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Giurisprudenza

Fideiussioni redatte secondo modello ABI: primi orientamenti del 2020 sul problema della validità

7 Febbraio 2020

Valentino Vescio di Martirano

Corte di Appello di Bari, 15 gennaio 2020, n. 45 – Pres. di Leo, Rel. Romano; Corte di Appello di Milano, 22 gennaio 2020, n. 192 – Pres. Rainieri, Rel. Catalano; Tribunale di Milano, 23 gennaio 2020, n. 610 – G.U. Ferrari

Di cosa si parla in questo articolo

1. La recente giurisprudenza di merito del Tribunale di Milano (Sentenza n. 610/2020, pubbl. il 23/01/2020) e della Corte di Appello di Bari (Sentenza n. 45/2020 pubbl. il 15/01/2020) e della Corte di Appello di Milano (Sentenza n.192 del 22/01/2020) ha avuto modo di cimentarsi nuovamente sul tema delle sorti della fideiussione che venga rilasciata sul supposto divieto di intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2 L. n. 287/1990, poiché garanzia stipulata sulla base di moduli uniformi ABI ritenuti illeciti.

Prima di sviluppare le argomentazioni spese dal tribunale meneghino e dalla corte barese, è utile considerare che esistono quattro diversi filoni interpretativi:

  • la fideiussione sarebbe nulla per nullità totale della garanzia prestata (cfr. da ultimo Cassazione civile, sez. I, 22.05.2019 n. 13846);
  • la nullità parziale coinvolgerebbe solo le sole “clausole anticoncorrenziali” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 26 Settembre 2019, n. 24044; Trib. Ancona, sentenza n. 1993 del 17.12.2018; Trib. Roma, Sentenza n. 9354/2019 pubbl. il 03/05/2019; Tribunale di Mantova, sez. II 16 gennaio 2019);
  • la nullità della fideiussione si attesterebbe a “nullità di protezione” (così, Tribunale Siena, 14 Maggio 2019);
  • la fideiussione non sarebbe attinta da alcuna invalidità (Trib. Treviso, 26 luglio 2018, n.1623; Trib. Napoli, 1° marzo 2018, n.2338; Trib. Spoleto 14 marzo 2019, n.197).

2. Come noto, tutto ebbe inizio con il noto provvedimento n. 55 del 2005, con cui la Banca d’Italia censurò lo schema di contratto di fideiussione omnibus predisposto dall’A.B.I. nel 2003 che attribuiva indebiti vantaggi alle singole banche e sfavoriva il cliente che, di contro, doveva sottostare a pattuizioni vessatorie, frutto di una intesa ritenuta anticoncorrenziale, in violazione dell’art. 2 comma 3 L. 287/1990.

Solo il caso di ricordare, in proposito, che la citata norma vieta, invero, le intese tra imprese che abbiano l’oggetto o l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale, anche fissando direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali.

3. Ebbene, secondo la prima pronuncia in commento, il Tribunale di Milano, nel ripercorrere pedissequamente le argomentazioni spese dalla Banca d’Italia nel citato provvedimento, ha osservato come l’art. 2 della L. cit. “allorché dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non abbia inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico, ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. Il legislatore, infatti, con la suddetta disposizione normativa ha inteso – in realtà ed in senso più ampio – proibire il fatto stesso della distorsione della concorrenza, che può essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”“ ed “è possibile attribuire rilievo anche a condotte di natura non negoziale (tipico l’esempio dello scambio di informazioni fra imprese operanti nel settore assicurativo, che in un caso nel quale era avvenuto in misura eccedente le finalità lecite e fisiologiche dello scambio, ha consentito di determinare l’adozione di equilibri di prezzo idonei a consentire di realizzare il massimo profitto congiunto per l’industria assicurativa nel suo complesso, integrandosi così un accordo de facto: così Cass. n. 12551/2013), ciò avviene pur sempre al fine di integrare il requisito della fattispecie, ossia l’intesa, da considerarsi non necessariamente in un accordo in senso stretto, ma più latamente in una pratica concordata, rivolta al perseguimento di un obiettivo comune.”

Ne consegue (sempre per il Tribunale di Milano) “che l’estensione della nullità dall’intesa anticoncorrenziale in senso lato, ai negozi a “valle”, frutto ed espressione di tale intesa, implica che sia assolto l’onere probatorio in ordine al collegamento esistente tra la prima e il secondo, ossia al fatto che la fideiussione omnibus prestata nel caso di specie sia stata modellata sullo schema di contratto predisposto dall’associazione di imprese con la finalità di aderire allo stesso e in tal modo escludere un ambito di differente negoziabilità (id est, un margine di concorrenzialità)…La coincidenza della clausola in contestazione con quella incriminata, in uno con la pari corrispondenza dell’intero testo contrattuale con il modulo A.B.I., giustificano una solida presunzione che la garanzia predisposta dall’istituto di credito e sottoposta alla sottoscrizione da parte dell’opponente fosse stata modellata recependo in chiave monolitica lo schema di categoria, in quanto concordato nell’interesse del sistema bancario, con esclusione di possibili differenti pattuizioni ad opera delle parti. In sostanza, quindi, la piena coincidenza della garanzia con il modello proposto dalla associazione di categoria degli istituti di credito, senza che fosse dato spazio ad alcuna forma di personalizzazione, neppure stilistica o lessicale, costituisce l’indizio più solido di una volontà del predisponente di uniformare la disciplina contrattuale delle fideiussioni omnibus nei termini più vantaggiosi per il sistema creditizio, escludendo qualsiasi differente disciplina sul mercato del credito, ossia proprio l’intento distorsivo della concorrenza che la Banca d’Italia ha riscontrato e sanzionato con riferimento alle tre clausole ritenute apportatrici di ingiustificati aprioristici vantaggi per le banche, a detrimento del regolare funzionamento del marcato.”

Tuttavia, il Tribunale di Milano ritiene di “aderire all’orientamento che circoscrive la nullità alle sole clausole riconosciute come espressione dell’illecito accordo lesivo della concorrenza, senza che tale vizio si estenda all’intera garanzia, non rispondendo tale contagio al principio di conservazione degli atti, nei limiti in cui gli stessi siano rispondenti alla lecita volontà delle parti. Nel caso di specie, infatti, non è contestato, né può essere posto in dubbio che le parti avessero intenzione di rafforzare il credito della banca attraverso la garanzia e che, quindi, questa sarebbe stata voluta e prestata anche in difetto delle clausole illecite, rispondendo comunque all’interesse negoziale di entrambi i contraenti. Se, quindi, va riconosciuta la nullità per le ragioni esposte della clausola di deroga al disposto di cui all’art. 1957 c.c., ne consegue che l’opponente può essere considerato rimasto obbligato in forza della fideiussione omnibus prestata a condizione che la banca creditrice abbia proposto le proprie istanze contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, successivamente cessando di avere efficacia detta garanzia”.

4. A questo orientamente si affianca quello della Corte di Appello di Milano, la quale ritiene che dall’accertamento della nullità parziale delle fideiussioni in violazione della disciplina antitrust non fa discendere la liberazione, neppure parziale, del fideiussiore e della relativa obbligazione di garanzia.

Sul punto, la corte meneghina anzitutto da atto che “il giudice dell’appello, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere, anche d’ufficio, ad un siffatto rilievo, allorché la disamina dei motivi di gravame imponga la cognizione del modo di essere del contratto (Cass. SS.UU., sent. 22 marzo 2017, n. 7294).

Inoltre la corte prosegue affermando che “il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico avanti l’Autorità indipendente impedisce che i fatti costitutivi della violazione della normativa in tema di concorrenza possano essere rimessi in discussione dai destinatari del provvedimento.

Secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, le conclusioni assunte dall’Autorità costituiscano una prova privilegiata in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso (Cass. SS.UU, sent.4 febbraio 2005, n. 2207; Cass. civ., se z. III, sent.2 febbraio 2007,n. 2305; Cass. civ., sez. III, ord. 22 febbraio 2010, n. 4261).

Una conclusione in tal senso poggia sull’assioma per cui “ il contratto finale tra imprenditore e consumatore costituisce il compimento stesso dell’intesa anticompe titiva tra imprenditori, la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante ““. Pertanto, benché l’accertamento stesso abbia avuto luogo in un procedimento svoltosi tra soggetti differenti, l’ABI e l’Autorità competente, deve ritenersi che la circostanza c he il singolo utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di concorrenza comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi ed un senso alla stessa istituzione dell’Autorità Garante, la piena utilizzabilità da parte lo ro, una volta accertate condotte di violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela, degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non sono stati formalmente parte “ (Cass.civ., sez. III,sent.20 giugno 2011, n. 13486)…come di recente ribadito dalla Suprema Corte, ciò che deve essere accertato dal Giudice chiamato a pronunciarsi in merito alla nullità del singolo contratto non è la diffusione del modulo ABI oggetto del provvedimento della Banca d’Italia, quanto la coincidenza delle condizioni contrattuali, di cui si dibatte, col testo espressivo della vietata intesa restrittiva ( civ .., sez. I, sent. 22 maggio 2019, n. 13846). In verità,…la norma di cui all’art. 1419 c.c., secondo cui la nullità di singole clausole contrattuali si estende all’intero contratto solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.

Proprio con riferimento ad una fattispecie analoga a quella odierna, la Suprema Corte ha di recente statuito che l’accertamento da parte della Banca d’Italia dell’illiceità di alcune clausole delle NBU non esclude “ che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ., laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle inte se illecite “ (Cass. civ., sez. I, ord. 26 settembre 2019, n. 24044)”.

5. Di più ampio avviso è la Corte di Appello di Bari, la quale osserva:

Il dato cli partenza è, perciò, costituito dall’aver la fideiussione recepito disposizioni dello schema contrattuale predisposto dall’associazione bancaria per la stipula delle cd. fideiussioni omnibus (segnatamente, artt. 2,6,8) che, «nella misura in cui venivano applicate in modo uniforme» dalle proprie associate, sono state giucticate in contrasto con l’art. 2, 2° comma, lett. a), l. n. 287 del 1990 dalla Banca d’Italia, nella qualità di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi 1 , la quale, nel suddetto provvedimento (n. 55 del 2 maggio 2005), ha altresl stabilito che l’ABI emendasse le proprie circolari dalle disposizioni vietate…Pertanto, seguendo il ragionamento della S.C., ogni qual volta il contratto di fideiussione costituisca l’applicazione del suddetto schema ABI, quel patto, ancorché anteriore al 2 maggio 2005, va dichiarato nullo…Del resto, affermare la sopravvivenza nei contratti “a valle” di una clausola oggetto di un’intesa vietata significherebbe eludere La normativa a tutela della concorrenza, che, come già detto, non è diretta soltanto agli imprenditori , ma anche agli altri soggetti del mercato ovvero in generale a chiunque possa risentire di uno specifico pregiudizio in conseguenza del venir meno della competitività del mercato, consumatore o imprenditore che sia…Non avrebbe, quindi, alcun senso affermare la nullità dell’intesa e, allo stesso tempo, la validità dei contratti stipulati in sua esecuzione….Si ritiene, pertanto, che l’obiettivo della più ampia possibile eliminazione degli effetti che l’intesa ha prodotto sul mercato sia quello decisamente più coerente con l’imperatività delle norme a tutela della concorrenza e con la tutela degli interessi generali che queste perseguono, come efficacemente sottolineato in una recente pronuncia dell’ABF di Milano del 4 luglio 2019, secondo cui la diversa soluzione, che si limiti ad eliminare, con la comminatoria di nullità, il vincolo giuridico nascente dall’intesa illecita (ed a sanzionare i colpevoli partecipanti), ma lasci sopravvivere intatti tutti gli effetti che l’intesa ha prodotto sul mercato in termini di contratti stipulati a valle dell’intesa stessa, “appare sicuramente molto poco coerente con gli obiettivi di difesa e promozione del mercato concorrenziale che sono propri del diritto antitrust”…Questa corte ritiene, pur nella consapevolezza di una giurisprudenza che sul punto appare fortemente divisa, di dar continuità all’orientamento – già espresso con il precedente arresto del 21 marzo 2018 (sent. n. 526) – favorevole alla nullità totale del contratto (nello stesso senso, c.fr. anche App. Firenze, 18 luglio 2018; App. Roma, 26 luglio 2018; T. Salemo, 23 agosto 2018; T. Fermo, 24 settembre 2018; T. Bolzano, 19 dicembre 2018; T. Belluno, 31 gennaio 2019; T. Pesaro, 21 marzo 2019; T. Siena, 14 maggio 2019; T. Taranto, 8 agosto 2019), per le ragioni che si vengono ad esporre…Innanzitutto, bisogna muovere dalla considerazione che l’indagine sulla presumibile volontà dei contraenti ha senso solo se calata nel contesto “che sarebbe esistito in assenza dell’atto principale colpito da nullità e, quindi, su un mercato non falsato dalla presenza dell’intesa: la domanda che, nel caso di specie, occorre porsi è se in un mercato ragionevolmente concorrenziale (non falsato dalla presenza dell’intesa nulla) i contraenti avrebbero raggiunto ugualmente l’accordo sul contenuto del contratto pur mutilato delle clausole in questione (in termini, provv. ABF Milano del 4.7 .19, cit.)…La risposta è inevitabilmente negativa, trattandosi di clausole che in tanto sono state giudicate dalla Banca d’Italia lesive della concorrenza in quanto incidono su aspetti essenziali del rapporto contrattuale, addossando al fideiussore “le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”. Secondo detta Autorità di vigilanza, infatti, non necessariamente la standardizzazione contrattuale produce effetti anticoncorrenziali: ciò avviene solo quando gli schemi uniformi “ostacolino la possibilità di diversificazione del prodotto offerto, anche attraverso la diffusione di clausole che, fissando condizioni contrattuali incidenti su aspetti significativi del rapporto negoziale, impediscano un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti” (v. parr. 94 ss. del provvedimento citato).

Se, quindi, la Banca d’Italia ha ritenuto di vietare le clausole in oggetto è perché queste, imponendo al garante (oneri diversi da quelli stabiliti dalle norme del codice civile, quali) la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. (art. 6) e la permanenza dell’obbligazione fideiussoria a fronte delle vicende estintive e delle cause di invalidità che possono riguardare il pagamento del debitore o la stessa obbligazione principale garantita (artt. 2 e 8), alterano significativamente l’assetto equilibrato degli interessi alla base della disciplina civilistica della fideiussione.

Peraltro dell’essenzialità di tali clausole non fa mistero neppure la stessa ABI, che, nel difendere il mantenimento della clausola c.d. “di reviviscenza” sub art. 2, sostiene si tratti di disposizione senza la quale non potrebbe attuarsi la peculiare funzione della fideiussione omnibus, ovvero quella di “garantire alla banca l’effetto solutorio definitivo, che “non potrebbe dirsi compiutamente realizzato qualora il pagamento del debitore fosse annullato, dichiarato inefficace o revocato” (v. par. 31 provv . Banca d’Italia n. 55/05).

Allo stesso modo, sempre secondo l’ABI, “la funzione indennitaria della fideiussione omnibus giustifica anche la previsione dello schema che sancisce la sopravvivenza della garanzia a fronte dell’invalidità dell’obbligazione principale. Il fideiussore, infatti, anche quando il vincolo del debitore fosse dichiarato invalido, dovrebbe garantire l’obbligo di restituzione delle somme erogate dalla banca, in modo da evitare un ingiustificato arricchimento del debitore ai danni della stessa”(v. argomentazioni ABI, sub par. 32 cit. provv. B.I.).

Ritiene, perciò questa corte che lo schema di fideiussione omnibus oggetto dell’intesa vietata assolva ad una “funzione specifica e diversa da quella della fideiussione civile”, funzione che “verrebbe meno se le clausole più significative fossero eliminate dallo schema” (v. par. 36 cit. provv. B.I.).

In definitiva senza le clauole nulle, la banca non avrebbe accettato la fideiussione, la cui funzione “indennitaria” e di garanzia del cd. “effetto solutorio definitivo” sarebbe inevitabilmente venuta meno facendo così perdere alla banca l’interesse al rilascio della garanzia.

Del resto, se così non fosse, non si spiegherebbe la ragione per cui le banche, nonostante le prescrizioni emanate dalla Banca d’Italia, abbiano continuato a richiedere il rilascio di fideiussioni mediante i moduli contrattuali contenenti le clausole nulle.

Né può, in senso contrario, semplicisticamente affermarsi che la banca avrebbe preferito comunque stipulare il contratto, pur emendato dalle clausole incriminate piuttosto che non farsi rilasciare alcuna garanzia.

Ed infatti, come significativamente messo in evidenza dall’ABF nella citata pronuncia del 2019, “il ragionamento del tipo meglio poco che niente” non tiene: “esso può essere vero a posteriori nelle condizioni odierne, in cui si tratta di prendere o lasciare (ma ciò ai fini dell’applicazione dell’art. 1419 cod. civ. è palesemente irrilevante).

Non è invece vero ex ante, quando la banca avrebbe dovuto fare i conti con la concorrenza e con la possibilità di ristrutturare le condizioni a cui offriva il credito, prima ancora che le garanzie (del resto, mantenendo il ragionamento al livello più banale possibile, è ben difficile immaginare che le imprese si diano tanta pena e corrano tanti rischi per fare intese su condizioni contrattuali in fondo marginali di cui potrebbero fare tranquillamente a meno senza rilevanti conseguenze)”.

Pertanto, “dal punto di vista della Banca, l’impossibilità di scaricare alcuni costi sul cliente avrebbe richiesto una complessiva ristrutturazione della sua attività e anche della sua politica contrattuale, non solo con riferimento alla garanzia, ma anche con riferimento all’erogazione del credito (in un mercato concorrenziale le banche dovrebbero competere anche sul piano della riduzione dei costi, che non possono più scaricare sulle controparti, e sul piano della ricerca delle migliori combinazioni tra rischi del credito, costi del medesimo e coperture realizzabili attraverso garanzie)”.

Escluso, quindi, che un contratto identico a quello stipulato, ma privo delle clausole nulle, sarebbe stato proposto dalla banca, va dichiarata la nullità dei dedotti contratti di fideiussione ai sensi dell’art. 1419, 1° co., c.c. (sul punto, v. Cass. 24044/ 19).

 

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