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Attualità

Fiscalità dei trust: primi spunti sulla bozza di Circolare dell’Agenzia delle entrate

12 Agosto 2021

Stefano Massarotto, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

L’Agenzia delle entrate ha recentemente messo in consultazione pubblica la Bozza di Circolare dell’11 agosto sulla disciplina fiscale del trust ai fini delle imposte dirette e indirette.

La pubblicazione della Bozza di Circolare era attesa da tempo. Come è noto, infatti, la tassazione – ai fini delle imposte dirette – dei trust non residenti in Italia è stata di recente interessata da importanti novità normative: l’art. 13 del D.L. n. 124 del 2019 ha previsto la tassazione ai fini IRPEF dei “redditi corrisposti” a residenti italiani da taluni trust opachi esteri. Ma anche ai fini delle imposte sulle successioni e donazioni era auspicabile un coordinamento della prassi dell’Amministrazione finanziaria con i più recenti (e ormai consolidati) interventi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è riscontrabile un trasferimento imponibile né nell’atto istitutivo del trust né nell’atto di disposizione tra disponente e trustee, bensì soltanto in sede di attribuzione finale dei beni e diritti al beneficiario.

Esula dallo scopo del presente intervento l’analisi del complesso quadro interpretativo fornito dall’Agenzia delle entrate in merito alla fiscalità del trust, in merito al quale l’Agenzia ha ripercorso organicamente i punti salienti della disciplina, fornendo altresì opportune risposte a diverse criticità sollevate dagli operatori del settore e dalle associazioni di categoria. In queste brevi note si vogliono offrire taluni spunti di riflessione in merito a talune questioni interpretative di un certo peso affrontate dalla Bozza di Circolare con riferimento alle imposte dirette e gli obblighi di monitoraggio fiscale che, a nostro avviso, non sono pienamente condivisibili e meriterebbero ulteriori riflessioni.

2. La “nuova” tassazione dei beneficiari di trust esteri opachi

Come è noto, il trattamento fiscale delle distribuzioni da parte di trust esteri opachi è sempre stato circondato da un clima di incertezza interpretativa.

L’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 61/E del 27 dicembre 2010, con riguardo alla previsione normativa di cui all’art. 44, comma 1, lett. g-sexies) del TUIR – secondo cui costituiscono redditi di capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti” –, aveva precisato che tale disposizione doveva ritenersi applicabile anche ai trust esteri opachi, soprattutto se costituiti in giurisdizioni straniere a regime fiscale privilegiato[1].

L’interpretazione della Circolare n. 61/E, non trovava alcun riscontro nel dettato normativo dell’art. 44, comma 1, lett. g-sexies) del TUIR, in quanto quest’ultima disposizione riguardava chiaramente solo i trust – sia residenti sia non residenti – “trasparenti”, ossia con beneficiari “individuati” residenti in Italia e non anche quelli “opachi”.

In questo quadro normativo è intervenuto l’art. 13 del D.L. n. 124 del 2019, il quale, modificando l’art. 44, comma 1, lett. g-sexies) del TUIR, ha introdotto nel novero dei redditi di capitale, a fianco dell’ipotesi dei “redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti”, quella dei “redditi corrisposti a residentiitaliani da trust e istituti aventi analogo contenuto stabiliti in Stati e territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell’art. 47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possono essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’art. 73”.

Ciò detto, non si condivide l’interpretazione proposta dalla Bozza di Circolare ove – se da noi ben intesa – verrebbe attribuita alla norma natura interpretativa (ed efficacia, dunque, retroattiva). Invero, come emerge chiaramente dalla Relazione illustrativa all’art. 13 del D.L. n. 124 del 2019, “Stante il riferimento letterale ai “redditi imputati”, le attuali disposizioni fiscali in materia di imposte dirette possono essere riferite sicuramente anche ai “beneficiari individuati” di trust esteri “trasparenti” mentre è più difficile ricomprendere nell’ambito di applicazione delle stesse i trust “opachi” esteri (vale a dire trust i cui eventuali beneficiari possono ricevere il reddito, o parte del reddito, del trust solo a seguito di una scelta discrezionale operata dal trustee)”. Detto altrimenti, le nuove disposizioni dovrebbero avere natura innovativa, in quanto hanno introdotto nel nostro ordinamento una nuova fattispecie imponibile prima inesistente[2][3].

Quanto all’individuazione del luogo di “stabilimento” per individuare i trust localizzati in giurisdizioni “a fiscalità privilegiata”, la Bozza di Circolare parrebbe considerare che il riferimento all’art. 47-bis del TUIR sia esclusivamente rivolto, a prescindere dalla giurisdizione di insediamento del trust, alle aliquote di tassazione e non anche ad escludere gli Stati UE/SEE (cfr. pag. 16 con riferimento ai trust a Cipro che, in taluni casi, potrebbero godere di regimi di esenzione). Tale interpretazione dell’Amministrazione finanziaria meriterebbe, a nostro avviso, di essere coordinata con le libertà fondamentali stabilite in ambito comunitario che, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, possono applicarsi anche all’istituto del trust[4].

Con riferimento al rinvio all’art. 47-bis del TUIR per identificare un trusta fiscalità privilegiata”, l’Agenzia delle entrate precisa che tra i due criteri ivi previsti – quello della tassazione effettiva estera (lettera a) del comma 1) e quello dell’aliquota nominale estera (lettera b) del comma 1) – il test per l’individuazione del regime fiscale privilegiato deve essere basato esclusivamente sul criterio residuale di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 47-bis, rappresentato dal confronto tra la aliquota nominale estera e il cinquanta per cento dell’aliquota nominale italiana.

Sul punto evidenziamo che il tenore letterale dell’art. 47-bis si riferisce chiaramente a forme giuridiche estere – generalmente le società di capitali – che sono: i) fondate sulla commercialità del reddito conseguito dall’ente non residente (che si qualificherebbe, in ogni caso, come reddito d’impresa) e ii) considerate dall’ordinamento estero soggetti d’imposta autonomi (e soggette alle imposte sul reddito nello Stato di localizzazione). Il confronto nominale fra il tax rate estero e quello interno si presenta quindi complesso da effettuare in concreto con riferimento ai trust.

In quest’ambito, sarebbe quindi opportuno un ulteriore chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria volto a tenere in considerazione che non solo le aliquote d’imposta cui è soggetto un trust possono differire dall’aliquota IRES al 24% (è il caso evidenziato a pag. 17 della Bozza di Circolare con riferimento all’aliquota impositiva del 26% per la più parte dei redditi finanziari), ma altresì che lo stesso reddito di un trust è determinato secondo le norme previste per gli enti non commerciali (è il caso, ad esempio delle plusvalenze rinvenienti dalla cessione di beni immobili da oltre cinque anni: plusvalenze che potrebbero non essere tassate nello Stato di stabilimento del trust, ma che non lo sarebbero nemmeno in Italia, ove il trust fosse ivi residente, ex art. 67 del TUIR).

Inoltre, mentre i trust residenti in Italia sono soggetti passivi IRES (generalmente quali enti non commerciali), i trust esteri si caratterizzano – sovente – per un regime di trasparenza fiscale (ovverosia di assenza di soggettività fiscale)[5], ponendo tematiche non dissimili da quelle relative alle società di persone estere (in tema di determinazione del tax rate estero).

Quanto alla determinazione delle somme e valori attribuiti dai trusta fiscalità privilegiata” e tassati per cassa in capo ai beneficiari residenti nel territorio dello Stato, la Bozza di Circolare conferma che costituiscono redditi di capitale imponibili – ex art. 44, comma 1, lett. g-sexies) del TUIR – esclusivamente i redditi prodotti dal trust e non anche le attribuzioni di patrimonio. Ciò dovrebbe valere, ad avviso di chi scrive, anche laddove il patrimonio iniziale conferito in trust e attribuito ai beneficiari sia in natura (trovando applicazione esclusivamente le imposte sui trasferimenti a titolo gratuito; cfr. pag. 29 della Bozza di Circolare).

Inoltre, poiché la disposizione normativa in parola si pone nella prospettiva dei beneficiari e non di quella del trust, dovrebbero rilevare, come pare confermato dalla Agenzia delle entrate, tutte le attribuzioni (in denaro o in natura) che si qualificano quali utilità prodotte e realizzate sotto la gestione del trustee, non rilevando, a questi fini, la distinzione tra “income” e “capital” tipica della prassi contabile anglosassone in materia di trust[6].

Peraltro, a pag. 19 della Bozza di Circolare, viene affermato che il “reddito prodotto dal trust” che deve essere tassato – ove distribuito – in capo ai beneficiari residenti deve essere “determinato secondo la normativa fiscale italiana”. Tale precisazione, se da noi ben intesa, non trova riscontro nel dettato normativo e non è dunque condivisibile. Ed invero, a prescindere dall’esigenza imprescindibile di semplificazione del sistema tributario, mette conto rilevare che gli utili prodotti e realizzati dal trust non dovrebbero essere rideterminati secondo le regole fiscali che sarebbero altrimenti applicabili nel nostro ordinamento, posto che non è prevista alcuna disposizione analoga a quella di cui all’art. 167, comma 7 del TUIR (in tema di CFC).

3. Obblighi di compilazione del Quadro RW per i beneficiari di trust

La disciplina del monitoraggio fiscale di cui al D. L. 28 giugno 1990, n. 167 è stata oggetto, nel corso degli ultimi anni di modifiche legislative introdotte dal D.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 (di recepimento della IV Direttiva UE antiriciclaggio). In particolare il citato decreto legislativo ha modificato la formulazione dell’art. 4, comma 1, del D.L. n. 167/1990, il quale richiama ora i “titolari effettividell’investimento secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, lettera pp), e dall’articolo 20 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni”.

In quest’ambito, la Bozza di Circolare rammenta – condivisibilmente – che “la disciplina del monitoraggio fiscale ha la finalità di garantire il corretto adempimento degli obblighi tributari in relazione ai redditi derivanti da investimenti all’estero e da attività estere di natura finanziaria da parte di taluni soggetti residenti”.

Alla luce della ratio del monitoraggio fiscale rappresentata sopra, desta quindi perplessità la successiva precisazione dell’Amministrazione finanziaria, in cui con specifico riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale per i beneficiari di trust esteri, viene affermato che a tali fini è sufficiente che i beneficiari “siano «individuati o facilmente individuabili»“; tant’è che “qualora nell’atto di trust opaco estero o da altra documentazione risultino perfettamente individuati i beneficiari dello stesso o facilmente individuabili (ad esempio i discendenti in linea retta del disponente), questi ultimi se residenti in Italia sono soggetti all’obbligo di compilazione del quadro RW”.

Tale precisazione, a nostro avviso, non è pienamente condivisibile e meriterebbe ulteriori riflessioni. Gli obblighi di monitoraggio fiscale dovrebbero ritenersi sussistenti esclusivamente per i beneficiari individuati, ovverosia soggetti titolari del diritto (quantomeno “in potenza”) di pretendere dal trustee l’assegnazione di reddito o patrimonio. Ed invero, ad avviso di chi scrive, l’innesto delle nuove disposizioni antiriciclaggio nell’art. 4 del D. L. n. 167/1990 ha comportato come unica conseguenza la scomparsa della soglia del 25% del trust fund, al di sotto della quale la posizione del beneficiario non era, in linea di principio rilevante, senza comportare l’ampliamento degli obblighi di monitoraggio fiscale a soggetti che non vantano alcun diritto all’assegnazione del reddito e/o del patrimonio del trust[7]. Del resto, la situazione non ci pare molto dissimile da quella di un individuo che viene nominato in un testamento quale futuro erede di attività all’estero (o beneficiario di una polizza sulla vita a contenuto finanziario di diritto estero): fino a che il testatore (o il contraente della polizza) è in vita è quest’ultimo il soggetto sui quali incombono gli obblighi di monitoraggio fiscale, e non il futuro erede (o beneficiario di polizza) il quale possiede una mera aspettativa.

Tale interpretazione ci pare, inoltre, l’unica in linea:

  • con le reali finalità ricercate dal legislatore tributario in tema di monitoraggio fiscale, volte alla attribuzione di obblighi dichiarativi finalizzati alla corretta – anche se futura – imposizione ai beneficiari dei patrimoni all’estero; ed inoltre
  • con gli obblighi di monitoraggio previsti a livello sovranazionale – ci riferiamo al Common Reporting Standard – i quali prevedono che per quanto attiene specificamente ai beneficiari di un trust che si qualifica come Reporting Financial Institution, essi rilevano come titolari dell’equity interest del trust (e quindi sono oggetto di comunicazione) nella misura in cui essi hanno diritto di ricevere una distribuzione obbligatoria o nel momento in cui essi ricevono una distribuzione discrezionale. Ne consegue, quindi, che il beneficiario discrezionale – ossia un beneficiario che non ha un diritto, tutelabile in sede giurisdizionale, a ricevere una distribuzione dal trust – viene comunicato ai fini del CRS solo nel periodo di imposta in cui viene effettuata una distribuzione[8].


[1] In particolare, nella Circolare n. 61/E, veniva affermato che “alla tassazione ridotta in capo al trust corrisponderebbe, comunque, l’imposizione in capo al beneficiario residente secondo il regime del più volte citato art. 44, comma 1, lett. g-sexies), del TUIR”.

[2] In tal senso, cfr. STEP Italy, La tassazione delle distribuzioni da trust esteri, in Position paper, 17 marzo 2020; S. Massarotto, Il nuovo regime fiscale di tassazione dei beneficiari di trust non residenti opachi (nota all’art. 13 del D.L. n. 124 del 2019), Rivista della Guardia di Finanza, n. 3/2020 pagg. 774 ss.. cfr. altresì G. Zizzo, I trust non residenti tra sistema e timore di abusi, Corr. Trib., n. 4/2020, pagg. 366 ss.

[3] La natura innovativa (e non interpretativa) parrebbe confermata altresì dai lavori parlamentari in sede di conversione del Decreto Legge in esame (AC 2220), ove gli effetti sui saldi di finanza pubblica sono determinati esclusivamente a partire dal 2020.

[4] Cfr. Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea del 14 settembre 2017, C- 646/15, trust Panayi, punto 34 e le conclusioni dell’Avv. Generale del 21 dicembre 2016, punto 39, secondo cui “l’amministrazione attiva di beni altrui (…) è comunque un’attività economica autonoma”. Cfr. J. K. SZCZEPANSKI, Trusts and the fundamental freedoms – The exit tax regime in trustees of the Panayi (Case C-646/15), in European Taxation, giugno 2018, p. 237 ss.

[5] Cfr. Commentario al Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni in materia di imposte sui redditi (2017), sub art. 1, paragrafo 2.

[6] In merito alla nozione di reddito e quella di capitale secondo la prassi anglosassone in materia di trust, cfr. STEP, Accounting Guidelines, 3rd Edition (2018).

[7] Cfr. in tal senso il Documento di Studio n. 1/2018 dell’Ordine dei Dottori commercialisti ed esperi contabili di Milano. Cfr. altresì il Position Paper – Trust e obblighi di monitoraggio fiscale del 12 febbraio 2019, di STEP Italy. Diversamente occorrerebbe altresì approfondire l’operatività di una disposizione che impone, ad un soggetto che vanti una mera aspettativa di ricevere un reddito o un patrimonio dal trustee, di dover assolvere degli obblighi di monitoraggio fiscale, considerando, inoltre, che tale soggetto (i.e. il beneficiario del trust) potrebbe anche trovarsi nella situazione di non conoscere la propria posizione giuridica. In tale ottica, occorrerebbe comprendere se trovi applicazione anche con riferimento all’istituto del trust il principio generale del nostro ordinamento della “relatività del contratto” (ricavabile tra gli altri, dalla lettura, oltre che dall’art. 1411 c.c., dagli artt. 1324, 1333, 1236 e 1372 c.c.) secondo cui un soggetto terzo rispetto alle parti (dell’atto) – quale è sicuramente un beneficiario discrezionale – assume vincoli solo se presti il suo consenso e, anche allorquando con un atto dispositivo viene arrecato vantaggio ad un altro soggetto viene comunque richiesto il coinvolgimento di tale soggetto (facoltà di rifiuto). Cfr., sul punto, S. Massarotto – M. Altomare, Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e della attività estere di natura finanziaria, in AA. VV., Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Padova, 2014, p. 880 ss.

[8] Cfr. CRS, Implementation Handbook, par. n. 253.

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