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Note

Il mancato recepimento della disciplina CFC della Direttiva ATAD: un’analisi delle conclusioni rese dall’Avvocato Generale Juliane Kokott nella Causa C-524/23

19 Dicembre 2025

Angelica Chiara Tazzioli, Dottoranda in Diritto tributario, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: Il presente contributo, che trae spunto dalle conclusioni rese dall’Avvocato Generale Juliane Kokott a margine del procedimento di infrazione (Causa C-524/23) avviato dalla Commissione europea nei confronti del Regno del Belgio, intende indagare sui potenziali effetti distorsivi conseguenti alla mancata implementazione, a livello domestico, del disposto dell’art. 8, par. 7, della direttiva anti elusione (c.d. ATAD) in materia di determinazione degli imponibili generati da imprese controllate estere (anche dette controlled foreign companies o CFC). Se, da un lato, la posizione assunta dall’Avvocato Generale si fonda su un’esegesi della disciplina CFC condotta seguendo i canoni ispiratori dell’ATAD, dall’altro, evoca il “margine di manovra” riconosciuto ai singoli Stati all’atto del recepimento interno delle direttive di armonizzazione c.d. “minima”, assunto quale parametro di riferimento per valutare, prospetticamente, il fondamento delle censure mosse dalla Commissione. Nelle pagine che seguono, si darà meglio conto della soluzione proposta dall’Avvocato Generale che si è risolta, a chiusura del procedimento, in una proposta di rigetto del ricorso.

ABSTRACT: The essay, which draws on the conclusions delivered by Advocate General Juliane Kokott in the context of the infringement proceedings (Case C-524/23) initiated by the European Commission against the Kingdom of Belgium, aims to investigate the potential distortive effects resulting from the failure to implement, at the domestic level, the provisions of article 8, paragraph 7, of the Anti-Tax Avoidance Directive (ATAD) regarding the determination of taxable income generated by controlled foreign companies (CFC). While the Advocate General’s position is based on an interpretation of the CFC legislation conducted in accordance with the principles underlying the ATAD, it also evokes the “leeway” afforded to individual Member States when transposing so-called “minimum” harmonization directives, which is taken as a benchmark for prospectively assessing the merits of the Commission’s objections. In the following pages, we will provide a more detailed account of the solution proposed by the Advocate General, which, at the conclusion of the proceedings, resulted in a proposal to reject the appeal.


1. Premessa

Nell’odierno contesto economico-sociale, l’espressione “elusione fiscale” (o abuso del diritto)[1] rinvia ad un fenomeno autonomo storicamente radicato nella tradizione giuridica unionale[2] che continua ad offrire spunti di approfondimento ed opportunità di riflessione non prive di impatto teorico[3].

L’occasione per una rinnovata trattazione del tema è stata colto, in tempi recenti, dall’Avvocato Generale Julien Kokott a margine del procedimento di infrazione (Causa C-524/23) avviato dalla Commissione europea nei confronti del Regno del Belgio.

Nello specifico, si controverteva attorno all’applicazione di norme concepite per contrastare le pratiche di elusione fiscale approvate, com’è noto, con la direttiva (UE) 2016/1164 del 12 luglio 2016 (c.d. Anti-Tax Avoidance Directive, abbreviata, ATAD)[4] con l’obiettivo ultimo di preservare, attenuando i disallineamenti esistenti tra gli ordinamenti fiscali degli Stati membri, il mercato interno da potenziali frammentazioni endogene[5].

Il riferito provvedimento ha introdotto, in aggiunta ad una disposizione di carattere generale tesa a prevenire, con formula di ampio respiro, la diffusione di fattispecie abusive[6], una disciplina speciale in materia societaria avuto riguardo al conseguimento di vantaggi fiscali indebiti mediante il trasferimento di profitti verso controlled foreign companies (d’ora innanzi indicate come CFC).

Il punto è delicato e solleva questioni nevralgiche tanto di natura istituzionale quanto di carattere pratico-attuativo[7].

Il nucleo delle problematiche coinvolte concerne, da un lato, l’armonizzazione di un settore disciplinare – l’imposizione dei redditi – di regola rimesso alla sovranità fiscale del singolo Stato membro[8]; dall’altro, riguarda l’individuazione di un comune denominatore normativo che possa ravvicinare gli ordinamenti tributari domestici alle sopra accennate finalità della direttiva ATAD[9].

Nelle proprie conclusioni, l’Avvocato Generale affronta entrambe le tematiche accogliendo una chiave di lettura che valorizza, in tutta la sua portata, un’interpretazione evolutiva e teleologica del diritto vivente, alla ricerca di un punto di equilibrio tra principio di sovranità e strumenti di tutela dell’integrità giuridico-funzionale dell’Unione Europea[10].

In questa prospettiva, viene proposto un percorso argomentativo che si snoda in più passaggi inferenziali trattando, in via preliminare, i principi consacrati nei Trattati fondamentali[11] che contemplano limitazioni alla potestà legislativa unionale in campo tributario[12], sul presupposto che “la competenza dell’Unione relativa a tale direttiva non è fuori discussione[13].

In questa ottica, nelle pagine che seguono, verrà meglio precisata la posizione dell’Avvocato Generale che è approdata, a chiusura del procedimento di infrazione, proponendo il rigetto del ricorso.

Si tratta, più specificamente, di saggiare le posizioni assunte e le tesi interpretative reciprocamente espresse dalle parti coinvolte in giudizio a lume dei potenziali effetti distorsivi conseguenti alla mancata implementazione, a livello locale, del disposto dell’art. 8, par. 7, della direttiva ATAD.

Se, da un lato, la soluzione proposta dall’Avvocato Generale si fonda su un’esegesi della disciplina CFC condotta seguendo i canoni ispiratori dell’ATAD, dall’altro, evoca il “margine di manovra” riconosciuto ai singoli Stati all’atto del recepimento interno delle direttive di armonizzazione c.d. minima, assunto, ora, quale parametro di riferimento per valutare, prospetticamente, il fondamento del ricorso.

Nondimeno, quest’ultimo aspetto acquista rilievo sistematico quale manifestazione del necessario contemperamento tra potestà statali non comprimibili ed obiettivi di governance fiscale comuni accompagnati da vincoli di attuazione non eludibili.

2. Le imprese controllare estere nel sistema della direttiva ATAD: notazioni introduttive

In una cornice giuridica espressiva di valori fondamentali della collettività, come quella tributaria, assume il massimo risalto l’esegesi del precetto legislativo affinché la sua applicazione possa conformarsi alla sua ratio.

Parrebbe, prima facie, un concetto scontato, che invece implica notevoli conseguenze sul piano del corretto recepimento dei principi enunciati con la tecnica normativa della direttiva, attese le esigenze – centrali in determinati ordinamenti interni – di protezione di interessi specifici[14].

Sul versante del diritto sostanziale[15], la vicenda in esame coinvolge le disposizioni della direttiva ATAD in materia di imprese controllate estere, in un innovativo assetto[16] specificamente dedicato al fenomeno degli aggregati societari fittizi sedenti in più Stati membri, ovvero alle reti sociali diffuse sul territorio dell’UE allo scopo prevalente di differire – o limitare – l’incidenza dell’onere fiscale[17].

La disciplina recata dagli artt. 7 e 8 della direttiva si realizza, in concreto, in un articolato meccanismo[18] che permette l’imputazione del cespite dalla società controllata (situata in un Paese a ridotta fiscalità) alla società madre, attraverso la configurazione di un sistema sinergico di detrazioni ed esclusioni che garantisce, allo stesso tempo, il rispetto dei principi di territorialità dell’imposta e di certezza del diritto[19].

Il descritto “sottosistema” mira[20], essenzialmente, a ricondurre l’imposizione di un determinato fatto economico al territorio in cui si assume essersi verificato il presupposto genetico del prelievo, secondo un criterio di prevalenza della sostanza sulla forma e sempre nell’ottica di garantire l’assoggettamento al “giusto” tributo[21].

Per altri versi e più in generale, l’approccio fatto proprio dall’ATAD[22] privilegia (ed esorta) l’adozione di ragionevoli criteri di collegamento territoriale, ovverosia norme di localizzazione e di ripartizione tese ad impedire ipotesi di doppia imposizione o di doppia non imposizione[23].

A tale proposito, in vista dell’attuazione delle predette disposizioni, si richiede al singolo Stato membro di modellare il proprio sistema per uniformarlo agli standard protettivi ivi stabiliti, introducendo un sistema imperniato sulla c.d. tassazione addizionale[24].

Va precisato altresì che l’art. 8, par. 7, della direttiva introduce talune deroghe al ricordato modello “di base”, consentendo che l’imposta (inferiore) adempiuta nello Stato estero dalla società controllata possa essere riconosciuta in detrazione dalla più onerosa imposta nazionale gravante sulla società madre.

Tanto premesso in ordine all’elemento normativo-testuale, può procedersi ad una sua contestualizzazione avuto riguardo al procedimento di infrazione in rassegna[25].

Nell’ottica di assicurare un più elevato livello di tutela dell’integrità della propria base imponibile, il Legislatore del Regno del Belgio aveva ritenuto opportuno non dar seguito al sistema di detrazione supra delineato, nella convinzione che l’ATAD enuncerebbe solo standard normativi minimi accordando, con ciò, allo Stato membro una maggiore flessibilità in sede conformativa[26].

A sostegno si eccepiva, altresì, che l’espressione “conformemente al diritto nazionale” contenuta nella seconda frase dell’art. 8, par. 7 cit. rinvierebbe al diritto nazionale ai fini della determinazione della detrazione fiscale prevista dalla prima frase dello stesso paragrafo[27], cosicché sarebbe in facoltà degli Stati membri rinunciare, anche del tutto, al riconoscimento della detrazione fiscale ivi contemplata.

L’Avvocato Generale ha tuttavia disatteso tale approccio esegetico, sul rilievo che le esposte argomentazioni non troverebbero simmetrico riscontro nel dato letterale delle norme invocate.

In linea di principio, laddove l’impresa controllata all’estero ottenga solo una parte dei propri redditi da costruzioni societarie non genuine, il combinato disposto degli artt. 7, par. 2, lettera b) e 8, par. 2 esigerebbe che solo tali redditi debbano essere inclusi nella base imponibile del soggetto residente sul territorio nazionale (ad esempio, la società madre) con l’effetto, da un lato, di attrarre a tassazione detti redditi nel Paese di residenza (nel caso sub specie, il Regno del Belgio) e, dall’altro, di conservare l’imponibilità all’estero del residuo cespite.

In questa prospettiva, resterebbe di incerta soluzione soltanto il problema – ora di ordine pratico – sottointeso alle modalità di quantificazione dell’onere tributario assolto dalla società controllata estera nello Stato di residenza, che sia riconducibile alla costruzione non genuina, e, di riflesso, detraibile dal quantum debeatur imputabile al soggetto passivo.

Ebbene, ad avviso dell’Avvocato Generale, una risposta unitaria a tale quesito dovrebbe defluire in modo ragionevolmente sillogico esaltando la ratio dell’art. 8, par. 7, seconda frase, ATAD che, benché implicitamente, esonera l’Amministrazione finanziaria del Paese di residenza dell’entità madre dal fornire un prospetto dell’ammontare del prelievo tributario dovuto, quale risulterebbe in circostanze fisiologiche e genuine, in base alla normativa del Paese di residenza della società estera controllata.

In termini sistematici, deporrebbe in tal senso anche il tenore letterale della disposizione che, con riguardo alla determinazione del quantum detraibile, ricorrerebbe alla formula “detrazione calcolata”, sull’assunto che la norma medesima concederebbe agli Stati membri la sola facoltà di determinare il metodo di calcolo del risultato reddituale ai fini della detrazione e non già la facoltà di escluderla in radice.

3. (Segue) Cenni sulla disciplina contenuta nell’art. 7, par. 2, lettera b) della direttiva ATAD in rapporto al meccanismo di detrazione delineato dal successivo art. 8, par. 7

A questo punto, a completamento dello scenario più sopra tracciato, merita soffermarsi sul coordinamento tra l’art. 7, par. 2, lettera b) ed il successivo art. 8, par. 7 della direttiva ATAD che fa da sfondo alle due contrapposte posizioni interpretative.

La questione è di indubbio rilievo dal momento che le disposizioni richiamate parrebbero dettare regole tra di loro incongruenti e contrastanti: un sistema all’apparenza dicotomico che indurrebbe ad un corto circuito applicativo.

Infatti, mentre, per un verso, l’art. 7, par. 2, lett. b) stabilisce che i redditi della CFC derivanti da costruzioni non genuine devono essere ricompresi nella base imponibile del contribuente residente all’estero, dall’altro, l’art. 8, par. 7, in virtù della detrazione fiscale ivi predicata, prescrive che i redditi della società controllata estera non debbano concorrere alla formazione della base imponibile nel loro intero ammontare nello Stato di residenza, ma solo nei limiti della differenza tra le due aliquote dell’imposta sulle società vigenti nello Stato di residenza e nello Stato ove ha sede la casa madre[28].

Il che, lungi dal rappresentare un potenziale vulnus all’impianto strutturale della direttiva ATAD[29], impone, piuttosto, di riflettere sulle modalità di interazione delle due previsioni per accertare se l’implementazione della prima possa rendere “lettera morta” la seconda[30].

Ci si chiede, in buona sostanza, se l’art. 8, par. 7, ATAD possa essere applicato, de plano, all’art. 7, par. 2, lett. b) o se ragioni di coerenza sistematica e teleologica implichino una risposta differente.

Alla luce di una prima chiave di lettura – predicata dalla Commissione – che enfatizza la voluntas del Legislatore unionale, non vi sarebbe incompatibilità tra gli enunciati in commento ed anzi, considerate le esigenze di tutela di cui essi sono diretta manifestazione, permarrebbe in capo agli Stati membri un obbligo di puntuale recepimento dell’intero contenuto precettivo della direttiva.

A suffragio, si argomenta esaltando il dato positivo sul presupposto che il paragrafo 7 dell’art. 8, a differenza dei precedenti paragrafi 1 e 2, non si riferisca unicamente ad una delle fattispecie contemplate, rispettivamente, nelle due lettere dell’art. 7, par. 2, donde la detrazione concessa dall’art. 8, par. 7 ben potrebbe trovare applicazione alle ipotesi di costruzioni non genuine ex art. 7, par. 2, lettera b).

Secondo una diversa opinione, l’essenza dei meccanismi antielusivi introdotti con l’ATAD andrebbe ricercata nell’esigenza di prevenire il rischio che un’interpretazione strettamente letterale delle disposizioni in commento possa condurre ad un risultato contrario agli obiettivi che esse perseguono.

A questo proposito, l’Avvocato Generale ha osservato che le norme della direttiva ATAD si innervano nel generale timore che le strutture societarie artificiose, dirette essenzialmente al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali, non siano efficacemente intercettate, in un’ottica di contrasto, dalle discipline fiscali interne.

Il diritto tributario, infatti, ricollega la quantificazione del tributo alla realtà economica dell’impresa e non già alla struttura societaria o contrattuale.

Tale tendenza è ravvisabile, precipuamente, nell’art. 6 della direttiva ATAD che ha innovativamente introdotto una clausola generale antielusiva (c.d. General Anti-Avoidance Rule, abbreviato GAAR) [31].

Ebbene, come condivisibilmente evidenziato dall’Avvocato Generale, il principio del “non riconoscimento” espresso nell’art. 6[32] assume rilievo anche ai fini delle costruzioni non genuine contemplate all’art. 7, par. 2, lettera b) le quali, in definitiva, null’altro rappresenterebbero se non una mera specificazione della fattispecie generale antiabuso[33].

Ciò posto, l’incompatibilità funzionale tra le due norme si potrebbe motivare sulla base di alcuni assunti.

Per quanto attiene al profilo applicativo non emergerebbero particolari problemi atteso che l’art. 7, par. 2, lettera b), quale lex specialis, potrebbe prevalere sulla clausola generale antiabuso ex art. 6.

Di contro, è sul versante degli effetti giuridici che si registrerebbero maggiori profili di criticità.

Infatti, le disposizioni contenute nell’art. 8, par. 7 non si integrerebbero tout court con la disciplina recata dall’art. 7, par. 2, lett. b) trattandosi di meccanismi normativi disarmonici da un punto di vista funzionale.

Poiché le misure previste dall’art. 7, par. 2 cit. in caso di costruzione non genuina rappresentano una declinazione dell’art. 6, è logico ritenere che nessun contribuente che vi abbia fatto ricorso possa poi invocare il beneficio della detraibilità concesso dall’art. 8, par. 7 cit.

Diversamente opinando, si verificherebbe una grave antinomia interna rispetto agli effetti giuridici discendenti dall’art. 6 che stabilisce di ignorare completamente la costruzione non genuina[34].

In tal modo, la previsione della detraibilità fiscale secondo il ripetuto art. 8, paragrafo 7 risulterebbe addirittura superflua nel caso in cui il trasferimento di ricchezza abbia luogo tra due Stati membri uno dei quali abbia adottato un modello di tassazione addizionale conforme a quanto prestabilito dall’art. 7, par. 2 della direttiva ATAD[35].

Nel mentre, qualora fosse coinvolto un Paese terzo, soccorrerebbero le convenzioni contro le doppie imposizioni laddove dispongono, generalmente, di norme dedicate ex professo ai procedimenti di composizione amichevole[36].

4. Sulla qualificazione della direttiva ATAD quale direttiva di armonizzazione minima

Assodato che, in linea con la tesi dall’Avvocato Generale, al mancato recepimento della disposizione unionale non consegue necessariamente una violazione del diritto dei Trattati fondamentali[37], restano da indagare, in questo ambito, alcuni aspetti che, in buona parte, interessano la nozione di armonizzazione nella prospettiva del diritto fiscale[38].

A questo fine, occorre muovere da una premessa di fondo: il riconoscimento di uno spazio di manovra in sede di adeguamento normativo non equivale all’attribuzione di un’indiscriminata libertà di qualificazione o di classificazione della fattispecie giuridica.

La “discrezionalità”, ben lungi dal risolversi in mero arbitrio, deve essere il frutto di una ponderata valutazione legislativa volta a mitigare possibili profili di frizione.

Trattasi, evidentemente, di questione non priva di una componente tecnica da valutare secondo un approccio case by case, avuto riguardo agli assetti degli ordinamenti interni dei singoli Paesi membri.

A quest’ultimo fine, giova rievocare due assunti pacifici nella logica del diritto europeo.

In primo luogo, le direttive unionali sono vincolanti in rapporto al risultato che si intende perseguire, fatta salva la competenza degli organi nazionali in ordine alla scelta delle forme e dei mezzi[39].

In secondo luogo, nel caso delle direttive di armonizzazione c.d. minima[40], si permette agli Stati membri di mantenere una maggiore flessibilità e di introdurre misure protettive anche più rigorose se ritenute necessarie ad evitare la possibile erosione di previgenti standard di tutela, sempre nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal diritto primario dell’UE[41].

A fronte di queste necessarie precisazioni, il Regno del Belgio sosteneva che la direttiva ATAD avesse quale obiettivo, almeno con riguardo all’imposta sui redditi delle società e alle disposizioni preposte alla protezione delle basi imponibili nazionali in caso di CFC, soltanto un’armonizzazione minima e, dunque, escludendosi l’operatività della detrazione ex art. 8, par. 7, ATAD, verrebbero, coerentemente, attuate le sue finalità di ravvicinamento[42].

La Commissione, in senso contrario, attribuiva alla formula “armonizzazione minima” un’accezione più restrittiva, ritenendola intesa al perfezionamento contenutistico della fattispecie generale-astratta che, pertanto, non ammetterebbe parziale recepimento.

L’impostazione della Commissione, ad avviso dell’Avvocato Generale, non parrebbe comunque condivisibile, assumendo la mancata recezione dell’art. 8, par. 7 cit. valore di circostanza direttamente sintomatica di un difetto di conformazione sanzionabile ai sensi dell’ordinamento euro-unitario.

Eppure, nella valutazione circa la sussistenza di un possibile disallineamento rispetto al quadro normativo euro-unitario non si dovrebbe prescindere da un’analisi degli effetti sostanziali ascrivibili alla “condotta omissiva” del legislatore interno.

Trattasi di un problema che dovrebbe essere affrontato alla stregua, sì del diritto dell’Unione, ma tenuto conto anche del diritto nazionale e delle relative politiche dirette alla sua implementazione.

Di conseguenza, non sarebbe ravvisabile una violazione del dettato della direttiva se prescindendo dal suo materiale ed integrale recepimento: (i) la disciplina fiscale interna ne condivide la ratio; (ii) la normativa locale permette (o comunque non ostacola) il conseguimento degli obiettivi prefissati; (iii) il diritto tributario nazionale si pone in linea con gli standard minimi in essa stabiliti.

Nel contesto sopra ricostruito, l’Avvocato Generale ha ritenuto che l’art. 3 della direttiva ATAD può assurgere a criterio ermeneutico ausiliario (sebbene non esaustivo) per desumere la natura di direttiva di sola armonizzazione minima[43] derivandone, a corollario, che norme derogatorie che limitino il raggiungimento delle finalità perseguite dal Legislatore euro-unitario, come più sopra sottolineato, non devono essere necessariamente recepite[44].

Ciò posto, al fine di accertare se l’art. 8, par. 7, ATAD sia suscettibile di una dispensa di tale portata, è necessario risalire nuovamente al meccanismo giuridico ivi tratteggiato[45].

Orbene ed in estrema sintesi, mentre l’art. 7, par. 2, lett. b), ATAD introduce la regola secondo la quale i redditi della società controllata estera formalmente imputati a costruzioni non genuine vanno ricompresi nella base imponibile del soggetto residente nel territorio nazionale, l’art. 8, par. 7, ATAD si discosta da tale principio, sicché i redditi della società controllata estera, per effetto della detrazione fiscale ivi prevista, non concorrono più a reddito nel loro intero ammontare a livello nazionale.

Nel primo caso e in termini più espliciti, i redditi imputabili alla società controllata estera, laddove siano riferiti a strutture imprenditoriali di puro artificio, verrebbero attribuiti, sommandoli, all’imponibile dell’entità madre con gettito integralmente appreso dallo Stato ove quest’ultima risiede.

Nel secondo caso, lo Stato di residenza percepirebbe, per effetto della detrazione, un gettito fiscale inferiore rispetto a quello che avrebbe ottenuto se fosse stata costituita una struttura sociale genuina.

5. Considerazioni conclusive

Le conclusioni dell’Avvocato Generale rese nel procedimento di infrazione avviato dalla Commissione europea nei confronti del Regno del Belgio offrono un autorevole contributo all’inquadramento sistematico e all’analisi dei presupposti applicativi dell’art. 8, par. 7 della direttiva ATAD.

Le medesime riflessioni consentirebbero altresì di ripensare al ruolo della direttiva Anti Avoidance da atto avente portata applicativa meno stringente – e, perciò, meno unificante – rispetto al regolamento, ad atto che, proprio per questo motivo, risulta più rispettoso delle peculiarità delle singole esperienze giuridiche nazionali.

Istanza quest’ultima che si svela particolarmente avvertita in materia di imposte dirette, tenuto conto della generale resistenza da parte degli Stati membri a vedere ridimensionato lo spazio di manovra per agire sulla c.d. “leva fiscale” e, comunque, per proteggere i loro specifici interessi (si pensi alle politiche basate sull’incentivazione di investimenti produttivi o finanziari mediante il ricorso di aliquote generalizzate particolarmente attrattive).

Va peraltro dato atto che sarebbe riduttivo classificare la direttiva ATAD quale mero strumento di ravvicinamento legislativo, assumendo piuttosto la qualificazione di uno strumento funzionale al perseguimento di un interesse diffuso di rilievo internazionale[46].

Il tema in analisi stimola un duplice livello di riflessione[47].

Il primo rinvia al concetto di armonizzazione minima secondo il quale ciascuno Stato membro, nell’esercizio delle potestà ad esso attribuite, può operare con un margine di azione più o meno ampio in fase di conformazione al provvedimento europeo.

Il secondo aspetto, potenzialmente conflittuale con il precedente, risponde alla necessità che la disciplina interna di recepimento sia costruita in guisa da assicurare, in modo concreto, il raggiungimento dello scopo della direttiva.

Tirando le fila di questi basilari concetti, dovremmo riconoscere, in armonia con le argomentazioni dell’Avvocato Generale, che sia consentito allo Stato membro di sottrarsi legittimamente all’implementazione di una norma qualora il recepimento di altra disposizione unionale consenta, parimenti, il raggiungimento delle comuni finalità fissate dalla stessa direttiva.

In tal modo, va aggiunto, si scongiurerebbero eventuali rischi di “compressione” della potestà impositiva domestica che verrebbe comunque tutelata seppur nei modi e nei limiti supra illustrati.

L’aspetto più problematico, ben evidenziato in seno al procedimento di infrazione, non attiene l’interrelazione – nel significato di inconciliabilità applicativa – tra i meccanismi antiabuso proposti dalla direttiva in quanto un simile contrasto, a nostro parere, è solo apparente, data la diversità e autonomia dei rispettivi piani di operatività.

Il nodo cruciale concernerebbe, piuttosto, l’adeguata valorizzazione – anche in fase interpretativa – del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, giacché quest’ultimo, al di là di quanto possa sembrare, può rappresentare idoneamente un fondamentale parametro di giudizio per valutare gli effetti e, di riflesso, la coerenza delle scelte legislative nazionali in sede di attuazione del provvedimento di matrice europeistica.

 

[1] Per un iniziale inquadramento del tema, anche alla luce dell’approccio seguito dal Legislatore tributario italiano, si rinvia a D. Conte, Il discrimen tra abuso del diritto ed evasione fiscale: spunti per un inquadramento critico, in M.C. Fregni, A. Giovannini, M. Logozzo, M. Pierro, S. Sammartino, N. Sartori (a cura di), Studi in memoria di Francesco Tesauro, II, Milano, 2023, p. 552 ss.; G. Corasaniti, Il contrasto alle pratiche di elusione fiscale nell’attuazione delle Direttive ATAD, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2019, p. 9 ss.; D. Stevanato, La norma antielusiva è conforme alla Direttiva ATAD?, in Corr. Trib, 2019, p. 623 ss.; P. Boria, La clausola anti-abuso prevista dalla Direttiva ATAD: l’esperienza Italiana, in European Tax Studies, 2019, p. I-37 ss.; A. Manzitti, The influence of EU law and OECD initiatives on corporate tax design in Italy, in European Tax Studies, 2018, p. I-43 ss.; G. Zizzo, La nozione di abuso nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, in E. Della Valle, A. Contrino, M. Beghin, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Milano, 2016, p. 1 ss.; P. Russo, Profili storici e sistematici in tema di elusione e abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Dir. prat. trib., 2016, p. 1 ss.; D. Stevanato, Elusione fiscale e abuso delle forme giuridiche, anatomia in equivoco, in Dir. prat. Trib., 2015, I, p. 695 ss.; F. Gallo, La nuova frontiera dell’abuso del diritto, in Rass. trib., 2015, p. 1315 ss; S. La Rosa, Abuso del diritto ed elusione fiscale: differenze e interferenze, in Dir. prat. Trib., 2012, I, p. 707 ss.; E. Marello, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili procedimentali e processuali, in Giur. it., 2010, p. 1731 ss.; M. Beghin, L’elusione fiscale tra presupposti applicativi, esimenti, abuso del diritto ed “esercizi di stile”, in Riv. Dir. trib., 2008, II, p. 338 ss.; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2015, p. 225 ss.

[2] Per un’introduzione al tema, v. S. Cipollina, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili interni e comunitari, in Giur. it., 2010, p. 1724 ss. La trasposizione del fenomeno dell’abuso del diritto nell’alveo del diritto tributario è frutto, essenzialmente, dell’opera esegetica della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza unionale, è pacifico il principio secondo il quale “l’applicazione delle norme dell’Unione non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell’ambito di normali operazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (in tal senso, si vedano anche Corte di Giustizia dell’Unione Europea sentenza 5 luglio 2007, Kofoed, causa C-321/05, punto 38. In questa direzione, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 9 marzo 1999, Centros, causa C-212/97, punto 24; Id., sentenza 21 febbraio 2006, Halifax; causa C-255/02, punto 68; Id., sentenza 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes Overseas, causa C-196/04, punto 35; Id., sentenza 22 novembre 2017, Cussens, causa C-251/16, punto 27, Id., sentenza 11 luglio 2018, Commissione/Belgio, causa C-356/15, punto 99). Da ciò discende che “uno Stato membro deve negare il beneficio di disposizioni di diritto dell’Unione laddove queste vengano invocate non al fine di realizzare le finalità delle disposizioni medesime, bensì al fine di godere di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione sebbene le condizioni per poterne godere siano rispettate solo formalmente. Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui il compimento di formalità doganali non si collochi nel contesto di normali operazioni commerciali, bensì sia puramente formale e sia volto unicamente ad ottenere abusivamente la concessione di importi compensativi” (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 27 ottobre 1981, Schumacher, causa C-250/80, punto 16; Id., sentenza 3 marzo 1993, General Milk Products, causa C-8/92, punto 21). In materia di imposta sul valore aggiunto, la Corte di Giustizia UE ha ulteriormente precisato che “se la repressione delle frodi, dell’evasione fiscale e degli eventuali abusi rappresenta un obiettivo riconosciuto e promosso dalla Sesta direttiva, il principio del divieto delle pratiche abusive costituisce parimenti un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione indipendentemente dalla questione se i diritti ed i vantaggi oggetto dell’abuso trovino il loro fondamento nei Trattati, in un regolamento o in una direttiva” (in tal senso, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens, causa C-251/16, punti 30 e 31). In letteratura, per ulteriori spunti di riflessione, v. S. Cipollina, CFC legislation e abuso della libertà di stabilimento: il caso Cadbury Schweppes, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, 1, II, p. 13 ss.; G Meussen, Cadbury Schweppes: the ECJ significantly limits the application of CFC rules in the member states, in European taxation, 2007, p. 13 ss.

[3] Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa C-255/02/2006 in Riv. Dir. trib., 2007, IV, p. 17 ss., con nota di P. Pistone, L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche della Corte di Giustizia Europea in tema di Iva.

[4] All’adozione della prima direttiva ATAD è seguita l’approvazione della direttiva (UE) 2017/952 del 29 maggio 2017 (che ha modificato l’ATAD I relativamente alle disposizioni in tema disallineamenti da ibridi con i Paesi terzi) e della proposta di direttiva COM(2021) 565 final (c.d. ATAD III) in materia di shell companies. Per completare il quadro normativo di riferimento, occorre segnalare che la disciplina fiscale europea dedicata alle imprese controllate estere si è dovuta confrontare con la nuova global minimum tax. Quest’ultima rappresenta il fulcro essenziale di una delle molteplici iniziative intraprese, in tempi recenti, dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. A livello unionale, l’imposta è stata introdotta tramite l’art. 11 della Direttiva UE 14 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022, in coerenza con l’approccio comune richiesto dalle regole c.d. GloBE, al fine di consentire a ciascuno Stato membro di prelevare le imposte integrative relative alle entità a bassa imposizione localizzate sul suo territorio. Per un approfondimento dei tratti fondamentali dell’imposta minima globale si vedano, ex pluribus, S. CIPOLLINA, Riflessioni su CFC Rules e imposta globale sul reddito, in Riv. Dir. fin. Sc. fin., 2024, I, p. 307 ss.; A. Marinello, L’imposta minima nazionale, in A. Giovannini (a cura di), La riforma fiscale I diritti e i procedimenti Vol. I Diritto internazionale e cooperative compliance, Pisa, 2024, p. 129 ss.; A. Perrone, Ratio, origine e natura dell’imposizione minima globale, in A. Giovannini (a cura di), La riforma fiscale. I diritti e i procedimenti. Vol. I. Diritto internazionale e cooperative compliance, Pisa, 2024, p. 103 ss.; G. Foglia, S. Mango, CFC: dubbi interpretativi e applicativi dopo le modifiche alla disciplina, in Corr. trib., 2024, p. 736 ss.; E. Macario, L’esercizio del test di tassazione congrua per le CFC, in Corr. trib., 2024, p. 336 ss.; S. Marchese, L. Miele, CFC: semplificazione dei criteri per determinare l’“effective tax” rate della controllata estera, in Corr. trib., 2023, p. 1018 ss; G. Rolle, F. Scarfone, Pillar 2 e CFC: divergenza delle basi imponibili e rischi di doppia imposizione dei redditi “passivi”, in Corr. trib., 2023, p. 673 ss.; L. Carpentieri, La deriva dei territori e le nuove vie per il coordinamento della tassazione societaria, in M. C. Fregni, A. Giovannini, M. Logozzo, M. Pierro, S. Sammartino, N. Sartori (a cura di), Studi in memoria di Francesco Tesauro, Milano, 2023, p. 177 ss.; P. Boria, Il progetto di “Global Minimum Tax” e la moderna teoria delle fonti del diritto tributario internazionale, in Riv. dir. trib. int., 2021, I, p. 55 ss.

[5] Sull’impatto dell’adozione della direttiva ATAD rispetto al panorama giuridico unionale, v. A.P. Dourado, The EU Anti Tax Avoidance package: moving ahead of BEPS?, in Intertax, 2016, p. 440 ss.

[6] Trattasi dell’art. 6 della direttiva ATAD.

[7] Per l’esame di alcune criticità di fondo si rinvia a D. W. Blum, Controlled foreign companies: selected policy issues – or the missing elements of BEPS Action 3 and the anti-tax avoidance directive, in Intertax, 2018, p. 296.

[8] Per un’indagine circa i criteri elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di giustificare eventuali restrizioni delle libertà fondamentali, v. N. Traut, G.W. De resende, Anti-avoidance jurisprudence in direct taxation: the CJEU between politics and certainty, in Intertax, 2024, p. 226 ss.

[9] In argomento, v. A. Pirlot, The Vagueness of Tax Fairness: A Discursive Analysis of the Commission’s “Fair Tax Agenda”, in Intertax, 2020, p. 402 ss.

[10] In questa sede, acquista rilievo sistematico il dettato dell’art. 49 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in materia di libertà di stabilimento. Nel descritto ambito, emblematica è la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 12 settembre 2006, C-196/04, c.d. Cadbury Schweppes, che per prima ha statuito che “la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato”. In tema, v. S. Schenkelberg, The Cadbury Schweppes Judgment and Its Implications on Profit Shifting Activities within Europe, in International Tax and Public Finance, 2019, p. 1 ss.; E. Della Valle, Residenza e stabile organizzazione, in Rass. Trib., 2016, p. 871 ss.; S. Cipollina, CFC legislation e abuso della libertà di stabilimento: il caso Cadbury Schweppes, in Riv. dir. fin. Sc. fin., I, 2007, p. 13 ss.; M. Beghin, La sentenza Cadbury-Schweppes e il “malleabile” principio della libertà di stabilimento, in Rass. Trib., 2007, p. 983 ss.; C. Romano, L’utilizzazione dei paradisi fiscali nel diritto europeo: il caso Cadbury Schweppes e la disciplina in materia di società estere controllate (“CFC”), in Riv. dir. trib. int., 2006, p. 141 ss.; AA.VV., ECJ restricts Scope of CFC legislation, in Intertax, 2006, p. 636 ss.; G.T.K. Meussen, Cadbury Schweppes: The ECJ Significantly Limits the Application of CFC Rules in the Member States, in European Taxation, 2007, p. 13 ss.; F. Vanistendael, Halifax and Cadbury Schweppes: One Single European Theory of Abuse in Tax Law?, in EC Tax Review, 2006, p. 192 ss.; N. Vinther, E. Werlauff, Tax motives are legal motives – the borderline between the use and abuse of the freedom of establishment with reference to the Cadbury Schweppes Case, in European Taxation, 2006, p. 383 ss.

[11] Per un inquadramento d’insieme, ex multis, B. Kolozs, Corporate tax residence and mobility in the European Union, in E. Traversa (a cura di), Corporate tax residence and mobility, Amsterdam, 2018, p. 91 ss.; G. Escalar, Criticità dei rilievi di esterovestizione di società unionali, in Corr. trib., 2019, p. 1074 ss.; P. Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2015, p. 163 ss.; P. Laroma Jezzi, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’Unione Europea, Pisa, 2012, p. 51 ss.; M. Greggi, Recenti sviluppi di compatibilità comunitaria delle esposizioni di contrasto al fenomeno della cosidetta “esterovestizione” societaria, in Rass. trib., 2009, p. 105 ss.; F. Amatucci, Conference on tax jurisdictional criteria and the European Union law, in Riv. dir. trib. int., 2001, p. 176 ss.; V. Allotti, F. Pernazza, Trasferimento della sede effettiva delle società in Europa e libertà di stabilimento, in Le Società, 2003, p. 893 ss.

[12] Tratta il tema dei poteri attribuiti, in ambito tributario, alle Istituzioni dell’Unione Europea, T.V. MEICKMANN, Taxing powers of the European Union, in Intertax, 2024, p. 552.

[13] Amplius, cfr. S. Govind, I. Lazarov, Carpet-bombing tax avoidance in Europe: examining the validity of the ATAD under EU law, in Intertax, 2019, p. 852 ss. Gli Autori individuano nella direttiva ATAD molteplici profili di incompatibilità con il diritto primario dell’Unione Europea. In primo luogo, si argomenta la generale non conformità della direttiva rispetto ai principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell’UE in materia di abuso del diritto. In secondo luogo, si sostiene che la direttiva non sia aderente ai requisiti posti dall’art. 115 TFUE, sul rilievo che essa non contribuirebbe all’“instaurazione e al funzionamento del mercato interno” secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza consolidata della CGUE. Ancora, la direttiva si porrebbe in contrasto con il principio di sussidiarietà, atteso che la Commissione non ha addotto motivazioni persuasive circa la necessità di una direttiva di tale portata a livello unionale. Infine, ad avviso degli Autori, diverse disposizioni della direttiva, benché funzionali al contrasto mirato delle costruzioni artificiose, sarebbero incompatibili con il principio di proporzionalità. Sul punto, v. anche W. Nyström, Saving the ATAD CFC regime through abuse of law or the rule of reason, in Intertax, 2021, p. 223 ss.

[14] In letteratura, v. B. Kuzniacki, The ECJ as a protector of tax optimization via holding companies, in Intertax, 2019, p. 312 ss. Attraverso una disamina di alcune pronounce della Corte di Giustizia UE, l’Autore giunge ad affermare che l’introduzione, a livello unionale, di misure di contrasto ai fenomeni elusivi non deve ostacolare il mantenimento di un clima favorevole alle imprese e agli investimenti finanziari, così da stimolare la concorrenza leale tra i Paesi membri e creare condizioni di parità tra i diversi operatori economici.

[15] Per una disamina della disciplina CFC condotta seguendo i canoni del diritto unionale, cfr. O. Thommes, D.T. Thomatsu, CFC legislation and EC law, in Intertax, 2003, p. 188 ss.

[16] Per una ricostruzione in chiave evolutiva della disciplina CFC, v. M. Helminen, Is there a future for CFC-regimes in the EU?, in Intertax, 2005, p. 117 ss.; J. ROSEMBUL, Controlled Foreign Corporations – Critical Aspects, in Intertax, 1998, p. 333 ss.

[17] In argomento, cfr. S. Geringer, The EU’s uncoordinated approach to tax avoidance and tax abuse in relation to “uncooperative” tax jurisdictions, in Intertax, 2022, p. 205 ss.

[18] Per un’ulteriore disamina sulle disposizioni della direttiva ATAD in materia CFC, si rinvia a T. Moser, The provisions of the EU anti-tax avoidance directive regarding controlled foreign company rules: a critical review based on the experience with the german CFC legislation, in Intertax, 2017, p. 606 ss.

[19] Sul punto, vedasi anche R. Avi Yonah, G. Mazzoni, BEPS, ATAD, and the new tax dialogue: a transatlantic competition?, in Intertax, 2018, p. 885 ss.

[20] Cfr. P. Pistone, G. Maisto, Modello europeo per le legislazioni degli Stati membri in materia di imposizione fiscale delle società controllate estere (CFC), in Riv. dir. trib., 2008, V, p. 191 ss; P. Pistone, Normativa CFC, convenzioni internazionali e diritto comunitario, in TributImpresa, 2004, p. 47 ss.

[21] È quanto emerge dalla lettura del primo considerando alla direttiva ATAD. Più specificamente, si afferma che “le attuali priorità politiche nella fiscalità internazionale evidenziano la necessità di assicurare che l’imposta sia versata nel luogo in cui gli utili e il valore sono generati. È pertanto fondamentale ristabilire la fiducia nell’equità dei sistemi fiscali e consentire ai governi di esercitare effettivamente la loro sovranità fiscale. Questi nuovi obiettivi politici sono stati tradotti in raccomandazioni di azioni concrete nel quadro dell’iniziativa contro l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS) dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)”. In letteratura, si rinvia a M. Beghin, L’abuso e l’elusione fiscale tra regole “scritte”, giustizia tributaria e certezza del diritto, in Corr. Trib., 2012, p. 1298 ss.; A. Ballancin, L’antieconomicità tra occultamento di capacità contributiva, elusione fiscale ed il “dover essere” tributario, in Riv. Dir. trib., 2012, p. 199 ss.; A. KARDACHAKI, The impact of European union law on the possibilities of European union member states to adapt international tax rules to the business models of multinational enterprises, in Intertax, 2016, p. 746 ss.

[22] Per un’analisi degli art. 7 e 8 della direttiva ATAD svolta alla luce dell’Action 3 del Progetto BEPS si rinvia a G. Ginevra, The EU anti-tax avoidance directive and the base erosion and profit shifting (BEPS) action plan: necessity and adequacy of the measures at EU level, in Intertax, 2017, p. 120 ss.

[23] Cfr. A. Soom, Double taxation resulting from the ATAD: is there relief?, in Intertax, 2020, p. 273 ss.; B. Kuzniacki, The need to avoid double economic taxation triggered by CFC rules under tax treaties, and the way to achieve it, in Intertax, 2015, p. 758 ss.

[24] In tal modo, il reddito generato dalla controllata all’estero viene riconosciuto come reddito della società madre e, di conseguenza, viene tassato con l’aliquota (generalmente più elevata) applicata dallo Stato di residenza di quest’ultima.

[25] Osserva P. Malherbe, Transposition of ATAD GAAR in Belgium, in European Tax Studies, 2019, p. I-91 che in Belgio l’art. 6 della direttiva ATAD fiscale non è stato oggetto di puntualmente recepimento, attesa la vigenza di una preesistente norma domestica anti-abuso (ovvero l’art. 344, primo paragrafo del Codice delle imposte sul reddito) avente la medesima portata applicativa. Sul punto, dello stesso Autore, si veda altresì Belgian corporate tax reforms 2018-19, in European Tax Studies, 2018, p. I-29 ss.

[26] In un’ottica comparatistica, avuto riguardo all’esperienza del recepimento della clausula generale anti-abuso nell’ordinamento fiscale della Polonia, cfr. B. Kuzniacki, Poland’s implementation of EU GAAR compromises constitutional and EU principles, in Intertax, 2021, p. 237 ss. L’Autore sottolinea che per garantire la compatibilità delle norme interne anti-abuso con i principi dei Trattati fondamentali dell’UE è necessario che esse siano proporzionate rispetto allo scopo prefissato, onde garantire, in conformità agli standard stabiliti in seno all’UE, il principio di certezza del diritto.

[27] Ove si statuisce che “lo Stato membro del contribuente consente la detrazione dell’imposta versata dall’entità o dalla stabile organizzazione dal debito d’imposta del contribuente nello Stato in cui risiede a fini fiscali o è situato”.

[28] In argomento vedasi E. Ceriana, A. Tomassini, Nuovi ingressi nella UE e legislazione CFC, in Rass. trib., 2007, p. 749 ss.; R. Lupi, V. Marraffa, G. Ingrao, Regole CFC e stati membri della comunità europea, in Dialoghi di diritto tributario, 2007, p. 1017 ss.; R. Lupi, Illegittimità delle regole CFC se rivolte a paesi comunitari: punti fermi e sollecitazioni sulla sentenza Schweppes, in Dialoghi di diritto tributario, 2006, p. 1589 ss.

[29] Sul punto, si veda A. Rust, CFC legislation and EC law, in Intertax, 2008, p. 492 ss. L’Autore, oltreché descrivere diverse ipotesi di modelli di CFC Rules, si sofferma sulle relative restrizioni imposte dai Trattati fondamentali dell’Unione Europea. In aggiunta, viene sottolineata l’importanza della CFC Legislation quale mezzo efficace per impedire l’erosione delle basi imponibili nazionali e per garantire un’equa tassazione anche nei Paesi ad alta tassazione.

[30] Ed invero, a tale proposito, il Regno del Belgio rilevava che “l’applicabilità dell’art. 7, par. 2, lett. b), ATAD non sia subordinata al recepimento dell’art. 8, par. 7, ATAD. L’art. 7, par. 2, lett. b), dell’ATAD riguarderebbe unicamente le costruzioni non genuine, essenzialmente volte ad ottenere un vantaggio fiscale, ossia solo le costruzioni artificiose dettate da ragioni fiscali”. In questi casi, non avrebbe luogo, in radice, una reale circolazione di beni, servizi, capitali e persone e, pertanto, l’indetraibilità prevista in tali ipotesi non costituirebbe un ostacolo al mercato interno europeo.

[31] Si veda, a tale proposito, il considerando n. 11 alla direttiva ATAD dedicato specificamente alla norma generale anti-abuso contenuta nell’art. 6 del provvedimento medesimo.

[32] Il Giudice europeo, in plurimi arresti, ha chiarito che “la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non sia stato conseguito e, dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la sussistenza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti” (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 26 febbraio 2019, cause riunite c-116/16 e c-117/16, punto 114). Nella giurisprudenza unionale, vedasi altresì sentenza 4 ottobre 2024, causa C-171/23, punto 40; Id. sentenza 22 novembre 2017, causa C-251/16, punto 46; Id. sentenza 22 dicembre 2010, causa C-103/09, punto 48; Id. sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, punto 94; Id. sentenza 26 febbraio 2019, cause riunite C-116/16 e C-117/16, punti 107 e segg.

[33] Mentre, da un lato, l’art. 7, par. 2, lettera b), ATAD si riferisce espressamente alle “costruzioni non genuine che sono state poste in essere essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”, dall’altro, l’art. 7, par. 2, lett. b), secondo comma, fa riferimento alla particolare situazione esistente nel contesto di una relazione di controllo societario.

[34] Ex art. 6, par. 1, direttiva ATAD.

[35] Per ulteriori spunti di indagine, v. P. Valente, Elusione fiscale internazionale: strumenti unilaterali di contrasto e disposizioni convenzionali in materia di treaty shopping, in Dir. prat. trib., 1998, p. 11 ss.

[36] Si veda, a titolo esemplificativo, l’art. 25 del Modello di Convenzione fiscale dell’OCSE.

[37] P. K. Schmidt, A general income inclusion rule as a tool for improving the international tax regime – challenges arising from EU primary law, in Intertax, 2020, p. 983 ss.

[38] Sulla nozione di armonizzazione fiscale, cfr. M. Scherleitner, Increasing direct tax harmonization and the role of tax-relevant economic guarantees in primary EU law – a reflection on a (yet to be formed) trend, in Intertax, 2025, p. 141 ss.

[39] Illustra P. Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2017, p. 101, che lo strumento normativo principale attraverso cui è stata realizzata la formazione dell’ordinamento comunitario in materia fiscale è senz’altro costituito dalle direttive del Consiglio. Trattasi di atti con effetto obbligatorio destinati agli Stati membri aventi ad oggetto la fissazione di obiettivi, generali o dettagliati, da raggiungere in un determinato termine temporale, rispetto ai quali gli Stati medesimi sono liberi di scegliere forma e mezzi più idonei per la concreta attuazione normativa negli ordinamenti nazionali (pur nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti imposti dal diritto comunitario). L’emanazione della direttiva determina, pertanto, una procedura articolata in due momenti: dapprima, lo Stato membro è vincolato al raggiungimento del risultato fissato in sede comunitaria con l’obbligo in buona fede di evitare la produzione di norme interne che risultino contrastanti con le regole della direttiva comunitaria (c.d. clausola di standstill); successivamente, con il recepimento della direttiva in un atto legislativo domestico, la norma di ispirazione unionale assume un’efficacia generale ed astratta rispetto ai soggetti appartenenti alla comunità nazionale.

[40] Il tema è stato affrontato da A. Comelli, L’armonizzazione (e il ravvicinamento) fiscale tra lo “spazio unico europeo dell’iva”, la direttiva del Consiglio “contro le pratiche di elusione fiscale” e l’abuso del diritto, in Dir. prat. trib., 2018, p. 1397 ss.

[41] L’Avvocato Generale ha precisato, a tale riguardo, che eventuali restrizioni alle libertà fondamentali possono essere giustificate, nell’ambito dell’armonizzazione minima, dagli obiettivi posti dalla direttiva, quali motivi di ordine pubblico, sempreché non eccedano quanto necessario per il loro raggiungimento. Generalmente, ciò si verifica nel caso in cui lo Stato membro recepisce una disposizione generale di una direttiva adottando una normativa più specifica e più rigorosa o, ad esempio, modifica, in fase di recepimento, una soglia fissata come standard minimo nella direttiva, rendendo così più restrittivi i requisiti legali.

[42] In altre parole, solo l’art. 7 e l’art. 8, paragrafi da 1 a 4, della direttiva ATAD detterebbero lo standard minimo ai fini della protezione delle basi imponibili nazionali relative all’imposta sulle società che gli Stati membri sarebbero tenuti a recepire. Tuttavia, come rilevato dall’Avvocato Generale, le eccezioni all’inclusione nella base imponibile previste all’art. 8, paragrafi da 5 a 7, dirette ad evitare la doppia imposizione restringerebbero la realizzazione di tale obiettivo e il loro recepimento non sarebbe, quindi, obbligatorio per gli Stati membri. Conseguendone che qualora uno Stato membro non implementasse la detrazione fiscale ex art. 8, par. 7, ad esempio a fronte di costruzione non genuine, verrebbe garantito un più elevato grado di protezione della base imponibile nazionale.

[43] Ove si sancisce che la direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a salvaguardare un livello di protezione più elevato delle basi imponibili nazionali per l’imposta sulle società.

[44] Deporrebbe in tal senso anche il chiaro tenore testuale del considerando n. 16, laddove si precisa che “la presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. Fissando un livello minimo di protezione del mercato interno, la presente direttiva mira soltanto a raggiungere il grado minimo di coordinamento all’interno dell’Unione essenziale per conseguire i suoi obiettivi”.

[45] Invero, lo stesso principio era già stato enunciato nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 3 giugno 2010, Causa C-484/08 seppur con riferimento ad un diverso settore disciplinare. In particolare, il ricordato procedimento verteva sulla corretta applicazione della direttiva 93/13/CEE in materia di tutela del consumatore, avuto riguardo alle clausole abusive inserite nei contratti stipulati con i consumatori. L’art. 4, par. 2 della menzionata direttiva stabilisce che “la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile”. A mente del successivo art. 8, “gli Stati membri possono adottare o mantenere, limitatamente al settore disciplinato dalla direttiva stessa, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore”. La Corte ha ritenuto ammissibile il mancato recepimento delle disposizioni derogatorie, considerato che la normativa interna (nel caso di specie, quella spagnola) mirava ad una maggiore tutela dei consumatori ponendosi in linea con l’obiettivo di armonizzazione minima propugnato dalla direttiva.

[46] Per un’indagine circa le origini del Progetto BEPS e sui suoi risvolti nel contesto giuridico europeo, si rinvia a AA.VV., Implementing key BEPS actions: where do we stand?, in Intertax, 2017, p. 852 ss.

[47] Per ulteriori spunti di riflessione, cfr. E. Traversa, The prohibition of abuse of rights in european tax law: sacrificing the internal market for the fight against base erosion and profit shifting?, in European Tax Studies, 2019, p. I-1 ss.

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