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Jus poenitendi e servizi di investimento (a margine di Cass. 3 aprile 2014 n. 7776)

18 Giugno 2014

Gioacchino La Rocca

Sommario (*): 1. Dalla “vendita porta a porta” all’art. 56 quater – 2. Attività sollecitatoria e servizi di investimento – 3. Attività sollecitatoria e mercato finanziario – 4. La parola “collocamento” e l’art. 12 prel. – 5. Lo jus poenitendi quale “istituto regressivo” – 6. Il fondamento sistematico dello Jus poenitendi – 7. Jus poenitendi ed empowerment del consumatore – 8. Cassazione Vs. legislatore “del fare”

 

1. – Dal 1974 la “vendita porta a porta” di prodotti finanziari costituisce un tema controverso. Si tratta di una tecnica di vendita, tanto efficace, quanto guardata con sospetto per i condizionamenti esercitati sull’acquirente. L’art. 30 TUF è intervenuto severamente: oltre ad assegnare al risparmiatore un diritto di recesso, anzi uno jus poenitendi (di seguito j.p.), sanziona con la nullità del contratto il mancato inserimento di un espresso richiamo a tale diritto di recesso nei “moduli o formulari” dei “contratti di collocamento”.

L’art. 30, peraltro, presenta – per quanto qui interessa – un profilo di incertezza. Dal comma 6 si ricava che il recesso riguarda i “contratti di collocamento” e con ciò apre la via a due interpretazioni: una, più restrittiva, fa leva sulla nozione di “collocamento” delineata dall’art.1, comma 5, lett. c) e c-bis); in questa prospettiva la disciplina dell’offerta fuori sede si applicherebbe solo nell’ipotesi in cui l’intermediario svolga su incarico di un emittente attività di promozione e vendita di prodotti finanziari in fase di emissione. Una seconda prospettazione vuole, invece, che per “contratto di collocamento” debba intendersi qualsiasi contratto con il quale il risparmiatore acquisisce strumenti finanziari.

Dopo anni di incertezze le Sezioni Unite si sono espresse per questa seconda lettura (sent. 13905/2013). L’art. 30 tuf è stato modificato con l’art. 56 quater d.l. “del fare” nel tentativo di circoscrivere gli effetti della decisione delle sezioni unite. Dopo il secondo periodo dell’art. 30(6) sono state aggiunte le seguenti parole: «Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettera a)».

La dottrina si è immediatamente divisa. A taluno – pur nell’incertezza sulla natura interpretativa o meno della disposizione (1) – è sembrato che il legislatore abbia ristabilito una sorta di naturale catallassi del mercato in ipotesi turbata dalle sezioni unite: sotto questo profilo si è osservato che il carattere sollecitatorio, ravvisato nella negoziazione per conto proprio (2), ne avrebbe giustificato l’assimilazione al “servizio di collocamento” quanto all’applicazione della j.p. Altri, invece, ha sostenuto la sostanziale irrilevanza della novella ai fini della determinazione dell’ampiezza dello j.p.(3): questa seconda tesi è stata fatta propria da Cass. 3 aprile 2014 n. 7776.

Questo rincorrersi tra giurisprudenza e legislatore evidenzia la gravità e l’interesse del tema con conseguente opportunità di un suo ulteriore approfondimento.

2. – L’indagine può prendere le mosse dall’asserito collegamento tra attività sollecitatoria da un lato e servizi di collocamento e di negoziazione per conto proprio dall’altro lato, che sembra in qualche modo ispirare l’art. 56 quater.

La restrizione dell’attività sollecitatoria dell’intermediario solo al servizio di collocamento e al servizio di negoziazione per conto proprio è contraddetta da più dati normativi.

Il primo è il considerando n. 82, dir. 2006/73, dal quale si evince che la prestazione di ogni servizio di investimento – caratterizzata dalla formalizzazione dei relativi atti e contratti – è preceduta da “atti … preparatori”, che “devono essere considerati come parte integrante di [quel] servizio o attività” con conseguente assoggettamento alla relativa disciplina. In particolare, prosegue il considerando, “tra tali atti preparatori rientra la prestazione di consulenza generica” (4). Alla stregua del considerando n. 81, dir. Cit., quest’ultima consiste nel presentare ad un cliente un “tipo di strumento finanziario” (5) come “adatto per tale cliente, considerate le sue particolari caratteristiche”. Orbene, tale “presentazione”, che – mette conto ricordarlo – accede a “qualsiasi servizio o attività di investimento” (v. ancora considerando n. 82), ha un’evidente contenuto sollecitatorio, dal momento che è finalizzata a persuadere il cliente che il “tipo di strumento finanziario” oggetto della “presentazione” medesima è adatto a lui (così letteralmente il considerando n. 81), in modo da incentivare il cliente stesso ad impartire il conseguente ordine (6).

La situazione che così si determina – e che invera l’inciso del considerando n. 2, dir. 2004/39, circa la “sempre maggiore dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni personalizzate” – è sintetizzata dal considerando n. 5, dir. Cit., dove si accenna ad “un regime organico che disciplini l’esecuzione delle operazioni su strumenti finanziari, indipendentemente dai metodi di negoziazione utilizzati, in modo da garantire una elevata qualità nell’esecuzione delle operazioni degli investitori”.

L’attenzione va focalizzata sull’inciso “indipendentemente dai metodi di negoziazione utilizzati”: esso pone in luce che l’ordine sollecitato al cliente nell’ambito dell’attività prodromica ad ogni servizio di investimento cui si è fatto cenno prima, potrà in concreto eseguirsi in contropartita diretta (negoziazione per conto proprio, da parte di chi si propone come market maker), o attraverso il servizio di esecuzione ordini, ovvero trasmettendo ad altri l’ordine medesimo perché abbia esecuzione. Questa diversificata operatività è facilitata da software in grado di individuare in ogni istante le più convenienti modalità di esecuzione dell’ordine, che potrà essere così eseguito dalla banca indifferentemente in contropartita oppure no.

Ne segue che non possono trarsi argomenti di natura sistematica da una presunta corrispondenza biunivoca tra attività sollecitatoria e negoziazione per conto proprio: invero, la prima si riscontra in ogni servizio di investimento (v. considerando n. 82) e la seconda sempre più spesso si configura come una modalità di esecuzione di un ordine del cliente alternativa ad altre.

Proprio l’aspetto appena evidenziato conferma le conclusioni attinte in altra sede circa la necessità ex art. 3 Cost. di estendere l’applicazione dello j.p. ai servizi di esecuzione e ricezione ordini (7): questi sono sostanzialmente equivalenti alla negoziazione in quanto modalità operative alternative per l’esecuzione della decisione di investimento, che rappresenta il cuore della tutela.

3. – Sarebbe ingannevole ritenere che la presenza di un’attività sollecitatoria in ogni servizio di investimento sia un dato puramente formale, ricavabile più o meno agevolmente dalla giustapposizione di riferimenti legislativi. In realtà tali riferimenti non fanno che riflettere un dato sostanziale.

Investimento finanziario e atto di consumo sono equiparabili con cautela e sotto profili ben definiti (8). Per quanto qui rileva, deve precisarsi che, a differenza dell’atto di consumo, le “forme di investimento finanziario” né rispondono ad un bisogno primario di sopravvivenza, né evidenziano status e “stili di vita” (9), né definiscono “esperienze integrali a livello sensoriale ed emotivo” (10). A questi fini sono funzionali beni materiali, per i quali esperienze elementari, mercato – che ormai si declina anche in blog e forum – mezzi di comunicazione di massa producono informazioni sufficienti a dirigere il consumatore all’acquisto. Di contro, le “forme di investimento finanziario” sono talmente varie e complesse –di tale complessità vi è ampia eco nella riforma del diritto societario del 2003 (11) – che il mercato, sia primario, sia secondario, non è in grado di produrre autonomamente informazioni utilmente fruibili dal normale cliente, di guisa che quest’ultimo non ha idee – diverse forse dal deposito bancario – su come investire il proprio risparmio. Più chiaramente, complessità dei prodotti finanziari e struttura del mercato finanziario hanno impedito che si assistesse a quell’empowerment del cliente realizzatosi, o forse solo in corso realizzazione, nel mercato dei beni di consumo (12).

Di qui l’importanza della “presentazione” di prodotti ai clienti da parte degli intermediari, cui si è accennato in § 2. Tale presentazione, che non è potenzialmente priva di margini di efficienza a causa dell’accennata assenza di fonti alternative di informazione, non è fine a sé stessa, non è neutra, ma è inevitabilmente finalizzata ad orientare il cliente all’acquisto di un dato strumento finanziario in luogo di un altro.

Questa situazione, che riflette l’intrinseca diversità dei beni negoziati nel mercato finanziario rispetto ai beni di consumo e sulla quale la legge interviene imponendo agli intermediari di “servire al meglio gli interessi dei clienti” (13), rende ragione del carattere fondamentalmente fuorviante delle dispute sull’asserita limitazione dell’attività sollecitatoria a questo o a quel servizio di investimento, con conseguente irrilevanza delle dispute stesse.

4. – Dalle pagine precedenti affiora un preciso segnale: solo a prima vista il confronto tra le due interpretazioni ricordate in apertura è riducibile al significato della parola “collocamento”. La tesi restrittiva assume che l’art. 30(6) e l’art. 15 utilizzino la parola “collocamento” con lo stesso significato (14); di contro, per la recente cassazione nell’art. 30(6) “collocamento” avrebbe un significato coincidente con quello del comma 1.

Ciò ha esposto la Corte ad accuse di mancato rispetto dell’art. 12 prel.

È un’accusa ingiustificata. Quanti affrontano il tema avvertono l’esigenza di precisare se con la parola “collocamento” si riferiscono al servizio di collocamento (art. 15), o all’offerta fuori sede di prodotti finanziari (art. 30(1)) (15). Ne segue che i teorici dell’interpretazione non definirebbero “collocamento” parola “vera per definizione”, ma “vaga”, ossia suscettibile di avere una pluralità di significati (16). Questa è una caratteristica di tutte le parole della quale tiene conto l’art. 12 prel, che infatti avverte che “il significato proprio delle parole” presenti negli enunciati normativi non è necessariamente univoco e l’interprete deve scegliere quello “fatto palese … dalla connessione di esse”. Dunque, lo stesso art. 12, benché imponga l’adozione del criterio letterale (17), ammette che il significato delle parole possa variare a seconda del contesto in cui sono inserite.

Ne segue che la soluzione del problema interpretativo posta dall’art. 30(6) non può essere ancorata ad un presunto significato univoco ed assoluto della parola “collocamento”, che non esiste. Alla stregua dell’art. 12 prel. deve prendersi atto che “collocamento” è suscettibile di assumere legittimamente significati diversi a seconda che sia connessa alle parole “servizio di …”, piuttosto che alle parole “promozione e… presso il pubblico di strumenti finanziari”, o alle parole “contratti di … conclusi fuori sede”. Peraltro, è ingenuo pensare che il problema possa risolversi in una sorta di ordalia tra le varie opzioni: occorre piuttosto riflettere sullo j.p. e sui suoi presupposti sistematici, che sono collegati, come si vedrà, con i temi di fondo del mercato e della sua regolazione.

5. – Questa prospettiva di indagine è confermata dal contributo che costituisce l’archetipo della tesi restrittiva (18). Esso è fondato non su argomenti esegetici, ma sistematici. Secondo questa analisi lo j.p. sarebbe istituto eccezionale rispetto alla normale impegnatività del contratto o della proposta contrattuale, con la conseguenza che sarebbe necessariamente soggetto ad un’interpretazione restrittiva, la quale ne disvelerebbe la natura di “istituto regressivo”, anzi “un relitto ed un intralcio all’ordinato svolgimento delle operazioni di investimento”. Tale conclusione sarebbe avvalorata dal fatto che la tutela dell’investitore sarebbe assicurata dal complessivo quadro regolamentare nel quale intermediari e promotori finanziari debbono svolgere la loro attività (19).

Questa visione non è affatto isolata. Essa risponde all’idea secondo la quale l’atto inserito funzionalmente nell’attività di imprese soggette a vigilanza regolamentare rinviene nell’attività stessa la sua disciplina, che include anche la tutela dei clienti delle imprese stesse. Questo approccio – sperimentato per i contratti bancari (20) – è stato riproposto per il mercato mobiliare sul presupposto che gli atti tra intermediario e clienti non sono isolati, ma hanno luogo all’interno di un’organizzazione di mercato scandita da una regolamentazione pervasiva, estesa agli operatori (gli intermediari), alle operazioni (i servizi di investimento) e ai modelli di investimento (strumenti finanziari). L’investitore, la singola operazione di investimento, in questo quadro, sono parte di un contesto globale, attento, più che al singolo investimento, allo “investimento della ricchezza globalmente intesa”, che è governato da un complesso normativo “eversivo di convinzioni diffuse” dove “la soggezione ad esigenze globalizzanti comprime inesorabilmente, quasi emarginandola, la rilevanza giuridica del particolare” (21).

6. – Sono argomenti che pongono in luce tutta la fragilità sistematica della testi restrittiva.

In primo luogo è di dubbia utilità il rilievo secondo cui lo j.p. sarebbe istituto eccezionale rispetto agli artt. 1372, 1373 c.c. e alle altre norme codicistiche che prevedono un recesso di pentimento: si tratta di temi assolutamente non comparabili, dal momento che lo j.p. è una risposta ad un dato economico-sociale di scarso rilievo in passato e consistente in una tecnica di vendita giudicata invasiva degli spazi privati e pertanto guardata con sospetto dall’ordinamento comunitario (22). Ne segue che ogni rapporto di regola e eccezione con il codice è inappropriato. Questa conclusione è condivisa in dottrina da quando – preso atto dell’irriducibilità dello j.p. ai tradizionali schemi codicistici – si è dibattuto se tale specificità dello j.p. autorizzasse l’ipotesi di un tipo contrattuale ad hoc (23).

Lo j.p., in altre parole, è uno degli istituti sui quali si è consumata la frattura – tanto massivamente indagata dalla dottrina civilistica (24) da non potersi più giustificatamente ignorare – tra le logiche tradizionali del diritto civile e le spinte provenienti dall’odierna realtà sociale, cui cerca di rispondere il legislatore comunitario.

L’approfondimento dello j.p. deve, dunque, avvenire alla stregua dell’ordinamento comunitario, non già per spillare la singola regoletta, ma per trarne indicazioni sistematiche che orientino l’interprete. Secondo la dir. 2011/83 il cliente che conclude un contratto “fuori sede” “può essere sottoposto ad una potenziale pressione psicologica o può trovarsi di fronte ad un elemento di sorpresa indipendentemente dal fatto che abbia richiesto o meno la visita del professionista” (considerando n. 21 e 37)(25). Fin dalla dir. 85/577 fu avvertito che in questi casi a pressione psicologica e sorpresa si aggiunge l’assenza della “possibilità di confrontare la qualità e il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte” (considerando n. 7, dir. 85/577).

La conclusione che può trarsi dalle indicazioni offerte dalla legislazione comunitaria, è netta e conferma un dato implicito nell’accostamento dell’offerta fuori sede alle pratiche aggressive: l’offerta fuori sede impedisce il confronto con altre offerte e quindi comprime la “libertà di scelta dei consumatori” (considerando n. 3, dir. 2002/65) perché esclude per il consumatore la “possibilità di confrontare la qualità e il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte” (considerando n. 7, dir. 85/577).

Tutto ciò inquadra lo j.p. nella luce che gli è propria: nell’ordinamento comunitario lo j.p. presidia la “libertà di scelta dei consumatori … loro diritto essenziale”. Questa stretta connessione con la libertà di scelta costituisce il fondamento sistematico dello j.p.. Ne segue che ulteriori passi per la comprensione dello j.p. non possono prescindere da qualche riflessione su questa “libertà di scelta”, con la quale lo j.p. è per più versi avviluppato.

Non sarebbe errato collegare l’attenzione comunitaria a tale libertà con i postulati del tradizionale diritto contrattuale: quando la Seconda Scolastica indagò il fondamento etico che rendeva impegnativi gli atti di disposizione sulle res externas, concluse che il potere di disposizione derivasse “per intellectum et voluntatem, quia per haec homo immediate habet potestatem in suos actos” (26). Saranno successivamente Leibniz, Grozio, Kant a sottolineare come intellectus e voluntas, propri di ciascun essere ragionevole, sono gli immancabili presupposti tanto della libertà di scelta, quanto del vincolo e della responsabilità conseguenti all’esercizio di tale libertà. Non sarebbe, dunque, un fuor d’opera individuare nella tradizione europea del diritto contrattuale i fondamenti culturali di quella “decisione con cognizione di causa” ricorrente nel diritto europeo dei servizi di investimento (art. 19 dir. 2004/39; considerando n. 21, dir. 2002/65).

Una tale prospettiva sarebbe, tuttavia, insufficiente.

Invero, un’attenta riflessione sulla libertà di scelta proietta lo scambio da una dimensione sostanzialmente astratta, inevitabilmente piegata su qualità e presupposti della volontà del soggetto, in una dimensione pratica, sensibile al mercato e all’efficacia concreta dello scambio medesimo. Da quasi un secolo vi è consapevolezza che nella concretezza della vita umana “libertà” significa possibilità di soddisfare i propri bisogni ed aspirazioni scegliendo i beni ritenuti maggiormente idonei a tal fine. Sennonché – si è aggiunto (27) – tale scelta esiste e in concreto ha luogo non tra tutte le alternative teoricamente possibili e neppure tra tutte le alternative esistenti sul mercato, ma solo tra le opzioni in concreto accessibili per il soggetto nel momento in cui compie la scelta.

Il riferimento alla “decisione con cognizione di causa” (art. 19 Mifid) deve dunque essere integrato: la “cognizione di causa” non è solo frutto di informazioni. Essa sussiste se vi è una concreta possibilità di scelta, che quindi è postulata quale requisito di fatto della “cognizione di causa”.

Si delinea a questo punto un profilo di singolare importanza, utile per una migliore comprensione dello j.p.: nell’offerta fuori sede si presume reciso il rapporto tra il consumatore e le possibili alternative concrete al prodotto offerto fuori sede: nel momento in cui il consumatore è investito da proposte commerciali che lo colgono impreparato, lo “sorprendono”, egli non ha la concreta possibilità, non solo e non tanto di riflettere sull’acquisto proposto, ma anche e soprattutto di prendere in esame opportunità alternative. In questa situazione viene meno il rapporto tra consumatore e mercato a causa della pressione psicologica esercitata sul consumatore stesso. Dunque, lo j.p., lungi dal contrapporsi ad un apodittico “ordinato svolgersi del mercato”, è strumento dell’ordine pubblico economico (28), in quanto è volto a ricomporre la possibilità di scelte alternative e a ripristinare così quella “efficacia allocativa in senso dinamico”, nella quale la più recente ed avvertita dottrina antitrust intravede la funzione del mercato quale congegno economico sociale per la soddisfazione del maggior numero possibile di bisogni umani (29).

7. – E’ evidente, a questo punto, quanto la tesi restrittiva sia lontana dal quadro comunitario: lungi dall’essere “istituto regressivo”, “relitto”, “intralcio” ad un imprecisato “ordinato svolgimento del mercato” al j.p. è stato confermato il ruolo di presidio della “libertà di scelta” che è requisito fondamentale di un mercato concorrenziale. Per questo motivo la Corte di Giustizia UE – al pari della cassazione italiana – persegue una politica di interpretazione estensiva dei contratti assoggettabili a recesso (30).

Non solo: nel precedente paragrafo è stata sottolineata la sostanziale consonanza della liberta di scelta con la “decisione con cognizione di causa” cui l’apparato normativo comunitario condiziona un efficace investimento.

Ed ancora: lo j.p. – diritto potestativo assegnato alla discrezionalità del cliente(31) – segnala che nel quadro comunitario la tutela del risparmiatore non è dissolta nella disciplina degli intermediari e dei promotori, o nella vigilanza delle authorities, di cui peraltro troppe volte si è denunciato, per i primi, il devastante conflitto di interessi con gli investitori, e per le seconde la cattura ad opera dei soggetti regolati. Nella fattispecie, protagonista della tutela della libertà di scelta del risparmiatore è il risparmiatore stesso, cui è personalmente assegnato lo j.p. e che per tale via vede confermata la sua posizione al centro del mercato, recuperando così una centralità dell’individuo nel sistema che appare singolarmente coerente con recenti visioni della società postmoderna, nella quale – si è osservato (32) – l’individuo consumatore non sopporta più pratiche di vendita invasive degli spazi di libertà.

In altre parole, il quadro comunitario respinge l’illusione di un cliente tutelato dall’“ordinato svolgersi del mercato”, perché il mercato non è il fine in sé, ma è solo uno strumento utile alla migliore soddisfazione dei bisogni della persona, che è – essa sì – al centro sia dell’azione della Repubblica, sia delle politiche dell’Unione Europea (33).

Queste conclusioni non mutano a seguito del condivisibile rilievo secondo il quale nella disciplina del mercato finanziario il soggetto tutelato (“cliente al dettaglio”) non coincide col “consumatore” (34). Non per questo, infatti, viene meno la necessità della “scelta consapevole” di chi acquista “posizioni di rischio” da un intermediario, i cui obblighi sono tarati – mette conto rammentare – non già su un astratto “investitore medio” (35, ma sulla concreta controparte contrattuale dell’intermediario medesimo, e la condizione soggettiva di tale controparte è giuridicamente rilevante in quanto costituisce il parametro per la c.d. “graduazione della tutela” (36).

Non solo. Il favore per l’estensione dello j.p. non muta anche a voler tener conto della ritenuta minore rilevanza della libertà di scelta nel mercato finanziario in favore di un prevalente interesse dei risparmiatori per un investimento non rischioso (37). Lo j.p. infatti è utile anche sotto tale profilo perché consente all’investitore un (limitato) monitoraggio sulla volatilità dei titoli e dunque sulla rischiosità dell’investimento proposto (38).

8. – A questo punto, divengono evidenti le diverse dinamiche che animano, da un lato, la recente giurisprudenza della cassazione, e dall’altro lato il maldestro legislatore “del fare”.

Se si presta attenzione agli interessi sostanziali oggettivamente privilegiati, si deve prendere atto che la prima si muove a favore del “diritto essenziale” consistente nella “libertà di scelta dei consumatori”: nelle pagine precedenti si è, accertato che lo j.p. rinviene il proprio fondamento ultimo nella salvaguardia di tale libertà. In questa prospettiva la Cassazione del 2013 e del 2014 si è mossa con coerenza, intercettando anche istanze presenti e vive nella società odierna (§ 7), dal momento che ha assegnato allo j.p. lo stesso perimetro riconosciuto dall’art. 30(1) tuf all’offerta fuori sede, cui d’altra parte lo stesso j.p. è indissolubilmente connesso sul piano sistematico e funzionale.

L’elemento sostanziale e giuridico che ha consentito, anzi imposto, alla cassazione di estendere lo j.p. all’intera offerta fuori sede, è costituito dalla figura della “decisione di investimento”, quale atto con il quale il risparmiatore comunque dispone del suo risparmio. Questa figura – la decisione di investimento – che, sulla scorta di intuizioni ormai risalenti (39), ben si presterebbe a costituire materia per una rinnovata dogmatica del negozio giuridico, si riscontra in tutti i servizi di investimento che sfociano nell’acquisizione di prodotti/strumenti finanziari da parte del cliente, ivi compresa la gestione individuale. In proposito mette conto sottolineare sul piano testuale che le parole “gestione di portafogli individuali” (art. 30(6) tuf) sono connesse alla parola “contratti” presente nella disposizione e non al “servizio”, che non è ivi menzionato (40).

Di contro, il legislatore “del fare” si è mosso in controtendenza rispetto al mainstream del mercato concorrenziale, così da confermare il rilievo di un importante osservatore della società contemporanea: “basta entrare in una banca, sottoscrivere un contratto assicurativo, avere rapporti con i grandi cartelli oligopolistici per essere certi di imbattersi in trappole nemmeno troppo dissimulate, di cui solo il legislatore sembra non accorgersi” (41).

 

(*) Questo scritto, sia pure con qualche variazione non significativa, è pubblicato a stampa negli Studi in onore del Prof. Iudica.

1 Per l’affermativa v. ad es. Della Vecchia, Il diritto di recesso del cliente ex art. 30 tuf: l’interpretazione delle sezioni unite ed il successivo intervento legislativo, in Società, 2014, 41; Guffanti, La nuova disciplina del diritto di ripensamento: problematiche applicative nella negoziazione in conto proprio, in Società, 2014, 174; per la negativa Luccarelli, Il valzer dello jus poenitendi, in www.Fchub.it, 6. Sui problemi posti dalle leggi di interpretazione autentica v. almeno Corte Cost. 17 dicembre 2013, n. 308, in Foro it., 2014, I, 691, che ha giudicato incostituzionale una legge della Regione Sardegna intervenuta anch’essa a “ristabilire l’ordine turbato” da una sentenza del Consiglio di Stato; le leggi di interpretazione autentica volte a indirizzare la soluzione di processi in corso, come l’art. 56 quater, sono state ritenute lesive dell’art. 6 CEDU – analogo all’art. 47 Carta dei diritti fondamentali UE, avente il valore giuridico apicale dei trattati UE (art. 6 TUE) – dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (es. sent. 14 febbraio 2012, in Foro it., Rep. 2012, Diritti politici e civili, n. 166; 7 giugno 2011, in Foro it., 2013, IV, 1; 31 maggio 2011, Foro it., Rep. 2011, voce cit., n. 177). In conclusione l’art. 56 quater non è norma di interpretazione autentica, ma un pasticcio tecnico controproducente per chi lo ha ispirato.

2 Carozzi, Schiavelli, Il contratto di “collocamento” fuori sede di strumenti finanziari e di servizi di investimento, in G. Gabrielli, R. Lener, I contratti del mercato finanziario2, Assago, 2011, II, 1166.

3 La Rocca, L’offerta fuori sede di strumenti finanziari in Cassazione e l’art. 56 quater d.l. “del fare”, in www.ilcaso.it.

4 Sulla relativa querelle possono consultarsi La Rocca, Appunti sul contratto relativo alla prestazione del servizio di “consulenza in materia di investimenti”, in Contratto e impresa, 2009, 330 ss.; Parrella, Il contratto di consulenza finanziaria, in Gabrielli, Lener (cur.), op. cit., II, 1021 ss.

5 L’interpretazione di questo sintagma è controversa. Esso è contrapposta a “una o più operazioni relative a strumenti finanziari”, o a “un determinato strumento finanziario” (artt. 4 dir. 2004/39; 52 dir. 2006/73), per argomentare che solo in queste ultime si fa riferimento agli strumenti finanziari che costituiscono oggetto specifico dell’investimento del cliente. Solo in questo caso – si aggiunge – vi sarebbe una “raccomandazione personalizzata” con quel che ne segue in termini di obblighi informativi e di valutazione dell’adeguatezza. Tali questioni, invece, non si porrebbero se le disposizioni parlano di “tipo di strumento finanziario” perché in questi casi informazioni e valutazioni sarebbero circoscritte al “tipo”, alla “famiglia” cui sarebbe di volta in volta riconducibile lo strumento finanziario (M. Cian, L’informazione nella prestazione dei servizi di investimento, in I contratti del mercato finanziario, cit., 219 s.; Parrella, op. cit., 1033). La questione non può essere affrontata con lo spazio che meriterebbe. È possibile solo osservare che le operazioni ermeneutiche in esame – volte ad introdurre significative differenze di disciplina a seconda che la legge parli di “tipo di strumento finanziario” ovvero di “un determinato strumento finanziario” – hanno un qualche senso solo se si assegna particolare pregnanza tecnico-giuridica al termine “tipo”, contenuto nelle riportate disposizioni, malgrado i dubbi sulla perdurante utilità dogmatica della categoria: v.ad es. Alpa, La causa ed il tipo, in Gabrielli (cur.), I contratti in generale, Assago, 2006, I, 539 ss., spec. 574 ss.; Perlingieri, Nuovi profili del contratto, in Di MARZIO (cur.), Il nuovo diritto dei contratti. Problemi e prospettive, Milano, 2004, 455 ss., 457 e 465; Zoppini, Autonomia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in 20 anni di antitrust, cit., 1095 ss.

6 Una conferma dell’operatività cui si accenna nel testo può trarsi dal considerando n. 3, dir. 2003/125, che fa riferimento a “consigli di investimento per mezzo di raccomandazioni personali”, anche “informali”, “fornite ai clienti in merito a una o più operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari”.

7 V. ancora La Rocca, L’offerta fuori sede, cit., 12 ss.

8 Meo, Consumatori, mercato finanziario e impresa: pratiche scorrette e ordine giuridico del mercato, in Giur. Comm., 2010, I, 720 ss.; La Rocca, Autonomia privata e mercato dei capitali. La nozione civilistica di strumento finanziario2, Torino, 2009, 140 ss., 260 ss.

9 Per riferimenti sassatelli, Consumo, cultura e società, Bologna, 2004; Secondulfo, Sociologia del consumo e della cultura materiale, Milano, 2012, 23 ss.; v. già Commons, I fondamenti giuridici del capitalismo (1924), tr. It.. Bologna, 1981, 90 ss.

10 Le definizioni di consumo e di consumatore sono storicamente determinate (Fabris, La società post crescita. Consumi e stili di vita, Milano, 2010, 13): nel testo è riportata la nozione di Visconti, Identità e mediterraneità: l’alternanza culturale come terza via tra anoressia e bulimia identitaria, in Carù, Cova, Marketing mediterraneo, Milano, 2006.

11 Riferimenti in La Rocca, Lo “strumento finanziario in Cassazione, Foro it., 2012, I, 2430.

12 Fabris, Societing. Il marketing della società postmoderna, Milano, 2008, 51.

13 Riferimenti in La Rocca, L’obbligo di servire al meglio gli interessi dei clienti in cassazione, in Foro it., 2013, I, 321; Lener, Lucantoni, Regole di condotta nella negoziazione di strumenti finanziari complessi, in B.b.t.c., 2012, I, 369.

14 Cfr. Cass. 22 marzo 2012 n. 4564, in www.ilcaso.it; riferimenti ulteriori in Bersani, La responsabilità degli intermediari finanziari, Milano, 2008, 51 ss.

15 v. ad es. Guffanti, Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede, in Società, 2012, 784 e 786; ABI in http://web.iusletter.com/~admin/iuslettersito/abi_.pdf; D’auria, Recesso e nullità nei contratti di investimento tra regole di settore e principi, in Giur. It, 2014, 841; Parrella, Commento art. 30, in Fratini, Gasparri (cur.), Il testo unico della finanza, Assago, 2012, I, 489 e 496.

16 v. almeno Barberis, Manuale di filosofia del diritto, Torino, 2011, 53 ss., 72 ss.; Luzzati, La vaghezza delle norme. Un’analisi del linguaggio giuridico, Milano, 1990.

17 La cui problematicità dovrebbe indurre ad invocarlo con cautela: v. almeno Velluzzi, Commento artt. 12 – 14 prel., in Barba, Pagliantini (cur.), Commentario c.c., I, Milano, 2012, 237 ss.; Poggi, Contesto e significato letterale, in Analisi e diritto, 2006, 169 ss.; Pastore, La funzione dell’interpretazione letterale, in Ann.Univ.Ferrara – Sc.giur., 2002, 37 ss.

18 Carbonetti, Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, in B.b.t.c., 2001, I, 770 ss.

19 Su questa linea Luccarelli, cit.; Tofanelli, Tu chiamala se vuoi nomofilachia, in www.FCHub.it.

Sulla natura sostanzialmente mistificatoria della tesi secondo la quale l’interesse dei consumatori concorrerebbe con quello delle imprese a comporre un “benessere complessivo” (una sintesi di questa nozione può leggersi in Cseres, Competition law and consumer protection, Netherlands, 2005, 21 s.) v. Denozza, Il progetto teorico dell’analisi economica del diritto antitrust ed il suo fallimento, in Rabitti Bedogni, Barucci (cur.), 20 anni di antitrust. L’evoluzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Torino, 2010, I, 137 ss.

20 Libonati, Contratto bancario e attività bancaria, Milano, 1965, 113 ss.

21 Libonati, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, 138 ss., 142. Echi di questo orientamento in Meo, cit., anche se con esiti non coincidenti.

22 Per tutti Ricci, I beni di consumo e la disciplina delle vendite aggressive, Bari, 2013. Il collegamento tra vendita fuori dei locali commerciali e pratiche commerciali aggressive (art. 26 cod. consumo) era già nel considerando 4 della dir. 85/577.

23 cfr. Bessone, Busnelli (cur.), La vendita “porta a porta” dei valori mobiliari, Milano, 1992; Roppo, Investimento in valori mobiliari (contratto di), in Contratto e impresa, 1986, 261 ss.; Alpa, Jus poenitendi e acquisto di valori mobiliari, in Alpa (cur.), I valori mobiliari, Padova, 1991, 402 ss. Recentemente v. Grisi, J.p. e tutela del consumatore, in Ricciuto, Zorzi (cur.), Il contratto telematico, Padova, 2002, 163 ss.; Benedetti, Recesso del consumatore, Enc. dir, Annali, IV, Milano, 2007, 956 ss.

24 V. almeno Navarretta (cur.), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Milano, 2007.

25 Per significativi rilievi Sacco, in Sacco, De Nova, Il contratto3, Torino, 2004, I, 488 ss.

26 V. Cappellini, Negozio giuridico (storia), Digesto quarto, sez. civ. XII, Torino, 1995, 95 ss.; Decock, Theologians and Contract Law. The Moral Transformation of the Jus Commune, Leiden – Boston, 2013.

27 Commons, op. cit., 125 s.

28 Alpa, Jus poenitendi, cit., 424; La Rocca, L’offerta fuori sede, cit., 17 ss.

29 v. anche per riferimenti Libertini, la tutela della libertà di scelta dei consumatori e i prodotti finanziari, in http://www.astrid-online.it/Liberalizz/Studi–ric/Il-diritto/index.htm; Id, Concorrenza, Enc. Dir., Annali, III, Milano, 2010, 191 ss. A rafforzare questa conclusione mette conto rammentare che non è mancato chi ha intravisto nello jus poenitendi un paradigma dello status di consumatore coerente con “le logiche del mercato” (grisi, op. cit., 180).

30 Cfr. G. Patti, Prodotti finanziari e contratti con i consumatori. Una recente pronuncia della Corte di Giustizia a confronto con la Securities law americana, in Giur. Comm., 2011, I, 1015 ss.

31 Alpa, op. ult. cit., 424; Grisi, op. cit., 169; Benedetti, op. cit., 976 ss.

32 Fabris, op. ult. Cit., 146.

33 Cons. Lipari, Persona e mercato, in 20 anni di antitrusti, cit, I, 43 ss. Un riscontro a livello normativo può aversi nella soppressione della concorrenza fra gli obiettivi del Trattato UE sul presupposto che la concorrenza (e dunque il mercato) non è un valore in sé, ma merita tutela nella misura in cui sia strumento socialmente utile.

34 Meo, cit.

35 Così sembrerebbe Meo, cit.

36 Sul “principio di graduazione” e sui suoi limiti v. La Rocca, la tutela dell’impresa nella contrattazione in strumenti finanziari derivati, Padova, 2011.

37 V. Libertini, La tutela della libertà di scelta, cit., 12 s.

38 La Rocca, L’offerta fuori sede, cit., 8 s.

39 V.Di Majo, Contratto e negozio. Linee di una vicenda, in Salvi (cur.), Categorie giuridiche e rapporti sociali. Il problema del negozio giuridico, Milano, 1978, 89 ss., spec. 116 ss.; Natoli, In difesa del negozio giuridico, ivi, 262 ss.; Galgano, Teorie e ideologie del negozio giuridico, ivi, 59 ss., 81; Rescigno, Appunti sull’autonomia negoziale, ivi, 120 ss.

40 Per indicazioni v. la nota non firmata (da me redatta) in Foro it, 2012, I, 2430, in particolare sub I; amplius L’offerta fuori sede, cit., 7 ss.

41 Fabris, op. ult. cit., 50. Zingales, Manifesto capitalista. Una rivoluzione liberale contro l’economia corrotta, Milano, 2013, 149 ss., pone in luce il rischio che le pressioni esercitate dalle imprese e dal potere economico-finanziario in genere catturino non solo i regolatori, ma anche i ricercatori e gli intellettuali in genere.

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