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Attualità

Hard Brexit: in Gazzetta Ufficiale le misure transitorie italiane

27 Marzo 2019

Claudia Colomba, Senior Associate, Elisabetta Zeppieri, Senior Associate, Hogan Lovells Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 marzo 2019 il Decreto Legge n. 22 del 25 marzo 2019 contenente le annunciate misure transitorie volte a garantire la stabilità finanziaria e la continuità operativa delle istituzioni finanziarie UK in Italia e delle istituzioni finanziarie italiane in UK nello scenario di “hard Brexit” (il “Decreto”; cfr. contenuti correlati per il testo), la cui emanazione era stata preannunciata dal MEF con comunicato stampa del 24 gennaio. Il Decreto entra in vigore il 26 marzo 2019.

Sulla scia delle corrispondenti misure adottate in altri Stati membri dell’Unione Europea, il Decreto introduce un periodo transitorio di 18 mesi (temporary permissions regime o “TPR”) durante il quale alcune istituzioni finanziarie UK potranno continuare ad operare in Italia sostanzialmente alle stesse condizioni e conformemente alla medesima normativa applicabili nel periodo antecedente Brexit.

Per i soggetti che possono avvalersi del regime transitorio previsto dal Decreto, la continuità operativa è subordinata a una notifica all’autorità competente da effettuare entro 3 giorni lavorativi antecedenti Brexit. Allo stato attuale le autorità competenti non hanno ancora fornito istruzioni circa le modalità operative per effettuare la notifica, nonostante la ristrettezza dell’orizzonte temporale a disposizione. Per quanto fosse ragionevole attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto prima del rilascio di tali istruzioni, molti operatori UK ritengono che, considerati gli ultimi sviluppi in merito all’acceso dibattito nel Governo inglese e nonostante la proroga accordata dal Consiglio UE, Brexit sia ancora fissata per il 29 marzo laddove non si raggiunga un accordo in merito agli Statutory Instruments. Ciò sta determinando una generalizzata situazione di incertezza in merito alle modalità e le tempistiche per procedere con la notifica.

A seguito del TPR, il Decreto non mira a conservare lo “status quo ante-Brexit”, bensì piuttosto ad un sostanziale azzeramento del business dei soggetti UK in Italia, a meno che essi non presentino, entro 6 mesi dalla data di Brexit, istanza di autorizzazione per lo svolgimento delle relative attività in Italia come soggetti non-UE oppure per la costituzione di soggetti italiani dopo il TPR. Per di più, nel caso in cui i soggetti ammessi a operare durante il TPR non dovessero presentare – alla scadenza del termine di 6 mesi da Brexit – istanza di autorizzazione, scatterebbe l’obbligo di cessazione di ogni attività nel minor tempo possibile e al massimo entro i successivi 6 mesi.

Inoltre, i soggetti che dovranno cessare ogni attività al momento di Brexit – fermo restando un periodo di run-off di massimo 6 mesi ove necessario per l’ordinata chiusura dei rapporti in essere, senza la possibilità di concludere nuovi contratti -, entro 15 giorni dall’entrata in vigore del Decreto, devono comunicare ai clienti, agli altri soggetti con cui intrattengono rapporti nella prestazione dei servizi e alle autorità competenti le iniziative adottate per garantire l’ordinata cessazione dell’attività.

Ènecessario constatare come il Decreto abbia disciplinato fattispecie concrete che non erano immediatamente deducibili dal dettato del precedente comunicato del MEF. In particolare, mentre dal suddetto comunicato poteva evincersi un trattamento uniforme per tutte le istituzioni finanziarie UK operanti in Italia, volto ad assicurare una continuità operativa sulla base della normativa settoriale applicabile, il Decreto ha, invece, previsto un regime diverso a seconda della tipologia di soggetto interessato e del regime di passaporto di cui lo stesso si avvale per operare in Italia, con conseguenti criticità illustrate di seguito per aree tematiche.

Attività bancaria e raccolta del risparmio

Le banche UK, indipendentemente dal fatto che operino in Italia in regime di libera prestazione di servizi (“LPS”) o in regime di stabilimento, potranno continuare a esercitare in Italia, durante il TPR, le attività bancarie ammesse al mutuo riconoscimento alle stesse condizioni, e conformemente alla medesima normativa, del periodo antecedente Brexit.

Tuttavia, con riferimento all’attività di raccolta del risparmio svolta in LPS dalle stesse in Italia, il Decreto prevede unicamente la possibilità di gestire, durante i 18 mesi del TPR, i contratti in essere prima di Brexit, con espresso divieto di concluderne di nuovi e di rinnovare anche tacitamente quelli esistenti.

Da quanto sopra si evince la scelta del legislatore italiano di limitare in maniera significativa l’attività delle banche UK che non hanno una presenza fisica in Italia post-Brexit, poiché si vieta alle stesse di prestare nuova attività di raccolta di risparmio – attività tipica e fondamentale per le banche – e si consente esclusivamente, durante il TPR, di portare a chiusura i rapporti in essere.

Per quanto riguarda i finanziamenti concessi da soggetti a ciò autorizzati pre-Brexit, il Decreto precisa che la cessazione dell’attività non deve comportare una modifica dei tempi e delle modalità del pagamento degli interessi, nonché del rimborso del capitale da parte del cliente.

Con specifico riferimento ai finanziamenti in essere, sarebbe stata auspicabile la previsione di un regime transitorio che definisse più nel dettaglio le attività che i soggetti autorizzati possono continuare a svolgere sul territorio (o, al contrario, le attività non consentite), anche sulla scia del regime speciale adottato dal legislatore nell’ambito della riforma degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del Testo Unico Bancario.

Servizi di pagamento

Con riferimento alla possibilità di continuare a prestare in Italia servizi di pagamento ed emissione di moneta elettronica postBrexit, il Decreto prevede un regime differente a seconda dei diversi soggetti interessati. Più nello specifico, mentre le banche UK potranno continuare a prestare servizi di pagamento in Italia nel corso del TPR, indipendentemente dal fatto che operino in regime di LPS o in regime di stabilimento, agli istituti di moneta elettronica (“IMEL”) UK è riconosciuta la stessa possibilità solo laddove essi operino in Italia in regime di stabilimento.

Al contrario, gli istituti di pagamento (“IP”) UK – indipendentemente dal fatto che operino in Italia in LPS o con succursale – e gli IMEL UK che operano in Italia in LPS o tramite agenti/soggetti convenzionati, non possono avvalersi di alcun TPR e devono cessare ogni attività entro la data di recesso. Il Decreto prevede tuttavia un periodo di run-off di massimo 6 mesi ove necessario per l’ordinata chiusura dei rapporti in essere, senza la possibilità di concludere nuovi contratti.

Da quanto sopra descritto, si evince che il legislatore ha inteso considerare i prestatori di servizi di pagamento come soggetti non-UE a far data da Brexit. A tal proposito, la normativa italiana di implementazione delle relative Direttive UE nulla prevede con riferimento agli IP non-UE – che quindi non potrebbero operare in Italia – mentre consente esclusivamente agli IMEL non-UE che abbiano stabilito una succursale in Italia di chiedere l’autorizzazione per operare sul territorio. Ciò spiegherebbe il diverso trattamento previsto per gli IP e per gli IMEL. Tali scelte, tuttavia, seppur in linea con le Direttive UE in merito all’operatività di soggetti non-UE, sembrerebbero essere più stringenti rispetto alle corrispondenti misure adottate negli altri Stati membri in caso di hard Brexit.

Servizi di investimento

Le banche e le imprese d’investimento UK che operano in regime di stabilimento in Italia possono continuare ad operare durante il TPR con le stesse modalità previste nel regime ante-Brexit nella prestazione dei servizi di investimento. Al contrario, per le banche e le imprese di investimento UK operanti in LPS è prevista la possibilità di continuare a operare solo nei confronti di clienti professionali di diritto e controparti qualificate, mentre sarà necessario cessare ogni attività nei confronti di clienti retail e clienti professionali su richiesta (fermo restando un periodo massimo di 6 mesi di run-off per assicurare l’ordinata chiusura dei rapporti in essere).

Servizi assicurativi

Per quanto riguarda le imprese di assicurazione UK, indipendentemente dal regime di passaporto, il Decreto si propone unicamente di garantire continuità dei rapporti contrattuali e delle coperture in essere alla data di Brexit, in un’ottica conservativa. Gli stessi, infatti, devono essere gestiti correttamente e portati a termine, nel rispetto di un piano d’azione contenente le misure necessarie che deve essere presentato all’ IVASS entro 90 giorni dall’entrata in vigore del Decreto. Chiaro è il divieto di assumere nuovi contratti e di rinnovare, anche tacitamente, quelli esistenti; previsione quest’ultima corredata dalla possibilità per il contraente di recedere dai contratti con durata maggiore di un anno.

Disposizioni sostanzialmente equivalenti sono dettate per gli intermediari assicurativi, anche a titolo accessorio, o riassicurativi UK (indipendentemente dal regime di passaporto), i quali saranno cancellati dall’elenco annesso al RUI (Registro Unico degli Intermediari tenuto dall’IVASS) e dovranno adoperarsi per la chiusura dei rapporti di distribuzione pendenti entro un tempo massimo di 6 mesi. Parallelamente è fatto divieto per i medesimi soggetti di avviare nuove attività e di rinnovare, anche tacitamente, quelle esistenti.

OICR, gestori e fondi pensione

Per gli OICR UK non è prevista la possibilità di avvalersi del TPR (salvo il periodo di massimo 6 mesi di run-off). Se ne deduce, inevitabilmente, che alla data del recesso questi fondi saranno automaticamente classificati come fondi non-UE e, di conseguenza, non più commercializzabili in Italia.

Esclusivamente con riferimento agli asset in cui può essere investito il patrimonio di fondi pensioni italiani, il Decreto si limita a prevedere che, durante il TPR, i fondi ad oggi classificati come OICVM e FIA UK in cui hanno investito i fondi pensione sono equiparati a OICVM e FIA UE.

La scelta del Decreto è riconducibile, da un lato, al fatto che l’ingresso in Italia di FIA non-UE e di gestori non-UE non è al momento possibile in assenza dell’atto delegato della Commissione Europea, ai sensi della Direttiva 2011/61/UE (“AIFMD”), alla cui adozione la normativa di implementazione della AIFMD in Italia ha assoggettato la possibilità per gli stessi di operare in Italia; dall’altro, con specifico riferimento ai fondi pensione, la scelta è da associare alle previsioni del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 166 del 2014, che definisce i limiti per l’investimento del patrimonio dei fondi pensione. Infatti, continuare a classificare i fondi UK, rispettivamente, come OICVM e FIA UE consentirà ai fondi pensione di continuare a beneficiare, durante il TPR, della deroga rispetto ai limiti di concentrazione previsti per l’investimento in quote di FIA non-UE non autorizzati in Italia (i.e. massimo 5% delle disponibilità complessive in strumenti finanziari emessi da uno stesso soggetto e massimo 10% in strumenti finanziari emessi da soggetti appartenenti a un unico gruppo).

Se, da un lato, tale previsione permette ai fondi pensione di beneficiare di un più lungo periodo per procedere agli eventuali smobilizzi, i gestori dei loro patrimoni potranno in realtà continuare ad investire in quote di FIA non-UE anche successivamente al TPR sulla base della Comunicazione Consob del 4 novembre 1998 che – seppur datata – ha riconosciuto la possibilità per i gestori – nell’esercizio della discrezionalità nello svolgimento della propria prestazione professionale – di investire in fondi non autorizzati in Italia. L’ipotesi descritta potrebbe rientrare, inoltre, tra le fattispecie riconducibili alla “reverse solicitation rule” contenuta in MiFID II, a condizione che l’iniziativa sia del soggetto gestore e che tale mezzo non sia utilizzato esclusivamente al fine di eludere le regole sulla commercializzazione di FIA in Italia. L’esigenza di tutela dei fondi pensione avrebbe potuto, tuttavia, essere estesa alla generalità degli investitori italiani che hanno sottoscritto quote di OICR UK (soprattutto se costituiti in forma chiusa) al fine di consentire uno smobilizzo nel lungo periodo. In aggiunta, anche gli stessi OICR potrebbero aver difficoltà a gestire un disinvestimento massivo in un tempo relativamente breve ai fini dei rimborsi dovuti. A quest’ultimo proposito, sarebbe, infatti, difficilmente ipotizzabile la continuazione dell’investimento sulla base di una “reverse solicitation”.

Ancora con specifico riferimento ai fondi pensione, la relativa normativa speciale consente l’affidamento della gestione del patrimonio unicamente a soggetti (tra cui, imprese di investimento e società di gestione del risparmio) italiani o UE, in esito ad una specifica procedura di selezione volta a verificare il possesso dei necessari requisiti da parte del potenziale gestore. Ne consegue che, al termine del TPR, le imprese d’investimento e le società di gestione UK attualmente incaricate della gestione del patrimonio di fondi pensione saranno classificate come soggetti non-UE e, di conseguenza, impossibilitate a prestare tale servizio.

Operatività dei soggetti italiani in UK

Per quanto riguarda l’operatività post-Brexit dei soggetti italiani nel Regno Unito, il Decreto prevede che le banche, le imprese di investimento, gli IP, gli IMEL, le SGR, le Sicav, le Sicaf, i gestori di fondi EuVECA, EuSEF e ELTIF e gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 del TUB aventi sede legale in Italia possono continuare ad operare in UK, durante il TPR, conformemente alla normativa UK. Per avvalersi del TPR i soggetti italiani dovranno effettuare una notifica alle autorità competenti entro 3 giorni antecedenti la data di Brexit.

Qualora gli stessi soggetti abbiano intenzione di continuare ad operare in UK oltre il TPR, dovranno presentare istanza di autorizzazione entro 12 mesi anteriori alla fine dello stesso.

Per quanto, invece, riguarda le imprese italiane di assicurazione e riassicurazione operanti in UK (sia in regime di stabilimento sia in LPS), il Decreto sancisce che esse potranno continuare ad operare in UK nel rispetto delle disposizioni del Codice delle Assicurazioni Private sull’attività in uno Stato terzo.

Altre disposizioni

Il Decreto detta, infine, disposizioni in merito all’adesione da parte dei soggetti UK operanti in Italia ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, ai sistemi di garanzia dei depositanti ai sensi del TUB e ai sistemi di indennizzo degli investitori di cui al TUF. Specifiche disposizioni sono altresì previste con riferimento ai derivati e alle sedi di negoziazione.

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