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Attualità

Il decreto “Crescita” riduce l’indeducibilità dell’Imu dalle imposte sui redditi, ma la norma resta incostituzionale

17 Maggio 2019

dott. Daniele Canè, Università degli Studi di Firenze

Di cosa si parla in questo articolo

1. Con il decreto “Crescita”, il Governo corre ai ripari e prova ad anticipare la Corte costituzionale. L’art. 3, d.l. 30 aprile 2019, n. 34, non ancora convertito in legge, riduce la misura dell’indeducibilità, ai fini delle imposte sui redditi, dell’Imu versata per gli immobili strumentali, prima che sia decisa la relativa questione di costituzionalità, che la Commissione tributaria provinciale di Parma aveva rimesso alla Corte costituzionale (ord. 5 luglio 2018, n. 271, G.U. n. 51 del 27 dicembre 2018).

Vediamo quali sono i motivi della questione di costituzionalità sollevata dalla CTP e se il decreto “Crescita” può condizionare l’imminente decisione della Corte costituzionale (che si è riunita pochi giorni fa, l’8 maggio, in camera di consiglio).

2. La norma censurata è l’art. 14, comma 1°, primo periodo, d.lgs. 23/2011, modificato ben cinque volte (due negli ultimi quattro mesi). Inizialmente, si prevedeva l’indeducibilità totale dell’imposta municipale unica dall’imposta sui redditi (Irpef e Ires). L’indeducibilità era poi stata portata al 70 per cento, per il periodo d’imposta 2013, e all’80 per cento, dal 2014 al 2018; dal 1° gennaio 2019 era stata ridotta al 60 per cento, per essere ancora abbassata al 50 per cento, sempre per il 2019, dal decreto Crescita, che ne ha previsto un’ulteriore riduzione al 40 per cento, per il 2020-2021, e al 30 per cento, dal 2022 in avanti (salvo nuove modifiche). Per quest’anno, imprese (societarie e non) e professionisti possono quindi dedurre, ai fini Ires e Irpef, solo il 50 per cento dell’Imu versata in relazione al possesso di immobili strumentali.

Anche se parziale, il divieto di dedurre l’Imu relativa a beni strumentali all’attività contrasta con diverse regole costituzionali; su tutte, con il principio di tassazione secondo capacità contributiva effettiva, espresso dalla regola secondo cui i redditi, specie quelli d’impresa e di lavoro autonomo, devono essere tassati al netto dei costi di produzione (è una regola antica, che risale alla disciplina della tassazione in base a bilancio ai fini dell’imposta di ricchezza mobile – una legge del 1877 !).

Anche a non considerare l’Imu un costo di produzione, la sua indeducibilità deroga alla norma per cui tutte le imposte diverse dalle imposte sui redditi, e da quelle per le quali è prevista la rivalsa, vanno ammesse in deduzione ai fini del reddito d’impresa (art. 61, d.p.r. 597/73, oggi, art. 99, d.p.r. 917/86). Ma il principio di capacità contributiva vieta al fisco di levare l’imposta su una ricchezza che non è nelle mani del contribuente, perché destinata ad assolvere altre imposte (anche se, in parte, all’ente locale e non all’erario !).

E se non si vuole scomodare il principio di capacità contributiva, l’indeducibilità dell’Imu confligge anche col principio di uguaglianza tributaria. Non si vede infatti perché chi utilizza immobili in locazione possa dedurre i canoni, mentre chi li ha in proprietà non può dedurre il relativo costo, tra cui l’Imu.

Ma si pone anche un problema di coerenza interna del tributo, perché l’imposta sul reddito non dovrebbe variare in ragione delle dimensioni del presupposto colpito da un altro tributo, che ricade su un indice di capacità contributiva diverso e commisurato a situazioni non rilevanti per la misurazione del reddito.

Vi è, infine, un altro profilo d’irrazionalità, che riguarda la specificazione delle astrazioni economiche cui si commisurano le imposte sul reddito. Anche il costo deducibile è un’astrazione, che si manifesta in beni e situazioni soggettive; in questo caso, nel possesso dell’immobile strumentale[1]. Ma è la manifestazione concreta del costo che dovrebbe determinarne la deducibilità, non il suo titolo formale (Imu) negarla.

3. Quali, dunque, gli effetti del decreto Crescita? E’ abbastanza chiaro che non sono fugati i dubbi d’illegittimità dell’art. 14, d.lgs. 23, perché una parte dell’Imu resta comunque indeducibile. Non viene perciò meno l’interesse dei contribuenti a una pronuncia d’incostituzionalità, essendo il giudizio di merito finalizzato ad accertare il diritto al rimborso di tutta l’Imu versata (non di una sola parte).

Anzi, le continue modifiche all’art. 14 rafforzano questi dubbi, perché confermano che l’indeducibilità dell’imposta sugli immobili dalle imposte sui redditi risponde alla sola esigenza di evitare riduzioni non preventivate delle entrate erariali. Non bisogna infatti dimenticare che parte del gettito Imu per immobili strumentali è destinato agli enti locali (ed è poi redistribuito tramite il fondo di solidarietà comunale[2]), mentre Irpef e Ires vanno all’erario. Il divieto di deducibilità sembra comprimere irrazionalmente il principio di capacità contributiva, perché va ben oltre la tutela delle casse erariali, estendendosi indiscriminatamente a tutti gli immobili strumentali, anche a quelli di categoria D, il cui gettito va quasi interamente – per tutta l’aliquota base – proprio all’erario (che, peraltro, oggi non contribuisce più al fondo di solidarietà comunale).

4. Si potrebbe pensare che il giudizio d’incostituzionalità dell’art. 14 sia pressoché scontato. Nient’affatto.

Per attivare il giudizio di costituzionalità in via incidentale, il giudice rimettente deve puntualmente descrivere i fatti di causa e spiegare perché la questione di costituzionalità è rilevante, ossia decisiva, per la definizione del suo giudizio (artt. 1, l. cost. n. 1/1948, e 23, l. n. 87/1953). La Corte è molto rigorosa nel valutare la motivazione sulla rilevanza offerta dal giudice rimettente: si pensi che, solo nel 2017, ha emesso ben 92 dichiarazioni di inammissibilità su 158 decisioni (https://www.cortecostituzionale.it/). E l’ordinanza della CTP di Parma pecca nella descrizione dei fatti di causa, che è necessaria per consentire alla Corte di valutare la rilevanza e, quindi, l’ammissibilità della questione di legittimità.

Si prospetta, forse, l’ennesima dichiarazione d’inammissibilità per una questione ormai rimandata da tempo. Dal suo insediamento, la Corte non si è infatti mai pronunciata sulla legittimità delle norme che dispongono l’indeducibilità dell’imposta sugli immobili dalle imposte sui redditi: nelle sentenze nn. 263/1994 e 111/1997, la questione, riguardante l’Ici, era stata ritenuta inammissibile; mentre la sentenza n. 574/1988, pur giudicando nel merito, aveva ad oggetto l’abrogata sovraimposta sui redditi dei fabbricati (Socof), che è per natura diversa dall’Imu.

Oppure avremo una pronuncia nel merito, che potrà chiarire se la compressione dei princìpi di capacità contributiva e di uguaglianza possa in qualche modo giustificarsi in base ai princìpi del coordinamento finanziario tra Stato ed enti locali.

In ogni caso, una decisione che continuerà a far discutere[3].

 


[1] Cfr. R. Lupi, Diritto amministrativo dei tributi. Ovvero: si pagano le imposte quando qualcuno le impone, Roma, 2017, 42.

[2] Che è gestito dallo Stato. V. https://temi.camera.it/leg17/temi/il_fondo_di_solidariet__comunale_e_la_perequazione.

[3] Per approfondimenti, sia consentito rinviare a D. Canè, Sulla deduzione di imposta da imposta: l’indeducibilità dell’IMU dall’imposta sui redditi delle società davanti alla Corte costituzionale, in Rass. trib., 2018, 803.

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