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Note

Il recesso del consumatore come rimedio nel canone della Corte di giustizia UE tra regolazione del mercato e “opportunismo” della parte protetta

21 Luglio 2023

Andrea Dalmartello, Professore Associato di Diritto Privato, Università degli Studi di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: Il saggio fornisce una lettura della sentenza in commento quale contributo alla ricostruzione di un sistema dei rimedi nel diritto privato regolatorio europeo. In particolare, viene evidenziato come l’opportunismo rimediale della parte protetta – in questo caso, determinato dalla negazione di una pretesa restitutoria del professionista – costituisca uno degli aspetti caratterizzanti della tutela del consumatore. Viene così indagato a quali condizioni ciò risulti giustificato, nella prospettiva degli obiettivi di politica del diritto del legislatore europeo. In conclusione, sono però sollevate alcune perplessità sull’applicazione di questo modello regolatorio nel contesto di mercato in relazione al quale la Corte di Giustizia si è espressa.

ABSTRACT: The essay provides a reading of the judgment under comment as a contribution to the reconstruction of a system of remedies in European regulatory private law. In particular, it is highlighted how the remedial opportunism of the protected party – in this case, brought about by the denial of a restitutory claim by the trader – constitutes one of the defining aspects of consumer protection. It is thus investigated under what conditions this is justified from the perspective of the policy objectives of the EU lawmaker. However, in conclusion, some concerns are raised about the application of this regulatory model in the market context, with regard to which the Court of Justice has expressed its opinion.


1. Il caso e la questione: l’uso opportunistico del rimedio consumeristico nel diritto privato regolatorio.

La sentenza in commento rappresenta un passaggio di non trascurabile interesse nella prospettiva della ricostruzione di un sistema rimediale di diritto privato regolatorio[1] e della sua caratterizzazione funzionale, nell’ambito del quale acquisisce progressivo spessore la facoltà del consumatore di un uso opportunistico del rimedio teso a rimuovere la lesione del suo interesse: in questo caso del recesso. Prima di svolgere alcune riflessioni al riguardo, è opportuno esaminare il caso e la questione interpretativa sollevata dal Landgericht di Essen.

La controversia riguardava un contratto concluso oralmente da un consumatore, fuori dai locali commerciali del professionista, relativo alla ristrutturazione dell’impianto elettrico dell’abitazione del consumatore, senza che l’impresa avesse informato il consumatore del diritto di recesso (previsto dal §246a EGBG). Eseguita la prestazione d’opera, il professionista esigeva il pagamento del corrispettivo, senza ottenerlo. Ceduto il credito ad altro soggetto, quest’ultimo riceveva la comunicazione relativa al recesso dal contratto da parte del consumatore, che si rifiutava nuovamente di versare quanto dovuto. Il rifiuto sarebbe giustificato dalla previsione del § 357a BGB attuativa dell’art. 14.5 della Direttiva 2011/83/UE[2] a mente della quale, in caso di omissioni informative da parte del professionista circa il diritto di recesso, questi non può pretendere alcuna somma dal consumatore (“l’esercizio del diritto di recesso non comporta alcuna responsabilità per il consumatore”).

Il giudice del rinvio si interroga sulla potenziale antinomia tra la disposizione appena citata e la norma, interna ma corrispondente a un principio dell’Unione Europea, in tema di arricchimento senza causa, che giustificherebbe una pretesa restitutoria del professionista nei confronti del consumatore, arricchitosi della prestazione di facere senza sopportarne i costi. Si chiede, pertanto, alla Corte di Giustizia di chiarire se, in caso di recesso del consumatore (conseguente all’omessa informazione del professionista), la disciplina europea ammetta una pretesa restitutoria del professionista.

La risposta della Corte di Giustizia è negativa: nel caso sottoposto alla Corte, il professionista non può pretendere dal consumatore “importi compensativi”. Si tratta di una decisione che segna un definitivo superamento della giurisprudenza Messner[3] e che apre spazi inediti a una lettura dei rimedi privatistici ove dissuasività ed effettività prevalgono, quantomeno in determinati contesti negoziali, sulla proporzionalità (v. Considerando 57, Direttiva 2011/83/UE). Benché nel contesto del diritto privato europeo sia da escludere la funzione punitiva del rimedio risarcitorio[4], la Corte di Giustizia non nega spazi all’opportunismo rimediale nella tutela individuale del consumatore, al quale pare riservare un ruolo non marginale, là dove conferisce una curvatura (almeno in apparenza) inedita al principio di ingiustificato arricchimento, ricostruito in chiave ancipite, distinguendo tra la pretesa del consumatore (sempre ammessa) e quella del professionista (viceversa, esclusa).

2. Contratti negoziati fuori dai locali commerciali e diritto di recesso. Recesso-regolatorio v. recesso-rimedio.

Prima di svolgere qualche considerazione sull’impatto della decisione nella complessa ricostruzione di un sistema dei rimedi nel diritto privato regolatorio, è opportuno un breve richiamo degli elementi essenziali della strategia normativa che, ormai quasi quarant’anni fa, il legislatore europeo iniziò a strutturare proprio in relazione alle vendite “porta a porta”. Con la direttiva 85/577/CEE[5] sulle vendite eseguite fuori dai locali commerciali, il legislatore comunitario iniziò a conformare il mercato interno attraverso la disciplina dell’interlocuzione tra operatori professionali e consumatori, mediante alcuni strumenti di tutela privatistica della parte debole.

Segnatamente, il legislatore europeo decise di attribuire al consumatore, adeguatamente informato al riguardo, il diritto potestativo, da esercitare entro un breve lasso di tempo, di sciogliere, senza sopportarne i costi, ma con effetti tendenzialmente retroattivi, l’operazione contrattuale conclusa con il professionista[6].

Alla dottrina tradizionale è apparsa subito evidente e grave la frattura con il dogma della forza di legge del contratto generata da questo potere unilaterale di sciogliere il contratto[7]. Tuttavia, la migliore civilistica europea ha immediatamente ricucito lo strappo rimarcando – con particolare riferimento alle tecniche di vendita aggressive – che la libertà contrattuale è tale solo se frutto di scelte libere – e perciò consapevoli e ponderate – di entrambe le parti e in specie della parte debole[8].

Se tale spiegazione si presta ad alcuni rilievi critici, in relazione all’impiego della tecnica regolatoria del recesso in contesti differenti da quello delle vendite porta a porta[9], risulta evidente che, con riferimento a questa modalità di interlocuzione tra professionisti e consumatori, lo scopo del legislatore non è stato solo quello di proteggere i consumatori di fronte alle tecniche aggressive di sollecitazione dei professionisti, ma conformare l’offerta di questi ultimi a standard qualitativi adeguati. Individuando un delicato bilanciamento tra l’interesse imprenditoriale all’impiego di queste tecniche e il pericolo che, proprio le tecniche aggressive, possano deteriorare la qualità dei prodotti e dei servizi scambiati nel mercato comune.

Si spiega, pertanto, il fatto che il potere di reazione è attribuito al consumatore senza richiedere una puntuale verifica della effettiva lesione dell’interesse della parte protetta[10]: non rileva, in altri termini, se la lesione sia presunta – con valutazione legale tipica – dal legislatore. L’obiettivo è incentivare il potere del consumatore di liberarsi dal vincolo, così da conformare – contribuendone allo sviluppo efficiente – il funzionamento dei segmenti di mercato interessati dalla previsione del recesso.

Questa prospettiva regolatoria assume una diversa e più intensa curvatura, là dove, come nel caso oggetto della decisione della Corte di Giustizia, il recesso del consumatore sia connotato dal legislatore europeo da coloriture spiccatamente rimediali: con ciò intendendo il potere di reazione che l’ordinamento riconosce alla parte protetta in caso di lesione di un suo interesse[11].

Nell’ipotesi dell’assenza di informazioni sul recesso, quest’ultimo ha la funzione di rimuovere la lesione, per così dire in re ipsa, dell’interesse del consumatore a conoscere in modo trasparente l’esistenza e le modalità di esercizio del diritto.

Se osservato nell’ottica funzionale, il recesso del consumatore presenta caratteri non omogenei, che si trovano riflessi in un dato normativo non del tutto perspicuo[12]. Emerge, tuttavia, in modo sufficientemente chiaro che il recesso-strumento di regolazione (ossia quello fisiologicamente previsto in relazione a determinate modalità di interlocuzione tra professionisti e clientela) è disciplinato individuando un delicato punto di equilibrio tra le esigenze di tutela della “parte debole” e quelle di certezza del professionista[13].

Punto di equilibrio che è, viceversa, deliberatamente abbandonato nella costruzione rimediale del recesso: vale a dire, là dove lo ius poenitendi consegua alla violazione di un obbligo di informazione (circa l’esistenza di tale prerogativa). In questo caso, il legislatore reputa controproducente tenere in considerazione gli interessi del professionista ad evitare la sopportazione di costi eccessivi. Il rimedio è connotato da una trama che si polarizza sull’effetto dissuasivo. In quest’ottica, e in ciò la sentenza della Corte UE risulta pienamente coerente con la policy perseguita dal legislatore europeo, l’opportunismo della parte protetta costituisce, per così dire, un male necessario e, come tale, costituisce un esito del tutto fisiologico della strategia normativa che non determina (non potrebbe altrimenti) spostamenti di ricchezza ingiustificati.

Una conclusione di questa portata si può comprendere abbandonando la prospettiva metodologica tesa a definire la struttura delle categorie giuridiche[14] e accettando piuttosto una loro dimensione cangiante e funzionale al conseguimento di obiettivi di politica economica[15]. Solo da questo angolo visuale può essere razionalizzato l’intervento europeo.

3. Il recesso-rimedio: il caso della mancata (o inesatta informazione) sul recesso. Fisiologia dell’opportunismo rimediale.

La funzione spiccatamente rimediale del recesso quale strumento di reazione al difetto di informazione del professionista giustifica il perseguimento di obiettivi di deterrenza simili – seppure non pienamente sovrapponibili[16] – a quelli della nullità di protezione[17]. L’idea è utilizzare la tutela privatistica individuale come strumento di indirizzo delle scelte imprenditoriali: nel caso del recesso-rimedio, l’obiettivo è rafforzare la presenza sul mercato dell’informazione sullo ius poenitendi come strumento di regolazione di alcuni segmenti di mercato.

Come nel caso della nullità, non può certo dirsi, tuttavia, che la disciplina sia connotata dal solo obiettivo della deterrenza. La costruzione dei rimedi è alquanto ondivaga, già in sede europea, e connota vuoi il formante legislativo vuoi quello legislativo.

In particolare, il recesso rimediale è stato caratterizzato da un recente intervento del legislatore che ha posto un freno ad alcuni eccessi di deterrenza, prodotti da alcuni orientamenti giurisprudenziali. La direttiva CRD ha, in questa direzione, individuato un delicato, ma discutibile, bilanciamento tra le esigenze di certezza nella circolazione dei beni e l’uso opportunistico del rimedio, mitigando gli effetti della giurisprudenza Heininger[18], che – sulla scorta del principio di effettività – ammetteva, proprio per i contratti conclusi fuori dei locali commerciali[19], l’esercizio del recesso sine die[20]. Per contro, la disciplina vigente (art. 53, comma 1, cod. cons.) prevede, in caso di omessa informazione sul diritto di recesso ex art. 49, comma 1, lett. h, cod. cons., un termine decadenziale annuale, che decorre trascorsi quattordici giorni dalla conclusione del contratto o dalla consegna del bene[21]. La ricostruzione in termini unitari del recesso, quale reazione rimediale all’omessa informazione, esclude che si possa attingere alla altrove rimarcata[22] differenza di rationes dei recessi in relazione alle diverse operazioni negoziali, al fine di giustificare differenze di regime. Irragionevoli, pertanto, risultano le differenze tra vendita porta a porta e contratti a distanza, da un lato, e, dall’altro, credito ai consumatori e contratti finanziari a distanza riguardanti l’identificazione del termine finale di decadenza per l’esercizio del recesso conseguente all’omessa informazione sul diritto di recesso[23].

Al di fuori di questi limiti temporali, tuttavia, il rimedio si presta a essere sviluppato attraverso il perseguimento di obiettivi da conseguire anche a costo di una disinvolta e netta frattura con le tradizioni giuridiche degli Stati membri. Ci si può allora brevemente soffermare su alcune ricadute applicative di questa impostazione.

Anzitutto, occorre valutare l’oggetto della lesione alla quale il recesso intende porsi in funzione rimediale. L’art. 53 cod. cons., che dispone la proroga del termine di decadenza per l’esercizio del recesso, parrebbe prendere in considerazione il solo “non adempimento” dell’obbligo di informazione. È da chiedersi se il legislatore abbia inteso riferirsi al solo inadempimento totale dell’obbligo, come si potrebbe sostenere valorizzando il dato testuale. All’opposto, la natura rimediale di questa previsione di recesso induce a concludere che il diritto debba essere riconosciuto non solo in caso di omissione dell’informazione, ma in ogni caso di lesione dell’interesse protetto, vale a dire anche quando essa sia inesatta o, soprattutto, poco trasparente ([24]).

La sentenza oggetto delle presenti note fornisce un’interpretazione che sembra fugare ogni dubbio sul fatto che il legislatore europeo consideri del tutto fisiologico che l’esercizio del rimedio da parte del consumatore possa prestarsi a un uso opportunistico o speculativo dello stesso: non solo nel contesto del mercato dei beni, ma anche (e soprattutto) a quello dei servizi.

L’art. 57, comma 2, cod. cons., superando la giurisprudenza Messner[25], afferma l’irrilevanza dell’operatività dei principi di buona fede e di arricchimento ingiustificato (“non è in alcun caso responsabile”), nel valutare il deprezzamento conseguente all’uso della cosa che il consumatore è tenuto a restituire in caso di recesso-rimedio. Il rischio di svalutazione del bene è, in altri termini, allocato integralmente sul professionista. Si tratta di una previsione diretta a scongiurare il fatto che il trascorrere del tempo e l’usura dei beni oggetto dell’operazione negoziale possano costituire un disincentivo per il consumatore nell’esercitare il rimedio del recesso, così premiando indirettamente il professionista inadempiente. Questa logica protettiva[26], fortemente ispirata a obiettivi di deterrenza, non pare distante da quella elaborata dalla Corte di giustizia nel costruire il sistema delle nullità di protezione[27]. E un’argomentazione affine si legge nelle trame della motivazione della sentenza in commento, là dove essa esclude che, nell’ambito di una prestazione di servizi, possa operare il principio di arricchimento ingiustificato al fine di tenere conto del valore dell’attività eventualmente prestata dal professionista[28]. Se è pur vero che sterilizzare la restituzione degli arricchimenti potrebbe stimolare l’uso opportunistico del rimedio da parte della parte protetta, non si può trascurare che la soluzione della Corte di Giustizia non pare incoerente vuoi con il dato testuale della CRD, vuoi con i principi in materia di restituzione dell’arricchimento ingiustificato[29].

Dal primo punto di vista, va rimarcato che la CRD impone che il recesso sia esercitato “senza costi” (art. 9 e art. 14 Direttiva 2011/83/UE): sintagma che la Corte valorizza in funzione di una piena ed effettiva tutela del consumatore, ove non v’è spazio per la restituzione di arricchimenti, quand’anche essi corrispondano al valore di mercato di prestazioni già eseguite dal professionista.

Ed è proprio questo secondo angolo visuale che consente di affermare come tale esito ermeneutico sia meno eversivo rispetto a quanto potrebbe a prima vista apparire[30]. Una delle ipotesi tipiche di arricchimento in cui è tradizionalmente esclusa l’operatività del rimedio restitutorio è quella dell’arricchimento imposto, vale a dire il caso di benefici non desiderati dall’individuo arricchito (in questo caso, il consumatore) dal comportamento dell’impoverito (il professionista), che determina una modificazione qualitativa o quantitativa del patrimonio[31].

In questa prospettiva, occorre attentamente valutare le condizioni alle quali si può ritenere che il consumatore abbia prestato un consenso all’incremento patrimoniale. Se, per un verso, sarebbe arduo negare che la fattispecie contrattuale possa essere letta quale assenso dell’arricchito al comportamento dell’impoverito, è, per l’altro, parimenti vero che l’esercizio del recesso-rimedio annienti, con effetti retroattivi, tale assenso, trasfigurando la prestazione dell’impoverito (il professionista) in un arricchimento imposto, che il consumatore-arricchito non può essere tenuto a restituire. Tanto più che, nel caso di recesso-rimedio, la lesione della prerogativa del consumatore, il quale non viene debitamente informato circa la facoltà di recedere, impedisce di considerare in buona fede il professionista, che esegua la prestazione in pendenza del termine lungo del recesso: col che si giustificherebbe altrimenti l’inoperatività del rimedio restitutorio[32]. La posizione del consumatore presenta, così, evidenti analogie con quella, più generale, del soggetto arricchito, tradizionalmente esonerato, in alcune ipotesi, da obblighi restitutori, là dove l’arricchimento e la conseguente responsabilità determinerebbero una modificazione qualitativa del patrimonio dell’arricchito, in quanto oggetto della restituzione non sia una cosa materiale, bensì di una somma di denaro corrispondente al valore dell’arricchimento patrimoniale[33]. E, del resto, la soluzione risulta significativamente coerente con la giurisprudenza che esclude la tutela restitutoria per il professionista, non iscritto all’albo, che abbia svolto l’attività riservata[34]. Come correttamente messo in evidenza dalla dottrina, la tutela restitutoria si presta a essere letta in coerenza con lo scopo del rimedio e, quindi. della norma tesa a evitare la lesione di un interesse[35]. Ciò significa che, nel caso della prestazione di facere, la negazione della tutela restitutoria è funzionale a escludere che siffatta tutela realizzi, in contrasto con la strategia normativa perseguita dal legislatore, un sinallagma disapprovato.

Resta da chiedersi se, analogamente ad alcune ipotesi che danno luogo a obblighi restitutori informati al principio di ingiustificato arricchimento (art. 935 c.c.; art. 1593 c.c.), al professionista-impoverito possa essere riconosciuta, ove concretamente attuabile, la facoltà di rimuovere, in tutto o in parte, i materiali utilizzati per eseguire le opere, acquisite dal consumatore-arricchito ad esito della prestazione del servizio. Una simile soluzione potrebbe essere tollerata[36], anche nella prospettiva della tutela effettiva del consumatore e della dissuasività del rimedio consumeristico, a condizione che il vaglio di separabilità delle cose sia condotto in modo rigoroso e che, in ogni caso, il rischio di deprezzamento della res sia assunto integralmente dal professionista-impoverito.

La ormai chiara operatività di una regola di irripetibilità delle prestazioni di facere eseguite dal professionista, in caso di esercizio del recesso-rimedio del consumatore, impone di interrogarsi circa l’opportunità di un ripensamento dell’orientamento della Corte di Giustizia, che esclude la tutela restitutoria del consumatore in caso di contratti bilateralmente eseguiti[37]. Nell’ottica funzionale che innerva la politica regolatoria europea, non vi è, infatti, ragione per distinguere il contratto in cui il consumatore abbia eseguito la propria prestazione, da quello in cui essa sia da questi ancora dovuta, nel momento in cui esercita il recesso-rimedio.

4. Alcune considerazioni critiche sull’opportunità di applicare tale impianto regolatorio alla prestazione di servizi. La necessità di adattare la disciplina al mercato di riferimento.

Da quanto osservato in precedenza emerge che il profilo più problematico sollevato dalla sentenza in commento non è tanto il riconoscimento di un ruolo fisiologico per l’opportunismo rimediale del consumatore, quanto la sorprendente assenza di una riflessione riguardo alle dinamiche concrete di interlocuzione tra professionisti e consumatori nel segmento di mercato preso in esame dal giudice rimettente. Se è vero, per un verso, che il recesso-rimedio presenti caratteristiche funzionali uniformi, tanto da giustificare il ravvicinarsi delle discipline (v. supra, § 3), è, però, altrettanto vero, per altro verso, che non si possa guardare al recesso-rimedio senza considerare il recesso-regolatorio, inserendosi la tutela rimediale in un più ampio disegno di politica regolatoria.

La precedente osservazione consente di rimarcare una profonda differenza tra le caratteristiche dei beni e quelle dei servizi: i primi caratterizzati essenzialmente da c.d. search qualities, ossia da proprietà che possono essere apprezzate dal consumatore attraverso l’esame fisico del prodotto; i secondi, per contro, da experience qualities, vale a dire da attributi che emergono essenzialmente dalla fruizione del servizio[38].

Se, pertanto, nei contratti a distanza con oggetto beni, il recesso si inserisce in una dinamica regolatoria perfettamente comprensibile e razionale[39], è certamente più arduo individuare il senso della previsione del recesso-regolatorio nel caso della prestazione di servizi a distanza.

È pur vero che nel caso della prestazione di servizi porta a porta, la disciplina non è volta a rimediare solo a un problema di asimmetria informativa, ma si vuole mitigare il fatto che il destinatario dell’offerta si trova a prendere la decisione negoziale “sotto pressione”, sollecitato dal professionista in un ambiente diverso dall’esercizio commerciale e, come tale, più vulnerabile[40].

Del resto, il contesto dei servizi si presenta come estremamente eterogeneo, riguardando tutto ciò che non costituisce vendita di beni[41]: e sarebbe opportuno tenere conto del contesto di mercato al fine di valutare la sussistenza delle ragioni che giustificano la presenza del recesso-regolatorio, con inevitabili ricadute sul recesso-rimedio.

E che il recesso-regolatorio poco si adatti alla logica della prestazione dei servizi[42] è implicitamente confermato dalla disciplina che consente al professionista di non avviare alcuna attività prima dello spirare del termine decadenziale ovvero condizionare l’inizio immediato dell’attività alla espressa rinuncia del consumatore al recesso (art. 51, comma 8, cod. cons.). Da una regola siffatta si può ricavare che il recesso-regolatorio è previsto per consentire al consumatore un ripensamento “al buio”, vale a dire senza aver esaminato la effettiva qualità del servizio (experience good). Il che può risultare coerente per contenere forme di interlocuzione tra professionisti e consumatori piuttosto aggressive (v. anche il considerando n. 21 della CRD), mentre appare poco giustificato in ipotesi, che sembrano assomigliare a quella indicata dal Landgericht di Essen nel sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte del Lussemburgo.

Si tratta, infatti, di mettere a fuoco se fosse reale intenzione (o sia comunque opportuno) del legislatore europeo regolare il mercato dei servizi resi da piccoli prestatori d’opera attraverso gli obblighi che tipicamente conformano l’offerta commerciale dei professionisti ex art. 2, n. 1, CRD e se le dimensioni e l’articolazione organizzativa di un’impresa non costituisca una variabile di cui tenere conto nella delimitazione del perimetro di applicazione della disciplina del recesso-regolatorio. Il tema è assai articolato e richiederebbe indagini – anche di carattere empirico – che sono evidentemente estranee all’orizzonte di queste brevi riflessioni.

Si può concludere osservando che il legislatore europeo ha tenuto conto dei profili di proporzionalità della disciplina del recesso-regolatorio attraverso le esenzioni di cui all’art. 59 cod. cons. sulle quali, tuttavia, si registrano numerosi interventi della Corte di Giustizia UE tesi a ridurne l’ambito di operatività, sul presupposto logico del rapporto tra regola ed eccezione[43]. E, pertanto, non sembra potersi applicare un’eccezione alla prestazione di servizi effettuata dal piccolo artigiano in base a un’intesa verbale, al di fuori dell’ipotesi in cui (v. art. 59, comma 1, lett. h) “il consumatore ha specificamente richiesto una visita da parte del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori urgenti”. Eccettuato il caso dei lavori urgenti e salva l’opportunità di interpretare analogicamente l’eccezione relativa alla fornitura di beni personalizzati il professionista è tenuto a comunicare al consumatore, per iscritto, che sussiste la facoltà di recedere, in quanto, in caso di inadempimento a tale obbligo informativo precontrattuale, si ritroverebbe esposto all’applicazione del recesso-rimedio. Senza un intervento chiarificatore del legislatore o della Corte di Giustizia, sarà opportuno che i prestatori d’opera (falegnami, idraulici, elettricisti etc.) si conformino alla disciplina consumeristica al fine di evitare le iniziative opportunistiche dei consumatori più attenti. Non pare, infatti, che la recente introduzione da parte della disciplina attuativa (d.lgs. 7 marzo 2023, n. 26) della direttiva omnibus (direttiva 2019/2161/UE) dell’art. 59, comma 1-ter cod. cons. consenta di escludere questo segmento di mercato dall’applicazione degli oneri formali imposti dalla disciplina consumeristica, in quanto alla prestazione di servizi tesi all’effettuazione di lavori di riparazione, su richiesta del consumatore “il consumatore perde il diritto di recesso dopo che  il servizio  è  stato  interamente prestato”, a condizione che “l’esecuzione  abbia  avuto  inizio  con  il  previo consenso espresso del consumatore medesimo”. Pertanto, anche in questa ipotesi non pare sufficiente un accordo orale tra professionista e consumatore.

 

[1] Sulla funzione regolatoria del diritto privato europeo: W. Micklitz, The visible hand of european regulatory private law – the transformation of european private law from autonomy to functionalism in competition and regulation, 28 Yearbook of European Law, 2009, 3 ss. Nella dottrina italiana, cfr. P. Sirena, L’europeizzazione degli ordinamenti giuridici e la nuova struttura del diritto privato, in ODCC, 2014, 10 ss.

[2] La direttiva 2011/83/UE è stata attuata con d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, sulla quale v. S. Pagliantini, La riforma del codice del consumo ai sensi del d.lgs. 21/2014: una rivisitazione (con effetto paralizzante per i consumatori e per le imprese?), in Contratti, 2014, 811 ss.; V. Cuffaro, Nuovi diritti per i consumatori: note a margine del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Corr. giur., 2014, 745 ss.; E. Battelli, L’attuazione della direttiva sui consumatori tra rimordenizzazione di vecchie categorie e “nuovi” diritti, in Eur. e dir. priv., 2014, 929 ss.; M. Farneti, Il nuovo recesso del consumatore dai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e a distanza, in NLCC, 2014, 959 ss.; I. Riva, La direttiva di armonizzazione massima sui diritti dei consumatori, o almeno ciò che ne resta, in Contr. e impr. Eur., 2011, 754 ss.

[3] CGUE, 3 settembre 2009, C-489/07.

[4] V. ad es. considerando n. 13 direttiva 2014/104/UE.

[5] Sulla direttiva 85/577/CEE, attuata con d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 (oggi v. artt. 45 ss. cod. cons.) v. M. Gorgoni, Contratti negoziati fuori dei locali commerciali, in Eng. Giur., IV, Roma, Ist. Treccani, 1994, 1 ss.

[6] Sul recesso del consumatore la letteratura è sterminata: senza pretesa di completezza si v., A.M. Benedetti, Recesso del consumatore, in Enc. dir. Annali, IV, Milano, Giuffrè, 2011, 956 ss.; Id., La difesa del consumatore dal contratto: la natura “ambigua” dei recessi di pentimento, in Annali del contratto, Torino, Giappichelli, 2011, 3 ss.; F.P. Patti, Il recesso del consumatore: l’evoluzione della normativa, in Eur. dir. priv, 2012, 1007 ss.; C. Confortini, A proposito del ius poenitendi del consumatore e della sua discussa natura, in Eur. dir. priv, 2017, 1343 ss.; M. C. Cherubini, Tutela del “contraente debole” nella formazione del consenso, Torino, Giappichelli, 2005, passim; C. Pilia, Accordo debole e diritto di recesso, Milano, Giuffrè, 2008, passim.

[7] Per l’esame della giuridicità di questa “formula enfatica” si rinvia a: G. De Nova, Il contratto ha forza di legge, in Studi in onore di Rodolfo Sacco, II, Milano, Giuffrè, 1994, 315 ss., (ora in Il Contratto, Padova, Cedam, 2011, 246) e, più di recente, a M. Della Casa, Adempimento e risarcimento nei contratti di scambio, Torino, Giappichelli, 2013, 6 ss. Di straordinarietà della previsione legale del recesso del consumatore parlava: G. Gabrielli, Vincolo contrattuale, cit., 10.

[8] R. Sacco-(G. De Nova), Obbligazioni e contratti, t. 2, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. 10, III ed., Torino, UTET, 2002, 182 ss. e 200 s. Nella dottrina germanica emblematica la posizione di C.W. Canaris, Wandlungen des Schuldvertragsrecht – Tendenzen zu seiner “Materialisierung”, in AcP, 2000, 344 ss., il quale ritiene che il recesso (Wiederrufsrecht) del consumatore ha come obiettivo l’esercizio di una libertà contrattuale effettiva (matierialer Vertragsfreiheit) da parte del soggetto protetto. Il recesso è, pertanto, strumento di esaltazione dell’autonomia contrattuale del consumatore, non di limitazione di quella del professionista: G. Benedetti, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 26 ss.

[9] V. A. Dalmartello, Il recesso del consumatore tra tutela del mercato e del soggetto debole, in Liber Amicorum per Aldo A. Dolmetta, a cura di E. Ginevra et al., Pisa, Pacini, 62.

[10] Cfr. S. Mazzamuto, Il contratto di diritto europeo, V ed., Torino, Giappichelli, 2020, 274 s. il quale precisa altresì che: “non poggia su di un presupposto di fatto sul quale può concentrarsi il successivo apprezzamento di legittimità del giudice in guisa di valutazione concretizzante o di bilanciamento degli interessi contrapposti”. In senso difforme v. Benedetti, Recesso, cit., 959, il quale – non diversamente dalla nota ricostruzione dei vizi del consenso di R. Sacco (R. Sacco(- G. De Nova), Obbligazioni e contratti, cit., 186 ss.) – ritiene che il recesso costituisca “una (sorta di) riparazione in forma specifica di un “danno” subito da un consumatore nella fase di formazione del contratto”. Rileva una similitudine tra recesso di pentimento e annullabilità del contratto per vizi del consenso: C. Camardi, Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Eur. dir. priv., 2008, 844.

[11] Cfr. S. Mazzamuto, La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Eur. dir. priv., 2007, 596 s.; P. Sirena-Y.Adar, La prospettiva dei rimedi nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2012, I, 366; V. Scalisi, Lineamenti di una teoria assiologica dei rimedi, in Riv. dir. civ., 2018, 1057 ss. Con specifico riferimento al recesso del consumatore v. S. Mazzamuto, Il contratto, cit., 274 s.; F.P. Patti, Il recesso del consumatore, cit., 1011, nt. 14. Più ampia la nozione di rimedio per A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, Eur. dir. priv., 2005, 356 s. Per osservazioni critiche, tese a dimostrare la portata solo “impressionistica” della categoria: v. L. Nivarra, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, in Eur. dir. priv., 2015, 583 ss.

[12] Al fine di ricostruire i caratteri del recesso e risolvere i problemi applicativi che esso pone, si rivela opportuno l’esame analitico dei profili funzionali dell’istituto, giacché limitarsi a indagare la natura dell’istituto non conduce a guadagni conoscitivi ed ermeneutici significativi. Per queste ragioni (meglio illustrate in Dalmartello, op. loc. cit.), non risulta – nella prospettiva indagata – utile un esame del dibattito dottrinale relativo alla ricostruzione dogmatica dell’istituto che ha visto contrapporsi la teoria effettuale (v. ad es. P. SIRENA, I recessi unilaterali, in Tratt. del contratto, diretto da V. Roppo, III, Effetti, Milano, Giuffrè, 2006, 119 s.) e quella procedimentale (per tutti v. G. BENEDETTI, La formazione del contratto, in Manuale di diritto civile europeo, a cura di C. Castronovo-S. Mazzamuto, II, Milano, Giuffrè, 2007, 348 e 353).

[13] Anzitutto, limitando il periodo di tempo entro il quale deve essere esercitato il recesso (14 giorni) e spedita la merce (altri 14 giorni), così da limitare il rischio di deprezzamento del bene e disinnescare ex ante le chances per il consumatore di utilizzare il bene e così conseguire un ingiustificato arricchimento che non reca alcun beneficio alle dinamiche concorrenziali del mercato.

In secondo luogo, la disciplina alloca in capo al consumatore le sole conseguenze economiche dell’uso inidoneo del bene (art. 57, comma 2, cod. cons.), non il deprezzamento del bene in sé. Questa regola presenta una sola eccezione nell’ipotesi recesso da contratti di servizi, in relazione ai quali il consumatore abbia acconsentito alla erogazione del servizio in pendenza del termine per recedere. In questo caso, il recesso non è più senza costi: l’art. 57, comma 3 esclude che il consumatore abbia diritto a ricevere l’intera somma versata. Quest’ultima è proporzionalmente diminuita del valore di mercato della prestazione fino a quel momento fruita dal consumatore. Non potendo darsi la restituzione in natura di un facere, ossia del servizio fino a quel momento prestato, il consumatore è tenuto a remunerare il professionista secondo criteri di mercato, con ciò confermando che, anche il legislatore europeo, è ben consapevole del fatto che i servizi non possano essere trattati alla stregua dei beni materiali.

Infine, sono escluse dall’ambito di applicazione della disciplina del recesso alcune ipotesi di beni (es. alimenti) che subiscono un deprezzamento (o un deperimento) troppo repentino nel caso di restituzione.

[14] Cfr., al riguardo, per l’indicazione di un necessario ripensamento delle categorie tradizionali del diritto civile: N. Lipari, Le categorie del diritto civile, Milano, Giuffrè, 2013, 25 ss. V. anche la recente riflessione di A. Gentili, Crisi delle categorie e crisi degli interpreti, in Riv. dir. civ., 2021, 651 ss.

[15] V. A. Gentili, Contratti del consumatore e diritto comune dei contratti, in Riv. dir. civ., 2016, 1489.

[16] Esclude la prossimità tra nullità di protezione e recesso, sostenuta da una parte della dottrina (v. Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2001, 489 ss. (e in Il contratto in trasformazione, Milano, Giuffrè, 2011, 173 s. dal quale si cita); F. Rende, Il recesso comunitario dopo l’ultima pronuncia della Corte di Giustizia, in Riv. dir., civ., 2009, 545 ss.), S. Pagliantini, L’ibridazione del nuovo recesso di pentimento, in Riv. dir. civ., 2015, 280.

[17] In dottrina v. G. Passagnoli, Analisi di un falso principio: nullità speciali e restituzione unilatera, in Persona e Mercato, 2021, 260 ss.; G. D’Amico, Sul carattere c.d. “selettivo” della nullità di protezione, in Nuovo dir. civ., 2020, 7 ss.; S. Pagliantini, Un giro di orizzonte sulle nullità del terzo millennio, in Persona e Mercato, 2021, 37 ss.

[18] V. GGUE, 13 gennaio 2001, C-481/99. I potenziali effetti negativi sul mercato interno della sentenza erano stati rilevati da una parte della dottrina (specie germanica: riferimenti in M. Farneti, Il recesso nei contratti a distanza e fuori dei locali commerciali, in Tratt. dei contratti, V, Mercati regolati, Milano, Giuffrè, 2014, 145, nt. 115), ma si tratta di considerazioni che trascurano la strategia regolatoria del legislatore europeo, il quale impiega l’effettività della tutela del soggetto debole (in questo caso il consumatore) al fine di conformare la qualità dell’offerta in determinati segmenti di mercato. Conformazione funzionale a uno sviluppo efficiente dei medesimi. Per osservazioni analoghe, sia pure in altro contesto: v. A.A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Zanichelli, 2013, 11 ss.

[19] Mancando nella direttiva 85/577/CEE una disposizione che individuasse un termine di decadenza della facoltà di recesso del consumatore in caso di mancata informazione circa la medesima facoltà, viceversa presente nella direttiva sui contratti a distanza (art. 6, direttiva 97/7/CE).

[20] La disciplina italiana previgente si poneva in aperto contrasto con l’orientamento della Corte di Giustizia, limitandosi a prevedere nel caso di omessa o inesatta informazione sul diritto di recesso, sia per i contratti a distanza che per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali, un’estensione del termine per l’esercizio del recesso. Al riguardo, v. M. Farneti, Le gravi conseguenze della mancata informazione circa il diritto di recesso nei contrati negoziati fuori dai locali commerciali, in Studium iuris, 2003, 539 s.

[21] Valutazioni critiche al riguardo in Pagliantini, L’ibridazione, cit., 277 s., il quale, condivisibilmente, ritiene che il punto di equilibrio individuato dal legislatore abbia sacrificato eccessivamente l’effettività della tutela del consumatore, a fronte di un guadagno di certezza per gli operatori del mercato. Guadagno non meritevole, invero, poiché originato da un inadempimento all’obbligo informativo che rischia di sterilizzare l’efficacia del recesso quale strumento di regolazione del mercato.

[22] Dalmartello, Il recesso, cit., 66 ss.

[23] Nel caso del recesso del consumatore nelle vendite a distanza e porta a porta, il legislatore individua il dies ad quem in un anno dalla conclusione del contratto (o dalla consegna del bene), mentre, nel comparto finanziario, la disciplina (art. 125 ter t.u.b., art. 67 septiesdecies cod. cons.) non prevede espressamente alcun termine, collegando il dies ad quem per il recesso al solo adempimento – anche tardivo – dell’obbligo informativo. Invero, se si concentra l’attenzione sulla sola informazione relativa alla facoltà di esercitare il recesso la rilevata disparità di trattamento non sembra giustificabile rimarcando le peculiarità di search goods e credence goods: soltanto questi ultimi, in ipotesi, richiederebbero un regime più rigoroso del recesso. Così giustificata, la disparità è certamente arbitraria, giacché, nella specifica prospettiva del diritto di recesso e della informazione su di esso, non vi è affatto l’esigenza sostanziale di un regime più rigoroso per i credence goods, che non possono essere certo meglio compresi dal consumatore in un assai breve lasso di tempo. Inoltre, va puntualizzato che quando il diritto di pentimento non consegue alla mancata o imprecisa informazione sugli aspetti centrali dell’operazione economica, che connota gli obblighi del professionista nel comparto finanziario (art. 125-bis, comma 1, t.u.b.), bensì alla semplice omissione dell’informazione circa la facoltà di esercitare il recesso entro un breve termine dalla conclusione dell’operazione negoziale: si tratta di un rimedio che reagisce a un’omissione di un’informazione non decisiva per la scelta del consumatore di indebitarsi. In quest’ultima ipotesi, non vi sono ragioni per respingere una risposta rimediale omogenea, senza distinzioni incongrue tra operazioni negoziali. Pertanto, l’assenza di un termine di perenzione nel comparto finanziario – quando l’omissione informativa riguardi la facoltà di recesso – ben potrebbe essere considerata una lacuna da integrare analogicamente. Va, tuttavia, osservato che tale conclusione pare esclusa da una recente sentenza della Corte di Giustizia UE: CGUE, 9 settembre 2021, cause riunite C‑33/20, C‑155/20 e C‑187/20, che ha statuito: “L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il creditore eccepisca la decadenza dal diritto in occasione dell’esercizio, da parte del consumatore, del suo diritto di recesso conformemente a detta disposizione, ove una delle indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva non figurasse nel contratto di credito né sia stata debitamente comunicata in un momento successivo, indipendentemente dalla questione se detto consumatore ignorasse l’esistenza del proprio diritto di recesso senza essere responsabile di tale ignoranza”. La Corte ha altresì escluso che l’esercizio del recesso possa essere reputato in questo caso abusivo. Va al riguardo osservato che la sentenza riguarda, tra le altre, l’omissione da parte della banca dell’informazione relativa all’esatto ammontare dell’interesse moratorio e pertanto, un aspetto non marginale dell’operazione economica. Bisogna chiedersi, per contro, se possa considerarsi tale l’informazione relativa al diritto di recesso, là dove il set informativo relativo al credito (art. 125-bis t.u.b. e art. 10 direttiva 2008/48) sia completo e chiaro.

L’art. 125-ter t.u.b., in attuazione della analoga disposizione europea (art. 14 direttiva 2008/48/CE), individua nel diritto di recesso un rimedio per la violazione dell’obbligo in capo alla banca di informare il consumatore, non solo circa la facoltà di recedere entro quattordici giorni dalla conclusione del contratto, ma anche relativamente alle principali condizioni contrattuali, che devono essere indicate in modo “chiaro e conciso” (v. Disposizioni di trasparenza di Banca d’Italia, sez. VII, §5.2.1; art. 10 direttiva 2008/48). Ciò si ricava se si considera che il termine per l’esercizio del recesso decorre dalla conclusione del contratto, soltanto qualora il finanziatore veicoli al consumatore le informazioni previste dal citato art. 10. Si pongono pertanto delicati problemi – che in questa sede non possono che essere solo accennati – di coordinamento tra la disciplina del recesso e quella della nullità prevista dai commi 7,8 e 9 dell’art. 125-bis t.u.b. (al riguardo v. M. MAUGERI-S. PAGLIANTINI, Il credito ai consumatori, Milano, Giuffrè, 2013, 47 ss.) ovvero dell’intrasparenza delle relative clausole (v. S. PAGLIANTINI, Trasparenza contrattuale, in Enc. dir., Annali, V, 2012, 1304 ss.)  e di individuazione di una soluzione coerente con la funzione rimediale del recesso della previsione dell’obbligo in capo al consumatore di pagare “gli interessi maturati fino al momento della restituzione” (art. 125-ter, comma 2 lett. b). Tale ultima previsione si presta a un utilizzo strumentale da parte del finanziatore, che omette un’informazione richiesta dall’art. 125-bis t.u.b., tanto da suggerirne una lettura che ne riduca l’ambito di applicazione (così MAUGERI- PAGLIANTINI, op. cit., 112 ss.).

[24] Cfr. Pagliantini, L’ibridazione, cit., 281; e, in termini dubitativi, Farneti, Il nuovo recesso del consumatore dai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e a distanza, in NLCC, 2014, 979. A questo riguardo, v. per importanti aperture, CGUE, 23 gennaio 2019, C-430/17, in NGCC, 2019, 670 ss., con commento di F. Rende, Il ruolo dell’informazione sul recesso dopo la sentenza Walbusch Walter Busch, la quale chiarisce che, prima della conclusione del contratto, il consumatore deve essere informato anche su condizioni, termini e modalità di esercizio del diritto di recesso.

[25] CGUE, 3 settembre 2009, C-489/07. In dottrina, v. S. Pagliantini, La forma informativa degli scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore, in Riv. dir. civ., 2010, II, 281 ss.

[26] Al riguardo v. F. Delfini, La novella del codice del consumo in tema di contratti a distanza dei consumatori, in Giustiziacivile.com, 2014, 7.

[27] V., in particolare, CGUE, 15 giugno 2023, C-520-21,n. 75 e ss. che, in caso di nullità totale conseguente alla vessatorietà di una clausola principale, esclude pretese restitutorie della banca mutuataria rispetto a quella con oggetto il solo capitale. CGUE, grande sez., 26 marzo 2019, cause riunite C-70/17 e C-179/17, in NGCC, I, 2019, 424 ss.. con nota di A. Iuliani, L’abusività delle clausole di risoluzione anticipata nel quadro dell’armonizzazione giudiziale del diritto europeo. CGUE, 21.1.2015, cause riunite C-482/13, C-484/13, C- 85/13 e C-487/13, in NGCC, 2015, I, 417 ss., con nota di S. Pagliantini, Il restatement della Corte di Giustizia sull’integrazione del contratto del consumatore nel prisma armonizzato delle fonti. In dottrina, v. inoltre, S. Pagliantini, Post-vessatorietà ed integrazione del contratto nel decalogo della CGUE, in NGCC, 2019, II, 561 ss.; F. Azzarri, Nullità della clausola abusiva e integrazione del contratto, in ODCC, 2017, 55 ss.; e, ora, A. D’Adda, Integrazione del contratto, in Enc. dir., I tematici, 2021, Milano, Giuffrè, 609 ss.

[28] Il principio di restituzione degli arricchimenti ingiustificati è da tempo riconosciuto dalla Corte di Giustizia: v. ad es. CGUE, 16 dicembre 2008, C-47/07, punto 44: “Secondo i principi comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, un soggetto che ha subito una perdita la quale incrementi il patrimonio di un altro soggetto, senza che vi sia alcun fondamento giuridico per tale arricchimento, ha generalmente diritto ad una restituzione, fino a concorrenza di tale perdita, da parte del soggetto che si è arricchito. (45) A tal proposito, come è stato rilevato dal Tribunale, l’azione basata sull’arricchimento senza causa, come prevista nella maggior parte dei sistemi giuridici nazionali, non contiene una condizione relativa all’illegittimità o alla colpa nel comportamento del convenuto. (46) Per contro, ai fini dell’accoglimento di tale azione, è essenziale che l’arricchimento sia privo di qualsiasi valido fondamento giuridico. Tale condizione non è soddisfatta, segnatamente, quando l’arricchimento trova la propria giustificazione in obblighi contrattuali. (47) Posto che l’arricchimento senza causa, come sopra definito, rappresenta una fonte di obbligazione extracontrattuale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, la Comunità non può sottrarsi all’applicazione, nei propri confronti, degli stessi principi, qualora una persona fisica o giuridica l’accusi di essersi indebitamente arricchita a suo discapito”. In dottrina v. P. Sirena, Towards a European Law of  Unjustified Enrichment, in ODCC, 2012, 113 ss.

[29] È controverso se la restituzione della prestazione di fare sia disciplinata dalle regole sulla ripetizione dell’indebito (in questo senso v. E. Moscati, Pagamento dell’indebito, in Comm. Scialoja Branca, sub artt. 2028-2042, II ed., Bologna-Roma, Zanichelli Il Foro Italiano, 166 ss.), fermo restando che è dalla clausola generale che impone la restituzione dell’arricchimento ingiustificato che possono essere tratti utili spunti applicativi (v. Trimarchi, op. cit., 134). Al riguardo, v. A. Di Maio, La tutela civile dei diritti, IV ed., Milano, Giuffrè, 2003, 346 ss.

[30] È opportuno, invero, evidenziare, che tale impostazione non è confluita nel DRAFT Common Frame of Reference, ove le conseguenze del recesso del consumatore sono disciplinate attraverso il rinvio alla disciplina della risoluzione, nella quale è prevista la “restituzione” del valore della prestazione ricevuta (v. art. II.5-5:105(2) che rinvia all’art. III-3:513(1).

[31] V. P. Trimarchi, L’arricchimento senza causa, Milano, Giuffrè, 1962, 10 ss.; P. Gallo, Arricchimento senza causa. Artt. 2041-2042, in Comm. Schlesinger-Busnelli, Milano, Giuffrè, 2003, 109 ss.; S. Di Paola-R. Pardolesi, Arricchimento. I) Azione di arricchimento. Dir. Civ., in Enc. Giur., III, Roma, Ist. Treccani, 1988, 3.

[32] La buona fede dell’impoverito è considerata, alla stregua dell’assenso dell’arricchito, uno dei requisiti per la restituzione degli arricchimenti imposti: Trimarchi, op. cit., 30; Gallo, op. cit., 112.

[33] Trimarchi, op. cit., 15, il quale, sulla base degli artt. 1592 e 936 c.c., elabora il seguente principio “nei casi in cui la responsabilità per l’arricchimento implicherebbe una modificazione qualitativa del patrimonio dell’arricchito, se l’arricchimento deriva da una prestazione dell’impoverito l’azione sarà ammessa solo ove la prestazione sia stata eseguita in buona fede, ovvero l’arricchito vi abbia consentito o l’abbia positivamente ricevuta, o ne abbia tollerato l’esecuzione diretta nell’ambito del proprio dominio patrimoniale”.

[34] V. ad es. Cass. 2 settembre 2011 n. 18038.

[35] E. Bargelli, Il sinallagma rovesciato, Milano, Giuffrè, 2010, 249.

[36] Cfr. Trimarchi, op. cit., 12, il quale afferma che “ove la prestazione abbia per oggetto il trasferimento di una somma di danaro o di una cosa determinata, la ripetizione deve essere sempre ammessa” anche perché in questi casi non vi è ragione per tutelare l’arricchito, in quanto la restituzione della somma o della cosa determinata “non pone l’arricchito, almeno normalmente, in una situazione diversa e peggiore di quella in cui si sarebbe trovato se non l’avesse ricevuta”.

[37] Cfr. CGUE, 10 aprile 2008, C-412/2006, la quale, con l’evidente intento di attenuare gli effetti della giurisprudenza Heininger, aveva individuato nell’esecuzione bilaterale del contratto un limite funzionale alla facoltà del consumatore di esercitare il recesso in caso di omessa informazione. Per valutazioni critiche al riguardo: v. Rende, Il recesso, cit., 529 ss.; Bargelli, op. cit., 265.

[38] Per questa classificazione, si v.: Eidenmüller, Why Withdrawal Rights?, in ERCL, 2011, 7s.; S. Becher-O. Bar Gill, Consumer Protection, Harvard Public Law Working Paper No. 18-42, 2012, 21, disponibile su https://ssrn.com/abstract=3194411.

[39] Nel caso dei contratti a distanza, che hanno a oggetto beni materiali, il recesso del consumatore è volto a correggere un problema di asimmetria informativa: il consumatore non conosce le caratteristiche concrete dei beni e non può valutarli adeguatamente. In altri termini, al centro dell’asimmetria vi sono search qualities del bene, che possono essere agevolmente apprezzate consentendo al consumatore di disporre materialmente dell’oggetto scambiato. Permettendo di vagliare le qualità di un prodotto in modo più accurato, il recesso consente al consumatore di rivalutare la convenienza del contratto concluso: con il che il recesso contribuisce a uno sviluppo del meccanismo concorrenziale, rendendo più appetibile e competitivo il settore della contrattazione a distanza. Cfr. BEN SHAHAR-POSNER, The right to withdraw, in 40 J. Legal Studies 115 ss. (2011) 121 ss.; LUZAK, To withdraw or not to withdraw? Evaluation of the mandatory right of withdrawal in consumer distance selling contracts taking into account its behavioural effects on consumers, 37 J Consum. Policy 91, 93 (2014), 94. Rileva che il recesso, rimediando a un’asimmetria informativa, può impedire che si verifichi la tipica conseguenza della c.d. “adverse selection” nel contesto della contrattazione a distanza di beni: EIDENMÜLLER, Why Withdrawal Rights?, cit., 8.

[40] Di “exogenously distorted preferences” parla Eidenmüller, Why Withdrawal Rights?, cit., 14. Cfr. inoltre CGUE, 7 agosto 2018, C‑485/17, punto 33.

[41] Nei servizi rientrano tutte le operazioni che non costituiscono oggetto di vendita: CGUE, 12 marzo 2020, C‑583/18, punto 22.

[42] Così anche Loos, Rights of Withdrawal, in Modernising and harmonising consumer contract law, G. Howells-R. Schulze (eds.), Köln- Berlin, Otto Schmidt-De Gruyter, 2009, 7 (disponibile anche su https://ssrn.com/abstract=1350224, dal quale si cita).

[43] Cfr. CGUE, 8 ottobre 2020, C-641/19, § 43: “L’articolo 16, lettera m), della direttiva 2011/83, che costituisce un’eccezione al diritto di recesso, in quanto disposizione di diritto dell’Unione che limita i diritti riconosciuti a fini di tutela dei consumatori, deve essere interpretato restrittivamente”; CGUE, 14 maggio 2020, C-208/19, § 40 e 56; CGUE, 27 marzo 2019, C-681/17: “L’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che non rientra nella nozione di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna», ai sensi di tale disposizione, un bene come un materasso, la cui protezione è stata rimossa dal consumatore dopo la consegna dello stesso”.

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