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Giurisprudenza

Illegittima segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi

21 Giugno 2016

Giovanni Battista Fauceglia, Dottorando di ricerca in Economia e politiche dei mercati e delle imprese, Università degli Studi di Salerno

ABF Napoli, 23 marzo 2016, n. 2677

Di cosa si parla in questo articolo

Centrale dei rischi – Segnalazione a sofferenza – Avvio delle trattative di rientro del debito – Stato d’insolvenza – Esclusione – Preavviso di segnalazione – Società – Sussistenza.

Centrale dei rischi – Segnalazione a sofferenza – Comportamento secondo buona fede – Preavviso di segnalazione negativa – Società – Sussistenza.

È illegittima, e perciò ne va ordinata la cancellazione, la segnalazione a sofferenza in Centrale dei rischi allorquando la banca, dando corso e portando a conclusione le trattative di rientro, ha ponderato le complessive condizioni economiche del debitore e soprattutto non ha manifestato particolari timori sull’eventuale irrealizzabilità delle avviate operazioni transattive (1).

L’intervenuta segnalazione si pone in contrasto con il comportamento esigibile che impone all’intermediario di preavvisare il segnalando della sua imminente iscrizione negativa nella Centrale dei rischi, a nulla rilevando che il segnalato sia una società, poiché è evidente che il comportamento assunto dalla banca violi il canone generale di comportarsi secondo buona fede e correttezza, nella peculiare conformazione che esso assume per la protezione degli interessi dell’altro contraente, in una prospettiva di equilibrato soppesamento dei rischi cui quest’ultimo potrebbe essere esposto (2).

 

1. La questione affrontata nella decisione che si commenta, attiene alla ben nota tematica della legittimità – «sostanziale» e «procedurale» – della segnalazione presso la Centrale dei rischi.

Secondo la prospettiva assunta dalla società ricorrente, la banca segnalante avrebbe dato impulso all’iscrizione a sofferenza del proprio nominativo sulla base di presupposti insufficienti e con modalità illegittime: la ricorrente – a séguito della richiesta di immediato rientro degli affidamenti concessi – aveva intrattenuto, a mezzo dei propri legali, una «serrata trattativa al fine di addivenire ad una definizione transattiva» con l’istituto di credito, nelle more della quale la banca comunicava alla controparte di aver provveduto a segnalarne «a sofferenza» la posizione presso la Centrale dei rischi pubblica. La società chiedeva perciò al Collegio napoletano di disporre la cancellazione del proprio nominativo dalla Centrale dei rischi di Banca d’Italia, contestandone la sussistenza del presupposto, in quanto versante in una mera situazione di difficoltà transitoria e non già di insolvenza (ovvero situazioni equiparabili), come richiesto dalla normativa.

L’intermediario, da parte sua, chiedeva il rigetto del ricorso, assumendo, tra l’altro, di essersi visto costretto «a verificare la insussistenza in fatto di elementi idonei alla concreta definizione della debitoria», intanto «aumentata significativamente», e di aver concluso un accordo di rientro con la cliente «sempre in ambiente di sofferenza» e comunque in un periodo successivo all’avvenuta segnalazione.

2. È noto che, nell’ambito delle categorie di censimento prese in considerazione dal servizio di centralizzazione dei rischi di credito presso la Banca d’Italia, in quella «a sofferenza» – cui fa riscontro il livello più alto di deterioramento del credito – viene ricondotta l’intera esposizione per cassa e fuori bilancio (finanziamenti, titoli, strumenti derivati, etc.) nei confronti di clienti in «stato di insolvenza», anche non accertato giudizialmente, ovvero in situazioni sostanzialmente equiparabili.

Quanto alla valutazione richiesta all’intermediario partecipante[1], altrettanto note sono le Istruzioni per gli intermediari creditizi, adottate dalla Banca d’Italia, con Circolare 11 febbraio 1991, n. 139 (14° Aggiornamento del 29 aprile 2011), che parlano di complessiva e deficitaria situazione finanziaria del cliente, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile (ma non coincidente) alla condizione d’insolvenza in materia fallimentare (Cap. II, punto 1.5)[2].

Come chiarito dalla dottrina[3] e dalla giurisprudenza[4], il concetto di «sofferenza» va rapportato (non al singolo rapporto di credito in corso con la banca segnalante, bensì) all’intero patrimonio del debitore segnalato. In altri termini, l’intermediario, da un lato, dovrà tener conto di diversi elementi di allarme (: capacità produttiva e reddituale del segnalando, situazione di mercato in cui opera, ammontare complessivo del debito nei confronti del sistema creditizio e finanziario, rischio di concreta irrecuperabilità del credito da parte dell’intermediario segnalante, etc.), dall’altro, dovrà procedere – con responsabilità e diligenza professionale[5] – ad accertamenti sullo stato d’insolvenza del cliente, che le permettano un attento esame della sua solvibilità in termini di seria difficoltà di recupero del proprio credito.

Orbene, nel caso di specie, dalla lettura delle motivazioni dell’ABF di Napoli emerge come la esclusione della legittimità della segnalazione si regga sulla presenza di taluni «indici di anomalia» (in primis, la sostanziale coincidenza temporale tra la segnalazione e l’intrapresa procedura transattiva) che sembrano già di per sé denunciare l’assenza di quei presupposti di merito menzionati in precedenza[6]. Dopo aver rilevato che le intraprese trattative originavano proprio dalla finalità di impedire che la società subisse passaggi a sofferenza in Centrale dei rischi, l’intermediario, aderendovi, aveva implicitamente dimostrato di aver ben ponderato le complessive condizioni economiche del debitore.

Volendo richiamare le parole del Collegio, la banca, «non ponendo in essere pure possibili azioni di recupero, non ha manifestato particolari timori sull’eventuale irrealizzabilità delle operazioni di rientro. In questa prospettiva, ferma restando l’intrinseca contraddittorietà del comportamento dell’intermediario che aveva proseguito le predette trattative e nel contempo segnalato a sofferenza la posizione, non può ravvisarsi quel preventivo, ponderato e necessario giudizio sulla sussistenza della sofferenza (…)»; ragion per cui, «la conduzione di trattative e finanche l’accettazione positiva della proposta ultima formulata dal debitore, contraddicono il giudizio sulla complessiva e deficitaria situazione finanziaria del cliente», presupposto oggettivo necessario per procedere all’appostazione a sofferenza del credito.

3. Esclusa la legittimità della segnalazione de qua, per carenza di una situazione di impotenza finanziaria che non lasciasse presagire margini di superamento, come dimostrano le intraprese (ed in séguito concluse) trattative di rientro con la banca, la decisione affronta altresì il difetto di quel profilo «procedurale» tale da rendere la segnalazione in oggetto illegittima. Profilo che, peraltro, emerge chiaramente da diverse previsioni, sia normative che regolamentari.

Ci riferiamo, in particolar modo,all’art. 125, comma 3°, t.u.b., dettato in materia di credito al consumo, a norma del quale i «finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L’informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma».

Analoga previsione è rinvenibile nelle Istruzioni dettate dalla Banca d’Italia: è previsto che gli intermediari partecipanti al servizio della C.R. debbano «informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza»; con l’ulteriore precisazione che detto obbligo «non configura in alcun modo una richiesta di consenso all’interessato per il trattamento dei suoi dati» (Cap. II, Sez. 2, § 1.5.).

Peraltro, se quello di cui al t.u. bancario è definibile quale obbligo di preavviso nel caso di prima iscrizione di informazioni negative in una banca dati, con riferimento alle Istruzioni della Banca d’Italia dovrebbe parlarsi, più propriamente, di un «obbligo di informativa» (ABF Roma, 31 gennaio 2014, n. 640).

Infine, seppur con particolare riferimento alle c.dd. «centrali dei rischi private», l’art. 4, comma 7°, del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi di informazione creditizia, al fine di permettere al segnalando di «correre ai ripari», provvedendo ad adempiere alla propria obbligazione (ovvero a contestarne la fondatezza), prevede che, al «verificarsi di ritardi nei pagamenti, il partecipante, anche unitamente all’invio di solleciti o di altre comunicazioni, avverte l’interessato circa la imminente segnalazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie»[7]. Ciò, al fine di garantire un lecito e corretto trattamento dei dati personali, ai sensi dell’art. 12 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196[8].

Orbene – come emerge dalle succitate disposizioni e dalle recenti modifiche in materia di trattamento e protezione dei dati personali – se la funzione propria dei preavvisi di prima segnalazione negativa è quella di «porre in grado il segnalando di rimediare alla situazione debitoria in essere evitando così la segnalazione stessa, ma è anche quella di evitare errori o fraintendimenti grazie al controllo critico che il segnalando è in grado di esercitare sui motivi della divisata segnalazione» (ABF Milano, 22 giugno 2012, n. 2126), allo stesso tempo detti preavvisi operano solo nei confronti del segnalando-persona fisica e non anche dell’ente.

Sul punto è peraltro intervenuto il Collegio di coordinamento: «il diverso trattamento tra persone fisiche e giuridiche, appare il frutto di una inequivoca volontà di semplificazione in materia di privacy nei confronti delle imprese, concretantesi nella riduzione degli adempimenti amministrativi a loro carico e nell’alleggerimento della gestione dei rapporti commerciali tra imprenditori (con conseguente liberalizzazione di utilizzo e cessione di elenchi di dati riferibili a società, enti e associazioni). E la scelta, per quanto opinabile, non appare inficiata da irrazionalità ove si consideri l’interesse professionale e gli strumenti di conoscenza di cui specialmente le persone giuridiche (e non le persone fisiche), dispongono per controllare le loro posizioni debitorie e per fronteggiare i rischi di segnalazione nelle banche dati» (Collegio coordinamento ABF, 20 maggio 2015, n. 4140).

Ciononostante, a giudizio del Collegio napoletano, la segnalazione de qua, essendo intervenuta in pendenza delle trattative di rientro, si è posta «in contrasto anche con il comportamento “esigibile” che impone all’intermediario di preavvisare il segnalando della sua imminente iscrizione negativa nella Centrale dei rischi; e, per quanto il segnalato resti una società, resta altrettanto evidente come il comportamento della banca violi il canone generale dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza, nella peculiare conformazione che esso assume per la protezione degli interessi dell’atro contraente, in una prospettiva di equilibrato soppesamento dei rischi (…)cui quest’ultimo potrebbe essere esposto».

A ben vedere, la decisione che si commenta richiama implicitamente quanto sostenuto da altro Collegio in merito ad una fattispecie simile: nonostante non sussista alcun obbligo di informazione preventiva a carico del segnalante (non trattandosi di cliente consumatore), «deve comunque ritenersi sussistente a carico dell’intermediario un dovere di informare la società ricorrente dell’avvenuta segnalazione. Peraltro, occorre precisare che la mancanza di un’informativa (successiva) non può incidere sulla validità della segnalazione stessa, ma può assumere rilevanza in quanto indice di un comportamento non conforme ai principi di buona fede e correttezza, comportando possibili riflessi anche sotto il profilo risarcitorio, come, ad esempio, in ipotesi di successivo accertamento dell’illegittimità della segnalazione» (ABF Roma, 31 gennaio 2014, n. 640).

Sembra potersi affermare che la decisione in commento faccia propri gli argomenti sostenuti da una parte della dottrina specialistica, che muovono innanzitutto dalla prospettiva della buona fede quale clausola generale che opera all’interno della relazione banca-cliente, in cui, com’è ovvio, si colloca anche il trattamento dei dati realizzato dalle centrali dei rischi, su impulso dell’intermediario segnalante[9]. Ragion per cui, da quest’angolo visuale, il punto focale della questione non sarà tanto quella dell’«obbligo preventivo e necessitato di informazione del cliente in ordine alla segnalazione (che costituisce in sé un obbligo di legge), ma di incompatibilità tra la segnalazione stessa ed il diverso comportamento assunto dall’intermediario nel corso del rapporto».

In altri termini, il nostro, conferendo il giusto rilievo alle clausole generali della correttezza e della buona fede contrattuale quali fonti di autonomi doveri giuridici tra le parti, ne trae la necessaria presenza e vincolatività di un obbligo di reciproca lealtà di condotta contrattuale, a prescindere dal momento in cui questa si iscrive (precontrattuale ovvero contrattuale).

«Del resto» – volendo concludere con le parole del Collegio di Napoli – «lo stesso debitore aveva intrapreso le trattative relative alla definizione del proprio debito sul presupposto che non avvenisse la segnalazione a sofferenza della posizione, con ciò manifestando un’attesa, ben nota alla banca: tanto avrebbe dovuto imporre a quest’ultima un dovere di informazione in ordine alla determinazione di segnalare la posizione a sofferenza».

 


[1] Trattasi degli intermediari vigilati dalla Banca d’Italia: in primis, le banche iscritte nell’albo di cui all’art. 13 t.u.b., gli intermediari finanziari ex 106 t.u.b., iscritti nell’albo ovvero nell’elenco di cui agli artt. 64 e 107 t.u.b. e le società per la cartolarizzazione dei crediti, disciplinate dalla L. 30 aprile 1999, n. 130.

[2] D’altra parte non potrebbe essere altrimenti: se il legislatore concorsuale guarda a situazioni d’irreversibile crisi economico-finanziaria dell’impresa commerciale, sottoponibile alle procedure concorsuali del fallimento e del concordato preventivo, diverso discorso deve farsi per la materia in oggetto, non potendo trovare qui alcuna operatività lo status di insolvenza ex art. 5 L. fall; e ciò, sia da un punto di vista «oggettivo» (: il credito apposto a sofferenza è, per definizione, recuperabile, seppur con grandi difficoltà), sia da un punto di vista «soggettivo» (: il servizio di centralizzazione dei rischi interessa anche i consumatori, le imprese non commerciali e quelle comunque non fallibili).

Sulla non coincidenza del criterio in discorso con l’incapacità di far fronte regolarmente e normalmente alle proprie obbligazioni, cfr.: Cass., 1° aprile 2009, n. 7958, in Corr. giur., 2009, 760 ss.; Cass., 24 maggio 2010, n. 12626, in Danno resp., 2011, 285 ss.; Cass., 12 febbraio 2014, n. 3165, in www.altalex.com.

[3] Dolmetta, Il credito in sofferenza nelle Istruzioni di vigilanza sulla Centrale dei rischi, in Sciarrone Alibrandi (a cura di), Centrale dei rischi. Profili civilistici, Milano, 2005, 36 ss.

[4] Senza pretesa di esaustività: cfr. Trib. Milano, 19 febbraio 2001, in Giur. it., 2002, I, 334 ss.; Trib. Milano, 8 marzo 2006, in Banca, borsa e tit. credito, 2007, II, 651 ss.; Trib. Napoli, 12 marzo 2007, ibidem, 2008, II, 783 ss.; Trib. Cagliari, 21 maggio 2009, ibidem, 2011, II, 647 ss.

[5] Sul dovere di diligenza (nella configurazione di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c.), quale clausola generale che impone, nello svolgimento dei rapporti bancari e finanziari, un «qualificato» sforzo volitivo e tecnico da parte dell’intermediario per realizzare l’interesse dell’altra parte e non lederne i diritti, v. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, 228: è «frase corrente, in materia di diligenza, quella che la banca è soggetto di «elevata professionalità». La frase si presta a due tipi di lettura: una sul piano dell’essere (: la banca è diligente perché è un elevato professionista); l’altra, sul piano del dover essere (: il parametro di diligenza della banca è quello dell’elevata professionalità)».

[6] È quanto recentemente emerso nelle ordinanze di alcuni giudici di merito: cfr. Trib. Milano, 12 marzo 2015 e Trib. Verona, 12 novembre 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Salerno, 7 aprile 2015, in Banca, borsa e tit. credito, 2016, II, 213 ss.

[7] Interessanti spunti si rinvengono in ABF, 13 giugno 2013, n. 3203: la differenza normativa tra la segnalazione nella C.R. pubblica («ove il preventivo avviso non costituisce condizione di validità della segnalazione stessa») e quella effettuata negli archivi privati gestisti dai c.dd. S.i.c. («ove invece la preventiva informazione al cliente assurge – giusta previsione di cui all’art. 4, 7° co., del relativo codice di deontologia e di buona condotta – a requisito di validità della segnalazione»), non dovrebbe essere tale da impedire una lettura delle stesse coordinata «con il diritto del cliente ad essere informato, tanto più ove l’intermediario intenda assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli nei suoi confronti, e con le regole sulla trasparenza e correttezza dei rapporti con gli intermediari».

Quanto agli aspetti legati alla prova della ricezione del preavviso o comunque della conoscenza dell’imminente segnalazione da parte del cliente, tra le più recenti, v. ABF Roma, 29 aprile 2015, n. 3371, nota di Abu Awwad, Segnalazione in Centrale rischi e necessario pre-avviso al cliente. Onere della prova dell’effettuata comunicazione, in www.dirittobancario.it.

[8] Per un commento alla normativa emanata con Delibera del Garante privacy, 16 novembre 2004, n. 8 (G.U. del 23 dicembre 2004, n. 300, e modificata dall’errata corrige pubblicata in G.U. del 9 marzo 2005, n. 56), v. Pellecchia, Il codice deontologico per le centrali-rischi private, in Danno resp., 2005, 252 ss.

Per completezza, occorre ricordare che il nostro legislatore, mosso dal preteso intento di ridurre gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, è intervenuto – prima con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (conv. in L. 12 luglio 2011, n. 106), poi con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214) –, sull’art. 3, comma 1°, lett. b) ed i) del codice privacy, eliminando ogni riferimento agli enti collettivi dalla disposizione; così sottraendone il trattamento dei relativi dati dall’ambito di applicazione delle tutele previste in favore degli interessati dal D.Lgs. n. 196/2003 (e, per conseguenza, di quelle contenute nel codice deontologico sui S.i.c.). La scelta normativa, invero, è criticabile in quanto l’appostazione «a sofferenza» costituisce una modalità per rendere pubblica una notizia relativa alla situazione economica critica di un soggetto.

[9] Per Frigeni, Segnalazioni presso le centrali rischi creditizie, in Banca, borsa e tit. credito, 2013, I, 391, è «possibile ravvisare l’esistenza di due distinti tipi di obblighi di comunicazione che, per quanto di contenuto analogo, non appaiono integralmente sovrapponibili: il primo, previsto nell’ambito della disciplina della privacy, funge da presupposto per la liceità del trattamento dei dati presso le centrali rischi private e individua una condizione alla quale risulta subordinata la possibilità per il gestore di una banca dati di mettere a disposizione degli altri partecipanti al sistema detta informazione; il secondo, fondato sul dovere di buona fede nei rapporti tra controparti contrattuali, integra uno degli aspetti in base ai quali viene valutata la condotta dell’intermediario nella fase di attuazione del rapporto banca-cliente». Cfr. Mucciarone, Centrali dei rischi ed esclusione degli enti collettivi dalle tutele del codice della privacy, in Banca, borsa e tit. credito, 2015, I, 385: nonostante gli interventi legislativi in materia di trattamento dei dati relativi agli enti collettivi, i frammentati dati normativi possono «unificarsi nella regola per cui l’intermediario deve preavvertire il cliente della segnalazione di qualsiasi dato negativo, anche se il cliente sia un ente collettivo, di qualunque tipo sia il rapporto di finanziamento. La regola pare infatti discendere dal principio di buona fede: non sussistendo un forte interesse dell’intermediario contrario al preavviso, anzi essendo anche interesse proprio dare l’opportunità al cliente di dimostrare l’erroneità della preannunciata segnalazione ovvero di evitarla, adempiendo».

Sulla generale operatività delle clausole di buona fede e correttezza (quali norme di condotta che impongono alla parte la considerazione della utilità dell’altra, in forza della solidarietà contrattuale), così Benatti, La clausola generale di buona fede, ibidem, 2009, I, 250-251: le disposizioni di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. «fondano la categoria dogmatica dei c.d. doveri di protezione che integrano il contenuto del contratto, sono accessori all’obbligo di prestazione e sono diretti a realizzare il risultato utile che le parti si attendono. Essi sono doveri di informazione, avviso, custodia, segreto, cooperazione, di tutela dell’altrui interesse, di salvataggio e, con qualche dubbio in alcuni scrittori, di conservazione». In materia di clausole generali operanti nel rapporto banca-cliente, si rinvia a Dolmetta, (nt. 5), 10: «la formula della «correttezza dei rapporti con la clientela», di cui al comma 1 dell’art. 127 TUB, esprime propriamente la necessità normativa che i comportamenti della banca verso i propri clienti – in essere, come potenziali – seguano il canone della buona fede oggettiva»; clausola generale che lo stesso A. definisce come «vertice orientato e orientativo della normativa di trasparenza».

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