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La decorrenza del termine di prescrizione nei giudizi di risarcimento del danno derivante da operazioni di investimento: perché l’eccezione non può essere la regola

17 Novembre 2015

Benedetta Musco Carbonaro, partner, Pietro Lorenzi, avvocato, Studio legale Zitiello e Associati

1. Premessa

La questione del momento da cui far decorrere il termine prescrizionale nelle azioni risarcitorie promosse nei confronti degli intermediari tramite i quali sono state disposte operazioni di investimento che hanno determinato delle minusvalenze a danno degli investitori, pur essendo all’evidenza oltremodo rilevante, è allo stato tutt’altro che pacifica e, anzi, costituisce un tema nodale in tale tipologia di contenziosi che, tuttavia, non sembra essere stato ancora compiutamente trattato dalla giurisprudenza. In particolare, a nostro avviso, il profilo della prescrizione è stato frettolosamente considerato non tanto nell’ottica ed al fine di inquadrare il tema secondo i principi generali della materia, quanto piuttosto con approccio che non esiteremmo a definire quasi “emotivo” e, in ogni caso, non sufficientemente rigoroso.

Per dare un’idea dell’assoluta diversità di orientamenti al riguardo basti considerare che il Tribunale di Lucca, in una controversia avente ad oggetto l’acquisto di obbligazioni Argentina, ha respinto l’eccezione della banca di intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria proposta dall’investitore, che faceva decorrere il relativo termine dalla data di conferimento degli ordini, assumendo l’erroneità della tesi in quanto la decorrenza del termine prescrizionale si dovrebbe “collegare non a quel momento e neppure al dicembre 2001, quando lo Stato argentino dichiarò la moratoria sul debito congelando il pagamento degli interessi e sospendendo il rimborso dei capitali in scadenza, ma al febbraio 2005, allorché lo Stato argentino mise i bond fuori mercato” (cfr. Trib. Lucca 13 agosto 2014, n. 1276). Peraltro il giudice è giunto a questa conclusione in maniera assolutamente autoreferenziale e senza argomentare alcunché sul punto, quasi affermando un principio di diritto ritenuto pacifico.

Qualche mese prima il Tribunale di Torino, accogliendo l’eccezione di prescrizione della domanda di nullità dell’operazione di investimento contestata dal cliente, sempre in una causa avente ad oggetto bond Argentina, ha precisato che in caso di azione di ripetizione si “prescinde dalla verificazione del danno, e cioè dal default dichiarato da Repubblica Argentina, in quanto sul presupposto della nullità per difetto di forma scritta del contratto quadro è volta ad ottenere la conseguente restituzione delle somme investite, ma non a titolo di risarcimento del danno, bensì di ripetizione dell’indebito, dunque indipendentemente ed a prescindere dal mancato rimborso dei titoli, da cui, dunque, non può farsi decorrere il termine di prescrizione della azione di ripetizione di indebito” (Trib. Torino 19 aprile 2013; analogamente Trib. Vercelli 13 luglio 2015, n. 1307). Secondo questa impostazione, dunque, mentre in caso di azioni di ripetizione il termine di prescrizione decorre pacificamente dal momento del pagamento, ossia dall’acquisto dei titoli, nelle azioni risarcitorie il termine di prescrizione decorre dal verificarsi del danno, momento che secondo il Giudice di Torino coincide con il “mancato rimborso dei titoli” ossia con il default dell’emittente.

Vi sono poi pronunce dei Tribunali di Arezzo e di Viterbo (cfr. infra) che, dal nostro punto di vista correttamente, fanno decorrere il termine di prescrizione anche in caso di azioni risarcitorie dalla data di esecuzione dell’operazione di investimento.

È chiaro quindi che il tema della prescrizione nelle azioni risarcitorie in cause aventi ad oggetto operazioni di investimento poi rivelatesi pregiudizievoli è tutt’altro che pacifico e merita quindi, a nostro avviso, un tentativo di approfondimento.

Si premette che nelle controversie aventi ad oggetto investimenti in titoli in default gli investitori solitamente lamentano l’inosservanza, da parte dell’intermediario, della normativa contenuta nel TUF e nei relativi regolamenti attuativi. In particolare, nella quasi generalità dei casi i clienti contestano la presunta violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, l’inadeguatezza e/o inappropriatezza dell’investimento rispetto al loro profilo di rischio e la sussistenza di conflitti di interessi non illustrati o segnalati, ossia, nella sostanza, una serie di inadempimenti che riguardano pacificamente il momento del conferimento dell’ordine di acquisto.

È evidente che in tali ipotesi la responsabilità dell’intermediario è di natura contrattuale in quanto, come noto, gli ordini di borsa costituiscono meri atti esecutivi del contratto per la prestazione dei servizi di investimento previamente concluso tra l’intermediario e l’investitore che, stante la sua natura di “contratto quadro”, deve essere ricondotto nella fattispecie generale del contratto di mandato. Trattasi di principio che si rinviene anche nelle note sentenze del 2007 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, laddove si afferma che in tema di intermediazione finanziaria“la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo … a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto (i.e. del contratto quadro), ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria” (cfr. Cass. SU, 19 dicembre 2007, n. 26725).

La responsabilità risarcitoria dell’intermediario per la violazione di norme di condotta afferenti il momento di conferimento degli ordini di borsa, essendo, come visto, di natura contrattuale, è pacificamente assoggettata al termine prescrizionale ordinario di cui all’art. 2946 c.c., ossia dieci anni.

Tuttavia, per quanto la natura contrattuale della responsabilità dell’intermediario sia pacifica, altrettanta certezza non vi è circa l’individuazione del dies a quo ai fini della decorrenza del termine di prescrizione.

2. Il principio generale e l’orientamento della Corte di Cassazione

L’art. 2935 c.c., rubricato “Decorrenza della prescrizione”, come noto dispone che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

L’evidente non esaustività del tenore testuale della norma in esame è stato colmato dalla giurisprudenza di legittimità, che si è sforzata di individuare il momento in cui “il diritto può essere fatto valere”, ossia il dies a quo da cui il termine prescrizionale decorre.

La Corte di Cassazione ha più volte stabilito che, al pari di quanto previsto per la responsabilità aquiliana, “in tema di danno contrattuale – al fine di determinare il dies a quo della prescrizione – occorre verificare il momento in cui si sia prodotto nella sfera patrimoniale del creditore il danno causato dal colpevole inadempimento” del debitore (cfr. Cass. 5 aprile 2012, n. 5504), assumendo dunque, nella sostanza, che sia nel caso responsabilità extracontrattuale che contrattualela prescrizione“non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento” e, conseguentemente, che“la prescrizione dell’azione di responsabilità contrattuale non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento” (cfr. Cass. 5 dicembre 2011, n. 26020; in tal senso, ex multis, Cass. 11 settembre 2007 n. 19022; Cass. 29 agosto 2003, n. 12266).

Sebbene quello appena illustrato sia l’orientamento prevalente, si segnala che non sono mancate sentenze di legittimità più risalenti che hanno espresso principi di diritto differenti. In particolare la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1547 del 2004, ha ritenuto che il termine prescrizionale decorra dalla data dell’inadempimento in quanto “una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consente… di procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere, se non nell’ipotesi d’impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi d’inadempimento di fatto…al quale genere va ricondotta l’ignoranza del titolare, colpevole o meno ch’essa sia…salvo derivi da un comportamento doloso della controparte come desumibile dalla ratio dell’art. 2941 n. 8 c.c.” (cfr. Cass. 28 gennaio 2004, n. 1547).

3. La decorrenza del termine di prescrizione nelle cause di intermediazione finanziaria

L’orientamento di legittimità prevalente, maturato nell’ambito della responsabilità extracontrattuale e del danno alla persona, non sembra potersi attagliare alle azioni di risarcimento del danno derivanti da operazioni di investimento, in quanto in tali controversie non è affatto agevole individuare il momento in cui si è prodotto il danno nella sfera patrimoniale dell’investitore, ossia quello idoneo a rappresentare il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale.

Le operazioni di investimento hanno infatti ad oggetto strumenti o prodotti finanziari la cui valorizzazione, per loro intrinseca natura, è soggetta a costanti variazioni di valore al rialzo o al ribasso in base all’andamento del mercato. È dunque estremamente difficoltoso individuare un momento “istituzionale” in cui il presunto inadempimento dell’intermediario abbia causato un danno all’investitore, considerando anche che il danno (ossia la perdita), oltre a poter aumentare o diminuire nel tempo, può anche essere poi annullato dal successivo aumento di valore dello strumento finanziario, tranne nel caso – ovviamente – in cui l’investitore abbia venduto i titoli oggetto di causa, cristallizzando in tal modo la minusvalenza.

La più recente giurisprudenza in materia di intermediazione finanziaria, certamente anche perché fiorita a seguito dei noti crack Argentina, Cirio, Parmalat e successivamente Lehman, ha spesso indicato quale momento in cui il danno si sarebbe verificato, e dal quale dunque decorrerebbe il termine prescrizionale, quello della dichiarazione di insolvenza dell’emittente, ossia quello del default, poiché si è ritenuto che in quel momento si sia verificata la perdita di valore dei titoli.

Oltre a contrastare vistosamente con la ratio della prescrizione che, come noto, è volta a garantire la certezza dei rapporti giuridici, la tesi in esame non convince in generale perché impedisce di collocare il dies a quo di decorrenza in un momento certo e, soprattutto, non meramente eventuale.

Del resto, volendo collegare necessariamente l’esperibilità dell’azione risarcitoria al momento in cui si verifica una perdita di valore dello strumento finanziario detenuto dall’investitore, è chiaro che il principio dovrebbe trovare applicazione in generale, e quindi non solo agli investimenti in titoli poi caduti in default. In altri termini, la regola dovrebbe essere la stessa per qualunque investimento, mentre la giurisprudenza sul c.d. “risparmio tradito” ha di fatto costruito la regola sull’eccezione, ossia appunto sui titoli in default.

Ebbene, è proprio la ricerca di un criterio di applicazione generale che dimostra in modo incontrovertibile l’erroneità del criterio applicato nelle cause relative ad investimenti in strumenti finanziari interessati da default.

Basta infatti ampliare il perimetro del ragionamento per comprendere che la tesi secondo cui il termine prescrizionale inizierebbe a decorrere da quando i titoli, successivamente all’acquisto, registrino per la prima volta un valore inferiore rispetto al prezzo di acquisto non è in alcun modo accettabile. Qualora infatti la differenza del prezzo di acquisto dei titoli ed il loro valore attuale sia minima, questa magari neppure porrebbe l’investitore nella concreta consapevolezza di aver subito un danno, danno che, seppur potenziale per la variabilità del valore dei titoli (e quindi giuridicamente non risarcibile), nell’attualità si sarebbe comunque verificato. A ciò si aggiunga che i titoli, successivamente alla loro svalutazione, ben potrebbero aumentare di valore rispetto al momento del loro acquisto, circostanza che comporterebbe l’azzeramento del danno potenziale precedentemente verificatosi con ulteriore incertezza sull’inizio della decorrenza del termine prescrizionale.

Non si può neppure ritenere che la prescrizione decorra dal momento in cui l’investitore, ancora titolare dei titoli, abbia subito una perdita più consistente che, con ogni probabilità, non potrà essere recuperata neppure in caso di andamento favorevole del mercato. Non vi sono infatti riferimenti normativi idonei a stabilire il momento in cui la perdita sia di una rilevanza tale da porre l’investitore nella consapevolezza di aver subito un danno, rendendo dunque di difficile (per non dire impossibile) individuazione il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. È evidente peraltro che il momento di verificazione del danno non può certo essere individuato dall’investitore, in quanto ciò significherebbe rimettere l’inizio della decorrenza del termine prescrizionale all’arbitrio del preteso danneggiato.

È inoltre d’obbligo considerare che, sino a quando l’investitore detiene i titoli, il danno dallo stesso lamentato è in realtà potenziale, ossia suscettibile di essere azzerato o comunque ridotto in caso di successivo andamento rialzista del mercato, ovvero in caso di procedure concorsuali degli emittenti dei titoli in default che prevedano il rimborso, almeno parziale, dei titoli stessi: al riguardo basti pensare che le obbligazioni Argentina, il cui valore post default era pari a zero, hanno recentemente raggiunto quotazioni prossime al prezzo di emissione, azzerando quasi completamente la perdita lamentata dai loro detentori. Analogamente la procedura di Chapter 11 di Lehman Brothers ha consentito sino ad ora agli investitori di recuperare oltre il 45% del nominale investito.

È dunque evidente che, perché possa parlarsi di danno concreto, attuale ed irreversibile idoneo a costituire il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, l’investitore deve avere venduto i titoli, eliminando così la possibilità che il danno possa venire meno. Altrettanto evidente è però il fatto che non è possibile ritenere che la prescrizione decorra dalla vendita dei titoli, poiché si rimetterebbe al mero arbitrio dell’investitore l’inizio della decorrenza del termine prescrizionale, frustrando così in maniera inaccettabile l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici. Qualora tale tesi venisse avvalorata l’intermediario si troverebbe infatti soggetto al volere del cliente, che ben potrebbe decidere di alienare i titoli acquistati svariati anni dopo l’acquisto, prolungando a suo piacimento il giorno di inizio di decorrenza della prescrizione a discapito dell’intermediario che verrebbe lasciato nell’incertezza. Per esemplificare gli aberranti effetti a cui condurrebbe l’applicazione della tesi in esame basti considerare che, qualora l’investitore dopo aver acquistato dei titoli li detenga per 15 anni e li venda in perdita, questo avrebbe diritto di chiedere all’intermediario il risarcimento dei danni patiti sino a 25 anni dopo l’acquisto, svilendo di fatto il limite temporale di dieci anni stabilito dal legislatore.

Come detto parte della giurisprudenza di merito, ben consapevole dei problemi afferenti l’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, ha ritenuto di farlo decorrere dal default dell’emittente. Il Tribunale di Milano, in una controversia avente ad oggetto obbligazioni emesse dalla repubblica Argentina, ha ritenuto che “il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione va individuato nel momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, ex art. 2935 cod. civ., ossia, per il diritto risarcitorio, nel momento in cui la produzione del danno si è manifestata all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere. Nel caso in esame, il danno si è manifestato per gli attori al momento del default dell’Argentina del dicembre 2001 e da tale data decorre il termine di prescrizione” (Trib. Milano 14 maggio 2012, n. 5495).

Con sentenza ancor più recente in materia di obbligazioni Argentina il Tribunale di Torino, sul presupposto che “il diritto al risarcimento del danno per inadempimento agli obblighi informativi gravanti sull’intermediario poteva essere esercitato (art. 2932 c.c.) dal giorno in cui si è verificato il pregiudizio in conseguenza del dedotto inadempimento” e che “trattandosi dell’inosservanza di doveri (di informazione, di valutazione di adeguatezza, etc.) che l’intermediario era tenuto ad adempiere prima (e/o al momento) della conclusione del contratto di investimento, il diritto al risarcimento poteva essere esercitato a partire dal momento in cui, a causa dell’(asserito) inadempimento di questi doveri, si è verificato il danno”, ha consolidato il proprio orientamento affermando che “è incontestabile che il danno si sia verificato nel momento in cui lo Stato argentino ha dichiarato di non rimborsare le obbligazioni emesse, proclamando la “moratoria sul debito” (data del c.c. default); è infatti in questo momento che l’investitore ha perso la possibilità di ottenere – a causa di un provvedimento restrittivo emanato dal Paese emittente – il rimborso dei suoi titoli alla scadenza previsto”, stabilendo dunque che il termine prescrizionale inizi a decorrere dalla data del default (cfr. Trib. Torino 24 novembre 2014, n. 7488).

Il filone giurisprudenziale in esame non sembra tuttavia condivisibile in quanto assume un evento eccezionale e patologico, ossia il default dell’emittente, quale momento di decorrenza del termine prescrizionale. È infatti opportuno evidenziare nuovamente che, sebbene buona parte delle controversie in materia di intermediazione finanziaria riguardi titoli in default, tale evento si è concretamente verificato in pochissime occasioni, in quanto il destino della maggioranza dei titoli immessi sul mercato non è certo quello di “assistere” alla dichiarazione di insolvenza dell’emittente, bensì di essere rimborsati, scambiati o comunque di continuare a rappresentare il capitale di rischio di società in bonis. È parimenti evidente che non tutte le operazioni di investimento che hanno causato delle perdite agli investitori sono conseguenza del default dell’emittente, ben potendo invece derivare dal semplice andamento sfavorevole del mercato. I default che hanno interessato la Repubblica Argentina, i Gruppi Cirio e Parmalat e la banca d’affari americana Lehman Brothers sono e rimangono dunque eventi eccezionali, che proprio per questo hanno avuto una rilevanza mediatica notevole.

L’errore della tesi secondo cui il termine prescrizionale decorre dalla data del default dell’emittente è dunque evidente: un fatto eccezionale e meramente eventuale qual è il default dell’emittente non può per definizione assumere il ruolo di elemento imprescindibile del principio di diritto enunciato. Ciò è comprovato dall’ontologica inidoneità della tesi in esame ad individuare il momento di decorrenza del termine di prescrizione in tutte quelle operazioni di investimento che non si sono risolte nel default dell’emittente ma in cui si è comunque verificata una perdita di valore dei titoli acquistati e che sono, lo si ribadisce, la stragrande maggioranza. È infatti evidente che non si può certo ritenere che in assenza di default, evento come detto eccezionale ed incerto, il termine prescrizionale non inizi mai a decorrere, salvo voler ritenere l’imprescrittibilità del diritto degli investitori, tesi evidentemente insostenibile.

Per completezza espositiva si segnala che il Tribunale di Novara, pronunciandosi su una domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. proposta nei confronti della Consob da un investitore che lamentava la mancata vigilanza in relazione alla negoziazione di obbligazioni Argentina, confermando un suo precedente orientamento ha affermato che “il dies a quo non possa individuarsi né nel momento dell’acquisto dei titoli né nel momento in cui è stato dichiarato il default dello Stato argentino, ovvero la sospensione del pagamento dei flussi cedolari da parte dell’emittente, intervenuto il 24 dicembre 2001. Infatti solo con l’offerta pubblica di scambio intervenuta al principio del 2005 si può ritenere acquisita la piena consapevolezza del mancato rimborso dei titoli ovvero che l’Argentina non avrebbe ripreso i pagamenti per nessuna serie di obbligazioni esistenti in circolazione dopo la conclusione dell’offerta di scambio”. A sostegno di tale pronuncia il Tribunale piemontese ha ritenuto che “nel dicembre 2001 aveva inizio solo una situazione di incertezza circa le sorti dei titoli obbligazionari in circolazione, ma non poteva dirsi acquisita una chiara e sicura conoscenza del danno vale a dire della perdita del capitale investito” (Trib. Novara 3 giugno 2011 n. 457).

Premesso che la pronuncia in esame ha ad oggetto una responsabilità ex art. 2043 c.c., responsabilità che, come visto, non è configurabile nelle controversie aventi ad oggetto operazioni di acquisto di strumenti finanziari poste in essere dai clienti nell’ambito dei rapporti contrattuali di prestazione dei servizi di investimento prestati dagli intermediari, si osserva comunque che il principio di diritto espresso circa il momento di verificazione del danno ben potrebbe essere recepito anche nel tipo di controversie in esame, rendendo in sostanza il lancio dell’offerta pubblica di scambio il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale nelle controversie insorte tra intermediario e clienti.

Fermo restando che la pronuncia in commento si scontra palesemente con il principio di certezza dei rapporti giuridici, avendo nella sostanza procrastinato la decorrenza del termine prescrizionale per altri quattro anni dopo il default (evento già di per sé eventuale, come già sottolineato), è chiaro che l’erroneità dell’orientamento in esame è stata platealmente svelata nei fatti dalla valorizzazione raggiunta dai titoli argentini nel corso del 2014 che, come già anticipato, hanno recuperato oltre il 95% del loro valore nominale. Nonostante quanto sostenuto dal Tribunale di Novara, dunque, neppure l’offerta pubblica di scambio lanciata dalla Repubblica Argentina ha garantito “una chiara e sicura conoscenza del danno, vale a dire la perdita del capitale investito”, in quanto il danno è stato sensibilmente ridotto dall’andamento del mercato e in certi momenti è stato di fatto praticamente azzerato, e ciò nonostante il dichiarato dissesto dell’emittente. Si ricorda che analogo orientamento è stato espresso anche nella già citata sentenza del Tribunale di Lucca, che peraltro si è fondata su un presupposto fattuale palesemente errato ossia la presunta “mesa fuori mercato” dei bond in default. In realtà, infatti, i bond Argentina non sono stati affatto messi “fuori mercato” nel 2005, ossia quando è stata lanciata la prima Offerta Pubblica di Scambio dall’emittente, e ciò è tanto vero che proprio recentemente i vecchi bond Argentina in default hanno registrato significativi apprezzamenti sul mercato.

È chiaro peraltro che tale ultima circostanza dimostra e conferma che, come già anticipato, l’an ed il quantum del danno non possono essere certi e cristallizzati sino al momento in cui avvenga l’alienazione dei titoli: l’impensabile rivalutazione dei titoli argentini ne è la prova concreta e lampante. Non solo. Il Tribunale di Novara e quello di Lucca neppure spiegano per quale ragione il termine prescrizionale, secondo il loro convincimento, decorrerebbe dalla data del lancio della prima offerta pubblica di scambio, ossia quella del 2005, e non da quella successiva del 2010, che invece in linea teorica dovrebbe aver “rimescolato” nuovamente le carte in tavola.

L’inattuabilità di tutte le tesi sopra esposte, la natura propria degli strumenti e dei prodotti finanziari nonché la necessità di perseguire la certezza dei rapporti giuridici impongono a nostro avviso di trovare soluzioni diverse rispetto a quelle sin ora illustrate, che come si è visto si fondano sul principio che il termine prescrizionale inizi a decorrere dal c.d. “danno conseguenza”, ossia dal momento in cui l’investitore ha subito la perdita economica di cui chiede il ristoro.

Nelle cause in materia di intermediazione finanziaria infatti, come visto, la pretesa di far decorrere il termine prescrizionale dal verificarsi del “danno conseguenza” rende di fatto impossibile individuare l’inizio della decorrenza del termine prescrizionale se non rimettendolo al libero arbitrio dell’investitore, ovvero collegandolo ad eventi assolutamente incerti quali il default dell’emittente, soluzioni tutte che certo non tutelano la certezza dei rapporti giuridici, finalità tipica delle norme generali in materia di prescrizione.

Sia la certezza dei rapporti giuridici che la necessità di individuare un principio di diritto valevole per tutte le operazioni in prodotti finanziari indipendentemente dall’avvenuto default dell’emittente impongono quindi di individuare un momento diverso rispetto al verificarsi del “danno conseguenza” dal quale far decorrere il termine prescrizionale per tutte le azioni di risarcimento del danno promosse dagli investitori. In altri termini, occorre ricercare la regola generale da applicare a tutte le controversie in cui il cliente agisce per il risarcimento del danno determinato da operazioni di investimento in perdita, regola generale che per definizione non può essere individuata nell’eccezione, ossia nelle cause aventi ad oggetto titoli caduti in default.

Tale momento, a nostro avviso, può essere ravvisato nell’istante del verificarsi del c.d. “danno evento”, ossia nel momento in cui l’investitore subisce la lesione contra iure del diritto tutelato dall’ordinamento che ha poi condotto al verificarsi del “danno conseguenza”, e quindi, in sostanza, dall’inadempimento dell’intermediario.

In questa prospettiva l’orientamento minoritario della Corte di Cassazione, ossia quello secondo cui il termine prescrizionale inizia a decorrere dall’inadempimento dell’intermediario, e quindi dal momento in cui l’investitore dispone l’operazione di acquisto dei titoli, sembra salvaguardare tutte queste esigenze e merita quindi un’attenta rivalutazione, e ciò soprattutto perché nelle cause relative ad operazioni di investimento poi risultate pregiudizievoli per i clienti c’è sicuramente un elemento che può essere collocato temporalmente con certezza, e questo elemento è proprio l’inadempimento – ove accertato – dell’intermediario.

La bontà della tesi in esame è stata avallata anche da parte della giurisprudenza di merito.

Il Tribunale di Viterbo, pronunciandosi su un acquisto di obbligazioni Argentina, ha stabilito che “la vendita…nella prospettazione attorea non avrebbe dovuto, per l’assenza di adeguata informazione sul rischio da parte della banca convenuta, aver luogo, ed è quindi da considerare per ciò esso stesso un fatto dannoso all’attore; sicché il termine di prescrizione decorre dallo stesso momento in cui si realizza il danno, ossia il momento di conclusione del contratto de quo” (Trib. Viterbo 15 febbraio 2012 n. 132).

Anche il Tribunale di Arezzo si è espresso sul punto. In particolare il giudice toscano ha osservato che “ai sensi dell’art 2935 cc “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui diritto può essere fatto valere”. Secondo un consolidato e tradizionale orientamento giurisprudenziale ciò che impedisce il decorso della prescrizione è solo l’impossibilità giuridica di far valere un diritto (ad esempio se il diritto è sottoposto a condizione o a termine). Nessuna rilevanza ha l’impedimento di fatto dell’esercizio del diritto ed in particolare l’ignoranza del titolare dell’esistenza del diritto. L’ignoranza del titolare rileva solo quando la legge espressamente fa decorrere la prescrizione del diritto dal momento della acquisita conoscenza o conoscibilità di esso da parte del suo titolare come è previsto nell’azione di annullamento del contratto per errore. E’ noto che tale indirizzo restrittivo ha subito un mutamento giurisprudenziale limitatamente al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale ammettendosi che la prescrizione inizi a decorrere allorquando il danneggiato abbia piena consapevolezza del proprio diritto ed in particolare del danno subito. Ritiene il giudicante che le esigenze di certezza che sono alla base del tradizionale orientamento restrittivo conservino tutta la loro valenza nella fattispecie in esame”. Sulla base di tali premesse il Tribunale di Arezzo ha concluso che “se si dovesse accedere alla tesi dell’attore, secondo la quale la prescrizione del diritto a chiedere la risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale, inizierebbe a decorrere non da quando l’intermediario sia venuto meno al doveroso comportamento di informare il cliente sulla rischiosità dei prodotti finanziari ma dal momento in cui l’investitore abbia contezza del declassamento o comunque della minusvalenza dei titoli sarebbe difficile se non impossibile individuare una data certa, o peggio, si attribuirebbe all’investitore l’arbitrio di indicare una data a suo piacimento. Ciò in quanto un titolo subisce oscillazioni in negativo ed in positivo. Pertanto l’unica data certa da cui poter ricollegare gli effetti sfavorevoli dell’investimento è quella in cui sono state ordinate le operazioni e in cui si sarebbero verificate le carenze informative di cui si dolgono gli attori” (Trib. Arezzo 8 agosto 2012).

Il condivisibile orientamento della giurisprudenza in esame, oltre a salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici e ad essere del tutto conforme al dettato dell’art. 2935 c.c. così come interpretato dalla Corte di Cassazione seppur con orientamento minoritario, non pone affatto l’investitore nell’impossibilità di azionare il suo diritto. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai consolidato, ha infatti ritenuto che “l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce la rilevanza del fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quello che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto stesso e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, come quelli che trovano la loro causa nell’ignoranza, da parte del titolare, dell’evento generatore del suo diritto e nel ritardo con cui egli proceda ad accertarlo” (ex multis Cass. 7 novembre 2005 n. 21500).

Proprio questo, a nostro avviso, è il tema fondamentale. Si ricorda infatti che nei giudizi di risarcimento del danno derivante dalla prestazione di servizi di investimento, come già accennato, i clienti lamentano la presunta violazione, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi sulla natura e sulle caratteristiche dei titoli acquistati, di valutazione dell’appropriatezza/adeguatezza dell’operazione e di segnalazione dell’eventuale conflitto di interessi, ossia violazioni della normativa di riferimento che attengono tutte al momento del conferimento dell’ordine. È chiaro quindi che la lesione antigiuridica a danno dell’investitore si verifica nel momento in cui l’operazione viene eseguita e che l’eventuale mancanza di consapevolezza di tale lesione in capo al cliente non può comunque equivalere ad un impedimento di diritto per la promozione dell’azione. L’ignoranza dell’investitore sulla possibilità di azionare il suo diritto, trattandosi di circostanza impeditiva soggettiva, non può quindi essere rilevante al fine di procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione.

L’obiezione più ovvia all’impostazione in esame è che nel momento in cui il cliente effettua l’operazione, pur in presenza di un inadempimento dell’intermediario, il danno non si sarebbe comunque verificato perché non vi sarebbe la perdita patrimoniale. Trattasi tuttavia di rilievo facilmente superabile atteso che, come già rilevato, proprio per la natura stessa degli strumenti finanziari la ricerca del “momento” in cui in linea generale – ossia nella generalità delle operazioni – si verifica la perdita si presta a storture inaccettabili: quale sarebbe infatti la perdita rilevante in un contesto di titoli che per loro natura sono quotidianamente soggetti ad oscillazioni di valore?

Si deve dunque concludere che, tra i vari momenti dai quali può essere individuato il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, l’unico idoneo a preservare e garantire il superiore principio di certezza dei rapporti giuridici, senza in alcun modo ostacolare l’esercizio dei propri diritti da parte degli investitori, è quello del conferimento dell’ordine.

Il tentativo di parte della giurisprudenza di spostare in un momento successivo rispetto a quello dell’acquisto l’inizio del decorso del termine prescrizionale, lungi dall’essere imposto dalla dovuta tutela del contraente debole, ha quindi come unico effetto quello di consentire all’investitore di lamentare anche dopo i dieci anni dall’esecuzione dell’operazione inadempimenti dell’intermediario che già sapeva o avrebbe potuto sapere essersi verificati, consentendo in definitiva ai clienti di selezionare, pressoché senza limiti di tempo, le operazioni da impugnare in base al risultato economico che queste hanno prodotto. Non ci pare necessario un grande sforzo argomentativo per affermare che tale orientamento, di fatto, consente agli investitori di dilatare in modo quasi arbitrario i termini di prescrizione, il che già di per sé dimostra che trattasi di approccio nella sostanza inaccettabile perché contrario ai più elementari principi di certezza del diritto.


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