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L’imposta sul valore delle attività finanziarie: si attendono chiarimenti

22 Febbraio 2012

Avv. Sebastiano Garufi – Redazione Diritto Bancario

Di cosa si parla in questo articolo

Il “Decreto Monti” (D.L. 201/2011 convertito con modificazioni dalla L. 214/2011) ha istituito e regolato all’art. 19, comma 18 e seguenti, la cosiddetta “imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero”.

Ignorando ancora una volta l’art. 4 dello statuto dei diritti del contribuente (L. 212/200) che – come noto – vieta l’istituzione di nuovi tributi con decreto legge, il Legislatore ha deciso di colpire con la nuova imposta patrimoniale il valore delle attività finanziarie detenute all’estero da persone fisiche residenti in Italia. Le misure del prelievo sono fissate allo 0,1% annuo, per il 2011 e il 2012, e allo 0,5%, a decorrere dal 2013.

Il Decreto stabilisce che la base imponibile è costituita dal “valore di mercato”, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenute le attività finanziarie, anche utilizzando la documentazione dell’intermediario estero di riferimento per le singole attività e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso. Per evitare fenomeni di doppia imposizione, è ammesso dedurre dal tributo un credito pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato estero in cui tali attività finanziarie sono detenute. È, infine, disposto un rinvio alle disposizioni in materia di IRPEF per quanto concerne i versamenti, la liquidazione, l’accertamento, la riscossione, le sanzioni, i rimborsi e il contenzioso relativi alla nuova imposta.

La legge non contiene una definizione di “attività finanziarie detenute all’estero”, ma si ritiene che l’espressione sia volutamente da intendersi in senso ampio. Così, mutuando dalla disciplina dello scudo fiscale (che si riferisce alle “attività finanziarie detenute fuori dal territorio dello Stato”), il nuovo prelievo dovrebbe applicarsi ai conti correnti, alle azioni e agli strumenti finanziari assimilati (quotati e non quotati), alle quote di società ancorché non rappresentate da titoli, ai titoli obbligazionari, ai certificati di massa, alle quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo, alle polizze vita a contenuto finanziario, ai pronti contro termine, ai finanziamenti a soggetti esteri, ai contratti derivati e ai metalli preziosi, detenuti in qualunque Paese europeo o extra-europeo. Non si dovrebbero ricomprendere i beni immobili esteri, che sono colpiti da un’altra imposta istituita dallo stesso Decreto Monti. Non è chiaro se nell’imposta ricadano anche gli oggetti preziosi e le opere d’arte detenuti all’estero, inclusi nello scudo fiscale. Dovrebbero, invece, escludersi le attività finanziarie affidate in custodia e amministrazione o in amministrazione fiduciaria a soggetti residenti in Italia. Su questi punti, pertanto, occorrerà attendere l’emanazione dei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate, a cui il Decreto demanda le disposizioni di attuazione.

Ulteriori perplessità rimangono con riferimento al computo della base imponibile. Come sopra evidenziato, la nuova imposta colpisce il “valore di mercato” delle attività finanziarie estere in questione, rilevato al termine di ciascun anno solare e, in mancanza, il valore nominale o di rimborso. Non esiste, tuttavia, nella legislazione tributaria una definizione di “valore di mercato”. Con ogni probabilità, questa sarà mutuata dalla nozione di “valore normale” di cui all’art. 9, comma 3, TUIR. Se, però, il criterio in questione è di pronta applicazione per le attività negoziate in mercati regolamentati o in mercati comunque organizzati e in cui esista una quotazione fornita da specialisti, difficoltà di ordine pratico si verificherebbero in tutti gli altri casi in cui tale valutazione non esiste. Imporre a tutti gli investitori la redazione annua di una perizia per calcolare il valore delle attività estere sarebbe forse eccessivo e potrebbe dissuadere i soggetti residenti italiani dall’investire all’estero, in violazione della libera circolazione dei capitali intra ed extra-comunitaria.

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