La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con pronuncia n. 18834 del 10 luglio 2025, in tema di clausole vessatorie di una fideiussione a garanzia di un mutuo concesso ad una società commerciale, si è pronunciata sul sindacato di vessatorietà di clausole di una fideiussione redatta in un atto pubblico.
Nel caso di specie veniva contestato che integrassero clausole vessatorie, secondo il codice del consumo, le disposizioni della fideiussione che limitavano la facoltà, in capo al garante, di opporre eccezioni, come anche il suo potere di far valere la decadenza di cui all’art. 1957 C.c., la maggiorazione prevista in contratto in caso di mora e le relative penali e maggiorazioni, nonché le rinunce ai diritti sanciti dal codice civile; clausole che, per essere efficaci ed applicabili, dovevano essere oggetto della prova di un’intercorsa specifica trattativa fra le parti.
La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ritenuto che la violazione del codice del consumatore richieda che si tratti di consumatore, ovvero della persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, ipotesi non ricorrente nel caso di specie, atteso che il contratto azionato è stato acceso a garanzia della società esercente attività commerciale: pertanto, non sarebbe stato applicabile ai due fideiussori la disciplina del codice del consumatore, non potendosi ritenere gli stessi tali, avendo agito per scopi funzionali all’attività commerciale svolta dalla società, debitrice principale.
Fideiussione a garanzia di mutuo in favore di una società a clausole vessatorie
La Cassazione ricorda preliminarmente che, nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (Corte giust. UE 19 novembre 2015, C-74/15, Tarcau, e Corte giust. UE 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitras): si deve quindi ritenere consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio).
Nella fideiussione stipulata da un socio in favore della società, devono quindi essere valutate le parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), verificando in particolare:
- l’entità della partecipazione al capitale sociale
- la qualità di amministratore della società garantita assunta dal fideiussore.
Per la Cassazione, la decisione impugnata, pertanto, per cui l’applicazione di tale disciplina di tutela del consumatore al contratto di garanzia è negata in ragione della funzionalizzazione di questo all’attività commerciale svolta dal garantito, che è un imprenditore commerciale, si rivela errata in quanto espressione di una visione superata.
Vessatorietà della fideiussione redatta a mezzo atto pubblico
Inoltre, non appare neppure concludente l’argomento della Corte territoriale per cui le clausole in contestazione, in quanto inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, non potrebbero considerarsi predisposte dal contraente.
Il ragionamento è svolto tuttavia con riferimento alle clausole vessatorie previste dal codice civile, le quali, se inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, qualora si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possano considerarsi come predisposte dal contraente medesimo ai sensi dell’art. 1341 C.c. e, pertanto, pur se vessatorie, non necessitano di specifica approvazione.
La disciplina a tutela del consumatore esige, tuttavia, considerazioni differenti: l’ultimo comma dell’art. 34 c. cons. dispone che nel contratto concluso mediante la sottoscrizione di moduli e formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole della fideiussione siano stati oggetto di specifica trattativa e quindi non siano vessatorie.
Ciò non significa, tuttavia, che nel caso di contratti diversi da quelli standard, incomba al consumatore che agisce in giudizio dare la prova negativa riguardo alla trattativa, che non costituisce elemento costitutivo della vessatorietà, bensì rileva quale presupposto oggettivo di esclusione dell’applicazione della disciplina di tutela in questione: opera, cioè come fatto impeditivo.
Pertanto, mentre incombe al consumatore che agisce in giudizio per la declaratoria di inefficacia della clausola allegare e provare che il contratto è stato predisposto dal professionista che lo utilizza nel quadro della sua attività professionale, e che le clausole costituenti il contenuto del contratto di fideiussione corrispondono a quelle vessatorie di cui dell’art. 33, c. 2, e 36, c. 2, c. cons., compete in ogni caso al professionista dare la prova positiva di tale fatto impeditivo, integrato dallo svolgimento di una trattativa connotata dai connotati della individualità, della serietà e dell’effettività.
La disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 34 cit. non deve quindi indurre a credere che la distribuzione dell’onere probatorio ivi prevista operi solo con riguardo ai negozi conclusi con l’uso di moduli o formulari: la giurisprudenza non distingue, con riguardo alla tematica che interessa, tra contratti standard e contratti predisposti per singoli affari.
La regola non subisce deviazioni nella particolare ipotesi in cui il contratto sia concluso nella forma dell’atto pubblico.
La Corte si era già pronunciata in merito alla predisposizione del testo contrattuale da un notaio o da altri professionisti, rilevando che l’applicabilità della disciplina consumeristica può escludersi se e in quanto il consumatore abbia avuto la possibilità di concretamente incidere, anche provocandone la modifica o l’integrazione, sul contenuto del contratto da tali soggetti predisposto (Cass. n. 4140/2024).
La Corte aderisce a tale orientamento: se è vero, infatti, che la legge notarile (L. 89/1913) predispone particolari accortezze per la redazione dell’atto, imponendo ad esempio al notaio di indagare la volontà delle parti, di curare sotto la propria direzione e responsabilità la compilazione integrale dell’atto stesso (art. 47, comma 2), oltre che di darne lettura (art. 51, n. 8) e di assicurarne la sottoscrizione in margine di ciascun foglio (art. 51, n. 12), l’intervento del notaio non implica affatto che il contratto sia oggetto di trattativa, segnatamente, di una trattativa qualificata da individualità, serietà ed effettività.
Nulla esclude, in particolare, che il testo della clausola vessatoria, per conosciuto dal consumatore e reso più chiaro dall’intervento del notaio, sia frutto di una imposizione unilaterale e non costituisca pertanto espressione di una trattativa che presenti le richiamate caratteristiche: la stipula del contratto con atto pubblico notarile non è in conclusione circostanza in sé idonea a far ritenere che una o più clausole del contratto stesso siano state oggetto di trattativa individuale, seria ed effettiva e non esime pertanto il professionista dal fornire una prova in tal senso.
La Corte cassa quindi la decisione e rinvia alla Corte territoriale per una nuova decisione in diversa composizione.