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Attualità

Decreto liquidità, cancellazione di società e fallimento

18 Novembre 2020

Francesco Autelitano, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il decreto ex art. 15 l. fall. cui è dedicato il presente commento (Tribunale di Verbania, 2 novembre 2020) affronta ex professo la questione inerente al computo del termine di decadenza di un anno dalla cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, entro il quale la società stessa può essere dichiarata fallita, e agli effetti che su tale computo sono determinati dalla normativa introdotta nel periodo di emergenza sanitaria da Covid-19 (art. 10, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. in legge 5 giugno 2020, n. 40, c.d. decreto liquidità).

2. Nel caso di specie, la società debitrice (costituita da una s.r.l. in liquidazione) è stata cancellata dal registro delle imprese in data 16 agosto 2019.

Nei confronti della stessa è stato presentato, dinanzi al Tribunale di Verbania, ricorso per la dichiarazione di fallimento, da parte di un creditore che ha dedotto la non avvenuta soddisfazione del proprio credito.

L’udienza di discussione dell’istanza (27 ottobre 2020) si è tenuta allorchè era già decorso più di un anno dalla cancellazione della società debitrice dal registro delle imprese (oltre il quale, ai sensi dell’art. 10 l. fall., non può più essere dichiarato il fallimento).

Il deposito del ricorso è invece avvenuto anteriormente all’anno dalla cancellazione, ma posteriormente al 30 giugno 2020, termine finale del periodo di improcedibilità stabilito dalla normativa emergenziale, su cui si è soffermato il Tribunale, come appresso precisato.

3. Il primo comma dell’art. 10 del decreto liquidità prevede che “tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili”.

Il terzo comma soggiunge che “quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo di cui al comma 1 fa seguito, entro il 30 settembre 2020, la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma 1 non viene computato nei termini di cui agli articoli 10, 64, 65, 67, primo e secondo comma, 69-bis e 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.

Il periodo di improcedibilità è, dunque, pari a 114 giorni (dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020) periodo che, secondo l’espressa previsione del legislatore, non si computa nel termine di un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, nei soli casi in cui il ricorso per la dichiarazione di fallimento è stato presentato durante il medesimo arco temporale e sempre che la dichiarazione di fallimento sia pronunciata entro il 30 settembre 2020.

4. Il provvedimento qui commentato ha preso in esame l’ipotesi di interpretare la normativa emergenziale nel senso di considerare – in ogni caso – sospeso il decorso del termine annuale di cui all’art 10 l. fall. per un periodo di 114 giorni, il che, secondo la tesi della parte istante, avrebbe consentito di ritenere non ancora decorso tale termine. Quest’ultimo come detto era infatti scaduto il 16 agosto 2020 e, tuttavia, aggiungendo, in ipotesi, il periodo di 114 giorni, sarebbe risultato ancora vigente al momento della decisione sull’istanza di fallimento.

5. I Giudici hanno affermato che tale interpretazione non ha fondamento, essendo in contrasto con il chiaro tenore dell’anzidetta disciplina emergenziale, che prevede due condizioni congiunte affinchè operi l’improcedibilità:

– la prima è che il ricorso per la dichiarazione di fallimento sia stato in concreto depositato tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, il che nel caso di specie non era avvenuto;

– la seconda condizione è che la sentenza dichiarativa di fallimento (sul ricorso presentato nel periodo anzidetto) intervenga entro il 30 settembre 2020, e anche tale requisito risultava insussistente nella fattispecie dedotta in giudizio.

6. Il Collegio ha inoltre esaminato la sopra descritta disciplina alla luce dei principi costituzionali, al fine di verificare l’ulteriore profilo dell’ipotizzata illegittimità della stessa.

Anche tale prospettiva è stata motivatamente disattesa dal Tribunale, che ha rilevato la manifesta conformità delle norme di legge citate ai principi della Costituzione.

In proposito, il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento ha puntualmente osservato, in modo condivisibile, che nell’esercizio della propria discrezionalità, il legislatore, così come per l’art. 10 l. fall. ha previsto per l’emissione di una sentenza dichiarativa di fallimento il termine di un anno dalla cancellazione della società, ugualmente ha voluto ridurre i tempi anche per il recupero di iniziative fallimentari successive al c.d. “periodo di improcedibilità per covid” prevedendo che il procedimento prefallimentare dovesse concludersi con una declaratoria di fallimento entro il 30 settembre 2020.

Il che risponde, sottolineano ancora i Giudici, alla medesima ratio che ispira l’art. 10 l. fall. che non è tutta incentrata nella tutela dell’interesse del creditore, ma è volta al contemperamento di tale interesse con l’interesse pubblico alla certezza delle situazioni giuridiche, realizzato attraverso la previsione dell’anno per la conclusione del procedimento prefallimentare.

7. Nell’evidenziare ulteriormente che l’indirizzo legislativo nella materia di cui si tratta non è in alcun modo ispirato da una logica di tutela esclusiva della prospettiva del creditore, il Collegio osserva altresì, opportunamente, che il termine di decadenza annuale per la dichiarazione di fallimento della società cancellata non subisce effetto interruttivo dal deposito del ricorso da parte del creditore, come insegna l’orientamento consolidato in giurisprudenza e dottrina.

Orientamento condiviso dal Tribunale il quale, oltre ad esaminare le nuove questioni di cui sopra, ha, dunque, escluso che la domanda di fallimento abbia effetto interruttivo sul termine decadenziale annuale previsto dall’art. 10 l. fall., riaffermando il principio secondo cui il termine annuale, entro cui deve essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore ritirato o del socio illimitatamente responsabile cessato, ai sensi degli art. 10 e 147, secondo comma, l. fall., non è assimilabile alla prescrizione, in quanto trova giustificazione nell’interesse alla certezza delle situazioni giuridiche, che verrebbe frustrato ove fosse sufficiente, entro l’anno, la mera presentazione dell’istanza: pertanto, il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento e la pendenza del relativo procedimento non ne interrompono il decorso, risultando inapplicabili gli artt. 2943 e 2945 cod. civ. (conf. ex plurimis Cass., 25 ottobre 2013, n. 24199).

8. Da ultimo si rileva che il provvedimento giurisdizionale qui commentato ha avuto modo di affrontare anche la questione inerente alla prosecuzione dell’attività d’impresa, dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Circostanza che, ove dimostrata, avrebbe consentito, secondo la tesi della parte istante, di pervenire alla dichiarazione di fallimento nonostante il decorso del termine di un anno ex art. 10 l. fall., in quanto si tratterebbe di società da considerarsi a tutti gli effetti esistente.

Al riguardo, il Tribunale, oltre a rilevare la non dimostrazione, in concreto, nel caso di specie, dell’invocata prosecuzione dell’impresa, ha evidenziato che la tesi è infondata, in linea generale e in punto di diritto, stante il limite legale di cui al secondo comma dell’art. 10 l. fall., sulla base del quale “in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma”.

Nella fattispecie del caso concreto, prosegue la motivazione del Tribunale, l’impresa della cui cancellazione trattasi è una s.r.l., cioè un imprenditore collettivo, per il quale la dimostrazione di una diversa data di cessazione fattuale dell’esercizio dell’impresa avrebbe potuto avere ingresso solo in caso di sua cancellazione d’ufficio.

Ciò in virtù della richiamata diversità di disciplina, tra l’impresa individuale e quella collettiva, avente ad oggetto la possibilità di provare una effettiva prosecuzione dell’attività imprenditoriale (a prescindere dalla formale cancellazione della impresa) diversità che si fonda sulla diversa natura – “costitutiva” e rispettivamente “dichiarativa” – assunta dalla iscrizione della cancellazione medesima, a seconda che essa riguardi una impresa individuale oppure una impresa organizzata in forma societaria, sia essa una società di persone o di capitali.

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