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Note

Il Mark-to-Market degli strumenti finanziari derivati: tra metafisica giurisprudenziale e concretezza delle regole contabili

24 Febbraio 2012

Angelo Paletta, Università di Bologna

Il Tribunale di Terni con un’ordinanza dello scorso 8 febbraio si è pronunciato sul contenzioso in tema di derivati tra il Comune di Orvieto e la BNL. Il Tribunale, in funzione di giudice del riesame, ha annullato il precedente decreto di sequestro preventivo che era stato disposto a carico dell’intermediario che aveva concluso contratti di swap con il Comune. Il provvedimento ha seguito un orientamento analogo a quello della II Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 47421/2011), sempre nei confronti di BNL e per una vicenda di sequestro preventivo conseguente ad una vertenza su prodotti derivati nei confronti dei Comuni di Messina e Taormina.

Diversi aspetti dell’ordinanza meriterebbero un approfondimento sul piano squisitamente tecnico finanziario, ma qui ci si vuole focalizzare su un punto che se non adeguamento compreso rischia di gettare un velo di esoterismo sulla contabilizzazione dei derivati e sulla stessa rappresentazione veritiera e corretta dei bilanci di imprese ed enti pubblici.

Secondo i provvedimenti richiamati il “mark to market non esprime affatto un valore concreto e attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata […].

Le implicazioni che vengono fatte discendere da questa concezione “metafisica” dell’approccio di valutazione al fair value sono che nel valore negativo del MtM al momento della sottoscrizione dei contratti non sarebbe possibile riconoscere un legittimo diritto a vedersi riconosciuto un congruo flusso finanziario per rendere equo la scambio.

Più precisamente, se all’atto di stipula del contratto il “valore di mercato” del derivato è negativo significa che esiste uno squilibrio tra le posizioni di rischio assunte dai contraenti, per cui la parte che sta assumendo l’impegno di corrispondere flussi maggiori rispetto a quelli che probabilisticamente riceverà, si trova in una posizione di svantaggio che deve essere compensata dalla controparte attraverso una prestazione certa e liquida che rende il valore del derivo equo.

La finanza aziendale, la dottrina aziendalistica e la prassi professionale attraverso l’emanazione dei Principi contabili nazionali ed internazionali (IAS 39), hanno da tempo affrontato la complessa tematica delle regole di valutazione e rappresentazione in bilancio dei prodotti derivati, mettendo chiaramente in evidenza che i cosiddetti derivati “non par” implicano il riconoscimento alla controparte di un up-front che deve essere iscritto in bilancio, pena il venir meno del fondamentale principio della rappresentazione veritiera e corretta delle operazioni di gestione. L’esistenza del diritto a ricevere un up-front determina contabilmente il sorgere di un credito nei confronti della controparte che trova contropartita in una voce di conto economico che ha la natura di un provento finanziario.

La crescente importanza degli strumenti finanziari nell’economia delle imprese e delle aziende pubbliche, l’evoluzione in tema di principi e criteri di contabilizzazione dei prodotti derivati, hanno portato anche in Italia all’aggiornamento della disciplina civilistica. Il Decreto Legislativo 30 dicembre 2003, n. 394 harecepito la direttiva 2001/65/CE al fine di rendere la normativa italiana compatibile con i principi internazionali in tema di valutazione al fair value, introducendo le disposizioni di cui agli artt. 2427 bis (Nota integrativa) e 2428 del Codice Civile (Relazione sulla gestione).

In base al Reg. Europeo 1606/2002, gli IAS/IFRS sono divenuti obbligatori per le società quotate in un mercato regolamentato dell’Unione Europea dal primo gennaio 2005, con riferimento alla predisposizione del bilancio consolidato mentre per quanto riguarda il bilancio d’esercizio delle medesime società così come per quanto riguarda le società non quotate, il legislatore ha rimesso ai singoli governi la facoltà di estendere o meno l’applicazione degli IAS/IFRS.

Il legislatore italiano con il D.lgs. 38/2005 ha previsto l’obbligo di adozione degli IAS per le società quotate, le banche, le imprese di assicurazione e altre tipologie di istituti a partire dal bilancio consolidato 2005 e dal bilancio d’esercizio del 2006.

Prima di queste novità normative che hanno riconosciuto la concretezza del mark to market nella formazione dei bilanci delle aziende, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, con un apposito documento (CNDC 2005), aveva messo in luce come a livello normativo regolamentare nazionale fossero assenti specifiche regole di valutazione e rappresentazione delle operazioni “fuori bilancio”. In assenza di una specifica disciplina del Codice Civile, la prassi professionale rinviava in chiave interpretativa ai principi contabili nazionali e internazionali e a fonti quali il D.Lgs n.58/1998 e il D.Lgs 87/92 per le banche. In particolare, il riferimento era essenzialmente a tre principi contabili:

  • Documento n.22 (Conti d’ordine):il documento al par. B.III d) richiede che nei conti d’ordine, fra gli impegni, vengano iscritti i contratti derivati, speculativi o di copertura, stipulati dall’impresa. Il valore d’iscrizione deve essere pari al valore nominale.
  • Documento n. 19 (Fondi per rischi e oneri):il Doc.19, par. C.VII, impone che le perdite nette maturate sugli strumenti finanziari derivati vengano rilevate in bilancio in appositi fondi rischi. In particolare, in presenza di derivati speculativi vi è un obbligo di accertare il valore corrente (fair value) dello strumento derivato alla data di chiusura dell’esercizio e di iscrivere la relativa perdita in un apposito fondo rischi, con contropartita alla voce di conto economico C 17 – Interessi ed altri oneri finanziari.
  • Documento n.26(Operazioni e partite in moneta estera): al capitolo 6 del principio contabile è disciplinata la copertura dei rischi di cambio, individuando ai fini contabili quattro tipologie di contratti a termine in moneta estera: 1) contratti a fronte di specifici debiti e/o crediti in moneta estera; 2) contratti a fronte di un impegno contrattuale di acquisto o di vendita di un bene in moneta estera; 3) contratti a fronte di una specificata esposizione netta in moneta estera ancorché non correlati a specifiche operazioni; 4) contratti di natura speculativa o comunque non a copertura di specifici rischi. In merito a questi ultimi, il principio contabile afferma: “Questo tipo di operazioni in valuta estera a termine di natura speculativa richiede il riesame della posizione a fine esercizio ed una rideterminazione del valore come se l’operazione fosse rinegoziata a tale data […] Sia le perdite, sia gli utili sono contabilizzati a conto economico”.

Oggi, come anticipato, il riferimento al fair value nella valutazione e rappresentazione in bilancio dei prodotti derivati può considerarsi un fatto acquisito soprattutto grazie al contenuto della Nota integrativa come previsto dal nuovo articolo 2427-bis (informazioni relative al valore equo “fair value degli strumenti finanziari”).

In conclusione di queste veloci annotazioni sull’evoluzione della normativa e delle regole professionali sulla valutazione al fair value, non si può non sottolineare una concezione per certi aspetti “metafisica” della recente giurisprudenza richiamata in apertura, molto lontana dalla concreta utilità che il fair value ha acquisito portando “dentro il bilancio” la consistenza patrimoniale dei prodotti derivati.

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