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I fenomeni finanziari apolidi e le regole giuridiche

1 Ottobre 2012

Alberto Lupoi, Professore associato di diritto bancario e del mercato finanziario presso la Facoltà di Economia della Università di Padova

La CONSOB ha modificato la normativa sulla trasparenza degli assetti proprietari delle società quotate, il nuovo art. 119 del Regolamento Emittenti ha introdotto l’obbligo di dichiarare: le “altre posizioni lunghe (…) scaturenti da strumenti derivati in grado di determinare l’assunzione di un interesse economico positivamente correlato all’andamento del sottostante.” L’emersione dell’interesse economico, che a prima lettura sfugge ad una chiara identificazione giuridica, è però dovuto ad una complessa e crediamo, interessante dinamica giuridica. Si tratta di analizzare la circolazione dei fenomeni finanziari internazionali nell’apparente contraddizione: un mercato finanziario “globale”, molti e diversi ordinamenti giuridici.

Un mercato finanziario, molti ordinamenti giuridici

La regolamentazione finanziaria, a livello generale, deve confrontarsi con corpi normativi dei mercati più evoluti, sia all’interno dell’Unione che negli Stati Uniti. Questa attenzione al di fuori del proprio ordinamento è necessaria, in quanto esistono forze propulsive aliene ed internazionali. Si tratta, principalmente, di fenomeni di natura finanziaria che si producono sulle piazze finanziarie più importanti (quindi principalmente a Wall Street e la City). Fenomeni che inducono le Autorità di vigilanza a rispondere producendo nuove regole. Quando il fenomeno finanziario giunge alle piazze finanziarie periferiche (con ciò intendendo, per es., alcuni mercati della stessa Unione Europea, non produttivi di fenomeni finanziari originali) anche le Autorità di questi Paesi si trovano nella necessità di adottare le relative contromisure. E’ un elemento peculiare di questo settore, che non facilita il compito del legislatore. Infatti, se da una parte è possibile confrontare le proprie esperienze con quelle altrui e dunque trarre utili linee guida e spunti, dall’altra occorre poi scrivere regole destinate ad essere efficaci nell’ordinamento giuridico interno.

L’assoluta straordinarietà è nel fatto di dover regolare uguali fenomeni, perseguendo simili finalità, attraverso diversi strumenti giuridici. Valga un primissimo esempio: il matrimonio, quale fenomeno sociale a rilevanza giuridica, è disciplinato in diversi ordinamenti giuridici. Il matrimonio in quanto tale è un fenomeno sociale ontologicamente diverso in ciascun ordinamento e, dunque, la sua natura giuridica diversa a seconda dell’ordinamento di appartenenza. Cioè, il matrimonio è una “fattispecie” giuridica diversa per ciascun sistema. Anche i prodotti derivati (e molti altri prodotti finanziari) esistono e sono disciplinati in diversi ordinamenti, ma essi, contrariamente al matrimonio, sono ontologicamente identici in ciascun ordinamento giuridico.

Terminologia della finanza internazionale

Altri prodotti finanziari, al contrario, sono estremamente caratterizzati dall’ordinamento di appartenenza come ad es. un’azione (share o stock). Essa è ontologicamente diversa a seconda che si tratti di un’azione emessa da una società italiana o americana (quanto meno a livello di legislazione federale). Senza contare, sotto altro aspetto, la confusione circa il significato di termini in lingua inglese che circolano nella prassi internazionale (e nei documenti di studio, nelle proposte legislative a livello internazionale e comunitario). Per es. il termine “security”, include secondo il Securities Act del 1993 (quindi legislazione federale americana), quanto meno: “note, stock, treasury stock, bond, debenture, evidence of indebtedness, certificate on interest or participation in any profit-sharing agreement, collateral-trust, voting trust certificate, fractional undivided interest in oil, gas, or other mineral rights, certificate of deposit …”. La giurisprudenza delle corti federali degli Stati Uniti si è poi pronunciata diverse volte sul significato, in apparenza chiaro, di “stock” ai sensi del Securities Act. In Landreth Timber Co v. Landreth et Al1, la decisione se le azioni oggetto di vendita rientrassero nel su citato Securities Act si basa non sulla natura intrinseca del bene venduto (azioni), ma sul fatto che la vendita fosse una commercial venture piuttosto che un typical investment. Analoga ratio in United Housing Foundation, Inc, et Al. v. Forman et Al.2, dove per acquistare un appartamento è necessario anche acquistare 18 azioni della società proprietaria del condominio, azioni non trasferibili (se non ad altri condomini e al coniuge mortis causa). Acquisto certamente di azioni ma non di stock in quanto l’operazione non è un investment. Tematiche per certi versi affini sono da noi affrontate nell’interpretare cosa di intenda per “forma di investimento di natura finanziaria” (nella definizione di prodotti finanziari.) Aggiungo che il termine “security” ha poi un diverso significato nella legislazione comunitaria (direttiva 2004/39, definizione ripresa dalla direttiva c.d. Transparency).

(segue) Terminologia della finanza internazionale

La difficoltà nell’individuare il significato dei termini sopra indicati non si riscontra in alcuni prodotti derivati (pur rientranti nell’ampia famiglia “security”). Nel senso che la definizione è data dalla descrizione del fenomeno finanziario,attraverso un linguaggio privo di forti connotati giuridici. Così la FSA inglese definisce security derivative: “instrument admitted to trading on a regulated market or prescribed market, the value of which is dependent on an underlying equity or debt instrument or index/basket of equity or debt instruments”; oppure swap: “a transaction in which two counterparties agree to exchange streams of payments over time according to a predetermined basis or a contract for differences”. La Banca d’Italia, nel Glossario generale delle Istruzioni di Vigilanza per le banche, offre una definizione di “contratti derivati”: “i contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa, ecc. Il loro valore “deriva” da quello degli elementi sottostanti”. Oppure la definizione offerta della SEC di equity swap(is an) instrument in which one counterparty, the seller of the TRS, makes a payment that is based on the price appreciation and income from an underlying security or security index. The other counterparty, the buyer of the TRS, makes a financing payment that is often based on a variable interest rate, such as LIBOR (or other interbank offered rate or money market rate, as described above), as well as a payment based on the price depreciation of the underlying reference. The “total return” consists of the price appreciation or depreciation, plus any interest or income payments.”3 Dunque, un primo aspetto del fenomeno finanziario è dato dalla identità dei prodotti utilizzati. Un secondo aspetto, riguarda l’utilizzo di tali prodotti nel condurre operazioni finanziarie nelle quali il prodotto è solo un momento della più ampia e complessa dinamica dell’operazione.

I presupposti delle diverse regolamentazioni, per regolare analoghi fenomeni finanziari

La crescente regolamentazione del settore finanziario, al momento soprattutto riferita agli strumenti derivati, risiede notoriamente (anche) nell’utilizzo fraudolento di alcuni tipi di derivati. Per quanto interessa, di derivati con sottostante azioni (o gruppi di azioni) denominati appunto equity swap4. Esiste ampia giurisprudenza internazionale (a testimonianza di quanto detto sopra) relativa all’utilizzo di questi prodotti per eludere la normativa sulla trasparenza o relativa all’OPA. Anche in questo caso: si tratta di normative diverse per ciascun ordinamento giuridico, ma tutte interessate dal medesimo fenomeno finanziario. La diversità non riguarda solo la stretta disciplina (per es. una prevede come soglia minima per dichiarare l’acquisto di una partecipazione rilevante il 5%, altra il 2%, altra ancora l’1%). La diversità riguarda i presupposti giuridici della disciplina. Valga la previsione della famigerata Rule 13(d) del Securities Exchange Act 1934, la quale prevede obblighi di comunicazione al mercato quando:“Any person who, after acquiring directly or indirectly the beneficial ownership of any equity security, (…) becomes the beneficial owner of more than 5 per centum of (security or class of Securities) (…)”.5 Normativa centrata sul divenire beneficial owner, situazione giuridica delicatissima anche per i giuristi americani: ” (…) we are not confronted with the relatively simple concept of legal title, but rather with the amorphous and occasionally obfuscated concepts of indirect and beneficial ownership which pervade the Securities acts”.6 La omologa norma interna è l’art. 120, comma 2) del TUF: “Coloro che partecipano in un emittente azioni quotate avente l’Italia come Stato membro d’origine in misura superiore al due per cento del capitale ne danno comunicazione alla società partecipata e alla Consob”, norma centrata sulla partecipazione al capitale. Anche in questo caso, il significato di “partecipare al capitale” non è affatto di immediata percezione (come dimostra la regolamentazione secondaria). L’Inghilterra, per analoga normativa sulla trasparenza (FSA Handbook, sezione DTR5/1) prevede che: “a person must notify the issuer of the percentage of its voting rights he holds as shareholder or holds or is deemed to hold through his direct or indirect holding of financial instruments”. Si tratta di disciplina assolutamente più simile alla nostra (data la presenza dell’Unione Europea), pur scontando le inevitabili differenze giuridiche. Per es. il presupposto to hold a voting right non è del tutto assimilabile a “partecipare al capitale” (sul punto torneremo alla fine del lavoro). Eppure, nonostante le differenze giuridiche, entrambe le discipline offrono molti punti di contatto. La stessa CONSOB nel documento di consultazione che ha accompagnato le modifiche al Regolamento Emittenti, ha mostrato attenzione alle scelte operate dal regolatore inglese.

Nonostante tali differenze sul piano giuridico, le varie normative si confrontano con il medesimo fenomeno finanziario, in particolare con l’opacità degli assetti proprietari tramite l’utilizzo di equity swap.

Gergo internazionale

Altro aspetto del fenomeno finanziario è il gergo internazionale. Il fenomeno finanziario richiede la reazione di ogni mercato in cui approda, i mercati periferici necessariamente cercano ispirazione nelle regole dei mercati principali. Dunque, forse inevitabilmente, da una convergenza di finalità scaturisce una commistione giuridica. In realtà, non si tratta di fenomeno bidirezionale, bensì unidirezionale: dal mercato principale a quello periferico. Il gergo internazionale del settore finanziario certamente agevola la confusione. Abbiamo sopra citato il caso del termine “security”, ma si tratta di un esempio rispetto al vero e complesso gergo parlato da tutti gli operatori di tutti i mercati (senza riguardo alla lingua di origine). Non si tratta solo di gergo utilizzato fra operatori stranieri, ma anche fra operatori parlanti la medesima lingua ed operanti nel medesimo mercato. Avrebbe senso che un operatore italiano si rivolgesse ad altro traducendo swap, cap, rate, up-front, equity, quando la stessa regolamentazione utilizza tali termini? La traduzione certamente complicherebbe la transazione e aumenterebbe i fraintendimenti, anzi provocherebbe incomprensione.

Senza contare l’ingresso nella lingua italiana di aborti linguistici come: aver “swappato” una posizione (intendendo essersi coperti dal rischio), oppure aver “shortato” su un titolo (aver comprato allo scoperto).

Il punto è che il gergo internazionale deve essere utilizzato, che la traduzione è un passaggio inutile. In campo giuridico l’utilizzo di termini in lingua straniera è sempre un problema, ma in campo finanziario il problema ha una diversa natura. In molti casi i termini del gergo internazionale non hanno una ordinamento giuridico di appartenenza, un ordinamento nel quale sono nati e sviluppati. Un aspetto della finanzia apolide è proprio la mancanza di una terra (in senso fisico) d’origine, essendo la prassi finanziaria delle banche di investimento e dei mercati il terreno (in senso metafisico) d’origine. Un tale aspetto facilita e legittima il gergo internazionale. In questa ottica va letto il considerando 24 della Direttiva 2004/109 (c.d. Transparency), nel quale è previsto: “l’emittente dovrebbe avere il diritto in taluni casi di fornire informazioni redatte in una lingua comunemente utilizzata negli ambienti della finanza internazionale. Poiché è necessario un impegno particolare per attrarre gli investitori di altri Stati membri e di paesi terzi, gli Stati membri non dovrebbero più impedire agli azionisti, alle persone che esercitano diritti di voto, o ai possessori di strumenti finanziari, di notificare all’emittente le informazioni richieste in una lingua comunemente utilizzata negli ambienti della finanza internazionale”.

Nonostante l’identità dei fenomeni finanziari e il loro essere apolidi (entrambi elementi che facilitano e in parte legittimano l’uso del gergo internazionale), la trappola linguistica è dietro l’angolo, anche nelle direttive comunitarie. Restando alla Direttiva Tansparency, l’art. 10, lett. b) prevede: “i diritti di voto sono detenuti da un terzo in virtù di un accordo, concluso con tale persona fisica o giuridica, che prevede il trasferimento provvisorio e retribuito di tali diritti di voto”; nella versione in inglese: “temporary transfer for consideration”. Nella prassi finanziaria internazionale non dovrebbe esserci dubbio che si tratta del fenomeno “lending shares” (che non equivale al contratto di riporto), ma i termini devono allora essere interpretati in questo senso e non, per esempio, legare il significato di consideration al diritto inglese.

Pensiero internazionale

Un ulteriore aspetto del fenomeno finanziario è la produzione di un pensiero giuridico internazionale. Proprio il fenomeno finanziario riconducibile agli equity swap ha generato negli ultimi anni una tematica giuridica a livello internazionale (approdata anche nella nostra legislazione grazie alle ultime modifiche apportate dalla CONSOB al Regolamento Emittenti), promossa principalmente da un saggio finale (il tema era stato affrontato dagli stessi autori anche in saggi precedenti) di Henry T.C. Hu e Bernard Black del 2007, dell’Università del Texas: “Hedge funds, Insiders, and the Decoulping and Voting Ownership: Empty Voting and Hidden (Morphable) Ownership”.7 Un saggio divenuto assai noto che ha diffuso i termini, oggi presenti anche nella legislazione e negli studi dell’Unione8, quali: empty voting, hidden ownership, economic ownership, decoupling. Il tema è noto: si tratta della separazione fra diritto di voto, titolarità delle azioni, interesse economico, con ciò rendendo chi vota insensibile al variare del prezzo delle azioni, privandolo, cioè, dell’interesse economico9.

Negli Stati Uniti ciò accade, oltre che per l’utilizzo di equity swap, quando nel lasso di tempo fra la record date in vista dell’assemblea di una società e la data in cui effettivamente ha luogo l’assemblea, il titolare delle azioni, che si è registrato tale, vende le azioni ma esercita comunque il diritto voto. Oppure, nel caso in cui le azioni siano cedute in “locazione” (le virgolette per quanto sopra detto sono d’obbligo) per poi essere restituite pagando una commissione (chiaramente non subendo il “conduttore” gli effetti della variazione eventuale del valore delle azioni, che ricade sul “locatore”)10. Una tale scissione fra proprietà (in realtà lo studio si riferisce alla beneficial ownership), diritto di voto, interesse economico ha prodotto dei fenomeni che sono stati percepiti come delle storture rispetto alla classica situazione nella quale l’interesse economico resta unito alla proprietà o al diritto di voto. Un caso esemplare riguarda un fondo interessato a favorire la fusione fra una società (nella quale possedeva una partecipazione) e una seconda società. Quando l’assemblea della seconda società doveva votare sulla opportunità della fusione (che avrebbe accresciuto il valore delle azioni della prima società nella quale il fondo partecipava), il fondo tramite equity swap e locazione di azioni ha votato in modo determinante nell’assemblea della seconda a favore della fusione (senza interesse all’opportunità della fusione per la seconda società, ma solo nell’interesse di veder aumentato il valore delle azioni della prima società nella quale possedeva una partecipazione)11. Oppure, altro effetto distorsivo può avvenire tramite lo short selling delle azioni e l’esercizio del diritto di voto al fine di diminuire il valore delle azioni.

L’approdo nei vari mercati

E’ allora interessante notare come la discussione e il confronto internazionale sia possibile per il diritto dei mercati finanziari (nell’accezione sopra descritta) e non necessariamente nel solco della tradizione comparatistica. Infatti, le diversità caratterizzanti i diversi sistemi giuridici sono livellate dall’uniformità del fenomeno finanziario (quindi poi dalle necessità e finalità della regolamentazione). Proprio le tematiche relative al decoupling, soprattutto quando ciò è dovuto a derivati in equity, nate in mercati principali, sono approdate, insieme ai prodotti derivati, anche nei mercati periferici. La CONSOB ha probabilmente anticipato il fenomeno finanziario (che sul nostro mercato non ha certo raggiunto livelli di attenzione come invece sui mercati principali), con ciò ponendo la regolamentazione specifica sul livello dei mercati principali. Il percorso che spesso viene seguito nelle dinamiche esposte è il seguente: prodotti finanziari creati dalle banche d’investimento (dunque senza un’origine giuridica territoriale) appaiono sui mercati finanziari principali. Tali prodotti, che di per sé solitamente non sono né leciti né illeciti, vengono utilizzati in modo tale da sollecitare una reazione da parte del mercato ospitante, che si manifesta con regolamentazione specifica (spesso anticipata dal lavoro della giurisprudenza). Sia il prodotto che le finalità della regolamentazione del mercato principale sono comprensibili a livello internazionale. Entrambe viaggiano e approdano nei mercati periferici i quali seguono, a volte anche criticamente, l’esperienza maturata nei mercati principali. Il procedimento non richiede lunghi tempi, dato che i tempi della finanza sono sempre i tempi del mercato (dunque brevi). Mentre tradizionalmente i modelli giuridici stranieri imponevano di passare per un filtro che li depurasse dalle possibili incomprensioni dell’ordinamento ospitante, adesso il fenomeno finanziario attraversa liberamente le barriere giuridiche d’ingresso ai mercati (soprattutto in quelli non regolamentati, nei quali neanche è la barriera della procedura di accesso alla negoziazione).

Interesse economico

L’interesse economico (positivamente o negativamente) correlato all’andamento delle azioni sottostanti ha per esempio pochi punti di contatto con le tematiche dell’interesse del socio, nel senso che non proviene da esigenze interne, non si è sviluppato attraverso riflessioni giuridiche interne, la stessa CONSOB non ha attinto ad “istituti giuridici” del nostro diritto, introducendo infatti un lessico assolutamente in linea con il gergo internazionale della finanzia (posizione lunghe, corte, posizione finanziaria, etc.). Questo lessico può certamente creare dei problemi, soprattutto nel momento in cui il giudice nazionale dovrà esprimersi. Ma la strada interpretativa non dovrà ignorare la realtà delle dinamiche finanziarie e dei prodotti, così come il gergo internazionale al quale neanche il legislatore nazionale può esimersi. Il termine interesse economico deve essere compreso nella sua limitata portata e utilizzo nel campo dei derivati e quindi legato al variare del valore del sottostante (sia in aumento che in diminuzione) e non al sottostante.

Quando poi il sottostante sarà un gruppo di azioni (come può accadere con i prodotti derivati) e non solo azioni di una specifica società, aumenta la distanza da qualsiasi nozione di interesse legato al rapporto con la società. Sembra vano lo sforzo di ricondurre necessariamente questo gergo, anche quando esso appare nella legislazione, ai principi dell’ordinamento o ad istituti giuridici di riferimento. Esso va trattato per ciò che rappresenta, senza volerlo per forza nobilitare attraverso lo sforzo astrattivo dell’interprete.

“Partecipazione al capitale”, ma senza capitale

L’ interesse economico si trova al fondo di una legislazione legittimata dall’art. 120 del TUF, il quale si riferisce alla “partecipazione al capitale” di società quotate. Di conseguenza sembrerebbe logico riempire il significato di “partecipazione al capitale” anche dell’interesse economico, il quale non consente al titolare di entrare in rapporto con le azioni sottostanti, in quanto al termine del derivato le parti scambieranno solo flussi di denaro. Si tratterebbe, insomma, di una “partecipazione al capitale” senza il capitale. I prodotti derivati hanno provocato uno sganciamento progressivo della nozione di “partecipazione al capitale” dal capitale (cioè dalle azioni con diritto di voto). Infatti, già al tempo dell’introduzione degli obblighi di trasparenza delle partecipazioni potenziali (all’interno delle quali è l’ultima modifica apportata dalla CONSOB), l’oggetto della dichiarazione era il poter divenire titolari di un’azione (cosa che poteva anche non avvenire)12. I derivati con regolamento in contanti, invece, non prevedono che al termine del contratto una parte entri in possesso di azioni. Dunque, lo sganciamento dal capitale è assoluto. Certo, nella prassi è avvenuto che, nonostante il derivato fosse regolato in contanti, a causa di dinamiche legate alla scarsa liquidità del sottostante, di accordi informali fra le parti, la parte “lunga” si ritrovasse, al termine del contratto, titolare delle azioni. La CONSOB è intervenuta proprio per evitare l’assenza di trasparenza dovute alle circostanze appena ricordate13. Lo sganciamento della nozione di “partecipazione al capitale” dal capitale è avvenuta per l’emersione del fenomeno finanziario, che ha reputato arcaico l’acquisto della azioni, introducendo meccanismi (anche favoriti dalla leva finanziaria) alternativi e più efficienti (finanziariamente). E’ quindi corretto affermare che la nozione di “partecipazione al capitale” è stata deformata dalla legislazione speciale per servire le specifiche ragioni di regolamentazione. Così deformata da perdere il legame con il capitale e l’immediatezza interpretativa essendosi allontanata dalla propria tradizionale identità. Questo meccanismo della legislazione speciale in materia finanziaria non è raro, proprio per le peculiarità sopra descritte del fenomeno finanziario.

To hold e partecipare al capitale

L’esempio sopra citato, rispetto ai presupposti delle varie discipline nel campo della trasparenza degli assetti proprietari, mostra come il divario fra la nostra disciplina e quella inglese è inferiore rispetto alla disciplina americana (certamente per effetto degli sforzi di armonizzazione dell’Unione). Ma non si tratta solo di similitudine nella disciplina, cioè nella regola specifica. Il presupposto to hold interpretato secondo il diritto inglese è certamente diverso dal “partecipare al capitale”. Ma entrambi i presupposti, se interpretati alla luce della sola legislazione speciale, hanno viceversa contenuti assai simili. In altri termini, fino a quando non è necessario applicare norme estranee alla disciplina speciale del settore finanziario i due presupposti tendono a coincidere.

La stessa riflessione, invece, non può svolgersi per altre materie pur disciplinate dall’Unione. Per es. le numerose direttive in campo societario, nelle quali il presupposto to hold è stato tradotto con (ed ha introdotto nel lessico giuridico italiano) “detenere una partecipazione”. In questo caso le differenze sul piano giuridico restano piuttosto inalterate, perché il fenomeno sullo sfondo (il rapporto giuridico con le azioni di una società) è diverso in diritto inglese e italiano. Al contrario il fenomeno finanziario, che si basa sulle dinamiche prodotte dagli equity swap (ma vale anche per gli altri derivati), è identico per chiunque partecipi alla finanza internazionale. Vi è, dunque, una corrispondenza di partenza nella “fattispecie” e, quindi, è aperta la strada ad una identità di regolamentazione. Abbiamo detto che la forza della finanza apolide è l’essere generata al di fuori di un ordinamento giuridico (non solo nazionale, ma anche internazionale). Abbiamo individuato in una tale mancanza di paternità la ragione della rapida e incontrastata circolazione del fenomeno. La conseguenza sul piano della regolamentazione è, allora, la possibilità di un alto grado di uniformità, raggiungibile proprio in assenza dei tipici attriti nascenti dalla diversità degli ordinamenti giuridici.

Alternative interpretative

Occorre capire come la specialità di questa regolamentazione, così piegata alle esigenze dei fenomeni finanziari, interagisca con il resto dell’ordinamento (notoriamente pervaso da altre legislazioni di settore). L’alternativa che si pone, quantomeno, è quella di lasciar galleggiare un tale fenomeno nell’ordinamento, sistemandolo in modo autonomo, libero di aderire alle dinamiche esposte, oppure cercare di affondarlo verso le radici degli istituti di riferimento del nostro ordinamento. Nel primo caso, esso non perderà la sua identità riconosciuta a livello internazionale (aumentando l’efficacia della regolamentazione di settore e l’integrazione dei mercati), ma potrebbe essere problematica l’applicazione di regole generali estranee alla normativa di settore. Nel secondo caso accadrebbe l’opposto: un allontanamento dalla adesione dei fenomeni finanziari (indebolendo la disciplina di settore e l’integrazione del mercato), ma sarebbe possibile un più efficace dialogo con le regole generali dell’ordinamento. La prima alternativa, suggeriamo, potrebbe essere auspicabile. I vantaggi che essa produce aumentano l’efficacia della normativa di settore (e quindi la ragione di esistenza della medesima normativa), lasciando poi all’interprete, quando è chiamato ad applicare regole generali, la valutazione caso per caso14.

Questa alternativa, comunque, è stata posta dalla CONSOB quando ha (legittimamente) scelto di legiferare attingendo ai modelli della finanza internazionale, piuttosto che ricondurre quei fenomeni a strutture del diritto interno. Nell’ampia discussione che ha preceduto entrambi i provvedimenti di modifica del Regolamento Emittenti, è stato proposto di ricorrere a strutture giuridiche esistenti. In particolare, al concetto di interposizione e quindi affidarsi alla flessibilità della interposta persona come modello in grado di accogliere il fenomeno degli equity swap soprattutto nell’ottica della trasparenza15. In precedenza abbiamo citato il presupposto della legislazione americana in tema di trasparenza degli assetti proprietari, la quale fonda la regola specifica sulla beneficial ownership; scegliendo il modello della interposizione di persona si sarebbe effettuata una operazione di analoga tecnica legislativa.

Sistema finanziario

In definitiva, ormai esiste una sistema finanziario che non può essere qualificato propriamente internazionale, in quanto non pone in relazione più nazioni. Esso si pone in relazione con i mercati, più che con le nazioni. Questo sistema ha un suo gergo (un metalinguaggio rispetto all’inglese) e, soprattutto, delle proprie regole giuridiche, le quali data la natura del fenomeno tendono naturalmente alla uniformità (per le ragioni sopra esposte). Il sistema è in equilibrio fino a quando resta autoreferenziale. Nel momento del contatto con le radici profonde degli ordinamenti (quindi non solo dei mercati) sorgono numerosissimi problemi di fattispecie e di tutela.16

Quanto esposto illustra il motivo per cui la circolazione dei prodotti derivati non ha trovato particolari ostacoli, nonostante la contraddizione (per certi versi apparente): un solo mercato finanziario “globale” molti ordinamenti giuridici. Mostra anche come la mancanza di una formale disciplina internazionale (in senso tradizionale) sia in realtà superata dalla forma che il sistema finanziario sta naturalmente assumendo.

 

1 471 U.S. 681, 1985, Supreme Court

2 421 U.S. 837, 1975, Supreme Court

3 Attualmente la SEC è impegnata nell’emanare una regolamentazione degli security-based swap, proprio ottemperando al Dodd-Frank Act. Si tratta di provvedimenti, al momento offerti alla pubblica consultazione, di centinaia di pagine tesi ad una regolamentazione di questi prodotti improntata alla trasparenza delle transazioni (in “realtime”). Mentre la Commodity Futures Trading Commission regolerà gli altri swap ed entrambe i c.d. mixed swaps. Ometto la enciclopedica definizione di swap (Section 1(a) 47) del Commodity Exchange Act.

4 Sia consentito nuovamente il rinvio al mio lavoro Total Return Equity Swap, in Trattato dei Contratti cit., vedi anche per un caso specifico V. Lemma, Fiat equity swap: comunicazioni al pubblico e responsabilità dell’autorità di vigilanza (Nota a A. Torino, 23 gennaio 2008, G. G. c. Consob), in Mondo bancario 2008, p.43.

5 G. Ferrarini, Equity Derivatives and Transparency, op. cit. p. 1820 ss., per una comparazione fra le tecniche legislative inglesi e americane in tema di trasparenza degli assetti proprietari.

6 J. Coffee jr., J. Seligman. H.A. Sale, Securities Regulation, Foundation Press 2007, p.738.

7 Pubblicato su Journal of Corporate Finance, 2007 e scaricabile oggi gratuitamente dalla rete. Grazie ad un invito della CONSOB il Professor HU nel 2010 ha tenuto una relazione in Italia su queste tematiche.

8 V. per esempio il documento dell’ESMA sull’empty voting del 14 settembre 2011.

9 G. Ferrarini, Equity Derivatives and Transparency: When Should Substance Prevail?, in Liber Amicorum for Klaus J. Hopt, de Gruyter, 2010, p. 1803, analizza i principali casi internazionali relativi all’utilizzo di swap in equity (ma anche di options cash settled), così come l’unico caso nazionale di rilievo riguardante l’Ifil a la Exor.

10 G. Ferrarini, Prestito titoli e derivati azionari nel governo societario, in P. Balzarini – G. Carcano – M. Ventoruzzo (a cura di), La società per azioni oggi, 2007, p. 632 ss. l’Autore illustra altre tecniche per “svuotare” l’azione del diritto di voto (p. 635 ss.), comparando tali tecniche con la “vendita del voto” quale contratto atipico di cui è discussa la liceità e riflettendo ampiamente sul principio “un’azione un voto”.

11 Si tratta dell’operazione che ha visto coinvolto il fondo Perry Corporation azionista di King Pharmaceuticals e della fusione con Mylan Laboratories.

12 F. Annunziata, Bervi note in merito alla nuova disciplina delle “partecipazioni potenziali”: verso quale disclosure?, in Giur. comm., 2010, I, p. 584.

13 Per es. nel caso dell’OPA lanciata dal gruppo Lactalis su Parmalat, la prima ha dovuto dichiarare di aver stipulato una serie diversi equity swap con sottostanti azioni Parmalat. Nella fase antecedente all’obbligo di OPA, quindi in una fase di approccio quando si valuta l’operazione, Lactalis invece di acquistare azioni Parmalat e così aumentare la propria partecipazione, stipulò diversi equity swap con sottostanti azioni Parmalat (così sfruttando l’effetto leva e la copertura del derivato). Senza una adeguata normativa sulla trasparenza Lactalis avrebbe dovuto dichiarare al mercato solo le partecipazioni acquistate effettivamente e non anche gli equity swaps.

14 Vedi per esempio la sentenza del Tribunale di Bologna del 14 dicembre 2009 sulla qualifica del pagamento “upfront” in un contratto di interest rate swap, in Resp. Civ., 2010, p. 82.

15 Le posizioni comunicate alla Consob sono espresse ampiamente in: G.Ferrarini – P. Giudici – P. Saguato, La trasparenza proprietaria sulle posizioni in derivati cash settled: un contributo al dibattito, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2010, p. 123 (riprende il documento che avevamo mandato nella consultazione Consob con Guido). Sia poi consentito di rinviare al mio L’interposizione finanziaria, Giuffrè 2008.

16 M. De Poli, Note minime su strumenti finanziari derivati e messi di tutela dell’investitore, in questa rivista.

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