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Il diritto al rimborso delle ritenute d’acconto subite da una SPV di cartolarizzazione alla luce degli ultimi orientamenti della Cassazione

19 Settembre 2019

Avv. Vanessa Solimeno, Partner, PLC Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

Indice: 1. Introduzione – 2. Breve esposizione dei fatti, dei giudizi di merito e delle motivazioni della decisione – 3. Considerazioni finali – Le ipotesi sviluppatesi nella prassi del mercato delle cartolarizzazioni

 

1. Introduzione

La Corte di Cassazione – Sez. Tributaria con ordinanza emessa in data 16 maggio 2019 (l’ “Ordinanza 2019”), è, recentemente, ritornata a pronunciarsi (a) sulla assoggettabilità a ritenuta a titolo di acconto, ai sensi del DPR 600 del 1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, il “DPR 600/73”), degli interessi attivi maturati sui conti correnti accesi da una società di cartolarizzazione (la “SPV 130”), sui quali confluiscono i flussi di liquidità derivanti dall’incasso dei crediti oggetto di cartolarizzazione ai sensi della legge n. 130 del 30 aprile 1999 (la “Legge sulla Cartolarizzazione”); e, di conseguenza, (b) sulla ammissibilità della richiesta di rimborso, da parte della stessa SPV 130, di tali ritenute (il “Diritto al Rimborso delle Ritenute”).

Tale Ordinanza 2019 riprende gli stessi principi che la Suprema Corte aveva già sancito con una precedente pronuncia (Sentenza n. 10885 del 27 maggio 2015, che per la prima volta aveva affrontato tali tematiche; in proseguo, la “Sentenza 2015”) e segna un importante passo verso una sempre più corretta interpretazione del quadro delle norme che regolano le operazioni di cartolarizzazione, in particolare da un punto di vista fiscale.

2. Breve esposizione dei fatti, dei giudizi di merito e delle motivazioni della decisione

Una SPV 130, nel contesto di un’operazione di cartolarizzazione da lei realizzata, si era vista sottoporre a ritenuta d’acconto, nella misura del 27%, gli interessi maturati sulle giacenze dei due conti correnti aperti dalla stessa nell’ambito dell’operazione e sui quali confluivano temporaneamente le disponibilità finanziarie derivanti dall’incasso dei crediti cartolarizzati in attesa che venissero impiegate per il pagamento di quanto dovuto ai sottoscrittori dei titoli emessi.

Nel Gennaio 2009, a seguito del totale rimborso dei titoli a favore dei noteholders e della conseguente cancellazione degli stessi (con eliminazione dell’ISIN) e chiusura dell’operazione, la SPV 130 richiedeva il rimborso di tali ritenute alla fonte all’Agenzia delle Entrate, la quale, tuttavia, opponeva silenzio-rifiuto. Secondo quanto stabilito dal contratto di cessione dell’operazione di cartolarizzazione, le somme, una volta rimborsate alla SPV 130, avrebbero dovute essere corrisposte da quest’ultima alla cedente originaria (che nel caso di specie, trattavasi di Cassa Depositi e Prestiti)

La SPV 130, pertanto, nel 2010 (e quindi prima della Sentenza 2015), impugnava, tale silenzio-rifiuto dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Roma che accoglieva l’impugnativa sul presupposto che le ritenute operate sugli interessi fossero state effettuate a titolo di acconto perché a detti interessi doveva riconoscersi natura di rendimento del patrimonio separato della SPV 130, conseguendone pertanto il diritto della SPV 130 alla restituzione.

Successivamente, l’Amministrazione Finanziaria interponeva appello, accolto dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio (la “CTR”) sostenendo che un soggetto esente da imposte dirette (quale dovrebbe essere una SPV 130) non debba ritenersi escluso dall’imposizione sostitutiva sugli interessi attivi maturati sui conti correnti bancari, essendo tale strumento impositivo l’unico a cui sarebbe assoggettabile la SPV 130 per la propria attività. Avverso la decisione della CTR, la SPV 130 proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, accolto con l’Ordinanza 2019 (e quindi a distanza dei ben 10 anni) sulla base delle seguenti motivazioni.

Come si ricordava in precedenza, la Corte di Cassazione si preoccupa innanzitutto di rispondere al quesito se gli interessi attivi, corrisposti sui depositi bancari accesi dalla SPV siano soggetti a ritenuta a titolo di acconto, ai sensi del DPR n. 600 del 1973, art 26, comma 2.

Innanzitutto, la Cassazione ricorda come il legislatore abbia previsto, a favore di una SPV 130, un regime di separazione patrimoniale[1] tale per cui, ai sensi dell’articolo 3, comma 2 della Legge sulle Cartolarizzazioni il patrimonio dell’operazione è “a destinazione vincolata, in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti”; ragion per cui anche gli interessi percepiti sui depositi devono ritenersi ricompresi tra i flussi attivi del patrimonio separato, benché maturati su conti e depositi formalmente intestati ad una SPV 130.

Ne consegue pertanto che, nel corso dell’operazione di cartolarizzazione – ovvero fintanto che permane il vincolo di destinazione – la SPV 130 non ha la disponibilità di predetti flussi di liquidità, ivi compresi degli interessi in questione, in quanto i flussi in questione sono destinati esclusivamente al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell’operazione, e non a generare un profitto per la SPV 130.

Ciò detto, la Legge sulla Cartolarizzazione non prevede uno specifico regime fiscale per i patrimoni separati costituiti per le operazioni di cartolarizzazione, né (come sottolineato dalla stessa Suprema Corte sia nell’Ordinanza 2019 in commento, sia nella Sentenza 2015) si può interpretare estensivamente la disciplina speciale regolata da alcune leggi di settore[2] che hanno previsto un regime di neutralità, ai fini IRPEG e IRAP, del patrimonio separato delle società costituite per realizzare alcune peculiari operazioni di cartolarizzazione, caratterizzate però da una intrinseca destinazione pubblicistica. Tale circostanza, pertanto, impone l’osservanza delle disposizioni generali in materia fiscale ed in particolare di quanto disposto dall’art. 26 del DPR 600/73, il quale, al comma 2, dispone che “[…] le banche operano una ritenuta del 27 per cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai titolari di conti correnti e di depositi, anche se rappresentati da certificati”.

Su tali presupposti di conseguenza, la Suprema Corte – ribaltando l’impostazione applicata dalla CTR[3] – ha ritenuto che trovi applicazione nel caso in questione il primo periodo[4] del quarto comma dell’Art. 26 del DPR 600/73, il quale dispone che “le ritenute alla fonte si applicano a titolo di acconto nei confronti delle ‘società ed enti commerciali di cui al comma 1, lettere a) e b), dell’articolo 87’ del TUIR” (DPR 22 dicembre 1986, n. 917 – Testo Unico delle Imposte sui Redditi), di cui la SPV 130 fa parte: nel caso in questione, quindi, la SPV 130 è destinataria delle ritenute alla fonte, in quanto la sua peculiare attività non la rende di per sé esente dall’inclusione fra le società, soggette IRPEG, di cui al comma 1, lettera a) dell’art. 87 del TUIR.

Appurato che tali ritenute alla fonte sono applicate a titolo di acconto e non a titolo di imposta[5], sorge, pertanto, in capo al contribuente il diritto al (eventuale) rimborso all’Agenzia delle Entrate: è, pertanto, pacifico che l’esercizio di tale diritto, nel caso di specie, spetti alla SPV 130, quale soggetto cui fanno capo i rapporti giuridici che riguardano i patrimoni separati nonché quale gestore di tali patrimoni.

Tale principio, già sancito dalla Corte di Cassazione con la Sentenza 2015, viene così ribadito anche con l’Ordinanza 2019. Tuttavia, come sottolinea la Suprema Corte in entrambe le pronunce, ciò che fa da discrimen vero e proprio è comprendere, il quando sorge, in capo alla SPV 130, il Diritto al Rimborso delle Ritenute. Ed in entrambe le decisioni la Suprema Corte individua tale momento nella “conclusione dell’operazione

Come si ricordava, la Legge sulla Cartolarizzazione prevede uno speciale regime di separazione patrimoniale in ossequio al quale i flussi attivi derivanti dall’incasso dei crediti oggetto di cartolarizzazione non sono nella disponibilità della SPV 130, ma sono finalizzati al rimborso dei titoli emessi e al pagamento dei costi dell’operazione: anche gli interessi percepiti sui conti correnti e sui depositi devono pertanto ritenersi ricompresi tra tali flussi attivi oggetto di separazione patrimoniale, non costituendo reddito attivo della SPV 130.

Già nel 2015, la Cassazione, con la citata Sentenza 10885/2015, chiaramente statuisce che “in tale quadro normativo se, pertanto da un canto, appare corretta l’impostazione difensiva secondo cui i predetti interessi, alla data in cui sono state operate le ritenute, non costituivano reddito della Società; dall’altro da ciò non può farsi conseguire, in via diretta ed automatica, l’effetto che la Società a ciò riconduce: ovvero l’insorgenza in suo favore del diritto al rimborso prima della conclusione delle operazioni di cartolarizzazione ovvero, prima del momento in cui, incassati tutti i crediti e realizzati tutte le componenti attive del patrimonio separato si provveda alla destinazione “vincolata” degli stessi. Solo in questo momento, infatti, esaurita l’operazione di cartolarizzazione ed all’esito della stessa, sarà evidente quale destinazione abbia avuto il patrimonio separato ovvero a quali soggetti esso sia stato ridistribuito”.

In tale pronuncia, la Suprema Corte aveva non a caso rigettato il ricorso della SPV 130, proprio in ragione della circostanza che, nel caso di specie, l’operazione di cartolarizzazione non si fosse ancora conclusa e, pertanto, non era ancora sorto in capo alla stessa il diritto a richiedere il rimborso delle ritenute operate.

Oltre ad individuare il momento in cui sorge il Diritto al Rimborso delle Ritenute, rileva altresì sottolineare che in quella stessa pronuncia la Corte, da ultimo, specifica altresì un ulteriore principio di non poco conto, ovvero che, a seguito della conclusione dell’operazione, ove siano stati soddisfatti tutti i creditori del patrimonio separato,potrà, in ipotesi, emergere un reddito attivo non solo nei confronti dei sottoscrittori ma anche della stessa Società. In altri termini, ed ai fini strettamente fiscali, solo in questo momento matureranno le circostanze di certezza nell’an e di determinabilità del quantum prescritte dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 perché un dato componente possa concorrere a formare il reddito imponibile”.

L’Ordinanza 2019 in commento pertanto, riprendendo quanto già sancito dalla Sentenza 2015, accoglie la richiesta della SPV 130 ricorrente – che aveva correttamente inoltrato la richiesta di rimborso delle ritenute solo a seguito della conclusione dell’operazione – e ribadisce il principio di diritto secondo cui: “nelle operazioni di c.d. cartolarizzazione, i flussi di liquidità ingenerati dall’incasso dei crediti, destinati a confluire nel patrimonio separato all’uopo costituito e versati sui conti correnti accesi dalla c.d. società veicolo, di cui all’art. 3 della legge n. 130 del 1999, producono interessi, che sono soggetti a ritenuta a titolo di acconto ai sensi dell’art. 26, comma 4, lett. c), del Dpr. N. 600 del 1973. A seguito dell’esaurimento dell’operazione di cartolarizzazione, la società veicolo vanta titolo per domandare il rimborso di quanto prelevato dai suoi conti correnti a titolo di ritenuta d’acconto.”

A tal proposito, sembra altresì importante sottolineare come entrambe le pronunce forniscano per la prima volta una qualificazione del concetto di “conclusione dell’operazione di cartolarizzazione che la Suprema Corte fa coincidere con il momento in cui “incassati tutti i crediti e realizzate tutte le componenti attive del patrimonio separato, si provveda alla destinazione ‘vincolata’ degli stessi”.

In pratica, sembrerebbe che una operazione di cartolarizzazione possa considerarsi “conclusa” quando, incassati tutti i crediti in possesso della SPV 130, essa abbia provveduto a soddisfare compiutamente i diritti incorporati nei titoli sottoscritti dagli investitori e avrà provveduto a sostenere tutte le spese e i costi.

3. Considerazioni finali – Le ipotesi sviluppatesi nella prassi del mercato delle cartolarizzazioni

A seguito dell’intervento della Corte di Cassazione con l’Ordinanza 2019 fin qui descritta (così come anche la Sentenza 2015), sembra ormai pacificamente acquisita la circostanza che una SPV abbia piena legittimazione per richiedere, una volta conclusasi l’operazione di cartolarizzazione, il rimborso delle ritenute d’acconto operate sugli interessi maturati sui conti correnti da essa aperti.

La Suprema Corte è ben chiara nel precisare che, solo al momento della conclusione dell’operazione, ovvero nel momento in cui è divenuta palese la destinazione del patrimonio separato, sorge in capo alla SPV 130 il Diritto al Rimborso delle Ritenute d’Acconto, ovvero il diritto di incassare le somme che le erano state ritenute a titolo di acconto quando l’operazione era ancora in fieri[6].

A tal riguardo, vi è tuttavia da rilevare che la qualificazione di “conclusione dell’operazione” fornita dalla Suprema Corte nelle due pronunce non sembra contemplare la molteplicità di ipotesi che si verificano nella prassi del mercato delle cartolarizzazioni.

In particolare, mentre, da un lato, con la Sentenza 2015 il ricorso veniva semplicemente rigettato perché la domanda di rimborso era stata presentata prima della conclusione dell’operazione; dall’altro, l’Ordinanza 2019 si pronuncia su una ipotesi di conclusione “fisiologica” dell’operazione, nel contesto della quale (a) i titoli venivano naturalmente estinti con totale rimborso agli aventi diritto; e (b) il contratto di cessione originario già prevedeva, ab origine, che le somme rimborsate alla SPV 130 a seguito della richiesta di rimborso delle ritenute, avrebbero dovuto essere corrisposte alla cedente, Cassa Deposito e Prestiti, creando in capo a quest’ultima un credito finale verso la SPV 130 (ed impedendo altresì alla SPV 130 di generare un reddito imponibile).

Viene pertanto da chiedersi: quid iuris, nelle ipotesi in cui l’operazione di cartolarizzazione, pur senza integrale rimborso dei titoli, debba intendersi in ogni caso conclusa, per mancanza di prospettiva di ulteriori incassi dei crediti; ovvero per quelle ipotesi in cui, la documentazione originaria (i cosiddetti transaction documents) non abbiano disciplinato ab origine, l’obbligo della SPV 130 di corrispondere a favore di una delle parti dell’operazione (l’originator, ovvero i noteholders) le eventuali somme rinvenienti a seguito del rimborso delle ritenute?

In tali ipotesi, deve ritenersi applicato il principio, pur incidentalmente esposto dalla Suprema Corte, in base al quale “a seguito della conclusione dell’operazione, ove siano stati soddisfatti tutti i creditori del patrimonio separato, potrà, in ipotesi, emergere un reddito attivo non solo nei confronti dei sottoscrittori ma anche della stessa società”? E deve pertanto ritenersi che tali somme, che, contabilmente, andranno a costituire sopravvenienze attive nel primo bilancio della SPV successivo allachiusura dell’operazione, formeranno, pertanto, un utile che sarà oggetto di tassazione?

Non a caso, probabilmente, da un punto pratico-operativo, nella prassi del mercato delle cartolarizzazioni, solitamente la disciplina della conclusione dell’operazione avviene per mezzo del cosiddetto “unwinding”, che si traduce in una conclusione, concordata tra tutte le parti coinvolte, dell’operazione per mezzo della risoluzione per mutuo consenso dei contratti dell’operazione e regolata convenzionalmente con la stipula di un c.d. “termination agreement”.

Con la sottoscrizione del “termination agreement”, infatti, vengono convenzionalmente risolti tutti i contratti che regolano la struttura e organizzazione della cartolarizzazione, e, più nello specifico, la SPV 130 si impegna a procedere all’effettuazione di tutti i pagamenti finali (ivi inclusi i costi e le spese maturate fino a quel momento e ancora non saldate), a richiedere a Monte Titoli la cancellazione degli ISIN dei titoli emessi, a chiedere la chiusura dei conti correnti dell’operazione[7], nonché, eventualmente a procedere alla liquidazione della stessa SPV 130 (winding-up della SPV) nel caso non siano pendenti altre operazioni da questa realizzate.

In pratica, quindi, si è istituita una prassi di mercato nel contesto della quale la “conclusione dell’operazione” viene ad essere disciplinata dettagliatamente da quello che è stato convenuto tra le parti nel termination agreement: è pertanto in quella sede che le parti sono tenute a regolare, tra gli altri aspetti, anche la destinazione finale da dare alle eventuali somme ottenute dalla SPV a titolo di rimborso delle ritenute effettuate sugli interessi attivi dei conti correnti aperti nel corso dell’operazione.

All’interno dei modelli operativi sviluppatisi nella prassi, il Diritto al Rimborso delle Ritenute sembra essere regolato principalmente per mezzo di tre soluzioni operative, ed in particolare:

  1. in taluni casi, le parti, per mezzo di una specifica clausola del termination agreement concordano che, in primis, la SPV 130 richieda in proprio all’Amministrazione Tributaria il rimborso delle ritenute; successivamente – una volta ottenuto lo stesso – essa procede al pagamento dello stesso direttamente a favore dei suoi (ex) sottoscrittori, per mezzo di bonifico ordinario (dal momento che gli ISIN sono stati già cancellati), indicando quale causale dell’accredito: “pagamento ai sensi della clausola (…) del Termination Agreement”. In tale ipotesi, sarà pertanto onere del singolo sottoscrittore procedere ad inserire tale introito nella propria dichiarazione dei redditi;
  2. in altri casi, l’opzione scelta è quella che la SPV ceda il “credito fiscale” vantato nei confronti dell’erario a favore dell’originator/sottoscrittore. In tal modo, sarà quest’ultimo a notificare l’avvenuta cessione all’Agenzia delle Entrate debitrice, a farsi carico di espletare le formalità necessarie per richiedere il rimborso e, in ultima istanza, ad ottenerlo (ovvero a compensarlo con i propri debiti fiscali, ove ne ricorrano i presupposti);
  3. un’ultima (ma residuale) ipotesi delineatasi nella prassi degli operatori del settore prevede che il socio della SPV 130 ceda all’originator/sottoscrittore non il credito fiscale (come nel caso precedente) bensì le quote societarie di quest’ultima da lui detenute. In tal modo, la società originator/sottoscrittore incorpora la SPV 130 nel proprio bilancio ed è legittimato a chiedere, eventualmente, la compensazione del credito fiscale sorto in pancia alla SPV 130 con altri debiti a proprio carico nei confronti dell’erario.

In via conclusiva, si consideri infine che la procedura di rimborso richiede tempi piuttosto lunghi (talvolta anche 6-7 anni), e pertanto, dopo la conclusione dell’operazione, mantenere in piedi la SPV 130 (con i relativi costi di gestione ordinari) al solo fine di attendere l’incasso del rimborso delle ritenute operate sui conti correnti si rivela economicamente non conveniente. Motivo per cui, il più delle volte, conviene non procedere affatto alla procedura di rimborso; ovvero optare per una diversa alternativa (quale la cessione del credito fiscale ad una delle parti dell’operazione).

 

 


[1] Diverse sono le norme che disciplinano il regime di separazione patrimoniale a tutela dell’operazione di cartolarizzazione. In primis, si ricorda l’art. 1, comma 1, lett.b) della Legge 130, che, nel delimitare l’ambito di operatività della legge 130, prevede che essa sia applicabile alle operazioni realizzate mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco se si tratta di una pluralità di credit a condizione, fra l’altro, che “le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduti siano destinate in via esclusiva dalla società cessionaria al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altra società, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione”. In secondo luogo, l’art. 3, comma 2, nel descrivere le caratteristiche della SPV 130 prevede che “i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo ad altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi.” (si veda, sul punto, inter alios, C. Scaroni, Il patrimonio separato della SPV 130 per la cartolarizzazione dei crediti, in Contratto e Impr., 2005, 3, 1075 (commento alla normativa)).

[2] Come, a titolo esemplificativo, il D.L. 350 del 2001, art. 22, comma 8 o, anche, il D.L. n.351 del 2001, art. 2, comma 6, in materia di dismissione del patrimonio pubblico.

[3] La CTR, infatti, partendo dal presupposto (errato) che le SPV 130 siano soggetti totalmente esclusi dall’imposta sul reddito, ha ritenuto trovasse applicazione, con riguardo alle ritenute sugli interessi maturati sui conti correnti dell’operazione il terzo periodo dell’art. 26, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, il quale dispone che “la ritenuta […] è applicata a titolo di acconto, qualora i proventi derivanti dai titoli sottostanti non sarebbero assoggettabili a ritenuta a titolo di imposta nei confronti dei soggetti a cui siano imputabili i proventi derivanti dai rapporti ivi indicati”.

[4] DPR 600/73, Art. 26, quarto comma, primo periodo: “Le ritenute previste nei commi da 1 a 3-bis sono applicate a titolo di acconto nei confronti di: a) imprenditori individuali, se i titoli, i depositi e conti correnti, nonche’ i rapporti da cui gli interessi ed altri proventi derivano sono relativi all’impresa ai sensi dell’articolo 77 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; b) societa’ in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate di cui all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi; c) societa’ ed enti di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 87 del medesimo testo unico e stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle societa’ e degli enti di cui alla lettera d) del predetto articolo

[5] Giova ricordare in questa sede la differenza tra ritenuta “a titolo di imposta” e ritenuta “a titolo di acconto”. La ritenuta a titolo d’imposta è una somma che, ex art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, viene sottratta dal reddito ad opera di chi lo eroga, il cd. sostituto d’imposta, e che rappresenta l’intera imposta dovuta. Il contribuente (in tal caso, il “sostituito”) non ha quindi più l’obbligo di dichiarare il reddito in questione. Anche la ritenuta a titolo d’acconto è una somma sottratta dal reddito ad opera del sostituto d’imposta, ma rappresenta solo una parte dell’imposta totale dovuta dal contribuente. I proventi su cui viene operata la ritenuta d’acconto, pertanto, concorrono a formare il reddito al lordo della ritenuta, la quale sarà poi confrontata dal sostituito con l’imposta complessiva con diritto al rimborso di eventuali eccedenze di ritenute (o, se del caso, con l’obbligo di versare ulteriori imposte dovute).

[6] A seguito dell’unwinding, la SPV redige la propria dichiarazione fiscale nella quale viene indicato il “credito fiscale al rimborso delle ritenute”: è in questo momento che dovrebbe tecnicamente sorge il credito verso l’erario che dà diritto al rimborso delle ritenute.

[7] Con la conclusione dell’operazione viene anche chiuso il conto titoli aperto a nome dei Noteholders presso Monte Titoli nel quale, in pendenza dell’operazione, risultano accreditate tutte le somme riconosciute agli stessi a titolo di rimborso di capitale e/o interessi derivanti dalla titolarità delle Notes emesse dalla SPV.

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