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Informazione e trasparenza nei contratti bancari e finanziari tra diritto dei consumatori e nuovo diritto europeo dei servizi bancari e finanziari.

13 Novembre 2014

Oreste Calliano, Cattedra assoc. Jean Monnet di Diritto privato dell’UE, Università di Torino

SOMMARIO: 1. Attualità della ricognizione sui diritti-doveri nei servizi bancari e finanziari; 2. Diritto dei consumatori di beni e diritto degli utilizzatori di servizi bancari e finanziari; 3. L’utilizzatore di sbf come soggetto debole e attore del mercato; 4. Interpretazione comunitaria ed interpretazione comparatistica del diritto dei sbf; 5. Innovazioni in tema di trasparenza dei sbf; 6. Qualche conclusione comparatistica

 

1. Attualità della ricognizione sui diritti-doveri nei servizi bancari e finanziari

Il motto Dictum Meum Pactum, inserito nell’impresa[1] del London Stock Exchange dal 1773, ricorda che l’attività finanziaria è fondata sulla fiducia e questa sulla vincolatività sociale del contratto[2]. E la descrizione fatta dal Garzoni[3] della professionalità de’ mercanti e banchieri “una professione accorta, scaltrita, sottile, ingegnevole, laboriosa, e cui bisogna grandissima memoria, intelletto e cognizione di varie e diverse cose” ci richiama alle asimmetrie culturali tra essi e il semplice “borghigiano”, il che, all’epoca, parificava il mercante-banchiere[4] all’usuraio.

Una ricognizione-decostruzione- ricostruzione[5] dei diritti-doveri[6] dei risparmiatori-utilizzatori di servizi bancari e finanziari (sbf) diventa quindi essenziale allorquando alcuni “cigni neri”[7] hanno catalizzatouna serie di elementidi novità aprendo una nuova fase[8] del consumerismo in Europa.

a) Gli scandali finanziari hanno inviato ai consumatori messaggi tipo “vini al metanolo”[9]: la qualità dei beni e dei servizi ha un costo, occorre evidenziare processi certificativi di qualità controllati e concertati. I consumatori hanno poi cambiato stili di consumo e se le imprese necessitano di recuperarne la fiducia[10], base di scambi efficienti, debbono investire in capitale relazionale[11] (con tutti gli stakeholder compresi i consumatori), in c.d. responsabilità sociale d’impresa[12] e cambiare i paradigmi della loro cultura aziendale.[13]

b) Il diritto dei consumi italiano[14] è nato sulla spinta delle direttive comunitarie degli anni ‘80-’90, è tributario di modelli europei (inglese, francese, tedesco) e si sta evolvendo verso forme di soft law[15] nei settori innovativi (diritto di internet, pratiche commerciali sleali). L’introduzione in Italia nel 2005 del codice del consumo avrebbe potuto/dovuto indurre le imprese ad adeguare le strategie consumer oriented (CRM) verso una implementation dei diritti dei consumatori, anche nell’ottica di acquisire vantaggi competitivi, rispetto ai concorrenti europei.
c) L’enforcement dei diritti dei consumatori richiede una giustizia adeguata ed efficiente, mentre la sempre più aggravata crisi della giustizia italiana[16], la lentezza dei procedimenti civili già emersa nel libro bianco CE sull’accesso alla giustizia dei consumatori in Europa[17] del 2002, evidenziano la discrasia tra Consumer Law in the books e Consumer Law in action.

Dalla necessità di deflazione del contenzioso giudiziario[18], di efficienzadel sistema delle impugnazioni[19], di accesso alla giustizia per i soggetti a basso reddito[20] e’ nata l’esigenza di sviluppare sistemi integrativi di soluzione delle controversie che realizzino una giustizia simpler, quicker. cheaper. La recente, e contestata, quindi migliorabile, introduzione della mediazione: civile e commerciale, transnazionale e di consumo[21], unitamente agli altri organismi negoziali[22] di risoluzione delle controversie di consumo può essere una sfida da non perdere, pena l’ulteriore marginalizzazione dell’economia e del sistema giudiziario italiano[23], e dei suoi “campioni” economici, nel Mercato Unico Europeo.

2. Diritto dei consumatori di beni e diritto degli utilizzatori di servizi bancari e finanziari

Il diritto degli utilizzatori di sbf non ha seguito il trend del diritto dei consumatori di beni. Si tratta infatti di prodotti, e quindi, di mercati diversi[24].

Si parta dalla distinzione sviluppata negli anni ‘70[25] tra seach goods, experience goods ecredence goods, che individua i primi come beni facilmente valutabili e confrontabili[26] (es. beni di largo consumo), i secondi come beni e servizi valutabili dopo l’utilizzazione propria o altrui (es. prodotti cosmetici, servizi turistici),gli ultimi come beni o servizi il cui impatto sul piano dell’utilità è difficile o impossibile da valutare e solo dopo un lungo periodo dall’utilizzazione (es. servizi professionali o sanitari).

Determinante negli experience goods è l’informazione che svolge non solo il ruolo di strumento volto ad agevolare la scelta consapevole, ma anche a far comprendere il contenuto del servizio e dei diritti-doveri dell’utilizzatore.

Essendo l’informazione un bene pubblico caratterizzato da alti costi fissi (di acquisizione) e bassi costi marginali (di diffusione), questi possone essere allocati su:

a) l’utilizzatore (risparmiatore, investitore) su cui graverebbero i costi di tempo, acquisizione delle competenze e della comparazione costi/benefici. Inoltre l’informazione, non essendo diffusa, privilegerebbe i consumatori “ricchi” di tempo e di competenze ed indurrebbe gli altri potenziali utilizzatori o a scegliere in modo non informato, quindi non razionale, privilegiando i prestatori di servizi marginali, o ad optare per l’opzione exit, à la Hirschman[27].

Né gioverebbe rifarsi all’incerta categoria di consumatore medio[28], normalmente informato e ragionevolmente avveduto, che, anche se proclamata a livello comunitario[29], appare una metafora attesa la normale irrazionalità di molti consumatori, in particolare verso il denaro e di avversione al rischio, denunziata dalla psicologia economica[30] nonché una scelta politica non fondata su una effettiva valutazione degli interessi in gioco, spesso contrastanti, tra diverse “tipologie” di consumatori[31].

b) il prestatore di servizi (banca, intermediario finanziario) che ha costi marginali di acquisizione delle informazioni e di loro organizzazione e diffusione minori in quanto li può distribuire sulla platea di utilizzatori di servizi. Vi è però il rischio di una informazione parziale, opaca e non comparabile o troppo tecnica e quindi scarsamente comprensibile.

c) il terzo imparziale (consulente finanziario agenzie di rating) che distribuisce i costi su tutti i prestatori di servizi, ma su cui grava il sospetto di mancata indipendenza e di conflitto di interessi[32].

d) la collettività, essendo l’informazione un bene pubblico[33], rivolto quindi anche agli utilizzazioni potenziali, ai media, e all’opinione pubblica. Essa verrebbe però pagata da tutti i contribuenti e non solo dagli utilizzatori.

E’ evidente che, partendo da questi modelli puri, nei diversi ordinamenti sono state elaborate varie soluzioni che presentano un mix di regole provenienti dal formante legale (direttive comunitarie, leggi nazionali), da quello regolamentare (istruzioni delle Autorità-Banca d’Italia, Antitrust, Consob, CICR), da quello della soft law (codici di condotta e contratti quadro unilaterali e concertati, regole interne dei certificatori) e dal formante giurisprudenziale (comunitario e nazionale).

3. L’utilizzatore di sbf come soggetto debole e attore del mercato

Partendo dalla constatazione che l’aggregazione di soggetti con interessi diversi, e quindi con esigenze di tutela diverse, nell’unica categoria definitoria di “ consumatore”[34] cela il timore, emerso a livello comunitario, di estendere eccessivamente la tutela per un soggetto considerato“ debole”, si può osservare che lo stesso codice del consumo all’art. 39 evidenzia che “le attività commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezionedelle categorie di consumatori”.

Il confronto tra il rationale di tutela dell’acquirente di beni di consumo e dell’utilizzatore di sbf ne giustifica le differenze strutturali.

La debolezza (weakness) di cui soffre l’utilizzatore di beni di consumo in un mercato di prodotti di massa, complessi, sia sotto il profilo tecnologico che sotto il profilo dei rischi introdotti nel mercato è fondata sulle asimmetrie analizzate dalla dottrina economica[35] e poi da quella giuseco- nomica[36].

a) Asimmetrie informative legate al processo di raccolta ed elaborazione delle informazioni (carenze informative, incapacità di elaborazione) per le quali l’ordinamento prevede il richiamo ai vizi della volontà (errore, dolo) che la dottrina più attenta alle esperienze straniere[37] ha esteso all’ abuso di professionalità, al difetto di informazione e alla sorpresa.

b) Asimmetrie valutative strutturali legate alla complessità dei beni o dei servizi e quindi alla difficoltà di elaborare strutture cognitive idonee alla valutazione razionale dell’offerta in tempi e modi economicamente convenienti e psicologicamente soddisfacenti[38].

c) Asimmetrie valutative temporali legate alla possibilità di valutare le conseguenze dell’offerta solo dopo un certo tempo dalla conclusione del contratto o all’incertezza di beni o servizi scambiati su “mercati futuri”.

d) Asimmetrie di potere contrattuale legate alle condizioni di contratto che spesso impediscono o rendono molto onerosa la transizione verso altre offerte di mercato e creano l’effetto “loch in” (fidelizzazione del cliente[39]) con costi di transizione tali da rendere praticabile solo il riacquisto di offerte sub-ottimali.

e) Asimmetrie organizzative che imporrebbero al consumatore costi di consulenza insostenibili e quindi inducono a comportamenti inefficienti.Tra questi sono i costi di accesso alla giustizia e di durata dei processi che possono indurre l’operatore professionale al c.d. inadempimento efficiente: plateale il caso degli anni ‘70 in cui il tasso di interesse legale al 5%, in presenza di tassi di inflazione a due cifre, induceva le compagnie di assicurazione marginali ad usare la lentezza (italiana) della giustizia come strumento “finanziario”.

Tali asimmetrie, evidenziate dalla “Consumer Behavior”[40], hanno indotto dagli anni ‘70 gli Stati membri più attenti alle esigenze del diritto del mercato (Francia, Repubblica federale tedesca, Regno Unito, Svezia e paesi nordici) ad elaborare modelli di tutela e set di regole innovativi che hanno imposto, a livello comunitario, un’opera di armonizzazione necessaria in quanto nel Trattato di Roma la tutela del mercato concorrenziale è l’obiettivo della normativa antitrust[41], mentre il consumer welfare ne era la proclamata, anche se non effettivamente praticata, motivazione[42].

Le prime direttive consumer oriented (anni ‘80-‘93) furono dettagliate: pubblicità, responsabilità del produttore, clausole abusive, vendite fuori dai locali commerciali e a distanza, viaggi tutto compreso. Dal ‘93 dopo il Trattato di Maastricht, in base al principio di sussidiarietà, le direttive si limitarono ad elaborare principi e regole quadro: direttive sulla sicurezza generale dei prodotti, multiproprietà, inibitoria di consumo, commercio elettronico[43].

Si è quindi sviluppato un diritto europeo del consumo, che costituisce un corpus organico di regole del mercato dei beni di consumo. Il sistema italiano, in ritardo nell’elaborazione di una tutela della persona-consumatore[44], ha innovato attraverso l’opera di recepimento, spesso acritico in quanto privo di modelli interni cui rapportarsi, e ciò ha portato al Codice del consumo del 2005 che, pur con i suoi limiti, ha evidenziato la necessità di non restare fuori dal dibattito europeo[45] nella elaborazione di un diritto per il Mercato Unico, decisivo in epoca di crisi economico-sociale.

Nel settore dei sbf gli interventi sono stati invece disorganici, non pienamente armonizzati a livello europeo, salvo rare eccezioni (credito al consumo[46] e vendita di servizi bancari e finanziari on line) non consentendo di elaborare un set di regole efficienti per la tutela dell’utilizzatore[47]. Ciò è dovuto sia alla creazione, più tarda, di un mercato europeo dei servizi bancari e finanziari in base alla libera circolazione fondata sul principio del mutuo riconoscimento[48], sia al potere di lobby degli operatori europei a fronte della frammentazione delle competenze comunitarie[49] sia alla diversità di “debolezza” dell’utilizzatore di servizi rispetto all’acquirente di beni.

a) le asimmetrie informative che per l’acquirente di prodotti[50] attengono prevalentemente alla sicurezza (informazioni sui rischi al fine della loro accettabilità da parte del consumatore), alla comparabilità (etichettatura), all’oggetto del contratto (tracciabilità dei prodotti), per l’utilizzatore di sbf attengono alla relazione di agency in senso economico[51] in cui il benessere del principal/cliente dipende dal comportamento dell’agent/prestatore del servizio. Trattandosi di contratti incompleti[52] emerge la necessità di disincentivare comportamenti opportunistici, tramite sanzioni previste dalla regolazione legale e/o dalla regolamentazione delle autorità di controllo

Di qui la rilevanza delle informazioni sull’oggetto del contratto (es. prospetto informativo sui costi e i rendimenti), sul comportamento dell’operatore e sulla valutazione del rischio finanziario, legati a standard informativi conformati spesso imposti agli operatori dalla legge o dal regolatore.

b) le asimmetrie valutative strutturali derivanti dalla complessità dei prodotti e delle operazioni bancarie e finanziarie spesso composte, cioè costruite sul collegamento tra una pluralità di contratti o a strumenti finanziari “opachi” e/o transnazionali che rendono i rapporti contrattuali strutturalmentesquilibrati.

c) le asimmetrie valutative temporali proprie dei contratti di durata (rendimenti imprevedibili, costi unilateralmente modificabili) o dei contratti finanziari (valore attuale e valore futuro, rapporto rendimento/rischio) che rendono i sbf spesso poco valutabili dai profani[53].

d) le asimmetrie di potere contrattuale che, pur lasciate alla autonomia delle parti, prevedono il controllo di squilibrio (clausole abusive) su cui i prestatori di sbf hanno ottenuto le esenzioni di cui all’art. 33, 3-5 cod.cons. in tema di recesso unilaterale, modifica delle condizioni di contratto, tasso di interesse, possibilità di stabilire il prezzo al momento della prestazione del servizio.

e) le asimmetrie organizzative e di accesso alla giustizia che alcuni recenti scandali finanziari hanno evidenziato, anche in rapporto alla diffusione “epidemica” dei danni[54], che impongono per gli utilizzatori di sbf una tutela più adeguata, che va dalla azione di classe per i risparmiatori, peraltro oggetto di critiche sia da parte della dottrina che delle associazioni dei consumatori[55], alla mediazione bancaria e finanziaria[56], istituto e procedura speciali rispetto alla mediazione ordinaria[57].

L’utilizzatore di sbf non è però tutelabile non solo in quanto “soggetto debole” ma anche in quanto “arbitratore del mercato”. Secondo la classica teoria economica dei mercati efficienti il consumatore informato e consapevole (presunto “razionale”) allocando efficientemente le sue risorse economiche fa giocare la concorrenza e rende efficiente il mercato. La sovranità del consumatore, “mito” in fase di decostruzione”, sconta infatti gli inevitabili fallimenti del mercato.

Tradizionalmente l’utilizzatore di sbf retail viene individuato nel risparmiatore (cost. e cod. cons.) con una definizione statica il cui il denaro è visto come un “bene” depositato e la banca come l’intermediario tra chi “conserva” il denaro e chi lo “impiega”.

Da tempo non è più così: il denaro non è più un bene ma, soprattutto con la moneta digitale, un debito- credito scritturale (in linguaggio digitale). L’utilizzatore di sbf “deposita” temporaneamente (rectius iscrive a titolo diverso) in vista di investimenti (conti misti), usa dei servizi di credito (carte di credito, credito al consumo, mutuo) per i propri investimenti, è “imprenditore di se stesso” come il professionista intellettuale e la piccola impresa (famigliare e artigianale) che utilizza i servizi di tesoreria (pagamenti, finanza aziendale) o i sbf all’estero. Inoltre il trasferimento elettronico di fondi va nella direzione della costruzione di un diritto transnazionale finanziario[58].

Alla tutela del risparmio si aggiunge quindi la tutela della concorrenza piena che comporta, a favore del consumatore, la comparabilità dei rendimenti e dei costi, la chiarezza e comprensibilità del contenuto dei contratti, la trasferibilità nei rapporti contrattuali, l’accesso agevole a strumenti di tutela dei diritti.

La competizione tra prestatori di sbf a livello europeo non è certamente indolore: esclude dal mercato gli operatori marginali, seleziona gli operatori più efficienti e sensibili ai diritti degli utilizzatori, concentra il mercato. La competizione tra diritti dei mercati bancari e finanziari nazionali tende ad emarginare i sistemi marginali, seleziona come modelli per le direttive comunitarie i sistemi più efficienti e consumer oriented, armonizza, tramite l’opera legislativa e giurisprudenziale comunitaria, il diritto dei mercati sbf.

4. Interpretazione comunitaria ed interpretazione comparatistica del diritto dei sbf

Il diritto dei sbf, sin’ora disorganico e frammentario, ha affermato principi, regole generali senza elaborare legislativamente dettagliati standard di comportamento[59]. Né ciò era auspicabile in vista di una competizione che si gioca ormai più sui comportamenti che sull’oggetto dei contratti. La sua implementazione si è quindi sviluppata tramite il formante giurisprudenziale.

A livello di singoli sistemi giuridici la casistica ha imposto ai giudici di sviluppare regole operazionali in tema di responsabilità degli operatori bancari e/o degli intermediari finanziari

(spesso concentrati nello stesso operatore, la banca), tramite una interpretazione dei principi e delle clausole generali[60] che ricercando il criterio di decisione[61] lo ha riscontrato sia nella tutela dei soggetti “deboli” che nella tutela della trasparenza/efficienza del mercato.

Detta interpretazione ha richiesto criteri ermeneutici non solo di tipo domestico, ma anche di tipo comunitario[62] procedendo, in base al principio di interpretazione conforme, alla “comunitarizzazione” del diritto interno[63].

E’ mia opinione che un altro criterio ermeneutico rilevante debba essere quello “comparastistico”, utile a comprendere i modelli che hanno influenzato le direttive comunitarie e, tramite la recezione, introdotto nell’ordinamento italiano principi, clausole e regole generali nuovi[64], spesso creando “apparenti” problemi di sistema o di elaborazione di regole operazionali.

Mi limito, al riguardo ai tre criteri operativi della clausola generale di buona fede.

Diritto all’informazione. Il legislazione comunitario nell’affermare il diritto dei consumatori ad una adeguata informazione (Dir. 93/13/CE, clausole abusive, ora art.2.2.c, cod. cons.) si è trovato di fronte a tre modelli[65]:

a) Modello di Common Law del duty of disclosure, elenco dettagliato e vincolante delle informazioni da fornire all’utilizzatore di sbf come base del consenso consapevole (informed consent principle)[66] essenziale per un mercato concorrenziale efficiente.

b) Modello francese dell’obligation d’information del professionnel[67] che la dottrina ha esteso al devoir de conseil[68] e la giurisprudenza, più prudentemente, al devoir de mise en garde[69] secondo cui l’obbligo di informazione è considerato come elemento strutturale della formazione del consenso, la cui violazione porta ad un consenso imperfetto e quindi alla nullità relativa del contratto con conseguente responsabilità del professionnel[70].

c) Modello tedesco-italiano della buona fede (Treu und Glaube) e correttezza durante le trattative e della conseguente responsabilità pre-contrattuale in caso di mancate o inadeguate informazioni[71].

Le direttive comunitarie hanno scelto il modello di Common Law, individuando un elenco analitico di informazioni da fornire, tassativamente, al cliente, con conseguenti problemi nella fase di recepimento e soprattutto nella sua sistematizzazione nel diritto interno dei paesi continentali europei.

A chi è rivolto il diritto all’informazione? Al consumatore o al potenziale cliente? L’art. 5 .1 cod.cons. estende la platea dei recettori dell’ informazione ad ogni soggetto (consumatore, utente, utilizzatore di sbf) a cui sono dirette le informazioni commerciali.

Il sistema italiano è passata dalla conoscibilità (art. 1341 1^ co.) all’obbligo di fornire le informazioni. Non è più obbligo del consumatore chiedere le informazioni, ma è un obbligo del professionista fornirle[72].

La completezza dell’informazione deve scontare il teorema di Arrow[73] secondo cui un eccesso di informazioni corrisponde alla mancanza di informazioni, atteso che i costi di conoscenza per certi tipi di consumatore possono risultare eccessivi o l’informazione stessa impossibile (chi ha mai letto e compreso i documenti informativi sui costi dei servizi bancari o i prospetti informativi escludendo i ricercatori universitari?[74]). Se ne deduce che l’eccesso di informazioni, sia pure burocraticamente imposto dal regolamentatore, può non essere informazione adeguata.

Il diritto all’informazione scatta nella fase strutturale del contratto. All’uopo occorre ricordare che il t.u.b. ha previsto una disciplina generale per i contratti di sbf attribuendo alla Banca d’Italia il potere di prescrivere che determinati contratti abbiano un contenuto tipico determinato sanzionando la eventuale non trasparenza con la nullità.

Il requisito della forma del contratto (e dell’atto unilaterale informativo) si è progressivamente trasformato da formalismo strutturale a formalismo di protezione. Non si tratta del riemergere di un formalismo che limita l’autonomia contrattuale proclamata dal Code, quanto un neo-formalismo[75] che dichiara di introdurre elementi di trasparenza, quindi di certezza nei rapporti contrattuali rilevanti per un mercato efficiente.

Trasparenza. Concetto polisemico[76] che ha valenze diverse a seconda degli ambiti organizzativi dell’operatore economico.

a) trasparenza interna, nei rapporti tra membri di un gruppo (dipendenti e manager di una corporation) consistente nella circolazione ampia di informazioni e valutazioni, anche negative, volta a generare cooperazione nonché a prevenire e superare “ momenti critici”[77]. Il rischio è che porti a far prevalere gli interessi dell’istituzione rispetto a quelli del cliente. Lo strumento organizzativo principe è costituito dai c.d. Chinese Walls, barriere che ostacolano il passaggio di informazioni tra aree addette ad attività diverse e dal controllo interno assegnato ad un soggetto responsabile[78].

b) trasparenza esterna nei rapporti contrattuali. Il legislatore comunitario, nella direttiva clausole abusive ha imposto nei contratti standardizzati l’uso del plain and intelligibile language (art.5 Dir.93/13/CEE) linguaggio chiaro e comprensibile[79] motivato dall’esigenza di dare al consumatore la possibilità di prendere effettiva conoscenza di tutte le clausole contrattuali (considerando 20) al fine della elaborazione di un consenso consapevole.

La trasparenza contrattuale è stata collocata tra i diritti fondamentali dalla l. 281/98 sulla disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (art.2.e), ribadita dal codice del consumo (art.2.2.e cod.cons.) ed applicata ai contratti con i consumatori all’art.35.1 cod. cons. Diritto costituzionalmente garantito[80] diritto “essenziale” che non può essere violato senza adeguata sanzione[81] o mera “categoria metagiuridica”[82] in quanto non appartenente al lessico normativo di alcun testo costituzionale?

La dottrina propende per la seconda soluzione attesa la mancata “costituzionalizzazione” della Carta di Nizza che colloca all’art.38 la protezione dei consumatori tra i diritti fondamentali [83].

Si applica a tutti i contratti conclusi dal consumatore, anche oralmente[84] ed a tutte le modalità di diffusione del messaggio (prospetto pubblicitario, depliant informativo, moduli prestampati ecc.) e a tutte le tecniche alternative alla scrittura (messaggi telefonici registrati, sottotitoli televisivi, messaggi leggibili su pagina web o inviati sui telefoni cellulari)[85] ed investe tutte le clausole, anche quelle non vessatorie, in quanto, se mal formulate, strutturalmente idonee ad indurre possibili dissonanze cognitive sulla reale portata dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Dal richiamo alla chiarezza emerge l’obbligo per l’operatore professionale di utilizzare meccanismi redazionali semplici e leggibili: caratteri tipografici ben leggibili, colori contrastanti, evidenziazione di clausole o requisiti particolarmente significativi (es diritto di ripensamento nei contratti di commercializzazione di sf a distanza).

L’obbligo di comprensibilità scaturisce dalla teoria della comunicazione[86] che decostruisce il processo comunicativo nelle fasi di emissione del messaggio – codificazione dello stesso – trasferimento tramite un medium- decodificazione del messaggio- recezione. Possono esservi difetti di comunicazione, quindi di comprensibilità, se il medium non è in grado di trasmettere il messaggio e dissonanze cognitive sia se il messaggio è codificato secondo standard (linguistici, tecnici) che il ricevente non è in grado di decodificare, sia se l’emittente e/o il ricevente “ simulino”[87] modelli interpretativi sulla base dei propri referenti culturali. La signora che si sente comunicare dall’agente assicurativo che è in scadenza il “ premio” può intendersi gratificata, così come l’investitore che viene informato che il titolo su cui investire ha solo un “AA-”, anziché una “A”, può sentirsi in ansia, ove legga la scala valutativa in modo ascendente anziché discendente[88].

Ciò spiega perché la tesi più efficiente, in termini comunicativi, è quella che prevede, in caso di inadeguata informazione, in quanto non chiara e poco comprensibile, la sanzione della nullità del contratto[89] e non la semplice valutazione in termini di vessatorietà o interpretabilità contra proferentem[90]. Se in termini comunicativi vi è una distorsione, sia pure incolpevole, del messaggio è compito dell’emittente, quindi dell’operatore professionale, porre in essere tutti gli accorgimenti semantici (linguaggio semplice, uso di icone, doppio testo in linguaggio tecnico e colloquiale, manualetti esplicativi) in quanto best information supplyer, soggettoche può meglio gestire i costi organizzativi (revisione dei contratti, aggiornamento del personale) trasferendoli sulla platea degli utilizzatori di sbf.

Correttezza pre-contrattuale. Ci si riferisce agli obblighi relativi alla acquisizione delle informazioni dai clienti (obbligo di informarsi), alle regole organizzative per eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti; in sostanza ad un comportamento cooperativo e proattivo[91] dell’operatore. I costi della correttezza sono costi precauzionali volti ad organizzare l’attività relazionale in termini di adempimento efficiente e di prevenzione di eventuali responsabilità.

Tale comportamento non standardizzabile (come l’informazione e, in parte la trasparenza

semantica) se non sviluppato spontaneamente, sotto la pressione della competizione interna (europea) e transnazionale in un mercato globale come quello dei sbf può essere “indirizzato” da modelli di comportamento regolamentati dalle Autorità di vigilanza (Banca d’Italia) e/o dalla soft law, concertata con le associazioni rappresentative degli utilizzatori, se indipendenti, competenti e democraticamente rappresentative[92].

Negli anni ‘70 Hirschman[93] evidenziò che per essere competitiva l’impresa (all’epoca statunitense) deve evitare l’opzione exit dei suoi clienti e quindi tenere conto della loro voice che si esprime nei reclami e nella affermazione dei propri diritti. Ciò porta ad un atteggiamento di loyalty[94], che giova ad entrambe le parti: il cliente avendo fiducia nel comportamento del “ proprio “ prestatore di sbf evita costi di ricerca e di transizione, l’operatore professionale incrementa la relazione con il cliente[95] e si giova dell’effetto di trascinamento reputazionale.

5. Innovazioni in tema di trasparenza dei sbf

Nel 2009 la Banca d’Italia ha emanato le nuove Istruzioni di vigilanza in materia di “ trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e di correttezza tra intermediari e clienti” volte a stabilire nuove regole di comportamento per gli intermediari. Tale intervento regolamentare è teso sia a predisporre prototipi di documenti informativi, sia a delineare standard (rectius criteri) lessicali per la comunicazione con i clienti[96].

In adempimento, o sotto lo stimolo, di tali regolamentazioni, il 28 novembre 2009 14 aprile 2011 è stato concertato l’accordo ABI-Associazioni dei consumatori, facenti parte del CNCU[97] per determinare il numero di operazioni comprese nel canone annuo del c.d. “conto corrente semplice”.

Poiché l’implementation di detti stimoli ha tardato, nel 2010 Banca d’Italia ha emanato nuove disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni[98] e dei sbf fondate sul principio di proporzionalità[99], che differenzi la disciplina a seconda delle caratteristiche dei sbf prestati e del tipo di clientela. In particolare per i clienti al dettaglio ovverosia i consumatori, i professionisti e gli artigiani, gli enti non profit, le micro-imprese[100], si prevede una pluralità di strumenti di informazione[101] (documento sui diritti del cliente, fogli informativi, guide pratiche, documento di sintesi, indicatore sintetico di costo (ISC) . Tali documenti possono/debbono essere resi noti tramite siti internet dell’operatore bf.

Richiamato è pure il diritto del cliente di ottenere una copia del testo contrattuale e l’obbligo di preventivo consenso del consumatore (rectius utilizzatore di sbf) ad attività di marketing telefonico, e on line, che però oggi pare superato dalla scelta italiana di adottare, in tema di informazioni commerciali e tutela della privacy il criterio dell’opting out, con la creazione del registro, presso l’Autorità garante dei dati personali, dei soggetti che intendono farsi escludere da determinate mailing list[102].

Infine il 14 aprile 2011 è stato stipulato l’accordo ABI-Associazioni dei consumatori denominato, con sintagma evocativo, “Dimensione cliente” che concerta i contenuti del foglio informativo, del documento di sintesi periodica e dell’estratto conto. Partendo dalla constatazione che sin’ora veniva usato un linguaggio per iniziati, incomprensibile ai clienti si prevede che si applicheranno i criteri di:

a) Brevità: riduzione del 50% delle pagine del FI selezionando le informazioni, usando un linguaggio semplice ed immediato, se del caso accompagnato da un glossario esplicativo

b) Chiarezza: immediatezza del linguaggio da gergale a linguaggio di uso comune

c) Ridondanza: invio del DSP solo in caso di variazione delle condizioni

d) Comparabilità: comprensibilità dei costi del fido e dell’eventuale sconfinamento e relative commissioni applicate

e) Formazione finanziaria: consegna di brevi guide esplicative ed impegno a sviluppare progetti di formazione economico-finanziaria per studenti ed adulti[103].

Trattasi di un “percorso nuovo” che verrà esteso ai mutui e al credito al consumo, in previsione della disincentivazione dell’uso del denaro contante ed della diffusione dei sbf on line.

6. Qualche conclusione comparatistica

Al termine di questa prima esplorazione è possibile dedurre alcune riflessioni conclusive comparatistiche.

a) La pluralità di termini utilizzati dal formante legale comunitario e nazionale, da quello regolamentare, da quello giurisprudenziale nazionale e dalla stessa dottrina (risparmiatore, investitore, consumatore, cliente, utilizzatore di servizi) evidenzia l’origine, e la pragmatica terminologica sviluppata in diverse fasi di elaborazione del diritto comunitario dei consumi, ma non agevola né un’analisi sistemica, né l’elaborazione di principi comuni e/o differenziati, né l’applicazione di regole operazionali ai casi dubbi (quali quelli dei prodotti misti o quelli dei soggetti border line)[104].

L’art. 67 bis cod. cons. teso a tutelare il “consumatore” nella commercializzazione a distanza di servizi finanziari al co.3 rinvia alle disposizioni in materia bancaria e finanziaria emanate dalle autorità indipendenti che, come emerge dai recenti interventi di Banca d’Italia, tutelano il “cliente”, sia nella definizione restrittiva data dal formante giurisprudenziale comunitario[105], che in quella più ampia sviluppata dalla prima giurisprudenza in tema di clausole abusive[106] il professionista o l’artigiano.

Occorre fare ordine. Si è creata una uniformità di regole operazionali in tema di responsabilità degli operatori bancari e finanziari (spesso concentrati nella stessa società o nello stesso gruppo) che ci porta a ritenere che si stia creando a livello comunitario, e poi nazionale, un nuovo diritto dei sbf ed una nuova, diversa, tutela degli utilizzatori di tali servizi[107].

Emerge un quadro generale di principi, clausole generali e regole di tutela dell’ “attività di consumo”[108] ed una disciplina differenziata di tutela per il consumatore di “beni di consumo” e per quello di “ servizi bancari e finanziari”, e forse in futuro una ulteriore per quello di servizi informatici e telematici. La disciplina generale trae le sue fonti nei codici civili europei, nel diritto comunitario ed infine nelle decisioni delle corti nazionali. Le discipline speciali adattano/interpretano tali regole a principi a mercati e rationali differenti.

A mio avviso mentre il Droit de la consommation – Diritto del consumo trova fondamento nel processo di consumo[109], recepito dal codice del consumo all’art. 1, la nozione generale di consumatore attende ancora di essere destrutturata.

b) Nell’applicare clausole generali quali obblighi di informazione, trasparenza, correttezza il processoermeneutica, sviluppatosi per individuare i criteri di decisione, ha seguito percorsi interpretativi/applicativi nazionali, comunitari e comparatistici. Ciò nel quadro di una sempre più accesa competizione tra ordinamenti giuridici europei[110], in sede di elaborazione delle regole comunitarie, come segnali[111] di efficienza, quindi di maggior affidabilità, dei singoli sistemi bancario-finanziari. Gli effetti risultano particolarmente rilevanti a seguito della crisi finanziario-economica in corso e della relativa perdita di fiducia degli utilizzatori dei sbf[112]. Si può affermare, con un brocardo[113] controfattuale, rispetto alle leggi monetarie, che il sistema giuseconomico buono scaccia quello cattivo.

In tempi medi, invece, la circolazione di modelli competitiva può portare ad una coevoluzione proattiva[114] nel quadro della elaborazione di un diritto europeo dei sbf.

c) La decostruzione del diritto dei sbf, fondato non solo su regole legali, ma anche su standard comunicativi e comportamentali, richiede oltre all’analisi dei formanti verbalizzati, anche l’individuazione e analisi di quelli muti[115], quali le prassi degli operatori bancari e finanziari, i comportamenti attivi e quelli omissivi degli addetti alla diffusione delle informazioni, gli animal spirits[116], la cultura finanziaria[117], le decisioni, gli atteggiamenti delle varie tipologie di clienti, nonchè le reazioni delle associazioni dei consumatori alla non applicazione della soft law[118].

Sotto questo profilo il giurista comparatista può giovarsi dell’esperienza di altri sistemi giuridici, nonché delle ricerche già sviluppate dalla psicologia economica[119], dalla sociologia dei consumi[120], dalla pragmatica del linguaggio[121]. Ex multis multa.

 

[1] Il termine “impresa” indica, in araldica, un emblema e un motto che rappresentano simbolicamente una linea di condotta di una casata o di una istituzione. O. Nuebecker, Heraldry: sources, symbols and meaning, Maidenhead, UK, 1976, trad.it Araldica: origini, simboli, significati, Milano,1980, p.208 ss.

[2] L. Bruni e S. Zamagni, Economia civile. Efficienza,equità, felicità pubblica, Bologna,2004,p.117 ss. evidenziano che tale approccio si sia appannato a metà dell’Ottocento, quando la visione civile del mercato inizia ad apparire superata nella società industriale, sostituita dall’utilitarismo.

[3] Tomaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo. Offerta ad Alfonso II da Este Duca di Ferrara,1585, riedita in Torino a cura di P. Cherchi e B. Collina,1996, p.875

[4] “Che ti mostra il nero per il bianco per ingannarti e trappolarti “ Op.cit., p. 879-881. Dal giudizio negativo sull’usura deriva il detto “chi ha paura del diavolo non fa robba”. V. J. Le Goff, La bourse et la vie. Economie et religion au Moyen Age, Paris, 1986, trad.it. La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchiere, Milano,1987. Occorre però ricordare che i mercanti-banchieri erano distinti in Lombardi, che praticavano il prestito al consumo, spesso usurario, in cambiavalute che commerciavano anche in metalli preziosi e, al vertice, in cambisti, mercanti-banchieri, (a Firenze tenevano i “banchi grossi”), che svolgevano una pluralità di operazioni economiche: import-export, assicurazione, commercio di lettere di cambio, deposito e credito, partecipazione a “società”, a volte direttamente produttori in proprio, come i Medici, o produttori-trasportatori-distributori come Benedetto Zaccaria a Genova. J. Le Goff, Marchands et banquiers du moyen age, Paris, 5^ ed., 1972, p.36-39. Per il quadro generale F. Braudel, Civilisation matérielle, economie et capitalisme (XV^-XVIII^ siècle). Les jeux de l’échange, Paris,1979,trad. it. I giochi dello scambio, Torino, 1981, p.393 ss.

[5] In questa fase, ci si limita ad una prima esplorazione.

[6] Appare evidente, anche se non necessariamente scontato, che accanto ai diritti dei consumatori sussistano corrispondenti doveri verso la controparte, verso il mercato e verso la società.

[7] I cigni neri sono eventi di scarsa prevedibilità e di effetto enorme, da utilizzare, nelle analisi, come punto di partenza, soprattutto nelle “pratiche dell’incertezza”, come la speculazione finanziaria, il gioco d’azzardo, l’attività imprenditoriale,

secondo l’irriverente N.N. Taleb, The Black Swan. The Impact Effect of Improbably, 2007, trad. it. Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Milano, 2009, p.12 ss. preceduto da Fooled by Randomness. The Hidden Role of Chance in the Markets and Life, New York,N.Y.,2001, trad.it.Giocati dal caso. Il ruolo della fortuna nella finanza e nella vita, Milano, 2003.

[8] Oltre alle tre fasi storiche evidenziate da N.Reich, Diverse Approaches to Consunmer Protection Philosophy, Journal of Consumer Policy, 1992, p.257ss, 258. Per le prime fasi dell’esperienza italiana, con il rimpianto di un’occasione,

forse, perduta, v. O. Calliano, Il costo del non consumerismo e la formazione di un movimento consumerista strutturato in Italia, in Diritto dei consumi-Consumer Law, 1997,p.56 ss.

[9] Lo scandalo del vino al metanolo, che ha coinvolto alcune imprese vitivinicole piemontesi, indusse la CE ad elaborare la dir.92/59/CEE sulla sicurezza generale dei prodotti, ora sostituita dalla dir.2001/95/CE recepita negli artt. 102-110 cod.cons.

[10] A. Lipparini,La gestione strategica del capitale intellettuale e del capitale sociale, Bologna, 2002, p.280ss.

[11] P. Alard, D. Dininger, La stratégie de relation client, Paris,2000, p.185 ss. Il relational contracting descritto da O. E. Williamson, The Economic Institutions of Capitalism, New York, 1985, trad.it., Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Milano, 1988 è il sistema di governo dell’impresa più efficiente per gestire transazioni di massa. Le parti che adottano un sistema di relational governance sono aperte ad una maggior varietà di informazione ed hanno maggior fiducia nella qualità dell’informazione ricevuta, J.D. Thompson, Organizations in action, new York, 1967.

[12] O. Calliano, La RSI come metafora di una graduale democratizzazione della governance delle global corporations e di un progressivo sviluppo del diritto dei mercati globali. Primi schizzi giuseconomici, in E. D’Orazio (cur.), Corporate and Stakeholder Responsabilità for Sustainability, notizie di Politeia, n. 98, 2010, p.66-85.

[13] G.P. Fabris, padre della sociologia dei consumi italiana, in Societing: Il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2008 parlava di passaggio d’epoca e di consumatore postmoderno e in La società post-crescita. Consumi e stili di vita, Milano, Egea, 2010, a seguito della perdurante crisi economica, alla domanda: “Serve ancora il marketing ?” risponde richiamando la serendipity e le conseguenze virtuose della crisi che indurranno le imprese al necessario cambiamento.

[14] Da G. Alpa, Il diritto dei consumatori, Bari, Laterza, 1995 a P. Stanzione, A. Musio (cur.) La tutela del consumatore, Torino, Giappichelli, 2009.

[15] L. Senden, Soft Law in European Community Law, Oxford, Hart Publ., 2004; E. Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, Cedam, 2008; A. Somma, Soft law e hard law nelle società post moderne, Torino, Giappichelli, 2009.

[16] L. Paganetto, G. Tria, Dispute civili e sistema giudiziario: un’analisi economica del caso italiano, in C. Mirabelli, L. Paganetto, G. Tria,(cur.), Economia della giustizia. Domanda, offerta, organizzazione delle cause civili, Roma, 2005, p.11 ss. L’OCSE ha valutato che l’Italia è paese a rischio in tema di investimenti per l’incertezza e le lungaggini nella risoluzione delle controversie economiche, con gravi danni sul fronte dell’occupazione e dell’innovazione del sistema economico-produttivo.

[17] DOC.COM. (2002). L’Italia è lo Stato membro più condannato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo al risarcimento dei danni per diniego di giustizia.

[18] Nel 2009 risultavano pendenti 5.425.000 processi civili. Da ultimo i dati “agghiaccianti” riportati da C. Besso, La crisi della giustizia statuale, che richiama l’aforisma di Bentham: Justice delayed is justice denied, p.2., in C. Besso (cur.), La mediazione civile e commerciale, Torino, 2010.

[19] Vengono presentati ogni anno circa 1 milione di citazioni di cui circa il 50% si risolve in transazioni durante il processo di primo grado; delle controversie proseguite in appello circa il 50% discute ormai esclusivamente delle spese processuali.

[20] In Europa gli investimenti in legal aids vanno dai 3 miliardi di euro della GB agli 86,5 milioni dell’Italia. Per una valutazione dei programme di legal aid v. P. Spiller, K. Tokeley, Individual consumer redress in G. Howells, I. Ramsay, Th. Wilhelmsson with D. Kraft, Handbook of Research on International Consumer Law, Cheltenham, UK-Northampton, MA, 2010, p.486 ss.

[21] O. Calliano, Efficacia ed efficienza della mediazione di consumo. Esperienze europee a confronto. in A.M. Gambino, Consumer Protection And Out-Of -Court Settlements. La Tutela del consumatore e i rimedi stragiudiziali, Milano, 2011. La presenza di tre separate sezioni dell’elenco degli organismi di mediazione “per la trattazioni degli affari che richiedono specifiche competenze, anche in materia di consumo e internazionali induce a dedurre la “specificità” dei tre tipi di mediazione.

[22] In tema di servizi bancari e finanziari l’art.128 bis t.u.b. ha previsto l’adesione di banche ed intermediari finanziari a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversi con i “consumatori”, regola estesa poi dall’art.1.6. d.lgs.303/2006 a tutti i “clienti”, comprese anche le imprese e gli enti pubblici. Tra questi il Conciliatore Bancario Finanziario promosso dall’ABI nel 2006, erede dell’Ombudsman bancario del 1993, F. Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’ADR, in Banca Borsa Tit cred., I, 2010, p. 261-275. e l’Arbitrato Bancario-Finanziario –ABF- su cui S. Ruperto, L’“arbitrato bancario finanziario”, in Banca borsa tit. cred., 2010, I, p. 325-346.

[23] Si rammenti il caso del “forum shopping”: una compagnia di assicurazione avrebbe interesse a radicare nel diritto italiano, e relativo foro, un contratto ad alto rischio lucrando sulla lentezza della giustizia, come strumento per un inadempimento efficiente. V. R. Cooter, U. Mattei, P.G. Monateri, R. Pardolesi, Th. Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Bologna, 1999, p.335 ss.

[24] P. Perlingieri, La tutela del consumatore tra normative di settore e codice del consumo, in G. Cavazzoni, L. Di Nella, L. Mezzasomma, V. Rizzo (cur.), Il diritto dei consumi. Realtà e prospettive, Napoli-Roma, 2008, p.15, 18.

[25] Ph. Nelson, Information and Consumer Behaviour, J. of Pol.Ec.,72 (2), 1970, 311-329.

[26] G. Stigler, The Economics of Information, JPEc 1961, 69 (3), 213-225.

[27] A.O. Hirschaman, Exit, Voice, and Loyalty, Harward1970, trad. it. Lealtà, defezione, protesta: rimedi alla crisi delle imprese, dei partiti e dello stato, Milano, 1982.

[28] N. Zorzi Galgano, ll consumatore medio ed il consumatore vulnerabile nel diritto comunitario, in Contr. impr. Europa, 2010, p.549-ss.;C. Poncibò, R. Incardona, The Average Consumer, The Unfair Commercial Practices Directive, and the Cognitive Revolution, 30 J. Consumer Policy,21, in SSRN.

[29] CGCE caso C-210-96,n.31 96 in cui la Corte, in tema di etichettatura ingannevole, si riferisce a “un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto” (an average consumer who is reasonably well-informed and reasonably observant and circumspect) le cui aspettative devono essere misurate in concreto con criteri oggettivi quali perizie, sondaggi o test, sul modello dell’esperienza tedesca. In realtà è di tutta evidenza che la traduzione italiana fa acqua, in quanto a well information, sia pure reasonably, non è una informazione semplicemente “normale”, ma una informazione accurata.

[30] L. Ferrari, D.F. Romano, Romano, Mente e denaro. Introduzione alla psicologia economica, Milano, 1999, su consumo e razionalità/irrazionalità p.97 ss., su moneta e credito p.220 ss., su speculazione, incertezza e mercati finanziari p.259 ss.

[31] F. Denozza, Aggregazioni arbitrarie v. “tipi” protetti: la nozione di benessere dei consumatori decostruita, in Giur. Com., 2009, I, p.1059 ss.

[32] G. Rossi, Il conflitto endemico, Milano, 2003; G. Ferri, P. Lacitignola, Le agenzie di rating, Bologna, 2009, meccanismo di reputazione, p.107 s., come ridare fiducia al rating ? p.195 ss.

[33] M. Ziliotti, L’economia dell’informazione, Bologna, 2001

[34] F. Denozza, Aggregazioni arbitrarie v. “tipi” protetti: la nozione di benessere del consumatore decostruita, Giur. Com., 2009, I, p. 1057-1086.[35] Ch. J. Goetz, Cases and Materials on Law and Economics,St.Paul, Min.,1984 ; S.D. Soderlind, Consumer Economics, Armonk, N.Y., London, 2001, G. Palumbo, Contratti e tutela giuridica, in P. Ciocca, I. Musu,Economia per il diritto,Torino,2006, p.146 s.

[36] R. Cooter, U. Mattei, P.G. Monateri, R. Pardolesi, T. Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile,p.235 ss. Un quadro generale, applicato al mercato assicurativo in V. De Lorenzi, Contratto di assicurazioneDisciplina giuridica e analisi economica, Monografie di Contratto e impresa, Padova, 2008, p.1-9.

[37] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2004, III ed., 465 ss.

[38] Il richiamo alla razionalità limitata alla Simon è qui ulteriormente limitato dalla constatazioni della psicologia economica che il consumatore è spesso indotto all’acquisto da ” incentivi esterni ” che rendono il processo decisionale assai poco “ razionale”. V. per tutti N. Olivero, V. Russo, Manuale di Psicologia dei Consumi, in particolare l’Introduzione di D. F. Romano, Milano, 2009.

[39] R. Faraci, M. Galvagno, S. C. Giaccone, La fedeltà nelle relazioni tra impresa e mercato: Fondamenti concettuali ed implicazioni manageriali, Torino, 2007, in partic. S. Giaccone,Il ruolo della fiducia nelle relazioni di fedeltà, p.127 ss.

[40] V. per tutti i sintetici, ma chiarificatori Riferimenti teorici multidisciplinari: economia, teoria del consumatore, marketing management di M. Costabile, F. Ricotta, in G. Alpa, L. Rossi Carleo, Codice del Consumo Commentario, Napoli, 2005, p. 106-109.

[41] A. Frignani, R. Pardolesi, La concorrenza, vol. VII del Trattato di diritto privato dell’unione europea, G. Benacchio, G. Ajani (dir.), Torino 2006.

[42] G. Benacchio, Diritto privato della Comunità europea, Padova, 4^ ed., 2008, p. 263 s.

[43] Per un panorama generale R.Torino, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, Torino, 2010.

[44] O. Calliano, Il costo del non consumerismo e la formazione di un movimento consumerista strutturato in Italia, in Diritto dei consumi-Consumer Law, 1997, p. 56-61. Per una analisi storico-critica a livello europeo v. O. Calliano, Some Preludes for a Critical Study on Lentos and Prestos of Private and Comparative Law in the Concerto of European Integration Process. The Case of European Consumer Person Law, Co.LR., 2010, 2, 2-17Sull’acceso dibattito, tutto italiano, della nascita di uno status di consumatore o di una semplice regolazione dell’atto di consumo, pur avendo opinioni in proposito, rinvio alla ricognizione diF.Mazzasette La nozione di consumatore nel codice del consumo. Una questione ancora aperta, in G. Cavazzoni e al., Il diritto dei consumi, cit., p. 83 ss, in particolare n.51 e 54; P. Stanzione, A. Musio, Sulla nozione di consumatore scissa dalla categoria della persona eLa nuova nozione di consumatore, in La tutela del consumatore, Trattato di diritto privato M. Bessone (dir), Torino,2009, p.10 ss.; A. Barca, La nozione di consumatore nella dottrina, in G. Alpa (cur.), I diritti dei consumatori, cit., p. 131 ss.

[45] P. G. Monateri, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contratto, Riv. dir. civ., 2003, I, p. 409 ss.

[46] C. Agabitini, Ordine pubblico di protezione e mercato del credito. L’evoluzione del credito al consumo Riv. crit. dir. priv.,2010, p.597 ss.; C. Poncibò, I contratti di credito ai consumatori, in questo volume.

[47] G. Alpa,Introduzione al diritto contrattuale europeo Roma-Bari, 2007p. 57 ss.

[48] G. Godano,Le banche. I valori mobiliari, in A. Tizzano, Il diritto privato dell’Unione europea, II ed, Torino, 2006, p. 375 ss.

[49] G. Alpa, Introduzione al diritto dei consumatori, Roma-Bari, 2006, p. 203 ss. G. Alpa, Nuove politiche di tutela dei consumatori nell’Unione europea, in G. Alpa, G. Conte, L. Rossi Carleo, La costruzione del diritto dei consumatori, in I diritti dei consumatori, G. Alpa (cur.), in G. Ajani,G. A. Benacchio (dir.),Trattato di diritto privato dell’Unione europea, I, Torino, 2009, p. 64 ss.

[50] L. Di Donna, Obblighi informativi precontrattuali: I. La tutela del consumatore, p. 42 ss.

[51] A. Nicita,V. Scoppa,Economia dei contratti, Roma,2005, p.36 ss.

[52] G. Bellantuono, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000.

[53] E’ noto il brocardo “se gli economisti fossero dei previsori, non farebbero gli economisti, ma i finanzieri.”

[54] Un panorama “apocalittico”, ma utile ai fini della analisi della azione consumerista, si ha in A. Lanutti, A. Cinquegrani, R. Pennarola, Bankster, Roma, 2010.

[55] Per una comparazione tra l’esperienza statunitense, più pregnante, e l’incertezza italiana, A. Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008.

[56] F. Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari: La prospettiva dell’ADR, inBanca Borsa Tit. cred., 2010, I, p. 261-275; Saverio Ruperto, L’arbitro bancario finanziario, in Banca Borsa Tit.cred., 2010, I, p.325-346.

[57] Su cui O. Calliano, Efficacia ed efficienza, cit.

[58] N. Vardi, Verso una “lex mercatoria” finanziaria? Analisi delle fonti alla base del processo di integrazione dei mercati finanziari europei, Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 473ss.

[59] Sul ruolo degli standard come strumento di regolazione alternativo alla legge C. Donolo, l’intelligenza delle istituzioni, Milano,1997,142.

[60] A. Guarneri, Le clausole generali, in G. Alpa, A. Guarneri, P. G. Monateri, G. Pascuzzi, R. Sacco, Le fonti del diritto italiano, 2, Le fonti non scritte, in Trattato di Diritto Civile dir. da R. Sacco, p. 148 ss.

[61] R. Sacco, L’interpretazione, in op. ult. cit., p. 65 ss.

[62] Sul punto dell’interpretazione conforme e della comunitarizzazione del diritto nazionale, una sentenza della Corte d’Appello di Torino (27/9/2009 pres. Griffey, est. Converso), applicando i doveri di informazione della banca prestatore di sf ad una operazione effettuata nel 2001, cioè in data anteriore alla adozione della regola legale di obbligo di consulenza in tema di sf (dir.92/22/CEE e dir.2004/39/CE) constata che il giudice, che è anzitutto giudice comunitario (art.10 Trat. CE) ed anche nazionale (art.117 1 co. Cost.) deve interpretare il diritto interno secondo i principi e le clausole generali del diritto comunitario. Vedi massima su www.il.caso.it e v. A. Converso, la concretezza dell’informazione finanziaria: comunicazione, interpretazione costituzionalmente e com’unitariamente orientate della disciplina vigente., in questo volume.

[63] Per tutti G. Benacchio, Diritto privato della Comunità Europea, 2008, IV ed., Padova, p. 115 ss.

[64] A. Somma, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario,Milano, 2001, passim.

[65] A. Musy, Il dovere di informazione. Saggio di diritto comparato, Dipartimento di scienze giuridiche, Università di Trento, 1999, p. 177 ss.

[66] C. Amato, Per un diritto europeo dei contratti con i consumatori. Problemi tecnici di attuazione della legislazione comunitaria nell’ordinamento italiano e nel Regno unito. Milano, 2003in tema di documento informativo previsto dal Consumer Credir Act del 1974 ricorda che esso deve contenere “a fair and reasonobly comprehensive indication of the nature of the credit or hire facilities offered by the advertiser and of the true cost to person using them (s.40), p.202.

[67] M. Fabre-Magnan,De l’obligation d’information dans les contrats. Essai d’une théorie, pref. J. Ghestin, Paris,1992.

[68] J. Gestin Le contrat. Formation, in J. Ghestin (dir.), Traité de droit civil, Paris, II ed., 1988p.502 ss.; Cass. Civ., 6 marzo, 2006, Dalloz, 2006, 1941 nei contratti di assicurazione.

[69] Cass. Com.19 settembre 2006, Bull. civ. IV, n. 186-187.

[70] G. Alpa,Gli obblighi,906.

[71] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, II, p. 233 ss.; A. Musio, La buona fede nei contratti de i consumatori, Napoli 2001, passim.

[72] L. Rossi Carneo, Il diritto all’informazione : dalla conoscibilità al documento informativ, Riv. dir. priv., 2/2004, 362ss.

[73] J. Arrow, Uncertainty and the Welfare Economics of Medical Care, Am. Ec. Review 53 (5), 941-973.

[74] Lo fa notare M. Lupoi, Trasparenza e correttezza delle operazioni bancarie e di investimento (note alle Nuove Istruzioni di Banca d’Italia sulla trasparenza),in Contr. e Impr. 2007, p.1252.

[75] N. Irti, M. Messina, “Libertà di formae nuove forme negoziali.,Torino,2004 ; B. Pasa, La forma informativa nel diritto contrattuale europeo. Verso una nozione procedurale di contratto, Napoli,2008 p.205 ss.

[76] M. Lupoi, Trasparenza, cit., p. 1247.

[77] D. Goleman, W. Bennis, J. O’Toole, Transparency, Wiley, San Francisco, 2008, trad.it. Trasparenza. Verso una nuova economia dell’onestà, Rizzoli Milano, 2009.

[78] Obblighi previsti dalla direttiva MIFID.

[79] D. Henrich, Equity,bona fide, treu und glauben, in A. Durini, D. Henrich, Percorsi europei di diritto privato e comparato, Milano, 2006, p.118 ricorda che le “formule a coppia” Paar-Formel qualiTreu und Glauben erano presenti nell’antico diritto germanico ed erano connesse alle “formule magiche” di una cultura orale. Onni soi qui mal y pense.

[80] Ne viene esclusa la valenza costituzionale, sulla base della teoria delle fonti, se non espressamente previsti nella carta costituzionale, come il diritto alla salute, ma non all’informazione economico-contrattuale benché sia incoraggiato e tutelato il risparmio dall’art. 47.1. La protezione dei consumatori ad un livello elevato è poi garantita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art.38) ora introdotta nell’ordinamento comunitario dal Trattato di Lisbona.

[81] G. Alpa, V. Levi (cur.) I diritti dei consumatori e degli utenti. Un commento alle L. 30.7.1998 n. 281 e 24.11.2000 n.340 e al Dl. 23.4.2001 n.224, G. Alpa, Commento art.1, Milano, 2001, p. 18.

[82] D. Zolo, Libertà, proprietà, eguagliaza nella teoria dei “diritti fondamentali” in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2002, p. 50.

[83] G. Alpa, La Carta di Nizza e la Costituzione europea, in I diritti dei consumatori, cit., p.68.

[84] M. Messina, Art.35Commentario al codice del consumo, P. Stanzione-G. Sciancalepore (cur.) Milano,2006,p. 277.

[85] E. Morelato, Commento art.35, in M. Franzoni (cur.), Codice ipertestuale del consumo, Milano, 2008.

[86] U. Volli, Il libro della comunicazione. Idee, strumenti, modelli, Milano, 1994.

[87] G. Betterini, Semiotica della comunicazione d’impresa, III ed., 2003, 130 ss.

[88] Noto è il joke della anziana signora allo sportello bancario che, richiesta di fare la “distinta”, cambiava il tono di voce.

[89] Su cui già M. Lupoi, Trasparenza, cit., che richiama Trib. Firenze 19/4/2005: “il semplice esame del testo contrattuale evidenzia (…) l’oscurità, la scarsa compressibilità e la non chiarezza della disciplina pattizia. La parte normativa del contratto (…) è scritta in carattere ancora più minuto e quasi illeggibile se non avvicinandosi molto al documento (…) Alcune clausole (…) non sono nemmeno comprensibili. Per calcolare quanto il cliente è tenuto a pagare in caso di recesso occorre fare calcoli estremamente complessi basati su una serie di variabili”.

[90] C. Amato, Per un diritto cit. p.160 ss.

[91] Applica a tali comportamenti gli obblighi di protezione (Scutzplichtren) trapiantati dall’esperienza germanica, E. Capobianco,Gli obblighi di protezione nella contrattazione bancaria, Cont. impr.- Europa,2010, p.32 ss.

[92] Sulla rilevanza, ma anche i potenziali rischi di “professionalizzazione oligarchica” v. S. Zan, Le associazioni di rappresentanza in id. Le organizzazioni complesse. Logiche di azione dei sistemi a legame debole, Roma,2011,p.150 ss.

[93] Mal traslato, nel gergo aziendalistico con il termine “fidelizzazione del cliente”

[94] R. Faraci, M. Galvagno, S.C. Giaccone, La fedeltà nelle relazioni tra impresa e mercato. Fondamenti concettuali ed implicazioni manageriali, Torino, 2007, passim, in partic. S.C. Giaccone, Il ruolo della fiducia nelle relazioni di fedeltà, p.127 ss. Ma vi è chi ha un approccio più innovativo, almeno nel titolo,C. Siliani, Loyalty Marketing. Creare valore attraverso le relazioni, Milano, 2008.

[95] E’ noto che i costi di acquisizione di nuovi clienti è superiore a quello di estensione dei sbf ai clienti attuali.

[96] Semplicità sintattica e chiarezza lessicale (…) calibrate sul livello di alfabetizzazione finanziaria delle differenti fasce di clientela, anche in relazione al prodotto proposto. All.1 al Doc. di discussione delle Nuove Istruzioni.

[97] Il Consiglio nazionale consumatori ed utenti organo di consultazione del MAP, e presieduto da un suo rappresentante, è stato istituito dalla L. 30.7.1998 n. 281, art. 4 su cui P. Martinello, C. Baker, Il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, in G. Alpa, V. Levi, I diritti dei consumatori e degli utenti. Un commento alle leggi 30.7.1998 n.281 e 24.11.2000 n.340 e al decreto legislativo 23.4.2001 n.224, Milano, 2001, p.59 ss. Per una discussione precedente alla costituzione al fine di meglio strutturare il movimento consumerista in Italia anche a fini di stimolo competitivo per le imprese di servizi universali e pubbliche v. il mio Il costo del non consumerismo, cit., p.56-61.

[98] Per un primo commento v. Rivista di diritto bancario, www.dirittobancario.it.

[99] M. Fallon, Droit matèriel gènéral de L’Union européenne, Louvain-la Neuve, 2002, p.81 ss.

[100] Aventi i requisiti previsti dalla Racc. europea n. 2003/36!/CE, recepita con il prov. Banca d’Italia 15/2/2010.

[101] Già previsti dall’art.116 t.u.b. e regolamentati dalle Disposizioni di Vigilanza del luglio 2009, nonchè dalla delibera CIRC del 4/3/2003

[102] Modifica dell’art. 130 Cod. privacy (decr.19 nov. 2010) e schema di regolamento per la disciplina del diritto di opposizione alla vendita e alla promozione di attività e servizi commerciali attraverso gli operatori telefonici, presentato nel CdM del 16/4/2011.

[103] Una recente indagine sulla alfabetizzazione finanziaria in Italia ha dato risposte sconfortanti: il 41,2% non sa leggere un estratto conto, il 34,4% non sa cos’è un bilancio famigliare mensile, il 40,2% non sa cosa è un interesse, il 30,8% cos’è una carta-bancomat, La voce.info, cit. da L. Guiso, Finanza questa sconosciuta in famiglia, in Il Sole 24 ore, 28 aprile 2011, p.14. Il problema si poneva già dopo la grande crisi v. rag. M. Fassio, L’educazione commerciale nelle esigenze dei moderni traffici, Milano-Roma,1920, che nell’introdurre la sua opera proclamava: “Noi agitiamo, dal campo aziendale, la questione di una migliore e più moderna Educazione Commerciale”. Come si può constatare, il tema è ancora di attualità.

[104] Si pone il problema linguistico, V. Roppo, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici, in E. Navarretta (cur.), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Milano, 2007, p.207, lamentando l’abuso di appropriazione di termini e categorie dottrinali da parte del legislatore interno e comunitario (inciso mio).

[105] Per la variegata vicenda ermeneutica della definizione di consumatore, e per la sua limitazione alla “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale” art.3 a) cod. cons.. In Francia il consumatore era definito “simple profane” “qui n’agit pas dans le domain de sa competence rechnique” T. Ivainer, De l’ordre technique à l’ordre public technologique, J.C.P. 1972, I, 2495 cit. da J. Ghestin, Le contrat. formation, cit., p.46. La giurisprudenza ha seguito tale impostazione tutelando anche la piccola impresa francese che subisce asimmetrie informative, contrattuali ed organizzative nel MUE, resistendo virilmente ai dictat interpretativi della CGCE. V.O. Calliano, Some preludes, cit., p. 17.

[106] V. P. Sanna, La controversa nozione di consumatore ex art.1469 bis c.c. tra esegesi ed ermeneutica, a commento della nota sentenza CGCE 22/11/2001 n.541, che rigidamente definisce la nozione di consumatore limitandola alla persona fisica, in Resp. civ. e prev., 2002, I, p. 56 ss.

[107] Lupoi, op.cit., p. 1256, 1259.

[108] E. Gabrielli, E. Minervini, I contratti dei consumatori, in Trattato dei contratti, E. Gabrielli, M. Minervini (dir.), p. 19. tale impostazione è anche sottesa al Codice del consumo che regola “i processi di consumo” (art.1.1) e disciplina al titolo III” il rapporto di consumo”

[109] Parla di processo di consumo la psicologia economica, N. Olicero, V. Russo, anuale di psicologia dei consumi, con introd. Di D.F. Romano e L. Ferrari, Milano, 2009, p.37 ss. Parla di atto di consumo la sociologia economica G. Sertorio, M. C. Martinengo, Consumare. Lineamenti di sociologia dei consumi,Torino, 2005.

[110] Su cui V.N. Reich,Competition between Legal Orders: A New paradigm of EC Law ?, in CML Rev., 29, 1992, p. 861 ss.; U. Mattei, F. Pulitini, Modelli competitive, regole giuridiche ed analisi economica, in Quadrimestre, 1990, p.77 ss.

[111] A. Nicita, V. Scoppa,Economia dei contratti, Roma, 2005, p.181 ss.

[112] B. Ely. Bad Rules Produces Bad Outcomes. Underlying Public-Policy Causes of the U.S. Financial Crisis, in Cato Journal, 29/1, 2009, p. 93-114 cit. da F. Debenedetti, Pecuniae imperare oportet: governare la ricchezza, in I. Dionigi (cur.), Il dio denaro, Milano, 2010, p.49.

[113] Tra le fonti del diritto non scritto per R. Sacco, I diritto non scritto, in Trattato di Diritto Civile, Le Fonti, 2, cit., p. 68 s.

[114] O. Calliano, Legal Strategies for the Internationalisation of SMSs. Proactive Knowledge of the Legal Framework and Efficient Use of Contractual Tools as a Competitive Advantage,in Business policies and strategies in a global market. A framework for SMEs. Cases and studies, ISASUT, Torino, 2004, 339ss.

[115] R. Sacco, op. ult. cit., p. 43 ss.

[116] G. A. Akerlof, R. J. Shiller, Animal Spirits, Princeton, 2009, trad. it., Spiriti animali, Milano, 2009, p. 164 ss.

[117] V. i dati statistico-sperimentali di cui alla n. 81

[118] Avvenne con la sostanziale disapplicazione del primo codice di comportamento bancario. Ora il gruppo di lavoro Etfiba propone una rivisitazione adeguata del codice etico-deontologico degli operatori del settore bancario, www.bancaetica.com. e le principali banche hanno adottato propri codici etici.

[119] A. C. Bisio, Psicologia dei consumi e del marketing da una prospettiva “organizzativa”, in P. Argentero, C. G. Cortese, C. Piccardo, Psicologia delle organizzazioni, Milano, 2009, p. 395 ss.

[120] V. Codaluppi, Manuale di Sociologia dei consumi, che richiama il contributo delle altre discipline sociali, p.189 ss.; G Sertorio, op.cit. sul consumerismo p. 205 ss, M.G. Martinengo sugli atteggiamenti del consumatore postmoderno p. 171 ss.

[121] P. Watzlawick, J. Helmick Beavin, D. D. Jackson, Pragmatic s of human communication, New York,N.Y.,1967, trad.it, Pragmatica della comunicazione umana, Roma, 1971, che mette in rilievo la relazione asimmetrica tra comunicatore e ricevente.


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