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Approfondimenti

Illegittima segnalazione a sofferenza in C.R.B.I. e danno in re ipsa

22 Luglio 2015

Avv. Christian Faggella, Managing Partner, Avv. Francesco Concio, Associate, La Scala Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

La vexata quaestio del risarcimento del danno da illegittima segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, rappresentanza da sempre uno dei principali argomenti di forte contrasto giurisprudenziale.

Il nutrito ventaglio di decisioni intervenute in materia nel corso degli ultimi anni ha contribuito ad alimentarne il dibattito, spesso dominato da un panorama giurisprudenziale ondivago.

La problematica, nel suo complesso, è governata per lo più da una visione di insieme saldamente ancorata all’idea che in caso di illegittima segnalazione a sofferenza in C.R.B.I., il danno non sia altro che un riflesso inevitabile, un automatismo necessario in grado di rispondere perfettamente alle esigenze di presidio, anche dei valori costituzionalmente garantiti ex art. 2 Cost.

In questa direzione, l’evoluzione stessa del concetto di danno (risarcibile) rappresenta la prova più evidente di come, correggendo la rotta secondo precise coordinate cartesiane, la giurisprudenza sia riuscita negli anni a modellare i propri interventi tracciando un perimetro di indagine sempre più ampio.

Dal risarcimento del danno patrimoniale si è quindi passati al risarcimento del danno non patrimoniale, ossia al risarcimento del danno conseguente alla violazione dei diritti della personalità, quali quelli dell’onore e della reputazione professionale/commerciale, ovvero all’immagine.

Il che, come noto, ha condotto una parte della giurisprudenza – soprattutto quella che ha segnato il fenomeno sin dalla sua genesi – a ritenere che, laddove l’illegittimità della segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi avesse comportato la violazione di tali forme di estrinsecazione dei diritti della personalità, il danno avrebbe dovuto considerarsi un effetto congenito, necessariamente risarcibile per violazione dell’obbligo del neminem laedere di natura aquiliana.

Proseguendo in questa direzione aveva iniziato, inoltre, a plasmarsi lentamente l’idea che in ipotesi di erronea/illegittima segnalazione presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, il danno fosse da considerarsi in re ipsa.

Ragion per cui, ogni valutazione in ordine alla risarcibilità del danno doveva prescindere da precisi oneri probatori, quali: (i) la prova del danno sofferto a causa dell’illegittima segnalazione a sofferenza; (ii) la colpa dell’Istituto di Credito per l’illegittima/erronea segnalazione; (iii) la prova del nesso causale tra la condotta della Banca ed il danno sofferto dal soggetto segnalato.

In definitiva, accertata l’illegittimità della segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi, non v’era alcuna ragione di provarne il pregiudizio, poiché detta segnalazione doveva considerasi già di per se un danno.

La prova del danno era dunque da considerarsi superflua ed inammissibile, quantomeno nella misura in cui, nel corso del giudizio, fosse emersa l’illegittimità/erroneità della segnalazione in Centrale Rischi.

Ragionando in questi termini, ciò che dapprima aveva rappresentato il semplice bagliore di un giovane orientamento giurisprudenziale, era diventato in seguito una linea di confine marcata ed apparentemente invalicabile.

Pertanto, sulla scorta di tali indici di riferimento, il danno avrebbe dovuto considerasi in re ipsa tutte le volte in cui la segnalazione a sofferenza in C.R.B.I. fosse stata causata da un errore – anche se soltanto di matrice informatica – ovvero fosse intervenuta in mancanza di precisi elementi.

E ciò, poiché la funzione di presidio dell’interesse generale perseguito dalla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia (cfr. Trib. Roma, 13.02.2012), avrebbe potuto ritenersi conseguito solo se il potere di segnalazione a sofferenza fosse stato utilizzato dagli intermediari nel rispetto delle regole dettate dalla normativa di riferimento, oltreché dei chiari riferimenti giurisprudenziali intervenuti per definire il concetto di “insolvenza”, di cui si fa cenno nel paragrafo 1.5 delle Istruzioni per gli Intermediari Creditizi trasfuse nella Circolare della Banca d’Italia n.139 del 11.02.1991, e successivi aggiornamenti (“Nella categoria di censimento delle sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla azienda”).

Il che, secondo quella parte della giurisprudenza che sosteneva – e sostiene tutt’ora – la tesi del danno in re ipsa, rispondeva perfettamente alla necessità di sanzionare la condotta della Banca che si fosse resa negligente nel valutare correttamente tutti i presupposti necessari per la segnalazione a sofferenza.

In buona sostanza, pertanto, i primissimi interventi giurisprudenziali avevano attraversato la materia imprimendo nelle loro decisioni la convinzione che non fosse possibile giungere a soluzioni diverse, né che esistesse la possibilità di offrire una chiave di lettura ulteriore alla problematica.

Nel corso degli anni, tuttavia, la percezione della problematica è cambiata: i primi interventi delle Corti, che sembravano aver reciso ogni possibilità di confrontarsi con una rilettura del fenomeno diversa da quella che aveva dominato le aule di tribunale sin dalle prime battute della vicenda, hanno ceduto il passo ad un orientamento più attento ad un equo bilanciamento degli interessi in gioco, contribuendo così ad ampliare gli orizzonti di una visione d’insieme costretta ad un unicum.

Una diagnosi più attenta dei profili di criticità della materia ha, dunque, permesso di percepire quali fossero le reali zone d’ombra di un orientamento che sembrava irremovibile, ancorato ormai da tempo all’idea di una danno in re ipsa che non lasciava margini di manovra per una diversa interpretazione.

Ed è proprio in questa direzione che si inseriscono tutte quelle decisioni che, nell’insieme, delineano il volto dell’orientamento giurisprudenziale contrario, che negli anni è stato in grado scuotere le fondamenta della tesi del danno in re ipsa.

È stato, infatti, dapprima affermato che l’esistenza del pregiudizio non può essere genericamente addotta, dovendo essere provata nelle sue componenti specifiche (cfr. Cass., 23 dicembre 1997, n. 13002; Cass. 2, luglio 1977, n. 2878. Nello stesso senso: Tribunale di Napoli, 7 aprile 1998, inBanca borsa e titoli di credito, II, 1998).

In ordine al presente profilo, peraltro, la giurisprudenza insegna da tempo che il pregiudizio di cui si chiede il risarcimento deve essere provato nella sua entità ed attraverso concreti elementi fattuali.

Infatti, quand’anche ci si trovi di fronte ad una condotta illecita, il danno non può ritenersi inre ipsa, poiché «sia il pregiudizio patrimoniale, sia quello non patrimoniale vanno provati secondo le regole ordinarie».

In buona sostanza, chi chiede il risarcimento del danno – patrimoniale e non patrimoniale -, deve provare il pregiudizio alla sua sfera patrimoniale o personale, quale ne sia l’entità, quale che sia la difficoltà di provare tale entità(cfr. Cass., 25.03.2003, n. 4366; Cass., 29.03.2004, n. 6199).

E ciò, in quanto i fatti illeciti «benché ascrivibili a colpa, sono solo potenzialmente produttivi di danno, ed implicano, cioè il pericolo del suo verificarsi, ma non la certezza che lo stesso si sia in concreto prodotto, e non esonerano quindi l’attore dal fornire la prova delle conseguenze dannose che in concreto gli siano derivate» (Cfr. Cass., 26.03.1997, n. 2679. Nello stesso senso anche: Cass. 03.04.2004 n. 4881).

Ed ancora: «non costituisce un elemento sufficiente a provare l’esistenza per cui compete all’attrice dimostrare nel singolo caso se da detta comunicazione sia derivato in concreto un pregiudizio. La prova della comunicazione non veritiera, infatti, è solo la prova del fatto altrui, ma non ancora la prova del danno ingiusto” (cfr. Cass., 10.05.2001, n. 6587); (ii)qualora il cliente della Banca assuma l’illegittimità della segnalazione “a sofferenza” del proprio nominativo alla Centrale dei Rischi, egli deve dar prova di aver subito in conseguenza di ciò un pregiudizio» (cfr. App. Milano, 08.06.1999, in Banca Borsa e Titoli di credito, 2000, II, 568)

Nello stesso solco: «il cliente della banca, il quale assuma l’illegittimità della segnalazione del proprio nominativo ad una centrale rischi deve dare la prova di aver subitoin conseguenza di ciò un danno che non può consistere nel diniego della carta di credito (di per sé non traducibile in pregiudizio economicamente apprezzabile) né può presumersi qualora l’attore non sia imprenditore commerciale.» (cfr. Trib. Milano 18.08.2005, in Banca, Borsa e Titoli, 2007, 4, 2, 453).

Inoltre, è stato affermato che: in caso di illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, ai fini del risarcimento dei danni è necessario che il segnalato dimostri che detto fatto abbia determinato una lesione della sua reputazione personale o commerciale (cfr. Trib. Bologna, Sez. IV, 25.05.2005, in Resp. civ., 2006, 1, 88).

Linea, questa, condivisa anche dalla successiva giurisprudenza del Tribunale di Bologna: «Dall’esame della giurisprudenza della Suprema Corte questo interprete è indotto a rispondere negativamente al dubbio di cui sopra; infatti la Cassazione ha sempre esplicitamente escluso la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa… In secondo luogo, un danno, per essere risarcibile deve essere apprezzabile, come insegna la Corte Costituzione nella sentenza 372/94» (Cfr. Trib. Bologna, 15.12.2006/03.05.2007). Identica tesi era, peraltro, stata condivisa qualche tempo prima anche da altra parte della giurisprudenza intervenuta in tema di risarcimento del danno non patrimoniale per effetto dell’illecito trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 18 della legge n. 675/1996 (c.d. legge sulla privacy): «il riferimento che l’art. 18 compie all’art. 2050 c.c. vale a dire alla responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa, se vale ad introdurre il meccanismo di inversione dell’onere probatorio tipico di quella forma di responsabilità, non esime il preteso danneggiato dal fornire la dimostrazione o almeno l’allegazione dei danni che assume gli siano derivati dal trattamento dei dati.» (cfr., ex multis, Trib. Napoli, 03.02.2003, in Giurisprudenza Napoletana, 5, 191, 2003).

Principio successivamente ribadito anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte: «La pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito integra un accertamento di potenziale idoneità lesiva di quel fatto, sicché la prova dell’esistenza concreta del danno, della reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla successiva fase di liquidazione; conseguentemente il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che nel giudizio di liquidazione, venga negato il fondamento concreto della domanda risarcitoria, previo accertamento del fatto che il danno non si sia in concreto verificato » (cfr. Cass. Civ. 12.10.2007, n. 21428).

Dello stesso avviso, anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione intervenuta successivamente, secondo la quale la prova del danno non patrimoniale non può essere ritenuta inre ipsa, poiché il danno va sempre allegato e provato (cfr. Cass., 12.04.2011, n. 8421).

Il presupposto dogmatico dell’orientamento giurisprudenziale testé invocato, consiste nell’affermazione delle Sezioni Unite, ad avviso delle quali va disattesa la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di danno evento (Cass. civ., Sez. Un., 11.11.2008, n. 26972).

Principio, questo, che ancor prima di trovare conforto nelle Sezioni Unite, era già stato condiviso anche dal Tribunale di Bolzano: «Occorre innanzitutto evidenziare che la tesi attorea giusta la quale il danno sarebbe in re ipsa non convince. Che un’erronea segnalazione di sconfinamento alla Centrale Rischi, analogamente a quanto avviene per un protesto cambiario, sia circostanza potenzialmente idonea a cagionare un danno è fuor di dubbio, ma non è vero che ciò avvenga automaticamente e nella generalità dei casi, come dimostra, a titolo di esempio, l’ipotesi in cui la segnalazione di uno sconfinamento inesistente faccia seguito ad altre segnalazioni di più consistenti sconfinamenti reali o ad una situazione di totale dissesto economico dell’impresa, tale da scoraggiare di per sé la concessione di ulteriore credito. Le conseguenze vanno dunque valutate caso per caso, senza che sia possibile, in assenza di ulteriori circostanze, trarre automaticamente dall’erronea segnalazione una qualche presunzione di danno a favore di chi la subisce. Se così è non può prescindersi dalla prova dell’esistenza in concreto di un danno»(Cfr. Trib. Bolzano, Sez. I, 17.10.2008).

Dello stesso avviso anche il Tribunale di Roma: «Nel caso di specie, tuttavia, pur dovendosi ritenere accertata la responsabilità della […omississ…]per false informazioni rilasciate alla Centrale Rischi, nonché pacifica l’astratta idoneità di tale condotta illecita ad arrecare un danno alla società segnalata – sia di natura patrimoniale (consistente nella riduzione dell’accesso al finanziamento bancario) che alla reputazione e all’immagine della stessa – non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria avanzata dalla società attrice, in quanto priva di sufficiente riscontro probatorio. Invero, parte attrice pur avendo allegato che in conseguenza e per effetto dell’erronea segnalazione relativa alla sua potenziale esposizione debitoria le sarebbero stati negati nuovi affidamenti ed addirittura imposto un piano di rientro dallo scoperto di un conto corrente aperto presso la Banca […omississ…], filiale di Desenzano, ha omesso di fornire gli elementi idonei a consentire al giudicante una liquidazione, quand’anche in via equitativa, del complessivo pregiudizio patrimoniale subito dalla sua attività imprenditoriale, quale ad esempio la natura e l’entità del finanziamento al quale non ha potuto accedere, nonché gli impegni finanziari sostenuti per far fronte al dedotto piano di rientro. Il teste escusso sul punto, […omississ…], nella sua qualità di funzionario della Banca […omississ…] (istituto di credito con il quale operava la […omississ…]s.n.c.) si è limitato a riferire, in modo alquanto generico ed impreciso, di avere concordato un piano di rientro con la società […omississ…], proprio in virtù “dell’evento pregiudizievole” dato dalla segnalazione, presso la “Centrale Rischi”, di una fideiussione dalla stessa rilasciata, senza, tuttavia, precisare nulla di più su tale aspetto ed omettendo, altresì, di indicare quale affidamento fosse stato chiesto e, nell’occasione, negato alla società attrice da parte dell’Ente di credito. Né, del resto, la difesa di parte attrice ha dedotto quale ulteriore conseguenza dell’illegittima segnalazione alcuna lesione della propria reputazione ed immagine commerciale, quale pregiudizio che, diversamente dal danno patrimoniale, risiederebbe in re ipsa nell’illegittima segnalazione e, come tale, sarebbe risarcibile senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno stesso, purché esso ha debitamente allegato dalla parte (cfr. Trib. Milano, ord. 19 febbraio 2001, Tribunale di Lucera Sezione distaccata di Apicerna, sent. del 3 marzo 2006 n. 30 nonché per tutte Cass. Civ. 4881/2001). Per le ragioni suesposte la domanda di risarcimento del danno non può essere accolta.» (cfr. Trib. Roma, Sez. XIII, 30.04.2008/14.05.2008, n. 9886).

Nello stesso solco si inserisce anche la giurisprudenza del Tribunale di Perugia: «L’istituto di credito che abbia commesso un errore nell’inserimento nella segnalazione del nominativo di un soggetto… è astrattamente responsabile ex art. 2050 c.c…. Ciò nonostante, da tale illegittimo inserimento non deriva alcun danno né alla reputazione economica né all’immagine del segnalato, in quanto non si genera alcuna presunzione di scarso affidamento e scarsa solvibilità dello stesso. Grava, quindi, sull’attore-segnalato l’onere di dimostrare la sussistenza dei danni economici, non essendo sufficiente a tal fine addurre il mancato conseguimento di finanziamenti che, di per sé non rientra in tale tipologia di pregiudizio» (cfr. Trib. Perugia, 18.01.2011).

Non da meno il Tribunale di Mantova: « Non può neppure essere accolta la domanda di risarcimento danni fondata da parte attrice sulla allegata illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi effettuata dalla convenuta a seguito del passaggio a sofferenza dei rapporti di conto corrente. Parte attrice ha a lungo dissertato sulla mancanza, nel caso, dei presupposti richiesti dalla normativa regolamentare per l’effettuazione di simili segnalazioni da parte degli istituti di credito, nonché sull’errato censimento a “sofferenza” anche del valore intrinseco negativo di contratti di swap stipulati dalla A. srl e da questa contestati (fattispecie estranea alle controversie oggetto di esame), ma non ha offerto prova di alcun danno risarcibile subito a causa di detta segnalazione. Risulta quindi superfluo accertare se la segnalazione effettuata dalla banca possa o meno considerarsi errata e quindi se il comportamento della stessa possa o meno considerarsi inadempimento agli obblighi di esecuzione del contratto secondo buona fede, non comportando detto inadempimento un danno in re ipsa, ma unicamente la responsabilità della banca per il risarcimento dei danni che abbiano costituito conseguenza immediata e diretta dell’eventuale inadempimento. A tal fine parte attrice ha dimesso unicamente una e-mail inviata dal proprio legale a B. …omissis…, al fine di avere chiarimenti in ordine alla suddetta segnalazione, per avere ricevuto, secondo quanto allegato, analoghe richieste da parte di altri istituti di credito, finanziatori della società. Parte attrice non ha però dimostrato né che a seguito della segnalazione altre banche abbiano revocato o diminuito il credito, néche tale fatto abbia comunque comportato un discredito commerciale. In assenza di prova in ordine alla sussistenza del danno lamentato la domanda deve quindi essere rigettata » (Cfr. Trib. Mantova, 30.01.2012/20.03.2012).

Più di recente, inoltre, è stato anche affermato che: « Ai fini del risarcimento del danno da illegittima segnalazione alla centrale rischi, grava sull’attore l’onere di dimostrare tale illegittimità, nonché fornire la prova del danno subito e della sussistenza del nesso di causalità tra lo stesso e la segnalazione compiuta dalla Banca » (cfr. Trib. Perugia, 06.03.2014).

E ciò risulta perfettamente in linea con quanto affermato ancor più di recente dal Tribunale di Bologna: « La domanda attorea non è fondata e va pertanto rigettata… Nel caso di specie, dall’esame della documentazione, non si ritiene sussistente il presupposto della responsabilità in oggetto, ovvero quello relativo alla sussistenza di un effettivo e grave pregiudizio verificatosi nella sfera personale… L’attore non ha provato quale danno effettivamente sarebbe conseguito dall’errata segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia… Tale segnalazione, specie con riferimento alla posta risarcitoria a carattere non patrimoniale, non si pone come unico presupposto di un forte turbamento con ripercussioni sulla vita di relazione…» (Cfr. Trib. Bologna, 28.04.2014, n. 20614).

Infine, questo è quanto affermato dal Tribunale di Torino con la recentissima sentenza n. 3651, emessa in data 20.05.2015 a definizione di un giudizio vinto da una delle società finanziarie difese dallo studio legale La Scala: « Se pure è vero che – in linea di principio – l’illegittimità della segnalazione eseguita da una banca di per se costituisce un comportamento pregiudizievole per l’attività economica del soggetto illegittimamente segnalato, in special modo ove eserciti attività d’impresa, nonché lesivo della sua reputazione, poiché il discredito che deriva dalla segnalazione genera una presunzione di scarso affidamento dell’impresa con inevitabile perturbazione dei suoi rapporti economici, facendo apparire rischiosi anche gli affidamenti già concessi (analogamente a quanto avviene nell’ipotesi del tutto analoga di illegittimo protesto di una cambiale), occorre però notare che, nel caso in esame, non vi è prova di esistenza del danno da lesione dell’immagine sociale e professionale della persona segnalata, non avendo l’attore dimostrato l’esistenza dell’asserito pregiudizio sofferto e del nesso causale tra esso e la condotta della banca. Pur potendosi ravvisare la potenziale idoneità dell’erronea segnalazione, l’attore non ha tuttavia assolto l’onere probatorio di concreta ed effettiva esistenza del danno, del suo ammontare e del rapporto di causalità con la condotta…» (all.to).

Dunque, non possiamo che giungere alla seguente conclusione: il suesposto orientamento giurisprudenziale è la prova concreta di come nuove soluzioni e nuovi approcci interpretativi siano percorribili.

Il punto di arrivo, in ogni caso, è che, alla luce delle decisioni più significative di segno contrario alla tesi del danno in re ipsa in materia di illegittima segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca di Italia, la questione è ancora aperta e tutt’altro che risolta.

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