ad esempio, la Commissione si dice intenzionata a procedere in questo senso con riguardo al settore della chimica. Nel corso dell’anno e per tutta la durata del mandato, la Commissione continuerà a presentare misure di semplificazione, basandosi sul dialogo con le parti interessate. La revisione del regolamento REACH riguarderà l’acquis esistente e nuove iniziative in materia di sostanze chimiche, apportando una reale semplificazione concreta e garantendo decisioni più rapide sui pericoli importanti, oltre a sostenere la sostenibilità, la competitività, la sicurezza e la protezione.