SOMMARIO: Il saggio analizza la complessa qualificazione giuridica dei diamanti da investimento e le problematiche derivanti dalla loro commercializzazione attraverso il canale bancario. Si evidenzia in particolare la complessa qualificazione giuridica dei prodotti in oggetto, la cui commercializzazione tramite le banche non rientra nella nozione di servizio di investimento ai sensi della normativa finanziaria (TUF e MiFID II). Il contributo sottolinea una lacuna normativa per gli strumenti finanziari atipici e auspica un intervento del legislatore europeo che si ponga in linea con le strategie della Commissione Europea e le raccomandazioni dell’ESMA per una regolamentazione armonizzata per proteggere gli investitori al dettaglio, colmare le asimmetrie informative e rafforzare la fiducia nei mercati dei capitali.
ABSTRACT: The essay undertakes an analysis of the intricate legal categorization of investment diamonds, alongside the attendant issues that have arisen from their commercialization through banking channels. The article draws attention to a regulatory gap concerning atypical financial instruments and calls for action from the European legislator. In accordance with the European Commission’s strategies and the recommendations of the European Securities and Markets Authority (ESMA), this paper emphasizes the necessity of harmonized regulation for the protection of retail investors, the reduction of information asymmetries, and the enhancement of confidence in capital markets.
1. La problematica qualificazione della natura dei diamanti da investimento: il contesto normativo
I recenti eventi susseguitesi sui mercati finanziari globali hanno indirizzato gli investitori verso la ricerca di attività alternative per allocare le loro ricchezze, tra le quali spicca, in qualità di passion investment[1], l’acquisto di preziosi ed in particolare di diamanti da investimento; tale attività, da tempo ormai, è al centro di questioni dogmatiche dibattute dalla giurisprudenza in ragione dei rilevanti risvolti problematici che essa presenta[2].
La qualificazione della vendita di diamanti nel canale bancario come attività di investimento soggetta alla regolamentazione delle Autorità finanziarie è stata oggetto di discussione tra gli operatori e le Autorità di controllo poiché l’acquisto degli stessi rappresenta “l’acquisto di un bene materiale che può essere goduto in diversi modi che vanno oltre il possibile apprezzamento del suo valore”[3]. Sotto un profilo più strettamente finanziario, la scienza giuridica ha interpellato i canonici istituti giuridici di settore, così da poter verificare se questo nuovo potenziale asset di investimento si debba inquadrare tra gli “strumenti” o tra i “prodotti” finanziari, derivando da ciò la consequenziale applicazione della disciplina del prospetto informativo o dell’offerta fuori sede di cui agli artt. 94 ss. e 30 ss. del D. Lgs. n. 58/98, infraTuf, e delle derivanti regole di condotta previste e stabilite dagli artt.21ss Tuf [4]. La giurisprudenza ha espresso il principio secondo cui “la nozione di investimento di natura finanziaria comprende ogni conferimento di una somma di danaro da parte del risparmiatore con un’aspettativa di profitto o remunerazione ovvero di utilità, unita ad un rischio, a fronte delle disponibilità impiegate in un dato intervallo temporale” [5].
L’esistenza di un bivio qualificatorio della fattispecie in esame è stata confermata anche dall’Arbitro Bancario Finanziario, ABF, che ha posto l’accento sulla corretta identificazione della causa negoziale; in tale prospettiva “l’operazione andrebbe qualificata come vendita di cose mobili laddove il contratto preveda il godimento durevole del bene acquistato, mentre andrebbe diversamente sussunta come vendita di prodotto finanziario allorquando il bene effettivamente trasferito non sia tanto la pietra preziosa, quanto piuttosto l’aspettativa di remunerazione futura correlata al rischio sottostante”[6].
Anche nella prospettiva dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie, ACF, si rileva che l’art. 4 del Regolamento ACF ne circoscrive l’ambito di competenza alle controversie fra investitori e intermediari relative alla violazione da parte di questi ultimi degli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza, previsti nei confronti degli investitori, nell’esercizio delle attività disciplinate nella parte II del TUF e, pertanto, nelle operazioni di vendita di diamanti di cui ci si occupa, non sono stati rilevati elementi utili per qualificare le medesime come servizi e attività di investimento[7] .
Come emerge da quanto evidenziato, il discrimen in favore della seconda opzione qualificatoria ricorrerebbe ogniqualvolta lo scopo dell’acquirente sia quello di assicurarsi la conservazione e il rendimento del capitale investito e non invece quello di garantirsi il godimento del diamante. Sia che si ricostruisca l’acquisto delle pietre preziose in termini di mera vendita di un bene mobile, ponendo dunque l’accento sulla apprensione materiale della res, ovvero in termini di vendita di un prodotto finanziario, è evidente che in entrambe le ipotesi ci si trovi di fronte ad un’attività che esula dal novero delle attività bancarie tipiche. Ne deriva che non possano trovare applicazione le tutele di trasparenza previste per la clientela dal D. lgs. 1° settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.) ed, in particolare, nel Titolo VI “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”[8].
Come noto, le regole che sovraintendono l’attività di intermediazione finanziaria si radicano entro un duplice binario: da un lato, a livello sovranazionale, domina la qualificazione dei servizi di investimento specificamente prevista dalla Direttiva 2014/65/UE, MiFID II [9], mentre dall’altro, a livello nazionale, il riferimento normativo è rinvenibile nella disciplina contemplata nel Tuf che dispone un elenco chiuso di attività che devono necessariamente riguardare strumenti finanziari elencati anch’essi nei citati testi normativi [10].
Nel composito scenario così descritto, la commercializzazione di beni aventi come “sottostante” le pietre preziose merita maggiore attenzione in quanto trattasi di una categoria non inclusa negli strumenti finanziari così come definiti nella Direttiva Mifid II[11]; di conseguenza, la loro vendita o collocamento, anche se effettuata attraverso il canale bancario, non può qualificarsi come servizio di investimento e non può essere, altresì, sottoposta alle regole di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza previste e stabilite dall’art. 21 del Tuf [12].
Appare, dunque, lecito domandarsi se, secondo una diversa prospettiva, i diamanti debbano essere considerati più propriamente prodotti finanziari ex art. 1, c. 1, lett. u, del Tuf e quindi si debbano qualificare come “qualsiasi altra forma di investimento di carattere finanziario” [13] ovvero “un investimento del risparmio” diretto alla aspettativa di un reddito, non influenzabile in modo decisivo dall’investitore e con assunzione di un rischio pur esso finanziario, in quanto derivante dalla stessa operazione di impiego di capitali”[14].
In tale prospettiva se la vendita di pietre preziose effettuata tramite l’intermediazione delle banche si possa qualificare come operazione di investimento di natura finanziaria, gli operatori finanziari sarebbero tenuti al rispetto della disciplina in materia di offerte al pubblico di cui all’art. 1, comma 1, lettera v) e all’art. 94 del Tuf, nonché alle norme dettate per le offerte fuori sede.
2. La commercializzazione dei diamanti da investimento e il ruolo delle autorità di vigilanza
Nell’ordinamento nazionale, come noto, i poteri di vigilanza sulla prestazione dei servizi di investimento, anche se effettuati da banche, sono ripartiti tra la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (infra Consob) per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti nei confronti della clientela, e la Banca d’Italia, con riguardo al contenimento dei rischi, alla stabilità patrimoniale e alla sana e prudente gestione degli intermediari [15].
Peraltro oltre alla disciplina dei servizi di investimento, che regola i rapporti tra gli intermediari finanziari autorizzati e i singoli clienti, esiste anche la disciplina delle offerte al pubblico di prodotti finanziari, che regola gli obblighi di trasparenza di chi propone al pubblico un’ offerta di potenziali investitori che, come noto, a differenza della prestazione di servizi di investimento, non è un’ attività riservata ma richiede, previa autorizzazione della Consob, la redazione e la pubblicazione di un prospetto contenente le informazioni sull’ offerente e le caratteristiche del prodotto finanziario offerto[16].
L’offerta al pubblico è disciplinata dal Regolamento (UE) 2017/1129, c.d. Regolamento Prospetto, dagli atti delegati adottati dalla Commissione Europea, dal Tuf e dal Regolamento Consob n.11971/1999,come nel tempo modificato.
Si tratta, essenzialmente, di un invito che può riguardare sia strumenti finanziari di derivazione europea, sia prodotti finanziari “atipici ” secondo la concezione “domestica” di prodotto finanziario. Come anticipato poc’anzi, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera u) del Tuf, per “prodotto finanziario” si intendono gli “strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di carattere finanziario”, nozione che, secondo il consolidato orientamento della Consob, implica la presenza di tre elementi contigui: (i) un impiego di capitale; (ii) una promessa/aspettativa di rendimento finanziario; (iii) l’assunzione di un rischio connesso all’ impiego di capitali [17] .
Anticipando ciò che verrà approfondito nel corso del lavoro, è necessario evidenziare fin da ora che a partire dall’ottobre 2016, la Consob ha avviato indagini sia sugli operatori che proponevano la vendita di diamanti tramite siti web, sia sugli operatori che ne proponevano la vendita tramite istituti di credito, al fine di valutare se tale attività fosse stata svolta ai sensi della Comunicazione Consob del 6 maggio 2013 recante “Vendita di diamanti attraverso l’intermediazione di istituti di credito”, ovvero se integrasse un’ attività di offerta al pubblico di prodotti finanziari[18]. Proprio con riferimento alla regolamentazione delle offerte al pubblico di prodotti finanziari, l’Autorità è giunta a constatare che la vendita di diamanti attraverso il canale bancario non conteneva “meccanismi contrattuali”, quali, ad esempio, promesse di restituzione, obblighi di riacquisto o vincoli al godimento del bene che potessero delineare la ricorrenza di un’offerta di un bene finanziario e, quindi, fattispecie di diretta competenza della Consob[19].
In tale occasione veniva esplicitato che un investimento ha natura finanziaria quando, oltre ad un impiego di capitale e all’ assunzione di un rischio ad esso connesso, una promessa/aspettativa di un ritorno di natura può essere trovato finanziario[20]. Secondo tale orientamento, un’operazione per essere considerata finanziaria deve essere valutata sulla base di accordi oggettivi e/o meccanismi contrattuali relativi all’operazione di volta in volta considerata e non ricercati nell’intenzione/motivo soggettivo che spinge l’acquirente ad utilizzare i propri soldi [21].
Considerando che dalle prime indagini svolte è emersa la potenziale competenza di altre Autorità, la Consob stessa, ha avviato contatti con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e con la Banca d’Italia, in merito alle modalità e alle circostanze che stavano accompagnando la commercializzazione di diamanti, soprattutto da parte di società che si avvalevano di noti istituti di credito e che potevano presentare rischi non immediatamente percepibili dal pubblico coinvolto [22].
La Consob ha ribadito che la vendita di diamanti, effettuata anche attraverso il canale bancario, non costituisce offerta al pubblico di prodotti finanziari laddove: (i) la sottoscrizione dei contratti di acquisto di diamanti determini il trasferimento di un pieno diritto di proprietà sui beni nelle mani dell’acquirente, posto che quest’ultimo è immediatamente posizionato nel pieno ed esclusivo diritto di disporre e godere della proprietà, senza vincoli o limitazioni al godimento degli stessi; (ii) non risulta l’esistenza di certificati rappresentativi dei diritti dei titolari, destinati eventualmente a circolare all’interno di un “mercato secondario” appositamente organizzato; (iii) non esiste un accordo di riacquisto da parte del venditore (a un prezzo più alto); (iv) non è proposta, in favore dell’ acquirente che decida di disporre dei diamanti, una specifica forma di rendimento diverso, legato e/o aggiuntivo al valore del bene acquistato[23].
3. Segue: il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e della Banca d’Italia
La vicenda ha, in seguito, visto un importante coinvolgimento di altre Autorità poiché in base all’art. 27, c.1-bis Codice del Consumo, anche nei settori regolati la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che la esercita acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente [24]. Tale previsione ha inteso affermare la competenza esclusiva della AGCM anche nei settori regolati e, quindi, nei settori delle assicurazioni, delle banche, e dei servizi finanziari e d’investimento, previa, tuttavia, l’obbligatoria acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione competente[25].
Nel settore di propria competenza dunque, in forza della previsione appena illustrata, l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato avviò un procedimento istruttorio per pratiche commerciali scorrette concernenti le modalità di promozione e vendita dei cosiddetti “diamanti da investimento” da parte di alcune società specializzate attraverso il canale bancario [26].
All’esito di due istruttorie, l’Autorità ritenne gravemente fuorvianti ed omissive le modalità con cui venivano offerti diamanti da investimento: le pratiche scorrette osservate in entrambe le società riguardavano informazioni fuorvianti e omissive diffuse attraverso i siti web delle società coinvolte e il materiale promozionale dalle stesse predisposto. Informazioni fuorvianti riguardavano il prezzo di vendita dei diamanti, il diritto di recesso e la scelta del foro competente in caso di controversia e, nell’insieme, tali condotte costituivano una pratica commerciale scorretta ai sensi della disciplina dettata nel Codice del Consumo[27].
Stante l’eco anche mediatica della vicenda, all’intervento delle predette Autorità si è aggiunto anche quello della Banca d’Italia che, all’inizio del 2017 e nel 2018 ha adottato due comunicazioni indirizzate all’intero sistema bancario chiedendo riferimenti precisi sull’attività e sui presidi adottati per verificare se i rischi connessi alla commercializzazione dei diamanti da investimento da parte degli istituti bancari fossero adeguatamente presidiati[28].
In quell’ occasione la Banca d’Italia ha ribadito agli istituti di credito che, anche quando intendono fornire servizi la cui natura non sia bancaria e finanziaria, devono comunque prestare la massima attenzione al rispetto delle regole loro imposte e alle esigenze conoscitive dei clienti affinché questi ultimi ricevano tutte le informazioni necessarie ad effettuare eventuali operazioni in modo consapevole.
In particolare, nel caso della commercializzazione di diamanti, le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti cui è rivolta la proposta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l’effettivo valore commerciale e le possibilità di rivendita delle pietre preziose[29].
In assenza di una piena sorveglianza dei rischi, è necessario che gli istituti bancari si astengano dallo svolgere questo tipo di attività; qualora, invece, dopo attenta e pienamente responsabile valutazione da parte del vertice aziendale, le banche intendano continuare ad operare, dovranno essere seguite specifiche cautele volte a mitigare i suddetti rischi quali : (a) l’identificazione, valutazione e monitoraggio delle diverse tipologie di tutti i rischi potenziali; b) la definizione di regole di comportamento volte a garantire che il servizio sia svolto secondo criteri di correttezza, professionalità e attenzione alle esigenze del cliente. Ciò richiede che siano adottate politiche commerciali interne volte a garantire che l’attività di reporting sia adeguata alle caratteristiche della clientela target e sia svolta entro limiti predefiniti. Dovrà inoltre essere assicurato il controllo sulla congruità dei prezzi e dovranno essere predisposte procedure atte ad assicurare la massima trasparenza delle informazioni sulla natura, sui costi e commissioni applicate, sull’effettivo valore commerciale, sulla liquidità e sui rischi inerenti all’investimento; c) l’adozione di modalità operative idonee a prevenire comportamenti distorsivi da parte della rete commerciale in termini di remunerazione.
Tale presa di posizione, peraltro, implica una riflessione circa la possibilità di inquadrare l’attività di commercializzazione dei diamanti da parte delle banche nelle attività connesse da esse svolte: come noto, oltre all’attività bancaria in senso stretto ad esse riservata, è possibile, ai sensi dell’art. 10 del Tub, lo svolgimento anche di “ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali” [30].
E i poteri di regolazione e di vigilanza della Banca d’Italia, essendo diretti ad assicurare la “gestione sana e prudente, la trasparenza delle operazioni e dei servizi offerti e la correttezza delle relazioni con la clientela”, non possono che concernere l’intera sfera delle attività realizzate dagli enti creditizi in ambito finanziario, poiché è dal complesso di tali attività che dipende la stabilità del sistema. Sollecitata sul punto, nel 2011 la Banca d’Italia ribadì tra l’altro che l’attività di commercializzazione attraverso il canale bancario poteva considerarsi attività “connessa” a quella bancaria e che restava nella completa discrezionalità e responsabilità degli intermediari scegliere se svolgerla o meno in base a precise valutazioni[31].
La giurisprudenza sul punto ha registrato posizioni non univoche poiché una prima posizione appariva incline a considerare la commercializzazione dei diamanti tramite il canale bancario come un’attività connessa rispetto a quella bancaria tipica, e dello stesso avviso appaiono le posizioni dell’ABF[32], ma recenti posizioni espresse dalla giurisprudenza amministrativa hanno avuto occasione di evidenziare che “la disciplina di trasparenza e correttezza sui servizi di investimento non è di per sé applicabile alla vendita di diamanti o altri beni materiali anche se avviene attraverso il canale bancario né, in tali casi, è prevista la pubblicazione di un prospetto” e di conseguenza la segnalazione della possibilità di acquisto di diamanti non costituisce di per sé un’attività finanziaria e ne consegue che né le disposizioni, né i controlli della Banca si applichino ad esso”. Tale affermazione ha indotto a ritenere che ci si trovi anche al di fuori delle c.d. attività “connesse o strumentali” ma si tratti di un’attività di mera intermediazione per l’acquisto e la vendita di un bene, nel caso di specie rappresentato dai diamanti, completamente estranea all’ambito regolamentato e come tale non soggette alla vigilanza e al controllo della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 5 TUB[33].
Certamente la questione andrà chiarita maggiormente non potendo rimanere incertezza su un punto così dirimente circa la esatta qualificazione giuridica dell’attività di cui si discute ma, da quanto premesso, si può ben comprendere la ratio sottesa alla circostanza che in Italia, chi ha acquistato diamanti sia stato tutelato dalla normativa in materia di consumo ed in particolare dalla normativa a tutela delle pratiche commerciali scorrette.
Inoltre, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa “ e’ dunque indubbio che il cliente al momento dell’acquisto fosse persuaso del fatto che l’operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull’investimento fossero verificate, e quindi “garantite”, dalla banca[34].
L’affidamento derivante dalla circostanza che l’opportunità dell’acquisto dei diamanti venisse presentata al cliente come forma di investimento dalla propria banca – e dal proprio referente di fiducia – emerge anche dal fatto che i reclami, in gran parte, sono stati presentati alle banche, proprio in quanto percepite come controparti di prima istanza. In base all’art. 5, comma 3, del Codice del Consumo “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
4. Esigenza di disciplina in materia di strumenti finanziari atipici: quale ruolo per il legislatore eurounitario?
La giurisprudenza nel pronunciarsi sui profili di responsabilità degli istituti ha sottolineato che gli attori erano qualificabili come consumatori con ridotto grado di propensione al rischio, privi di competenze in materia di commercio di preziosi, e risultavano aver agito in piena buona fede, sollecitati all’acquisto dagli stessi dipendenti bancari [35].
Appare innegabile che il rapporto fiduciario esistente tra cliente e referente bancario nonché il generale credito riposto nella serietà e credibilità della banca siano stati elementi determinanti la decisione finale di acquisto, avendo del tutto verosimilmente, generato un legittimo affidamento circa la correttezza delle informazioni fornite.
Nel caso specifico si prospetta la responsabilità della banca per violazione dei c.d. obblighi di protezione e informazione a salvaguardia dell’affidamento legittimamente ingenerato nel risparmiatore dal carattere protetto dell’attività di intermediazione mobiliare da valutarsi ex art.1176, c.2, sulla base della specifica attività professionale esercitata.
Il riferimento ovviamente è al rapporto di “contatto sociale” che si instaura tra intermediario e cliente, nell’ambito del quale l’intermediario assume anche una specifica obbligazione di informazione e vigilanza nell’interesse del cliente e a tutela del suo legittimo affidamento[36].
Poiché sempre più diffusa appare la commercializzazione con finalità di investimento di strumenti finanziari atipici, da quanto illustrato, appare evidente che ci si trovi di fronte ad una importante lacuna che meriterebbe di essere colmata. A seguito dei noti avvenimenti che negli ultimi anni hanno minato il rapporto di fiducia tra cliente e intermediario, uno dei problemi che richiede maggiore attenzione da parte degli operatori risiede proprio nella ricostruzione di tale rapporto [37].
Il momento storico e le istanze degli investitori retail dovrebbero esercitare una spinta nei confronti della legislazione eurounitaria che dovrebbe regolamentare questi prodotti finanziari atipici al fine di garantire la migliore protezione agli investitori, piuttosto che lasciare ai singoli Stati membri incertezze nell’applicazione della disciplina. In linea con l’obiettivo della Commissione Europea di “un’economia al servizio delle persone” e come annunciato nel programma di lavoro 2023, la Commissione sta cercando di garantire che il quadro giuridico per gli investimenti al dettaglio conferisca sufficiente potere ai consumatori, incoraggi risultati di mercato migliori e più equi e in definitiva crei le condizioni necessarie per aumentare la partecipazione degli investitori al dettaglio nei mercati dei capitali.
Volendo soffermarsi anche su quanto in materia affermato dalle autorità di vigilanza sovranazionali appare all’uopo opportuna una riflessione su quanto osservato dall’Esma in merito ad imprese di investimento che offrono prodotti e/o servizi che non rientrano nell’ambito della regolamentazione dei servizi finanziari nell’Unione europea ma che vengono offerti agli investitori come alternative di investimento agli strumenti finanziari così come definiti e regolamentati dalla direttiva MiFID II [38].
In tali casi si prospetta il significativo rischio che gli investitori possano fraintendere le tutele di cui godono quando investono in tali prodotti e/ o servizi non regolamentati e che non siano consapevoli del fatto che la disciplina prevista dalla normativa sui servizi di investimento non si applica ai prodotti o servizi non regolamentati.
In particolare, l’Esma ha osservato che i maggiori pericoli nei quali è possibile incorrere quando ci si avvicini a prodotti e/o servizi non regolamentati riguardano soprattutto la possibilità per gli investitori di essere indotti in errore riguardo al livello di protezione loro accordato[39] .
In aggiunta l’Autorità evidenzia anche la possibilità che gli investitori vengano confusi o i prodotti siano venduti in modo improprio poiché alcune società di investimento potrebbero incoraggiare la confusione tra prodotti e servizi regolamentati e non regolamentati [40].
Per ovviare a tale circostanza l’Autorità Europea raccomanda alle imprese medesime sia di adottare tutte le misure necessarie per garantire che i clienti siano pienamente consapevoli dello status normativo del prodotto/servizio che stanno ricevendo sia di comunicare chiaramente ai clienti quando le tutele normative non si applicano al prodotto o al servizio fornito.
In ogni caso nel prestare servizi di investimento le imprese di investimento devono agire in conformità ai requisiti dell’art. 24 della Direttiva Mifid II, in particolare c.1 e c.3 e garantire di agire in modo equo, professionale e nel miglior interesse del cliente.
Come sottolineato nel quadro della Retail Investment Strategy la Commissione teme che i mercati dei capitali non soddisfino sufficientemente le esigenze di finanziamento a lungo termine dei cittadini europei; in conseguenza di ciò ha individuato una serie di problemi significativi che riducono la capacità degli investitori al dettaglio di trarre pieno vantaggio dai mercati dei capitali. Dai risultati analitici è emerso che gli investitori al dettaglio hanno difficoltà ad accedere a informazioni sui prodotti di investimento pertinenti, comparabili e facilmente comprensibili che li aiutino a fare scelte di investimento informate e sono altresì esposti a un rischio crescente di essere influenzati in modo inappropriato da informazioni di marketing non realistiche attraverso canali digitali e pratiche di marketing ingannevoli.
Anche sul punto l’Esma non ha mancato di intervenire e, consapevole del ruolo determinante che le comunicazioni di marketing e gli annunci pubblicitari possono svolgere nell’influenzare il comportamento dei consumatori e le loro decisioni di investimento, sollecita le Autorità nazionali a vigilare al fine di valutare l’applicazione da parte delle imprese di investimento e degli istituti di credito dei requisiti della direttiva Mifid II sulle comunicazioni di marketing [41].
L’ Autorità è inoltre consapevole che gli investitori più giovani e meno esperti sono particolarmente vulnerabili quando operano online e per tale ragione, valuterà attentamente anche il marketing e la pubblicità delle imprese attraverso canali di distribuzione digitali come app, siti web, social media e collaborazioni con affiliati come gli influencer.
Da quanto osservato sembra che una riflessione sul punto possa vertere sulla circostanza che, pur trattandosi di strumenti di investimento per loro natura “atipici”, si dovrebbe comunque trovare una regolamentazione comune ai Paesi europei che possa garantire uniformità di disciplina in questo ambito.
Qualsiasi modifica del sistema in tal senso dovrebbe essere diretta ad una migliore tutela degli investitori, garantendo coerenza in termini di competenze e integrità degli attori, nonché di requisiti e qualità dell’informazione in un settore in continua evoluzione in cui le asimmetrie informative potrebbero generare fallimenti del mercato e perdita di fiducia con conseguenze negative per tutti gli operatori del settore.
Poiché l’attrattiva globale dei mercati finanziari europei non dipenderà soltanto dalla loro stabilità, ma anche dalla qualità e dalla diversità degli strumenti e dei prodotti finanziari occorre che tale “varietà” di strumenti sia accompagnata dalla credibilità delle regolamentazioni finanziarie europee.
In tale quadro il ruolo degli intermediari assumerà sempre più centralità poiché il loro operato si concretizza nel veicolare compiutamente le informazioni presenti nel mercato dei titoli ai singoli investitori così da consentire a questi ultimi di accedere e decifrare gli strumenti e i prodotti finanziari emessi dalle imprese emittenti, i cui valori e le cui utilità si possono percepire utilmente solo se si abbia contezza delle realtà sottostanti[42].
Il sistema deve basarsi su integrità, fiducia e solidità della reputazione finanziaria. Non è dunque singolare che gli intermediari siano diventati i principali attori di questa nuova comunicazione informativa. Hanno infatti saputo sviluppare nel tempo una solida base di raccolta al dettaglio e hanno affrontato le conseguenze della crisi in modo più efficace rispetto ad altri, grazie alla fiducia guadagnata attraverso relazioni corrette e trasparenti con i clienti [43].
L’attualità rimanda, e induce a ripensare, alle soluzioni adottate in passato e restituisce a regolatori e autorità di vigilanza (dei mercati finanziari e non solo) una realtà profondamente cambiata e destinata a subire ulteriori evoluzioni in cui si auspica che l’Europa possa avere “una presa di coscienza, della necessità di perseguire in modalità unitarie l’interesse di ognuno e, al contempo, di tutti gli Stati membri” [44].
[1] Cfr F. Onnis Cugia, La natura dei “passion investments” tra attività di consumo e prodotti finanziari
in Jus civile,1/2023, p. 222 che, richiamando F. Capriglione, I fondi chiusi di beni d’ arte, in Banca, borsa, tit. cred., I, 2007, p. 413, evidenzia che “I passion investment sono dunque visti come investimenti che in un certo qual modo sfuggono da considerazioni di carattere eminentemente finanziario, assumendo (in maniera parallela, se non prevalente rispetto a queste ultime) particolare rilevanza il fattore emotivo, per cui l’investimento in beni di lusso appare affascinante per la sicurezza conferita da quelli che, nella comune opinione, vengono considerati cc.dd. beni rifugio (o safe heaven), che alla caratteristica della difesa del valore del capitale investito sul lungo periodo uniscono quelle della facile trasportabilità e della soddisfazione estetica e collezionistica. Allo stesso tempo, però, non va trascurato il fatto che sono investimenti che risentono delle mode o delle oscillazioni dei mercati finanziari e, pertanto, al fine di contenere i rischi propri di tali settori richiedono elevate competenze specifiche”.
[2] In particolare le riflessioni della dottrina si sono soffermate sul ruolo e sulle responsabilità degli istituti bancari intermediari, cfr. F.F. Marino, Contratto di commercializzazione di diamanti: responsabilità contrattuale dell’intermediario bancario tra contatto sociale qualificato e contratto di mediazione, in Giur. Comm.,5, II,2022, p.1245; D.Bonaccorsi di Patti,Note minime sulla pretesa responsabilità della banca nella vendita di diamanti c.d.“da investimento”, in Riv. Trim.Dir.Economia, 4,2019,p.181.
[3] Cfr. Procedimento AGCM,PS10677-IDB-Intermarket Diamond Business-Diamanti da investimento, Provvedimenti collegati n. 26757 del 20.9.2017,n. 29647 del 27.4.2021, n.29648 del 27.4.2021.Cfr. T.A.R. Lazio, sentenza Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 10966/2018.e n.10967 del 14 novembre 2018; Consiglio di Stato n.02081 del 18 gennaio 2021; Consiglio di Stato 02085 del 28 gennaio 2021.
In dottrina, cfr. A.Campitiello, F. Esposito, G. Bronzini, Making the Italian Market for ‘Investment Diamonds’ More Transparent: the IDB and DPI Cases, in Riv. it. antitrust, 2017, pp. 198 ss.; Cfr. L. Renneboog, The Returns on Investment Grade Diamonds, CentER Discussion Paper Series No. 2013-025, reperibile on-line all’indirizzo https:// ssrn.com/ abstract/ 2251791.
[4] V. G. Guizzi, Mercato finanziario, in Enc. dir., V Agg., Milano, 2001, p. 747. In tal senso anche Cass., 17 aprile 2009, n. 9316, in Giur. comm., 2010, II, pp. 103 ss., con nota di A. Pomelli, I confini della fattispecie «prodotto finanziario» nel Testo Unico della Finanza, il quale sottolinea la eccessiva genericità della formula.
[5] Cfr. Cass. 5 febbraio 2013, n.2736 secondo cui “ne consegue che è configurabile come prodotto finanziario, con correlata applicazione della disciplina in materia di sollecitazione all’investimento, il contratto in cui una società proponga al pubblico il “blocco” di una somma per un anno in prospettiva di un guadagno, mediante un meccanismo negoziale consistente nella consegna in affidamento all’investitore di un diamante del valore ipotetico di mille euro, chiuso in un involucro sigillato, contro il versamento in denaro di un identico importo, con l’impegno della società di “riprendersi” il prezioso dopo dodici mesi e di restituire il capitale maggiorato di ottanta euro, senza alcun’altra prestazione a carico dell’investitore, prevalendo in detta operazione gli elementi del credito fruttifero e della garanzia rispetto a quello della custodia, e sussistendo, altresì, il “rischio emittente” legato all’incertezza sulla capacità della società di restituire il “tantundem” con l’incremento promesso”. Secondo la Suprema Corte “il contratto di investimento disciplinato dal Tuf costituisce uno schema atipico, che comprende ogni forma di investimento finanziario, ai sensi dell’art.1comma 1, lett.u, riflettendo la natura aperta e atecnica di “prodotto finanziario” la quale rappresenta la risposta legislativa alla creatività del mercato e alla molteplicità degli strumenti offerti al pubblico, nonché all’esigenza di tutela degli investitori, in maniera da permettere la riconduzione nell’ambito della disciplina di protezione pure delle operazioni innominate”. Cass. civile, 12 Marzo 2018, n. 5911 ove la Corte in riferimento alla compravendita di opere d’arte ha rilevato che “ Tale operazione complessa, caratterizzata dalla predeterminazione dell’importo promesso, non è esente da rischio – nella specie del “rischio emittente”(..). Poiché anche il “rischio emittente” è incluso nell’alea assunta dall’investitore mediante l’investimento, ai fini della configurabilità della presenza di un prodotto finanziario, con la correlata applicazione della disciplina in materia di sollecitazione, è sufficiente che sussista l’incertezza in merito non all’entità della prestazione dovuta o al momento in cui questa sarà erogata – bensì alla capacità stessa dell’emittente di restituire il tantundem, con la maggiorazione promessa”.
Cfr. Cass. n.10598/2005 in riferimento alla l.1/1991,art.1.
[6] Collegio Bologna, Decisione N.22690 del 29 ottobre 2018 ove si stabilisce che “le “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” circoscrivono l’ambito oggettivo della propria cognizione come segue (Sez. I, § 4): “All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari. Sono escluse le controversie attinenti ai servizi e alle attività di investimento e alle altre fattispecie non assoggettate al titolo VI del T.U. ai sensi dell’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58” Alla luce di tutto quanto sopra riportato si evince che la commercializzazione di diamanti presso gli intermediari bancari si qualifica come un’attività connessa a quella tipicamente riservata a tali soggetti e pertanto, trattandosi di attività di investimento (ancorché non finanziario) si deve giungere alla declaratoria di inammissibilità del ricorso innanzi all’ABF. Per una riflessione sulle eterogeneità delle fattispecie cfr. B. Petrazzini, Vendita di diamanti e responsabilità della banca , nota a Tribunale Verona, Sez. III, 23 maggio 2019, in Giurisprudenza italiana,2019, c.2450, la quale rileva che “E così è stato qualificata come prodotto finanziario (e assoggettata alla disciplina delle offerte fuori sede) un’operazione costituita dalla sottoscrizione di un contratto di compravendita di opere d’arte ad un prezzo scontato rispetto al prezzo di listino nel quale era prevista la facoltà per l’acquirente di risolvere il contratto e di ottenere, una volta scaduto il termine convenuto, la restituzione dell’importo superiore rispetto a quello versato al momento dell’acquisto e pari al prezzo di listino dell’opera d’arte ; o, ancora, e’ stato assoggettato alla disciplina della sollecitazione all’investimento il contratto consistente nella consegna all’investitore di un diamante del valore ipotetico di mille euro, chiuso in un involucro sigillato, contro il versamento in denaro di identico importo, con l’impegno della società di riprendersi il prezioso dopo dodici mesi e di restituire il capitale maggiorato di ottanta euro”.
[7] Confronta ACF, decisione del 5.7.2017 in cui si è dichiarato inammissibile il ricorso presentato in data 9 . 5.2017.
[8] In questo senso si esprime un comunicato della Banca d’Italia del 14.3.2018 ma si veda, in precedenza, Comunicazione Consob, n. 97006082, del 10 luglio 1997 ove si precisa che non rientrano nella nozione di prodotto finanziario “le operazioni di investimento in attività reali o di consumo, cioè le operazioni di acquisto di beni e di prestazioni di servizi che, anche se concluse con l’intento di investire il proprio patrimonio, sono essenzialmente dirette a procurare all’investitore il godimento del bene, a trasformare le proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare in via diretta i bisogni non finanziari del risparmiatore stesso”.
[9] Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica la Direttiva 2002/92/CE e la Direttiva 2011/61/UE. Il recepimento in Italia è avvenuto con il d.lgs. n. 129 del 3 agosto 2017.
[10] Cfr. considerando n.3, Direttiva 2014/65/UE: “Negli ultimi anni sempre più investitori sono diventati attivi sui mercati finanziari e viene loro offerta una gamma ancora più ampia e complessa di servizi e strumenti. Alla luce di tali sviluppi il quadro giuridico dell’Unione dovrebbe comprendere l’intera gamma delle attività orientate agli investitori. A tal fine è necessario prevedere il grado di armonizzazione necessario per offrire agli investitori un elevato livello di protezione e consentire alle imprese di investimento di fornire servizi in tutta l’Unione, trattandosi di un mercato interno, sulla base della vigilanza del paese d’origine. La Direttiva 93/22/CEE è stata pertanto sostituita dalla Direttiva 2004/39/CE”.
[11] Sul punto si veda S. Alvaro, Il quadro normativo italiano in tema di commercializzazione di pietre preziose presso lo sportello bancario, In Banca Impresa Società, 2017, pag. 141 e ss. in part. 167.
[12] Per una panoramica in merito alle regole di condotta degli intermediari finanziari si vedano R. Lener e Lucantoni, Commento art. 21 t.u.f., in M. Fratini e G. Gasparri (a cura di), Il testo unico della finanza, Torino, 2012, 375 ss.Ed ancora, P. Lucantoni, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, in E. Gabrielli e R. Lener (a cura di), I contratti del mercato finanziario, Milanofiori Assago, 2011,239 ss.. Cfr. altresì Tribunale di Monza, sentenza n.2342 del 21.11.2022 ove si afferma che “Il parametro di riferimento per chi opera nel campo dell’offerta dei servizi di investimento e degli strumenti finanziari al fine di valutare se i prodotti da raccomandare alla clientela siano adeguati è dato dalla chiara rappresentazione della reale misura della tolleranza del cliente al rischio e della sua capacità di sostenere eventuali perdite economiche”.
[13] Come noto la nozione di strumento finanziario è frutto di una evoluzione che affonda le sue radici dal concetto di titolo di credito, sino ad arrivare all’attuale definizione che tiene conto delle definizioni contenute nella Direttiva MiFID II. Con la l. 216 del 1974, cd. minirifiorma del 1974, venne fornita una definizione di valore mobiliare nella quale erano ricomprese quattro tipologie fondamentali di documenti o certificati: i)ogni documento che rappresenti diritti di società, associazioni o imprese; ii) ogni documento rappresentativo di un credito o di un interesse negoziabile e non; iii) ogni documento rappresentativo di diritti relativi a beni materiali o proprietà immobiliari; iv) ogni documento idoneo a conferire diritti di acquisto di uno dei valori mobiliari indicati nei punti precedenti. In seguito con il Decreto D. lgs. 415 del 1996, cd. Eurosim, in attuazione della Direttiva sui servizi di investimento (93/22), venne introdotto il concetto di strumento finanziario, poi ripreso nel TUF, al quale venne affiancata la nozione di prodotto finanziario. Con la MiFID I è stato recuperato il concetto di valore mobiliare quale sottocategoria degli strumenti finanziari. Si affinano le fattispecie e si introduce la categoria delle quote di emissione. Dal comma 2, art. 1 del Tuf per strumento finanziario si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I. Per un approfondimento si vedano, R. Lener, Strumenti finanziari e servizi di investimento. Profili generali, in Banca e borsa tit. cred., I, 1997, p. 326 ss. R. Lener – E. Gabrielli, Valori mobiliari e strumenti finanziari, Mercati e strumenti finanziari e contratti d’investimento dopo la Mifid, in E. Gabrielli e R. Lener, (a cura di), I contratti del mercato finanziario, Milanofiori Assago, 2011, p. 14 ss. F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2021, pag. 104. A. Perrone, Il diritto del mercato dei capitali, Milano, 2020, pag. 21 e ss. R. Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2018, pag. 7 e ss
[14] M. Miola, Obblighi degli offerenti, in Testo unico della finanza – Commentario (diretto da Campobasso), Torino, 2002, sub. art. 94, p. 798 e ss.
[15] Si tratta di un sistema di vigilanza che è stato definito “funzionale”, poiché alle stesse vengono attribuiti compiti e funzioni che non vengono relazionati in base ai soggetti sottoposti al controllo ma che dipendono, in realtà, dalla natura e dalle verifiche svolte dalle Autorità stesse. A. Perrone, Il diritto del mercato dei capitali, Milano, 2020, pag. 57. Ed ancora, M.Ventoruzzo – S. Alvaro, I poteri di vigilanza e di intervento della Consob, in M. Cera– G. Presti (diretto da), Il testo unico finanziario. Mercati ed emittenti, Bologna, 2020, p. 2080 ss.
[16] Regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta al pubblico o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato e che abroga la direttiva 2003/71/CE. Sul punto per un’ampia analisi del tema P. Lucantoni, L’ informazione da prospetto. Struttura e funzione nel mercato regolato, Milano,2020.
[17] Specificatamente, la finanziarietà del rendimento costituisce la stessa causa del contratto, rendendo quest’ultima determinante nel riconoscimento di un investimento di natura finanziaria. In altri termini, occorre stabilire se, nell’ambito del programma contrattuale che l’offerente intende proporre, possa rinvenirsi una “causa finanziaria” e quindi che l’oggettivo interesse economico sottostante all’impiego di denaro prescinda da qualsiasi finalità di godimento. Sul punto si veda la Comunicazione CONSOB 16.4.2008, n. DEM/8035334. Inoltre, tra i recenti arresti della giurisprudenza che hanno evidenziato la causa finanziaria dell’investimento, si richiama la Cass. pen. Sez. II, 10/11/2021, n. 44337, ove è stato statuito che: «Il bitcoin può ritenersi un prodotto finanziario qualora, sia acquistato con finalità d’investimento, con la conseguenza che la valuta virtuale, quando assume la predetta funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d’investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. TUF), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento».
[18] Consob, Vendita di diamanti tramite intermediazione di istituti di credito – richiesta di chiarimenti e formulazione di quesiti, Comunicazione n. DTC/13038246, 6 maggio 2013, in https://www.consob.it
[19] Cfr. F. Savasta, Natura finanziaria dei diamanti e ruolo della Consob, cit., pag. 1114 il quale osserva che: « Vi sono diversi orientamenti Consob inerenti l’offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita di prodotti e strumenti finanziari, ma risalta all’attenzione, per via dell’analogia con il caso in esame, la Comunicazione Consob del 4 ottobre 2012, n. 12079227, inerente specifici prodotti finanziari rientranti nell’ambito del commercio di “oro”. La Consob, nell’operazione contrattuale avente ad oggetto l’oro, diversamente dai diamanti per i quali si prospettava l’immissione in possesso del risparmiatore, ha escluso la natura finanziaria dell’operazione in quanto ha ritenuto che non potesse qualificarsi come “rendimento di natura finanziaria” l’eventuale apprezzamento (o deprezzamento) della res materiale oggetto della vendita (oro) dovendosi, nella fattispecie, escludersi l’assunzione di un rischio di perdita del capitale. Per i sopracitati “conti metallo”, la Consob ha ritenuto non sussistere i caratteri minimi e necessari per ricondurre la fattispecie in esame all’interno della nozione di “appello al pubblico risparmio in prodotti finanziari”, rammentando che, come più volte precisato dalla Commissione non rientrano nella nozione di sollecitazione «le operazioni di investimento in attività reali o di consumo, cioè le operazioni di acquisto di beni e di prestazioni di servizi che, anche se concluse con l’intento di investire il proprio patrimonio, sono essenzialmente dirette a procurare all’investitore il godimento del bene, a trasformare le proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare in via diretta i bisogni non finanziari del risparmiatore stesso» e che «si è in presenza di un investimento finanziario, come contrapposto ad un investimento di consumo, tutte le volte in cui il risparmiatore […] conferisce il proprio denaro con un’aspettativa di profitto, vale a dire di accrescimento delle disponibilità investite».
[20] Ossia un profitto consistente nell’incremento delle risorse investite, già previsto al momento dell’instaurazione del rapporto contrattuale, derivante principalmente dalle azioni imprenditoriali o gestionali svolte da terzi nei confronti dell’ acquirente del prodotto.
[21] Cfr. F.F.Marino, Contratto di commercializzazione di diamanti: responsabilità contrattuale dell’ intermediario bancario tra contatto sociale qualificato e contratto di mediazione, cit., in part. 1249 ove si chiarisce che «La natura dell’operazione conclusa va dunque ricercata nelle oggettive pattuizioni e/o meccanismi contrattuali correlati all’operazione di volta in volta considerata, posto che l’obiettivo di conseguire un lucro è presente sia nelle operazioni finanziarie propriamente dette sia nelle operazioni di natura eminentemente commerciale. Pertanto, non ricorrendo i presupposti indicati, la fattispecie della presente disamina non può qualificarsi come offerta di un prodotto finanziario, ma eventualmente offerta da parte della banca di un mero bene di consumo”. Per la ricostruzione dettagliata della vicenda cfr. Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Audizione della Consob sulla vicenda della vendita dei diamanti tramite il canale bancario, Prof. P. Savona, Presidente della Consob Dott. M.Lorenzoni, Responsabile della Divisione Tutela del Consumatore, Roma, 15 marzo 2022.
[22] Come noto “non è un caso eccezionale che le autorità di vigilanza collaborino fra loro”, così espressamente R. Lener, Il modello di vigilanza italiano sui mercati finanziari nel contesto europeo, in F. Capriglione (a cura di), Liber Amicorum Guido Alpa, Padova, 2019, pag. 697 e ss. Sulle questioni inerenti il raccordo CONSOB-AGCM con riferimento agli illeciti plurioffensivi – a pregiudizio rispettivamente del corretto funzionamento del mercato finanziario e del consumatore – che coinvolgono entrambe le Autorità v. per tutti A. Genovese, Pratiche commerciali scorrette e servizi di investimento, in La direttiva consumer rights. Impianto sistematico della Direttiva di armonizzazione massima, a cura di Giustolisi, 2017, Roma, p. 95; Id., Profili di public e private enforcement dei divieti di pratiche commerciali scorrette. Anche con riferimento ai settori regolati, in Giur. Comm., 2022, pag. 766 e ss., in part. 786, ove l’A. evidenzia che: “Il Protocollo definisce forme di coordinamento dei rispettivi interventi, di attività di reciproca segnalazione, di scambio di documenti e informazioni, e prevede un gruppo di lavoro permanente sull’attuazione dello stesso nonché sulla procedura di rilascio del parere della Banca d’Italia all’AGCM”.
[23] Tutto ciò, nel solco di un consolidato orientamento ultraventennale con la propria comunicazione del 2013, cfr. Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Audizione della Consob sulla vicenda della vendita dei diamanti tramite il canale bancario, cit., p. 8
[24] Ai sensi dell’articolo 19, c. 3, del medesimo Codice
[25] Cfr. Consiglio di Stato, Pronuncia n. 02081/2021, pubblicata l’11.3.2021, sul ricorso proposto da Banco Bpm S.p.A. contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La disposizione in questione è stata inserita nel Codice del Consumo dall’art. 1, co. 6, lett. a), del d.lgs. 21.2.2014, n. 21 per superare la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea (lettera di messa in mora del 17.10.2013), che si fondava sul precedente criterio di riparto della competenza a sanzionare le pratiche commerciali scorrette basato sul principio di specialità (introdotto dall’art. 23, co. 12- quinquiesdecies, d.l. n. 95/2012 conv. in l. n. 135/2012) e che affidava alle autorità di settore le relative competenze. Peraltro, come noto, le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze.
[26] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio, le direttive 97/7/CE, 98/27/ CE e 2002/65/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio e il Regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio, “Direttiva sulle pratiche commerciali sleali”. Secondo l’art.5 della direttiva “Una pratica commerciale è sleale se: a) è contraria alle norme di diligenza professionale, e b) falsa sostanzialmente o è idonea a falsare il comportamento economico riguardo al prodotto del consumatore medio al quale raggiunge o al quale è rivolta, ovvero del membro medio del gruppo quando una pratica commerciale è diretta ad un determinato gruppo di consumatori”.
Cfr. Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Audizione del Direttore Generale della Banca d’Italia L.F. Signorini, Roma, 8 febbraio 2022, che rileva che la competenza dell’AGCM a intervenire sul fenomeno della commercializzazione dei diamanti ha trovato conferma nella giurisprudenza amministrativa, cfr. Tar Lazio 10967 del 14.11.2018.
[27] Cfr. artt. 20, 21, comma 1, lettere b), c), d) ed f), nonché 23 , comma 1, lettera t), e 49, 50, 52, 54 e 66- bis del Codice del consumo la cui ratio, come noto, è quella di salvaguardare la libertà di autodeterminazione del destinatario di un messaggio promozionale da ogni erronea interferenza che possa, anche solo in via teorica e potenziale, incidere sulle sue scelte e sui riflessi economici delle stesse fin dal primo contatto pubblicitario, imponendo, dunque, all’operatore un preciso onere di chiarezza nella redazione della propria offerta.
Cfr. Sentenza del Consiglio di Stato n. 02085/2021 ove si afferma che “la pratica posta in essere concernente le modalità di prospettazione dell’acquisto di diamanti in tutto il materiale illustrativo diffuso attraverso il sito e attraverso il canale bancario integra la violazione in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea ad indurre in errore i consumatori relativamente: al prezzo ed al modo in cui viene calcolato – prospettato da IDB come quotazione di mercato; all’andamento del mercato dei diamanti ed alla vantaggiosità e redditività dell’acquisto prospettato, in comparazione con l’inflazione ed altri investimenti; alla certezza del rapido e certo disinvestimento in termini di facile liquidabilità del bene; alle qualifiche del professionista IDB che vanta una leadership europea”. Veniva anche ravvisata la violazione delle norme poste a tutela dei consumatori sotto il profilo della “omessa indicazione dell’informativa sul diritto di recesso dovuta per i contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali e la mancata messa a disposizione di un modulo tipo” e quello della “formulazione … ambigua ed imprecisa, come tale suscettibile di distorta interpretazione da parte del consumatore” dell’indicazione del Foro competente”. Più in dettaglio, Cfr. provvedimento AGCM PS10677, ove l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto che i prezzi di mercato fossero prezzi di vendita liberamente determinati dalle società per un importo molto superiore al costo di acquisto e ai parametri di riferimento internazionali; l’andamento dei prezzi di mercato era l’andamento del prezzo di vendita delle società, su base annua e progressivamente incrementate dai venditori, e le prospettive di commerciabilità e rivendibilità erano legate solo alla possibilità che ciascuna azienda trovasse altri consumatori all’interno del proprio circuito. Le pietre venivano descritte come un investimento redditizio, sicuro e immediato mentre non c’era alcuna certezza circa il profitto che avrebbero portato, che comunque sarebbe stato realizzato solo a lunghissimo termine. L’Autorità certificò, inoltre, che gli istituti di credito, in qualità di principale canale di vendita dei diamanti per entrambe le società, avessero promosso gli investimenti presso una specifica categoria di loro clienti interessati ad acquistare diamanti e a diversificare i propri investimenti.
Secondo i risultati dell’indagine emerse che agli incontri tra le due società e i clienti presenziava il personale delle banche che offriva investimenti, con la conseguenza che tale condotta implementava la credibilità delle informazioni trovate nel materiale promozionale presentato dalle due società.
[28] Cfr. Banca d’Italia, 14 aprile 2017 “Segnalazione presso gli sportelli bancari di attività di vendita di diamanti da parte di società terze”; cfr. Banca d’Italia, 14 marzo 2018 “Operazioni di compravendita di diamanti effettuate attraverso gli sportelli bancari”.
Come richiamato da L.F. Signorini,Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Audizione del Direttore Generale della Banca d’Italia,cit., “la Banca d’Italia aveva peraltro avuto occasione di esprimersi sul tema della commercializzazione dei diamanti già nel 2009, in risposta a un quesito trasmesso dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata, che chiedeva chiarimenti in merito alla possibilità per la banca di offrire alla clientela il servizio di acquisto diamanti attraverso un accordo di collaborazione con una società specializzata. Nella risposta la Banca d’Italia, nel richiamare proprie indicazioni generali del 1998 in merito alle caratteristiche e alle condizioni delle “attività connesse”, sottolineò che la banca avrebbe dovuto: i) valutare specificamente i rischi reputazionali ed operativi legati alla commercializzazione di diamanti, con specifica attenzione a eventuali comportamenti irregolari ovvero percepiti dalla clientela come poco attenti ai suoi interessi; ii) rivolgere particolare attenzione al rispetto della normativa antiriciclaggio; iii) selezionare adeguatamente lo “standing” della società con cui si intendeva stipulare accordi e definire clausole che consentissero l’interruzione del rapporto in caso di irregolare o insoddisfacente svolgimento dell’attività. La banca, a quel che risulta, abbandonò il progetto”.
[29] Cfr. Banca d’Italia, 15 dicembre 2021 “La compravendita di diamanti attraverso canali bancari e il ruolo della Banca d’Italia”. Peraltro, dalle indagini condotte dall’ AGCM, Cfr. provvedimento AGCM PS10677, emergeva invece che, “I funzionari avrebbero rassicurato i consumatori, che rappresentavano alla banca le loro perplessità, facendo leva sul rapporto di fiducia intercorrente tra le parti, a volte anche per un periodo di tempo considerevole. Alcuni reclami evidenziano la fiducia riposta dai consumatori nei dipendenti dell’intermediario, tale da indurli ad acquistare le gemme su suggerimento degli stessi, vista la durata – anche superiore al decennio – del rapporto tra le parti”. Secondo l’Autorità, gli impiegati delle filiali proponevano ai propri clienti, nel corso di colloqui di consulenza sugli investimenti, l’acquisto di diamanti secondo le modalità indicate dalla “IDB”, provvedendo ad illustrare la brochure informativa e successivamente curando la compilazione del modulo di acquisto, nonché organizzando gli incontri con il personale della “IDB” e curando direttamente la custodia della pietra, qualora non fosse stata affidata alla stessa “IDB”. In sintesi, le modalità con le quali si svolgeva l’offerta permisero, secondo l’Autorità, l’attuazione della condotta scorretta della “IDB”, con la quale era in atto un accordo di collaborazione. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inoltre accertato la violazione da parte delle società dei diritti contrattuali dei consumatori in materia di diritto di recesso e, per la Intermarket Diamond Business SpA, anche delle disposizioni sulla competenza giurisdizionale in materia di controversie.
[30] Cfr. P. Ferro-Luzzi, La “connessione” delle attività connesse, in Banca, borsa, titoli di credito,2001, I, p.145; Cfr. G. Desiderio, L’attività bancaria, in Manuale di diritto bancario e finanziario, F. Capriglione (a cura di),Padova, 2015,spec. p.274 il quale sottolinea “che nonostante l’avversativa “o” nessuna alternativa tra esse sembra plausibile”.
[31] Cfr. Dipartimento Vigilanza Bancaria e finanziaria, servizio tutela dei clienti e antiriciclaggio Segnalazione presso gli sportelli bancari di attività di vendita di diamanti da parte di società terze, 14.04.2017 ove la Banca d’Italia ribadisce che “Non essendo un’attività bancaria o finanziaria, essa può essere svolta dalle banche esclusivamente quale attività connessa o strumentale”. Ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si chiede alle banche che svolgono attività di segnalazione di vendita di diamanti di fornire puntuali riferimenti in merito a:(i) le valutazioni condotte dalle funzioni competenti a supporto della decisione di offrire il servizio, anche ai fini della individuazione degli elementi di connessione o strumentalità con l’attività bancaria e finanziaria;(ii) il contenuto degli accordi con le società specializzate in diamanti; (iii) i volumi operativi, in termini di controvalore e di numero clienti, realizzati nell’ultimo anno, i criteri di selezione della clientela e gli eventuali effetti sulle politiche di remunerazione del personale;(iv) i presidi organizzativi e di controllo, ivi compresi quelli antiriciclaggio, adottati per il contenimento dei rischi legali e reputazionali che potrebbero derivare alla banca dall’attività in argomento”.
[32] Decisione N. 22690 del 29 ottobre 2018, cit.
[33] La soluzione innanzi delineata risulta indirettamente confermata dalla stessa Banca d’Italia che nel comunicato stampa del 14 marzo 2018 ha dichiarato che alla commercializzazione dei diamanti attraverso il canale bancario non si applicano le tutele di trasparenza previste per la clientela dal Testo unico bancario e che la commercializzazione di diamanti non costituisce attività bancaria o finanziaria.
Inoltre, la soluzione che precede risulta conforme all’orientamento della giurisprudenza espressasi in casi similari, cfr. Cons. St., 25 giugno 2019, n. 4357 e Cons.Stato,11 dicembre 2017, n. 5795.
Per l’approfondita analisi delle attività connesse si veda U.Morera, E.Marchisio, Sulle attività connesse ex art. 10,comma 3,Tub, in Banca Borsa titoli Credito, 2018,p. 717,e spec. 71, ove gli Autori chiariscono che “ il lemma “connessione” appaia normalmente utilizzato al fine di assoggettare alla disciplina di specifiche attività altre attività, diverse dalle prime ma a queste legate da una particolare relazione (di connessione, appunto) . In tal senso, il lemma richiama dunque un concetto relazionale”.
[34] Pronuncia del Consiglio di Stato n. 02085/2021
[35] Cfr. Tribunale di Brescia, sentenza n.3348/2023. Sembra peraltro trovare conferma la circostanza che, ad oggi, la nozione di investitore, inteso come cliente al dettaglio e, quindi, cliente non professionale nell’ambito della disciplina dettata dalla Direttiva MiFID II, e quella di consumatore siano parzialmente equiparate “in virtù della comune posizione di debolezza in cui si trovano”. Sulla base di questo presupposto si può affermare che, in linea con la tendenza del diritto europeo, l’investitore non professionale si presenta come una sorta di consumatore di prodotti finanziari. In tale prospettiva, la definizione dell’ art. 3 del Codice del Consumo, che definisce la nozione di consumatore, può ritenersi idonea anche a delimitare l’ambito soggettivo riferibile ad un investitore-risparmiatore che, agendo per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, si rivolge ad un intermediario per l’esecuzione delle operazioni finanziarie. Sebbene la linea di demarcazione sia quindi mobile ed effimera, il punto decisivo sembra vertere su un presupposto di assoluta debolezza per il consumatore, mentre per l’investitore si basa sul livello di esperienza professionale maturata e giustifica una diversa modulazione di tutela e sui principi di agire onestamente, equamente e professionalmente e sull’obbligo di essere corretti, chiari e non fuorvianti.
Occorre in tal senso tener presente quanto affermato da M.Rabitti e F.Bassan, L’ evoluzione del consumatore: dal consumatore medio al consumatore attivo, in Liber Amicorum Laura Ammannati, in Rivista Trimestrale di diritto dell’economia, Supplemento al n.1/2024,p.154 ss ove si afferma che la nozione di consumatore “ trova ormai solo parzialmente nel Codice del Consumo la disciplina utile a regolare la materia. A segnare il superamento dell’impianto del Codice del Consumo è stata, più di ogni altra cosa, la complessità che sempre più caratterizza la figura del “consumatore”, a cui non corrisponde solo la nozione unitaria e generale del consumatore, che la disciplina definisce come la persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale, come previsto dall’art. 3 del codice del consumo e come rivendicato con forza dalla Corte di Giustizia UE che resta fedele a questa nozione, con appena una crescente flessibilità. Questa figura di riferimento si è andata infatti specificando nel tempo attraverso una serie di aggettivazioni che hanno introdotto nozioni diverse, a seconda del contesto in cui il consumatore è preso in considerazione, facendone una figura plastica che si definisce con variabili diverse e caratterizzanti.
[36] Sulla responsabilità da contatto sociale cfr. ex multis 22 gennaio 1999 n. 589 in riferimento alla responsabilità del medico nei confronti del paziente; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712, ove si afferma che la responsabilità della banca negoziatrice di assegno non trasferibile per il pagamento a soggetto non legittimato ha natura contrattuale, per violazione di un obbligo di protezione preesistente, specifico e volontariamente assunto, e la relativa azione risarcitoria è soggetta al termine ordinario di prescrizione. Cfr. Cass., 13 ottobre 2017,n. 24071, Cass. SU 12477/2018. Alla responsabilità da contatto qualificato va applicata la disciplina propria della responsabilità di natura contrattuale, cfr. Cass. Sez.U.,Ordinanza n.28979 del 17 dicembre 2020.
[37] Per un’analisi dell’attuale coinvolgimento dell’investitore al dettaglio nel panorama finanziario si veda F.Annunziata, Retail Investment Strategy. How to boost retail investors’ participation in financial markets. June 2023, reperibile su http://www.europarl.europa.eu/supporting-analyses e dove l’A. evidenzia a pag. 13 che: «L’attuale livello di coinvolgimento e partecipazione degli investitori al dettaglio nei mercati finanziari è, attualmente, piuttosto basso. Secondo i risultati del Rapporto, poco più di un quarto (28%) della popolazione di cittadini bancarizzati nei 10 paesi coperti dall’indagine ha già investito in prodotti finanziari, mentre un altro quarto degli intervistati stava cercando attivamente di investire (11%) o era interessato a investire i propri risparmi (14%). Tuttavia, quasi un quarto degli intervistati (23%) non era interessato a fare investimenti finanziari, pur avendo dei risparmi. Per questo segmento, la relazione conclude che “sarebbero necessarie misure diverse dalla divulgazione o dalla consulenza se l’intenzione politica è quella di rendere gli investimenti più attraenti per loro, in quanto questi raggiungono solo la popolazione che sta già esaminando gli investimenti”. Come cercheremo di dimostrare, è difficile non essere d’accordo con questa affermazione. L’Europa ha uno dei tassi di risparmio individuale più elevati al mondo, con le famiglie dell’area dell’euro che hanno accantonato in media circa il 12,4% del loro reddito disponibile lordo tra il 2013 e il 2019. A titolo di riferimento, nello stesso periodo, gli investitori retail negli Stati Uniti hanno risparmiato circa il 7,2%. del loro reddito. Tuttavia, nonostante un livello di risparmio così elevato, il tasso di partecipazione degli investitori al dettaglio è inferiore rispetto ai mercati degli Stati Uniti o di altri mercati sviluppati. Per comprendere le ragioni di tale divergenza, gli esperti identificano tre principali fattori trainanti degli investimenti al dettaglio nelle economie: i) alfabetizzazione finanziaria; ii) la scadenza dei mercati dei capitali; e iii) il sistema pensionistico. La partecipazione degli investitori al dettaglio ai mercati finanziari è inoltre strettamente connessa alla nozione più ampia di “inclusione finanziaria”, che può essere definita come “il processo volto a garantire un accesso abbordabile, rapido e adeguato a un’ampia gamma di prodotti e servizi finanziari, nonché la proliferazione del loro utilizzo in tutte le parti della società, con particolare attenzione ai gruppi vulnerabili; attraverso l’attuazione di approcci esistenti e innovativi, come i programmi di alfabetizzazione finanziaria”. L’inclusione finanziaria combina elementi quali l’educazione o l’alfabetizzazione finanziaria e la protezione dei consumatori, che contribuiscono entrambi a una partecipazione più responsabile e attiva dei consumatori finanziari al dettaglio ai mercati finanziari.
[38] Cfr. Esma Statement del 25 maggio 2023, 35_36_2813
[39] L’ Autorità si riferisce in particolare all’ipotesi in cui i prodotti e/o i servizi non regolamentati siano forniti sulla stessa pagina web di quelli regolamentati, dove il sito web dell’impresa di investimento non sia chiaro e possa generare confusione per gli investitori in merito a lo status normativo dei prodotti/servizi venduti.
[40] In particolare, esiste il rischio che gli investitori non comprendano fino in fondo i pericoli a cui sono Esposti. In Francia l’Autorité des marches financiers, AMF, non ha trascurato tale problematica e per garantire una migliore tutela dei risparmiatori, la legge Sapin II, l. n. 2016-1691 del 9 dicembre 2016, sulla trasparenza, la lotta alla corruzione e la modernizzazione della vita economica, introduce una modifica nel sistema di intermediazione di beni diversi, di cui all’articolo 79. Di conseguenza, l’AMF ha modificato alcune disposizioni del suo Regolamento Generale e ha pubblicato nuove indicazioni che implicano un controllo preventivo di tutte le offerte in un’ottica di maggiore tutela dei risparmiatori. Numerose sono le proposte di investimento che mettono in risalto la possibilità di un ritorno finanziario che non si basano su strumenti finanziari: vino, boschi, pannelli fotovoltaici, opere d’arte o diamanti. Questi investimenti cosiddetti atipici comportano l’intermediazione di beni diversi e riguardano due tipi di operazioni: proposte sotto forma di pubblicità e marketing diretto che invitano terzi a sottoscrivere rendite vitalizie o ad acquisire titoli di beni mobili o immobili laddove gli acquirenti non ne gestiscono in proprio il patrimonio o laddove il contratto preveda un’opzione di riacquisto o di permuta con rivalutazione del capitale investito. Tali proposte sono soggette al controllo ex ante da parte dell’AMF; le altre proposte riguardano l’acquisizione di titoli su uno o più beni e prevedono la possibilità di rendimenti finanziari diretti o indiretti o un effetto economico simile (articolo L 550-1, II della Monetaria e Codice Finanziario).
[41] Cfr, 16.01.2023, ESMA and NCAs To Look At Marketing of Financial Products.
[42] Dalla lettura dell’art. 23, comma 1, T.U.F. secondo il quale “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (…) sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” (4) e dell’art. 37, comma 1 Regolamento Intermediari del 2007 secondo il quale “gli intermediari forniscono a clienti al dettaglio i propri servizi di investimento (…) sulla base di un apposito contratto scritto; una copia di tale contratto è consegnata al cliente”, è possibile desumere che il rapporto giuridico intercorrente tra l’intermediario finanziario ed il cliente deve essere disciplinato da un contratto, il quale viene solitamente denominato contratto di intermediazione finanziaria o mobiliare (c.d. contratto quadro) G. Franciaresi, Gli obblighi informativi dell’intermediario finanziario tra nullità e responsabilità, in Corr. Giur., 11/2017, p. 1370.
[43] A. M. Tarantola, La trasparenza sostanziale nei rapporti tra banca e clienti: la visione della Banca d’Italia, op.loc. cit.
[44] Tali affermazioni seppur riferite ad un contesto diverso appaiono pertinenti anche in questa sede ove in conclusione si intende affermare la necessità di un percorso comune degli Stati membri. Cfr. F. Capriglione, Il Covid 19 e la faticosa ricerca di nuovi paradigmi operativi, cit., p. 56 ss.; Id., Covid-19. Quale solidarietà, quale coesione nell’Ue? Incognite e timori, in Riv.trim.dir.ec., 2020,2, p. 167, ove si evidenzia che “La ricerca di rimedi e soluzioni alle negative conseguenze del coronavirus incide, infatti, sulla interpretazione dei Trattati, evidenziando l’esigenza di dar corso ad una lettura flessibile di talune prescrizioni, nonché di procedere alla definizione di un nuovo ordine dei rapporti tra gli Stati membri, indispensabile ai fini della stessa continuità dell’Unione. Si individua, pertanto, uno scenario nel quale i principi della condivisione, coesione e solidarietà – tradizionalmente invocati da coloro che, nel tempo, hanno auspicato la realizzazione di una convergenza, prima economica e poi politica – possono trovare finalmente concreta attuazione. Appare a molti ipotizzabile la possibilità di modificare vetusti e consolidati atteggiamenti egoistici che connotano l’agere di taluni paesi e costituiscono la causa primaria di un processo di «euro sclerosi», che si è tradotto in movimenti antieuropeistici e genera dubbi sulla reale volontà di pervenire alla meta indicata dai padri fondatori”.