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Approfondimenti

Il trattamento IVA dei Non Performing Loans alla luce delle indicazioni formulate dalla Commissione UE

20 Luglio 2017

Chiara Tomassetti, Partner, Emmanuel Orlando, Of Counsel, STS-Deloitte

Di cosa si parla in questo articolo
NPL

1. Premesse

La pubblicazione del Working paper n. 917 del 9 febbraio 2017 della Commissione Europea, intitolato “VAT treatment of transactions involving non-performing loans (NPLs)”, insieme alla recente diffusione da parte della Banca Centrale Europea (BCE) delle linee guida europee per le banche sui crediti deteriorati (cosidetti “bad debts” o “non-performing loans”, di seguito anche “NPLs”)[1], costituiscono la giusta occasione per fare il punto sul trattamento, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito, per brevità, anche “IVA”), delle operazioni a loro afferenti.

Come ben noto, unodegli effetti della crisi economica in Europa è stato l’aumento dei mutui rimasti insoluti. Quando il mutuatario smette di pagare il debito principale o gli interessi, il creditore deve, dopo un determinato periodo di tempo, classificare il prestito come “bad debt” o “non-performing”. Un prestito è generalmente considerato in sofferenza quando sono trascorsi più di 90 giorni senza che il mutuatario abbia onorato i suoi impegni contrattuali[2].

Le banche hanno ovviamente la necessità di ridurre la quantità dei crediti deteriorati. A tale fine, come raccomandato nelle predette linee guide diffuse dalla BCE, le banche devono esaminare la gamma di opzioni disponibili per l’attuazione della strategia di riduzione dei NPLs, quali il mantenimento delle posizioni in bilancio/misure di concessione[3], la riduzione attiva dei portafogli mediante cessioni e/o cancellazioni di esposizioni deteriorate oggetto di accantonamento che sono ritenute irrecuperabili, il cambiamento della tipologia di esposizione (escussioni delle garanzie, conversione del debito in azioni, conversione del debito in attività o sostituzione delle garanzie) o l’attivazione dei rimedi di tipo legale (incluse procedure di insolvenza e composizione extragiudiziale), nonché il rispettivo impatto finanziario.

Le leve tipiche a disposizione delle banche per raggiungere tale fine consistono, nell’ottica di un miglioramento dell’efficienza organizzativo/gestionale, nella cessione del portafoglio, nell’outsourcing di parte del portafoglio o di parti del processo o ancora nel pooling per servicing o cessione.

Nel prosieguo, sarà più specificamente affrontata la questione del trattamento IVA della cessione dei crediti deteriorati e dell’outsourcing nella gestione del NPLs.

Un NPL può essere ceduto dal titolare a terzi (ad esempio banche, investitori, joint venture, ecc) in mercati secondari, spesso sotto forma di portafogli con altri NPL. Di solito, il prezzo pagato per l’acquisto del NPL è inferiore al valore nominale del prestito, al fine di tenere in considerazione la sofferenza del credito. Per effetto della cessione, la titolarità del NPL passa normalmente all’acquirente, che assume il rischio di default dei debitori.

Sotto il profilo civilistico, l’ordinamento giuridico italiano consente il trasferimento di un credito mediante diverse modalità. Più precisamente, senza pretesa di esaustività e non trattando in questa sede dei profili civilistici della questione, gli schemi giuridici utilizzabili a tale fine possono essere : la cessione del credito, ai sensi degli articoli 1260 e ss del codice civile; la cessione ai sensi della Legge n. 52 del 21 febbraio 1991 (c.d. legge sul factoring); la cessione dei crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 del decreto legislativo n. 385 del 1 settembre 1993 (c.d. Testo Unico Bancario o TUB)[4] o ancora la cessione di crediti nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione, ai sensi della legge n. 130/99 (c.d. legge sulla cartolarizzazione)[5].

Ciascuna modalità di trasferimento del credito presenta finalità e caratteristiche giuridiche proprie, per quanto tutte siano astrattamente idonee a far conseguire la titolarità di un credito pecuniario ad un nuovo soggetto.

2. Panoramica del trattamento IVA delle cessioni di crediti e delle prestazioni di servicing nell’ordinamento domestic

Dal punto di vista IVA, in applicazione degli articoli 2, 3 e 10 del d.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972 (di seguito anche dPR 633/1972), sembra pacifico che le cessioni di crediti:

  • non configurano cessioni di beni ai fini IVA[6];
  • possono qualificarsi, se effettuate dietro il pagamento di un corrispettivo, come prestazioni di servizi[7];
  • possono beneficiare del regime di esenzione, salvo se riconducibili all’attività di recupero crediti[8].

L’Amministrazione finanziaria si è pronunciata varie volte in merito ad operazioni più o meno complesse che davano luogo a cessione di crediti. Si precisa tuttavia che, nella maggiore parte dei casi, non ci si riferiva alla specifica casistica della cessione di crediti in sofferenza.

Con specifico riferimento alla cessione di crediti in sofferenza, la posizione assunta nelle pronunce di prassi sembra orientata nel senso di considerare tale operazione come una prestazione di servizi esente quando sia realizzata con la finalità di finanziamento.

In questo caso, è il cessionario e non il cedente del credito ad effettuare l’operazione, essendo la cessione del credito solo strumentale rispetto all’attuazione di una prestazione di servizi di natura finanziaria. Resta ferma l’esclusione dall’ambito applicativo del tributo delle cessioni di crediti effettuate in contesti diversi da quelli dei contratti con causa di finanziamento.

Nella risoluzione n. 71 del 24 maggio 2000, già citata in nota, il Ministero delle Finanze ha infatti ritenuto che “le operazioni di finanziamento realizzate anche mediante cessione di crediti pro solutoo pro solvendo, rilevano agli effetti dell’imposta in regime di esenzione. Per converso, la cessione di credito posta in essere isolatamente come negozio a sé stante dovrà ricondursi al disposto della lettera a) terzo comma, dell’art. 2, nella parte in cui prevede l’esclusione dall’ambito applicativo del tributo della cessione di credito senza alcuna sottostante operazione di finanziamento. In sostanza, restano escluse da Iva, a norma del citato art. 2, le cessioni di credito pro solutonon aventi causa di finanziamento ma effettuate in conto pagamento di preesistenti obbligazioni, le quali possono trovare origine in negozi delle più varie specie: ad esempio compravendite, appalti, ecc. Con riferimento al caso in esame, la scrivente concorda con quanto espresso da codesta Direzione regionale, circa la natura finanziaria delle operazioni effettuate dalle predette banche: le cessioni, infatti, sono state poste in essere allo scopo di procurare liquidità alle banche cedenti”. In altre parole, qualora la cessione di credito avvenga a titolo di dazione in pagamento o comunque a scopi diversi da quello di finanziamento, l’operazione non rientra nel campo applicativo dell’IVA, mentre la cessione che abbia natura finanziaria (ad esempio quando è posta in essere per procurare liquidità al cedente) è attratta alla sfera impositiva, sebbene in regime di esenzione da IVA.

Dalla qualificazione delle cessioni di crediti quali prestazioni di servizi aventi natura finanziaria effettuate dal cessionario consegue chela base imponibile della prestazione è pari alla differenza tra il prezzo di cessione dei crediti e il valore nominale dei crediti stessi[9].

Con riferimento alle cessioni di crediti in bonis, l’Agenzia ha preso posizione in merito al regime di operazioni di factoring e di cartolarizzazione.

Nell’ambito delfactoring, per giungere alla conclusione che tale operazione costituisce un’operazione finanziaria esente da IVA, l’Amministrazione utilizza il parametro della causa del contratto per stabilire una distinzione tra l’operazione prettamente finanziaria e quella relativa al mero recupero del credito. Infatti, se la causa del contratto consiste nell’ottenere da parte del prestatore una gestione dei crediti rivolta essenzialmente al recupero degli stessi, l’operazione è da qualificare come recupero crediti e come tale imponibile ai fini IVA. Di contro, qualora il creditore voglia ottenere un finanziamento, per il quale paga una commissione che si atteggia, in linea di principio, alla stregua di un pagamento di interessi (essendo solitamente quantificata in una percentuale dell’ammontare dei crediti ceduti), l’operazione costituisce un’operazione finanziaria esente da IVA. A parere dell’Amministrazione, dunque, il factoring si colloca in questa seconda tipologia di contratto, salva la opportuna valutazione, caso per caso, delle specificità della fattispecie concreta [10].

Laddove in questa siano rinvenibili le caratteristiche di un contratto di factoring, secondo l’Agenzia il compenso del factor, costituito dalla differenza tra il valore nominale del credito e le somme anticipate, è assoggettato al regime di esenzione da IVA, a prescindere dalla circostanza che il compenso del factor venga eventualmente scomposto tra commissioni ed interessi ovvero venga previsto un unico compenso in cui la componente commissioni risulti prevalente rispetto alla componente interessi, determinata in base a parametri di riferimento mediamente praticati sul mercato ovvero in base ad altri criteri [11].

Nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione, l’Amministrazione finanziaria ha dovuto individuare il corretto inquadramento delle commissioni d’incasso relative ai c.d. crediti in bonis[12].

L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che, qualificandosi come servizio di gestione dei crediti da parte del concedente, i servizi di servicing fruiscono del regime di esenzione da IVA, ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 1), del d.P.R. 633/1972 e che tale esenzione è da circoscrivere alle sole operazioni di cartolarizzazione con covered bond di cui alla Legge 130/99, nelle quali è lo stesso originator a prestare il servicing. Non sono invece attratte al regime di esenzione le prestazioni di servizi diverse da quelle proprie del servicing. Conclusione questa da cui parrebbe doversi indirettamente trarre la conseguenza della esclusione dall’esenzione da IVA delle commissioni di recupero sui crediti deteriorati.

Infine, passando alla disamina della prassi relativa alla alla cosiddetta attività diservicing su crediti in sofferenza, in base alla quale una società conferisce al servicer l’incarico di curare l’amministrazione dei crediti, la gestione dei procedimenti e attività connesse (quale, a titolo esemplificativo, il servizio di compliance), in nome e per conto della società medesima, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che detti servizi rispondano “allo scopo di assicurare la riscossione delle somme dovute da parte del debitore, circostanza quest’ultima che consente di assimilarli ad un’attività di recupero crediti”[13], attività quest’ultima, per quanto già anticipato, attratta al regime di imponibilità ad IVA, sia alla luce della normativa europea che di quella domestica.

3. Analisi del trattamento IVA delle operazioni relative a NPLs (cessioni di crediti e prestazioni di servicing) nell’ordinamento unionale

Considerato il recente e significativo sviluppo del mercato relativo ai NPLs, la Commissione europea ha avviato una discussione con il Comitato IVA al fine di determinare il trattamento IVA delle cessioni e dei servizi relativi a detti prodotti, con l’obiettivo di assicurare un’applicazione uniforme della normativa in tutto il territorio dell’Unione europea[14].

La Commissione ipotizza che, agli effetti dell’IVA, la cessione di un NPL comprenderebbe due potenziali operazioni, potendo consistere:

  1. dal punto di vista del cedente del NPL, nella fornitura di una prestazione di servizi a titolo oneroso che ha ad oggetto una cessione di un bene immateriale, il NPL, appunto (di seguito, per più agevole lettura, “primo scenario”);
  2. dal punto di vista dell’acquirente del NPL, parimenti, nella fornitura di una prestazione di servizi a titolo oneroso che ha ad oggettol’obbligo di sollevare il cedente dall’onere di porre in essere attività di recupero crediti e dal rischio che il credito resti insoluto, con la prospettiva per l’acquirente di recuperare il debito in futuro (di seguito, per più agevole lettura, “secondo scenario”).
Per ciascuno di questi scenari, occorre in primo luogo verificare se vi sia una prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi della normativa IVA. 
In merito al profilo della sussistenza di una prestazione rilevante agli effetti dell’IVA, giova ricordare che, dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso solo quando c’è un legame diretto tra il servizio ed il corrispettivo ricevuto (ex multis, CGUE, 7 ottobre 2010, C-53/09). Tale legame diretto esiste “quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente” (CGUE, 27 marzo 2014, C-151/13). [15]
In caso di risposta affermativa, occorre verificare se tale prestazione può usufruire del regime di esenzione in base all’articolo 135, §1, della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (di seguito, per brevità, anche “Direttiva IVA”), recepito nell’ordinamento italiano con le disposizioni contenute nell’articolo 10, primo comma, del dPR 633/1972.
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In relazione al primo scenario, la Commissione Europea ritiene, innanzitutto, che la cessione di un NPL costituisca una vera e propria prestazione di servizi riconducibile al campo di applicazione dell’IVA, sebbene il corrispettivo ricevuto sia inferiore al valore nominale del capitale prestato (o dell’ammontare ancora dovuto dal mutuatario).

Infatti, l’articolo 25, lett. a), della Direttiva IVA prevede in modo molto generico che una prestazione di servizi può consistere, tra l’altro, nella “cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo”.

In merito, si segnalano due cause importanti decise dalla Corte di Giustizia. Nella causa Swiss Re[16], la Corte ha affermato che la cessione a titolo oneroso di un portafoglio di contratti di riassicurazione vita costituiva una prestazione di servizi, in quanto cessione di beni immateriali. Nella causa First National Bank of Chicago[17], in merito ad operazioni relative all’acquisto di un importo concordato in una valuta contro la vendita di un importo concordato in un’altra valuta, la Corte ha affermato che tali operazioni costituivano una prestazione di servizi, in quanto si trattava di uno scambio di beni immateriali, ove il servizio consisteva nella disponibilità e nella specializzazione della banca ad effettuare tali operazioni.

Tuttavia, come anticipato, perché possa rilevare ai fini IVA, detta cessione di beni immateriali deve essere realizzata dietro corrispettivo, vale a dire “quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente”[18]. A tale fine, non è necessario ai fini IVA che il corrispettivo rifletta il valore dei beni o servizi forniti, come insegna la costante giurisprudenza della CGUE (ad esempio, nella sentenza del 9 giugno 2011, causa C-285/10, la Corte ricorda che “la possibilità di qualificare un’operazione come «operazione a titolo oneroso» […] presuppone unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Pertanto, la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante rispetto a tale qualificazione”).

Quanto, infine, al regime IVA applicabile all’operazione, la Commissione conclude in sostanza che tale prestazioni possano usufruire dell’esenzione in virtù della lettera d) dell’articolo 135, §1, della Direttiva IVA, in quanto riconducibili al novero delle “operazioni, compresa la negoziazione, relative […] ai crediti”.

In relazione al secondo scenario, la Commissione evidenzia come la circostanza che una persona, a proprio rischio, acquisti crediti in sofferenza, ad un prezzo inferiore al loro valore nominale, potrebbe motivare la riqualificazione della fattispecie nel senso di ritenere che in realtà detta persona fornisca un servizio consistente nell’alleviare il cedente del NPL da operazioni di recupero crediti e dal rischio di debiti non pagati.
In merito, la Commissione non manca di richiamare la causa GFKL Financial Services, nella quale, in un caso seppur identico, la Corte al contrario concludeva che “un operatore che acquisti, a proprio rischio, crediti in sofferenza ad un prezzo inferiore al loro valore nominale non effettua una prestazione di servizi a titolo oneroso […] e non compie un’attività economica che ricade nella sfera di applicazione di tale direttiva qualora la differenza tra il valore nominale dei crediti ed il loro prezzo di acquisto rifletta il valore economico effettivo dei crediti medesimi al momento della loro cessione”. Questa decisione si basava sul fatto che non era previsto alcun corrispettivo a carico della banca (il cedente del prestito) a GFKL (l’acquirente del prestito). L’esistenza di una differenza tra il valore nominale e il prezzo di acquisto dei debiti era piuttosto vista come il riflesso del valore economico inferiore dei debiti, risultante della loro condizione di “sofferenza”.
Al riguardo, occorre tuttavia prestare attenzione alla sentenza MGK del 26 giugno 2003, causa C-305/01, nella quale, in presenza di simili circostanze di fatto, la CGUE decideva in senso diametralmente opposto affermando che “un operatore che acquisti crediti assumendo il rischio d’insolvenza dei debitori e che, come corrispettivo, fatturi ai propri clienti una commissione esercita un’attività economica”.
In entrambi i casi, le attività svolte dagli acquirenti dei crediti in sofferenza appaiono identiche (i.e. l’acquisto di debiti con piena assunzione di responsabilità per il recupero dei crediti e trasferimento sul cessionario dei crediti del rischio di perdita). Il diverso esito delle sentenze viene nondimeno giustificato dalla CGUE: nel caso GFKL, non era previsto alcun corrispettivo, al contrario, nel caso MGK, l’acquirente percepiva una commissione.

Pertanto, e vista la giurisprudenza di cui sopra, la Commissione europea ritiene che l’acquisizione di crediti in sofferenza con assunzione del rischio e ad un prezzo a buon mercato non costituisce una prestazione di servizi a titolo oneroso, a condizione che il prezzo d’acquisto rifletta il valore economico effettivo dei debiti. Nel caso contrario, qualora si possa rinvenire nel differenziale tra il valore nominale del debito e il suo prezzo d’acquisto l’esistenza di una commissione o comunque di un corrispettivo a vantaggio dell’acquirente, l’operazione dovrebbe essere qualificata come la fornitura di una prestazione di servizi da parte di tale ultimo soggetto a favore del cedente.

Sotto il profilo del regime applicabile all’operazione, in quest’ultimo caso, la prestazione dovrebbe essere ricondotta alla categoria delle attività di “recupero di crediti”(definite dalla Corte di giustizia come “operazioni finanziarie volte ad ottenere il pagamento di un debito in denaro”, cfr. sentenza del 28 ottobre 2010, causa C-175/09) e pertanto, come più volte ricordato, sarebbe esclusa dal novero delle prestazioni che godono del trattamento di esenzione da IVA.

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Quale alternativa alla vendita dei NPLs, i titolari dei crediti in sofferenza possono decidere di esternalizzarne la gestione ad aziende specializzate, sfruttando così il loro know-how per rendere più efficiente l’amministrazione del credito, riducendone i costi. Tale aziende di servizi gestiscono i NPLs per conto dei creditori, che in genere mantengono la titolarità del prestito.

In merito, sorge la questione se dette prestazioni di servizi ricadano nell’ambito di applicazione del regime di esenzione da IVA ai sensi della lettera d) dell’articolo 135, §1, della Direttiva IVA (e, in ambito domestico dell’articolo 10, primo comma, del dPR 633/1972).

Premesso senza dubbio alcuno che i servizi forniti da una società per la gestione di un NPL per conto del mutuante, in cambio di una determinata commissione, costituiscano una prestazione di servizi rilevante agli effetti dell’IVA, a parere della Commissione tali prestazioni presentano le caratteristiche tipiche dell’attività di “recupero crediti” con la conseguente applicazione del trattamento di imponibilità ad IVA.

4. Conclusioni

Come più ampiamente evidenziato nei paragrafi che precedono, a parere della Commissione, il trattamento IVA delle operazioni relative alla cessione o alla gestione di NPLs può essere schematizzato secondo quanto segue:

  1. nella prospettiva del cedente del credito, la cessione di un NPL costituirebbe una cessione di bene immateriale e di conseguenza configurerebbe una prestazione di servizi rilevante agli effetti dell’imposta. Tale prestazione potrebbe essere attratta al regime dell’esenzione da IVA in quanto qualificabile come operazione relativa ad un credito;
  2. nella prospettiva del cessionario del credito, l’acquisizione del NPLs con assunzione del rischio di default e ad un prezzo di mercato non costituirebbe una prestazione riconducibile al campo di applicazione dell’imposta, a condizione che tale prezzo rifletta il valore economico del NPL al momento dell’acquisto. In questo caso, la differenza tra il valore nominale del NPL e il suo prezzo di vendita – rispecchiando il valore economico reale del credito al momento della cessione – non potrebbe costituire il corrispettivo della cessione;
  3. diversamente, qualora il differenziale tra valore nominale del NPL e il suo prezzo di acquisto non rifletta il valore economico reale del debito, il rischio di insolvenza del debitore assunto dal cessionario del NPL verrebbe in realtà remunerato e quindi il cessionario porrebbe in essere una prestazione di servizi rilevante agli effetti dell’IVA a favore del cedente. Tale servizio, in quanto sostanzialmente riconducibile ad una attività di recupero crediti, sarebbe attratto al regime di imponibilità ad IVA;
  4. infine, in caso di outsourcing ad una società terza della gestione dei NPLs, si tratterebbe della fornitura al titolare del credito di una prestazione di servizi di recupero crediti, come detto imponibile ad IVA.
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Allorché la posizione italiana relativa alle prestazioni di outsourcing sembra, in linea di principio[19], allineata a quella espressa dalla Commissione europea e dalla Corte di Giustizia, appaiono al contrario subito evidenti le divergenze esistenti in relazione al trattamento della cessione del credito.

In primo luogo, il recepimento delle disposizioni unionali da parte del legislatore nazionale appare alquanto impreciso.

Infatti, la normativa comunitaria non contiene una disposizione simile a quella contemplata dalla lettera a) del terzo comma dell’articolo 2 del dPR 633/1972, che esclude dalla nozione di cessione di beni rilevante agli effetti dell’imposta la cessione che ha per oggetto denaro o crediti in denaro. Nel contempo, la previsione contenuta nel n. 3 del secondo comma dell’articolo 3 del medesimo decreto assimila alle prestazioni di servizi attratte al campo applicativo del tributo, se effettuate verso corrispettivo, “i prestiti di denaro e di titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro-soluto, di crediti, cambiali o assegni”, limitando la rilevanza IVA alle sole operazioni di negoziazione di crediti la cui causa sottostante sia quella finanziaria.

Ne consegue che la posizione tradizionalmente condivisa nell’ordinamento domestico appare discostarsi da quella espressa dalla Commissione europea, per la quale la somma ricevuta dal cedente per la cessione del NPL costituirebbe, nella prospettiva del cedente medesimo, la remunerazione di una prestazione di servizi consistente nel trasferimento di un bene immateriale, e ciò a prescindere dalla causa che giustifica l’operazione. Sotto il profilo nazionale, tale cessione – per espressa previsione normativa equiparata a una mera cessione di denaro – è considerata fuori dal campo applicativo dell’IVA quando non sia posta in essere nell’ambito di una operazione di finanziamento, adempiendo funzioni negoziali di carattere non finanziario, come quella diretta ad estinguere debiti pregressi[20]. Ciò premesso, l’interpretazione formulata dalla Commissione europea – sebbene apparentemente fondata – lascia la questione aperta, nell’attesa della presa di posizione del Comitato IVA.

In secondo luogo, contrariamente all’Amministrazione finanziaria italiana che in sede di interpretazione delle fattispecie giuridiche e in linea con la formulazione testuale delle disposizioni nazionali pare adottare un approccio basato su parametri “soggettivi”, tra questi in particolare la causa del contratto, le autorità europee privilegiano un approccio basato su parametri economici più “oggettivi”.

Infatti, applicando la logica della Commissione europea al caso affrontato dal Ministero nella Risoluzione n. 71 del 24 maggio 2000

  • da un lato, si dovrebbe concludere che la causa finanziaria, che, in base al dettato normativo vigente, per quanto sopra più volte rilevato, rende la prestazione rilevante ai fini IVA[21], possa esistere anche nel caso in cui la cessione del credito avviene con funzione solutoria, ovvero come dazione di pagamento. Invero, qualora la cessione avviene ad un prezzo inferiore al valore di mercato del credito, il differenziale tra il valore di mercato e l’effettivo valore di cessione potrebbe svelare l’esistenza di un corrispettivo (elemento questo, comunque, da verificare caso per caso, alla luce delle specifiche circostanze della fattispecie concreta);
  • dall’altro lato, non si potrebbe qualificare la cessione come di natura finanziaria – e quindi come prestazione attratta al campo di applicazione dell’IVA – sulla base dell’unica considerazione della causa di finanziamento sottesa all’operazione e del fatto che si tratti di una operazione di finanziamento posta in essere mediante negoziazione di crediti. Infatti, se la cessione avviene al prezzo di mercato, il cessionario non percepirebbe alcun corrispettivo e pertanto non realizzerebbe alcuna prestazione.

Per quanto riguarda la posizione espressa in materia di factoring e di cartolarizzazione, i casi affrontati riguardano essenzialmente cessioni di crediti in bonis, per cui in tali circostanze apparirebbe frettoloso applicare il precedente ragionamento.

Tuttavia, anche in questi casi qualche perplessità può essere sollevata con riferimento alla determinazione della base imponibile della prestazione resa dal cessionario. Infatti, la prassi nazionale parte dal presupposto che la base imponibile sia comunque rappresentata dalla differenza tra il valore nominale del credito e il valore di acquisto, con la conseguenza che, applicando in maniera generalizzata tale criterio, in ogni caso si configurerebbe una prestazione di servizio eseguita da parte del cessionario, anche quando il differenziale sia invece giustificabile per il minore valore di mercato del credito al momento della cessione.



[1] Le linee guide, pubblicate il 20 marzo 2017, si propongono di sviluppare un approccio di vigilanza organico, definendo processi, misure e migliori prassi in merito all’individuazione, misurazione, gestione e cancellazione dei NPLs.

[2] Vedasi, e.g., il regolamento di esecuzione (UE) N. 680/2014 del 16 aprile 2014 che stabilisce norme tecniche di attuazione per quanto riguarda le segnalazioni degli enti a fini di vigilanza conformemente al regolamento (UE) n. 575/2013.

[3] Come descritto nelle linee guide della BCE, trattasi di “strategia di mantenimento delle posizioni in bilancio che è fortemente connessa al modello operativo, alle competenze nella valutazione dei debitori e delle misure di concessione, alla capacità di gestione operativa degli NPL, all’esternalizzazione del servicing e alle politiche di cancellazione”. Sempre nelle dette linee guide, si legge che “Le misure di concessione consistono in <<concessioni>> accordate a qualunque esposizione – sotto forma di prestiti, titoli di debito e impegni (revocabili o irrevocabili) all’erogazione di finanziamenti – nei confronti di un debitore che si trova o è in procinto di trovarsi in difficoltà a rispettare i propri impegni finanziari (“difficoltà finanziarie”). Di conseguenza, un’esposizione può essere considerata oggetto di misure di concessione solo se il debitore si trova in difficoltà finanziarie che hanno indotto la banca ad accordare alcune concessioni.

[4] La cessione di cui all’art. 58 del TUB opera nei casi di cessione ad istituti bancari di aziende o rami di azienda, e di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. Sotto il profilo procedurale, tale norma prevede la notificazione della cessione mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, l’iscrizione della cessione presso il Registro delle Imprese e la conservazione dei privilegi e delle garanzie ipotecarie stabilite a favore del cedente senza bisogno di alcuna formalità (vi è, dunque, l’esonero della disposizione di cui all’art. 2843 c.c.). La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel Registro delle Imprese rendono la cessione dei crediti opponibile erga omnes. La formalità della pubblicazione ed iscrizione è quindi equiparata, a tutti gli effetti, alla notificazione ed all’accettazione della cessione da parte dei debitori ceduti, secondo la previsione dell’art. 1264 c.c.. Inoltre, a decorrere dal medesimo momento, “i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione” (articolo 58, comma 3, TUB).

[5] La Legge n. 130 del 30 aprile 1999, più volte modificata, regolamenta le operazioni di cartolarizzazione. Le usuali cartolarizzazioni sono basate su una cessione di crediti (effettuata anche da un soggetto non bancario) ad una società veicolo (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale emette i titoli. Il controvalore dell’emissione dei titoli finanzia l’acquisto dei crediti dal cedente (c.d. soggetto originator) i quali costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti, mentre le somme corrisposte dai debitori ceduti sono destinate in via esclusiva al soddisfacimento dei portatori del titoli ed al pagamento dei costi dell’operazione. Di particolare rilievo è stata la regolamentazione, inserita nella predetta legge n. 130, della cartolarizzazione contro emissione di obbligazioni bancarie garantite (c.d. covered bond) da parte della stessa banca originator. In questo caso, “è la banca che emette i titoli che, contemporaneamente, eroga allo SPV un prestito subordinato con il quale quest’ultimo acquista i crediti (attivi di qualità primaria ovvero titoli di cartolarizzazione di crediti della medesima natura) oggetto della cessione i quali, anche in questo caso, costituiscono un patrimonio separato; a valere su tale patrimonio separato il veicolo stesso presta garanzia in favore dei portatori dei titoli” (Quaderni di Ricerca Giuridica, n. 58, “La disciplina italiana dei covered bond”, Banca d’Italia).

[6] Il terzo comma dell’articolo 2 del dPR 633/1972 prevede infatti nella lettera a) che non sono considerate cessioni di beni “le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro”.

[7] Nel punto 3 del secondo comma dell’articolo 3 del dPR 633/1972 è previsto che “costituiscono, inoltre, prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo […] i prestiti di denaro e di titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro soluto, di crediti, cambiali o assegni”. Allo scopo di fornire chiarimenti in merito al coordinamento delle modifiche in materia di esenzione – recate all’art. 10 del d.P.R. 633/1972 dalla Legge n. 28 del 18 febbraio 1997 – la Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 71 del 24 maggio 2000 precisa in proposito che “L’art. 3, secondo comma, numero 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 è stato modificato dall’art. 4 della Legge 18 febbraio 1997, n.28, con la quale si è provveduto a dare attuazione nel nostro ordinamento alle disposizioni delle direttive comunitarie in materia di Iva sulle operazioni creditizie e finanziarie. La nuova formulazione del primo periodo del citato numero 3, sulla base delle modifiche introdotte dall’art. 4, comma 1, lettera a) della legge n.28 del 1997, ha ampliato la portata della fattispecie facendo rientrare nel novero delle prestazioni di servizi tutte le operazioni finanziarie concernenti crediti, cambiali o assegni, che si concretizzano nella loro negoziazione, anche a titolo di cessione pro soluto. In buona sostanza l’art.3, secondo comma, numero 3, è stato riformulato per precisare che la nozione di prestito di denaro, assimilata agli effetti dell’Iva a prestazione di servizio quando effettuata a titolo oneroso, non è limitata allo sconto di crediti e titoli di credito, ma ricomprende le operazioni finanziarie intendendosi per tali tutte le operazioni aventi causa di finanziamento anche se attuata con cessione di crediti, anche pro soluto, di cambiali o assegni.”. In senso sostanzialmente analogo, prima del ricordato chiarimento ministeriale, si era pronunciata l’ABI nella Circolare n. 37/97 dell’11 agosto 1997 – Serie tributaria.

[8] Ai sensi dell’articolo 10, comma 1, punto 1), del dPR 633/1972, sono esenti dall’imposta “le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l’assunzione di impegni di natura finanziaria, l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di crediti da parte dei concedenti; le dilazioni di pagamento, le operazioni, compresa la negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti e ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di crediti”.

[9] Si veda la richiamata Circolare ABI n. 37 del 1997.

[10] Si veda la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 139/E del 17 novembre 2004, emanata a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito, per brevità, anche “CGUE” o la “Corte di Giustizia” o la “Corte”) del 26 giugno 2003, causa n. C-305/01: “In conclusione, a voler applicare in modo generalizzato le determinazioni assunte dalla Corte di Giustizia, senza tener conto delle significative e sostanziali differenze intercorrenti fra la fattispecie solitamente adottata in Italia e quella rappresentata nella pronuncia della Corte stessa, si finirebbe per applicare un’identica disciplina ad istituti profondamente differenti.

Per evitare il predetto effetto e, al contempo, riconoscere il corretto valore all’indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia, sarà necessario, a parere della scrivente, esperire di volta in volta un’indagine che consenta di individuare la corretta natura dell’operazione concretamente realizzata.

Se la causa del contratto è la volontà di ottenere da parte del factor una gestione dei crediti rivolta essenzialmente al recupero degli stessi, indubbiamente viene in applicazione la sentenza della Corte in esame, per cui l’operazione è da qualificare come recupero crediti e come tale imponibile ai fini Iva.

Al contrario qualora il creditore, con la stipula un contratto di factoring, vuole ottenere un finanziamento (si tratterebbe di una anticipazione o meglio di una monetizzazione dei propri crediti), per il quale paga una commissione che si atteggia come un vero e proprio pagamento di interessi (essendo peraltro quantificato in una percentuale dell’ammontare dei crediti ceduti), allora appare fuori dubbio che il c.d. factoring costituisce una vera e propria operazione finanziaria esente da IVA.”.

[11] Si vedano le Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate n. 139/E del 2004, citata nella precedente nota, e n. 32/E dell’11 marzo 2011. A commento della prima, le Circolari ABI – Serie Tributaria 14/04 e Assonime 52/04, entrambi del 15 dicembre 2004, e della seconda la Circolare ABI 4/11 dell’8 aprile 2011.

[12] Si veda la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 106/E del 17 novembre 2016.

[13] Vedasi la Risoluzione n. 130/E del 6 giugno 2007, già menzionata.

[14] Working paper n. 917 del 9 febbraio 2017, par. 1.

[15] Nel medesimo senso, per completezza, si veda Cassazione Civile, Sezione V, sentenza 9 giugno 2017, n. 14407: “Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente ricevuto, necessario per l’assoggettabilità ad iva della prestazione di servizi (v., per analogia, sentenze 3 marzo 1994, Tolsma, causa C-16/93, punto 19, e 27 settembre 2001, Cibo Participations, causa C-16/00). Conseguentemente, qualora l’attività di un prestatore consista nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette all’iva (tra varie, Corte giust. 11 giugno 2016, causa C-11/15, Cesky’ rozhlas, punto 20). Significativamente, da ultimo la Corte di giustizia, a proposito della messa a disposizione di cavalli per la partecipazione a gare ippiche, ha stabilito che essa è presupposto impositivo dell’iva soltanto se sia di per sécompensata, indipendentemente dal conseguimento di premi (Corte giust. 10 novembre 2016, causa C-432/15, Bastovà)”.

[16] CGCE, sentenza del 22 ottobre 2009, causa C‑242/08.

[17] CGCE, sentenza del 14 luglio 1998, causa C‑172/96.

[18] CGCE, sentenza del 22 giugno 2016, causa C‑11/15.

[19] Ovviamente tale assunzione di principio deve essere calata nel contesto fattuale proprio di ciascuna operazione ed un’analisi caso per caso è d’uopo anche in considerazione delle varie tipologie di prestazioni che una società terza possa rendere nel contesto della gestione dei NPLs.

[20] Si veda la Risoluzione n. 71 del 2000, più volte menzionata.

[21] Cfr. il n. 3) del secondo comma dell’art. 3 del d.P.R. 633/1972 citato.

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