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Approfondimenti

Credito al consumo ed estinzione anticipata: revirement della Corte di Giustizia?

28 Aprile 2023

Anna Bettoni, Senior Associate, ZitielloAssociati

Francesca La Croix, Associate, ZitielloAssociati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema del rimborso a seguito dell’estinzione anticipata dei contratti di credito alla luce delle sentenze Lexitor e Unicredit Austria, evidenziando la disparità di conclusioni cui è giunta la Corte di Giustizia europea per quanto riguarda i contratti di credito al consumo e i contratti di credito immobiliare ai consumatori.


1. Premessa

Il tema dell’estinzione anticipata dei contratti di credito, quando il cliente è un consumatore, ha assunto negli ultimi anni, una rilevanza assoluta a livello giurisprudenziale: se ne sono occupati la Corte di Giustizia Europea (due volte), la Corte Costituzionale, i Tribunali di diverse nazioni, l’ABF, i Giudici di Pace.

Tanto che oramai il contenzioso su questi argomenti è tra i più frequenti nelle aule giudiziarie e ha sostituito per popolarità, nel comparto bancario, le tradizionali cause in materia di anatocismo e usura. Le dimensioni del fenomeno sono tali che anche il legislatore è dovuto intervenire, con un discusso intervento normativo, dalla portata retroattiva, nel tentativo di trovare una soluzione alla questione.

L’aspetto singolare è che ad ogni nuovo intervento da parte della magistratura o del legislatore corrisponde un mutamento di direzione; e così, si avvicendano momenti in cui lo scenario sembra più favorevole ai consumatori e momenti in cui le posizioni degli istituti di credito appaiono rafforzate.

Come si vedrà, è nostra opinione che la situazione di incertezza che oramai perdura da più di tre anni dipenda dalla inconsistenza del primo passaggio della vicenda: la sentenza Lexitor dell’11 settembre 2019 ([1]). Pare finalmente arrivato il momento di dire chiaramente che la Corte di Giustizia, molto semplicemente, abbia sbagliato.

2. La sentenza Unicredit Austria del 9 febbraio 2023

2.1. –  Lo scenario di partenza

Tra i tanti dubbi che la sentenza Lexitor aveva sollevato, uno riguardava la sua applicabilità anche al comparto del credito immobiliare ai consumatori.

La domanda era legittima, atteso che la norma che disciplina l’ipotesi di estinzione anticipata dei contratti di credito immobiliare ai consumatori, ossia l’25, par. 1, della Direttiva 2014/17/UE (Mortgage Credit Directive, c.d. “MCD”) è pressochè identica alla norma di cui all’art. 16, par. 1, della Direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori (Consumer Credit Directive, c.d. “CCD”) ([2]).

In Italia il dibattito sul punto era particolarmente vivo in quanto, in considerazione dell’analogia tra le due previsioni comunitarie, all’art. 16, par. 1 della MCD era stata data attuazione mediante un semplice rinvio al dettato di cui all’art. 125 sexies del decreto legislativo n. 385 del 1993 (“TUB”). Al momento della pronuncia della sentenza Lexitor, quindi, la disciplina di riferimento per l’ipotesi di estinzione anticipata per i due settori era la medesima ([3])

La questione era giunta anche all’attenzione dell’ABF, che aveva ragionevolmente escluso l’applicabilità dei principi Lexitor ai contratti di credito immobiliare, valorizzando alcune differenze tra le due discipline, prima tra tutte, la mancata previsione, nella MCD, del diritto del creditore a percepire un equo indennizzo, che lo ristorasse dalle spese sostenute dall’istituto di credito in conseguenza della scelta del consumatore ([4]).

Soltanto con il decreto D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito con legge del 23 luglio 2021, n. 106 (“decreto Sostegni-bis”), quindi a partire da luglio 2021, anche per scongiurare una pericolosa estensione dei principi Lexitor al settore del credito immobiliare, è stata introdotta nel TUB una norma specificatamente rivolta all’estinzione anticipata dei contratti di credito immobiliare ai consumatori ([5]).

In un tale contesto di incertezza, non stupisce che un giudice nazionale, questa volta austriaco, abbia richiesto un nuovo intervento chiarificatore alla Corte di Giustizia, proprio sulla portata applicativa dell’art. 25, par. 1, della MCD.

2.2. Le conclusioni dell’Avvocato Generale

La vicenda trae origine da una controversia promossa da un’associazione per la tutela degli interessi dei consumatori che, muovendo proprio dalla corrispondenza di contenuto tra l’art. 16, par. 1, della CCD e l’art. 25, par. 1, della MCD, ha agito nei confronti di Unicredit Bank Austria avanti l’autorità giurisdizionale austriaca, sostenendo l’applicabilità dei principi sanciti dalla sentenza Lexitor per i contratti di credito al consumo anche al settore del credito immobiliare ai consumatori ([6]).

La questione, giunta all’esame della Corte Suprema austriaca, è stata rimessa alla Corte di Giustizia Europea, alla quale è stato domandato se l’interpretazione dell’articolo 25, par. 1, della MCD fosse ostativa a una normativa nazionale che prevedesse, in caso di estinzione anticipata del contratto di credito immobiliare, la riduzione proporzionale degli interessi e dei costi dipendenti dalla durata del contratto e non invece dei costi che non dipendono da tale durata.

La Corte si è pronunciata lo scorso 9 febbraio 2023, riconoscendo la compatibilità di una normativa nazionale (nel caso, austriaca) con l’art. 25, par. 1, della MCD che preveda, per il caso di estinzione anticipata di un contratto di credito immobiliare ai consumatori, che la riduzione del costo del credito sia limitata agli interessi e ai soli costi recurring e non anche ai costi upfront (di seguito, sentenza “Unicredit Austria”).

La Corte di Giustizia ha aderito integralmente alle conclusioni rassegnate dall’Avvocato Generale Manuel Campos Sanchez-Bordona, il quale, aveva prospettato un duplice scenario, il primo a favore dell’irripetibilità di tutti i costi non legati alla durata del contratto; il secondo, in via subordinata, che escludeva la ripetibilità, quanto meno, dei costi pagati, direttamente dal consumatore o per il tramite dall’intermediario, ai terzi, quali le provvigioni riconosciute agli agenti e le imposte e per i quali al creditore non perviene alcuna remunerazione ([7]).

Il ragionamento dell’Avvocato Generale muove dall’esegesi delle due nozioni chiave – e più controverse – dell’istituto dell’estinzione anticipata che sono il “costo totale del credito” e la “riduzione del costo totale del credito”, che analizza sotto diversi profili: letterale, di contesto e teleologico ([8]).

Partendo dal concetto di “costo totale del credito” l’Avvocato Generale prende, innanzitutto, in considerazione la definizione contenuta nelle due direttive (la medesima, giusto rinvio dell’art. 4 punto 13 MCD all’art. 3 lett. G CCD), e individua “il costo totale di un credito ipotecario” come comprensivo di “tutti i costi da pagare in relazione a tale credito (salvo che il legislatore li abbia esclusi) che soddisfino due condizioni: sono obbligatori per il consumatore e sono (o dovrebbero essere) noti al creditore”.

Passa poi ad esaminare uno ad uno i vari costi upfront, evidenziandone le specifiche caratteristiche e precisando quali di essi rientrino nel costo totale del credito. Distinzione di cui nella sentenza Lexitor non vi era alcuna traccia.

Proprio muovendo dalla differenziazione tra costi upfront, l’Avvocato Generale ritiene irragionevole prevedere la restituzione, pro quota, dei costi che non rappresentino un’effettiva remunerazione del creditore, giacché destinati a terzi, quali tipicamente le provvigioni riconosciute agli agenti e gli oneri erariali.

Sotto il profilo dello scopo, l’Avvocato Generale ribadisce l’importanza dei principi di corretta informazione e trasparenza dei costi che consentono al consumatore di operare una scelta consapevole e una corretta comparazione delle offerte sul mercato.

Nel caso del credito immobiliare ai consumatori, la necessità di assicurare la massima trasparenza al consumatore, al fine di eliminare ogni possibile rischio di abuso e manipolazione dei costi è soddisfatta, ad avviso dell’Avvocato Generale, dalla previsione del PIES, di cui all’Allegato 2 della MCD, ossia un prospetto dettagliato contenente le informazioni precontrattuali personalizzate e l’elencazione dei costi a carico del cliente, con la precisazione se gli stessi siano inclusi esclusi dal TAEG, che l’intermediario è tenuto a fornire prima della sottoscrizione del contratto ([9]).

Viene quindi operata una prima distinzione rispetto al caso Lexitor, posto che la CCD non prevede l’obbligo di consegna del PIES.

Per quanto riguarda la “riduzione del costo totale del credito”, l’Avvocato Generale evidenzia, anzitutto, che una interpretazione letterale porta a ritenere rimborsabili solo i costi dovuti per la “durata restante del contratto” ossia ai costi dovuti per il tempo successivo all’estinzione. Non quindi tutti i costi. Tuttavia, ricorda l’Avvocato Generale, nel caso Lexitor la Corte di Giustizia non aveva ritenuto convincente l’interpretazione letterale con riferimento all’art. 16, par. 1, della CCD.

L’Avvocato Generale individua la ratio dell’art. 25, par. 1, della MCD nel “conferire flessibilità ad un contratto che si protrae nel tempo, consentendo al debitore di adempiere la propria obbligazione, prima della fine del periodo concordato, senza dover addurre o dimostrare alcuna causa”, nonché di “adattare il rapporto a circostanze sopravvenute”.

In tale prospettiva, afferma che, se pur il riconoscimento anche di quota parte dei costi upfront sarebbe più favorevole al consumatore, la portata del diritto alla riduzione del “costo totale del credito” in caso di estinzione anticipata del contratto non è quella di penalizzare il consumatore nell’esercizio di un proprio diritto, ma nemmeno di “premiarlo […] per un cambiamento che egli impone alla controparte”.

2.3. La pronuncia della Corte: profili critici

Come anticipato, la Corte di Giustizia ha integralmente condiviso le conclusioni di Campos Sanchez-Bordona, aderendo alla prima soluzione da questi prospettata e quindi ritenendo non ripetibili (tutti) i costi indipendenti dalla durata del contratto di credito immobiliare, sia quelli versati dal consumatore all’istituto di credito, sia quelli versati a terzi ([10]).

La Corte si preoccupa subito di giustificare il diverso approdo rispetto alla sentenza Lexitor e quindi, pur riconoscendo la sostanziale analogia tra l’art. 25, par. 1 della MCD e l’art. 16, par. 1 della CCD, valorizza la specificità della normativa in materia di credito immobiliare ai consumatori, rispetto ai contratti di credito al consumo. Questa specificità giustificherebbe il diverso trattamento dei costi nella MCD rispetto alla CCD.

Il criterio interpretativo che informa il ragionamento della Corte è quindi quello del “contesto”. Nell’ambito della MCD, gli intermediari sono tenuti a consegnare al cliente il PIES, che “prevede una ripartizione delle spese che il consumatore deve pagare in funzione del loro carattere ricorrente o meno”.

Per cui la discrezionalità degli intermediari nella qualificazione delle spese è limitata, più che nell’ambito della CCD, con un duplice vantaggio. Anzitutto, il rischio di manipolazione dei costi in danno del consumatore è notevolmente ridotto; in secondo luogo, sia il consumatore, sia il giudice nazionale sono in grado di verificare se “un tipo di costo è oggettivamente connesso alla durata del contratto” (cfr. punto 35 Sentenza Unicredit Austria).

La Corte, quindi, non esclude nell’ambito della MCD e anche a fronte della consegna del PIES, la necessità di un controllo giurisdizionale. Anzi, proprio al fine di garantire la tutela di cui beneficiano i consumatori nel settore del credito immobiliare, demanda ai giudici nazionali il compito di verificare la natura effettiva dei costi, indipendentemente dalla qualificazione operata dal creditore, sul quale grava l’onere di dare prova, in caso di contestazioni, del carattere recurring o upfront dei costi stessi (cfr. punti 37 e 38 Sentenza Unicredit Austria).

Come si vede, la Corte di Giustizia perviene ad una soluzione interpretativa ben diversa da quella resa solo tre anni prima nel caso Lexitor, ove, come noto, aveva affermato che diritto alla riduzione del “costo totale del credito” in caso di estinzione anticipata di un contratto di prestito personale, fosse riferito a “tutti i costi” posti a carico del consumatore, indipendentemente dalla natura degli stessi.

La Corte di Giustizia, anche in quel caso muovendo dall’esame del contesto in cui trova applicazione la CCD, aveva al contrario stigmatizzato l’estrema discrezionalità degli intermediari nel determinare la ripartizione dei costi, con conseguente possibilità di manipolarli.

Di qui la necessità di ripeterli tutti, pro quota, senza alcuna distinzione.

Di fatto, la Corte afferma che due norme sostanzialmente identiche, l’art. 16, par. 1, della CCD e l’art. 25 par. 1 della MCD, devono essere interpretate in modo diverso poiché diverso è il “contesto” in cui le stesse trovano applicazione.

Ad avviso della Corte, nel contesto del credito al consumo regolato dalla CCD, gli intermediari tendono a considerare come upfront (per non doverle ripetere) spese che invece sono recurring, e sarebbe difficile se non impossibile per i clienti e per il Giudice verificare la reale natura degli oneri; nel settore immobiliare, regolato dalla MCD, invece, questo rischio non c’è, perché c’è il PIES.

La sentenza Lexitor, lo ricordiamo, era stata accolta con grande stupore nel nostro Paese, ove la prassi – avallata dall’Autorità di Vigilanza e suggellata nelle plurime raccomandazioni rivolte agli intermediari – era sempre stata quella di riconoscere la ripetibilità dei soli costi recurring, per la quota non goduta dal consumatore, e non degli oneri upfront.

Le critiche più forti avevano riguardato l’approccio superficiale adottato dalla Corte, che, rinviando genericamente al concetto di “costo totale del credito”, senza alcuna distinzione tra le voci di costo (distinzione, come visto, operata nella sentenza Unicredit Austria), aveva finito per imporre al creditore il rimborso pro quota anche di spese che non rappresentavano in alcun modo un suo arricchimento. Si pensi alle provvigioni riconosciute all’intermediario del credito o alle imposte.

Una soluzione interpretativa, quella adottata dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor, che presta il fianco a molteplici critiche.

Anzitutto, la Corte di Giustizia non spiega cosa si intenda per interpretazione secondo il contesto e pare ridurre la propria analisi ad una valutazione ex post dei risvolti applicativi della norma – peraltro, ricordiamo, nel contesto polacco – finendo così per darne una interpretazione influenzata dalle reazioni degli interpreti, successive alla sua emanazione. Una soluzione certo non soddisfacente: l’interprete deve valutare il contesto guardando al complessivo sistema normativo (interpretazione sistematica) o indagando la possibile intenzione del legislatore, analizzando i comportamenti degli operatori prima dell’emanazione della norma, non dopo. Se una norma viene attuata male o dà origine a comportamenti scorretti da parte degli operatori mercato, deve intervenire il legislatore per modificarla per il futuro, non il giudice; il giudice dovrà, eventualmente, sanzionare i comportamenti scorretti, non interpretare la norma facendosi influenzare dal contesto.

Inoltre, come detto, nella sentenza Lexitor l’analisi del “contesto” non pare essere stata condotta in modo approfondito e, anzi, non c’è prova che si sia andati oltre il contesto polacco, pur dovendo la Corte, per definizione, interpretare una norma destinata a tutta l’Unione. La sentenza Lexitor è chiaramente influenzata dal contesto nazionale del giudice del rinvio, e risulta quindi non praticabile – o quanto meno non così facilmente – negli altri Stati membri, molti dei quali, come l’Italia, hanno fatto ricorso allo strumento legislativo per riportare quella certezza nei rapporti giuridici che la sentenza Lexitor aveva compromesso.

Strettamente connessa al criterio del contesto è la finalità della norma, rispetto al quale la Corte non nasconde un atteggiamento di favore verso il consumatore, considerato soggetto debole del rapporto contrattuale e quindi da tutelare. Ma anche l’interpretazione teleologica deve essere compatibile con la formulazione letterale della norma (cosa molto dubbia in questo caso) e, soprattutto, non deve essere influenzata dalle condotte poste in essere successivamente all’emanazione della disposizione da interpretare. La norma, certamente dettata nell’interesse del consumatore, prevede il diritto di questi di estinguere prima della scadenza il finanziamento senza ingiuste penalizzazioni; ma questo non deve tradursi addirittura in un premio, come correttamente osserva la Corte nella sentenza Unicredit Bank Austria.

Emerge quindi con ancora maggiore evidenza l’inconsistenza del criterio del contesto utilizzato dalla Corte per giustificare la disparità di trattamento dei costi nelle due direttive. Se gli intermediari penalizzano ingiustamente il consumatore non è un tema interpretativo, ma un tema esecutivo. Se la norma è stata eseguita male o consente facili aggiramenti, va cambiata. Ma non sono i giudici a doverlo fare, ma il legislatore.

Del resto, nella Sentenza Unicredit Austria, la Corte di Giustizia ha precisato che in caso di contestazioni, sia l’intermediario a dover fornire la prova della natura ricorrente o meno dei costi in questione.

Tale soluzione, che ben avrebbe potuto essere ritenuta percorribile anche nel settore del credito al consumo, era del resto quella già adottata nel nostro Paese dalle Corti di merito e dall’ABF fino alla sentenza Lexitor ([11]).

A ben guardare, peraltro, non pare che il contesto della CCD e della MCD sia così differente.

La finalità della normativa sulla trasparenza precontrattuale è, come affermato più volte dalla Corte, di consentire al consumatore una scelta consapevole, mediante una rappresentazione chiara e dettagliata delle condizioni economiche e dei costi applicabili al contratto di credito. In tale prospettiva, il consumatore deve anche avere la possibilità di conoscere in anticipo quali costi gli verranno restituiti e quali no nel caso decidesse di terminare il rapporto prima della naturale scadenza.

Nel caso della MCD, come visto, tale esigenza viene soddisfatta attraverso la consegna del PIES.

Ma il PIES non è una novità del credito immobiliare, trovando il suo equivalente nel ben più risalente SECCI previsto dalla CCD ([12]).

PIES e SECCI assolvono, ciascuno nel settore di riferimento, la stessa medesima funzione: entrambi i prospetti forniscono al consumatore una rappresentazione chiara ed esaustiva dei costi applicati al contratto di credito, con particolare riferimento alla misura e tipologia del tasso di interesse applicato, al TAEG e alla sua composizione, ai costi applicati una tantum e a quelli applicati periodicamente, agli eventuali altri costi, noti o non noti all’istituto di credito, quali le spese notarili le spese ipotecarie e le imposte.

Per cui il SECCI, al pari del PIES, offre la possibilità al consumatore di individuare quali costi siano legati alla vita del contratto e quali no.

3. Il destino della sentenza Lexitor

Se le conclusioni della Corte di Giustizia possono ritenersi corrette, le motivazioni che giustificherebbero la disparità di trattamento degli oneri upfront in caso di estinzione di un contratto di credito piuttosto che di un contratto di credito immobiliare non paiono convincenti.

Se pur relative a fattispecie diverse, infatti, le due direttive presentano molteplici tratti comuni ponendosi, la MCD, in rapporto di specialità rispetto alla CCD ([13]).

Nei considerando alla MCD, viene rimarcata più volte la necessità, rivolta agli Stati membri, di una armonizzazione tra le due direttive, con particolare riferimento ai “concetti chiave”, quale, in primis, la nozione di “costo totale del credito” ([14]).

Ancora, una interpretazione estensiva dei principi espressi in ambito MCD potrebbe ritenersi ampiamente legittimata dall’identità tra l’art. 16, par. 1, della CCD e l’art. 25, par. 1, della MCD.

Anche il rilievo per cui la presenza del PIES nel credito immobiliare ai consumatori escluderebbe la presenza di potenziali abusi in danno del consumatore, non appare determinante, atteso che, come visto, tale documento è di fatto sostanzialmente analogo al SECCI nell’ambito del credito al consumo.

Infine, nella direzione di un revirement a livello comunitario sulla questione, si inserisce anche la proposta di riforma della CCD del Parlamento Europeo che, nella propria relazione, ha suggerito un emendamento al testo presentato dalla Commissione che reintroduce la distinzione tra oneri upfront e recurring prevendendo che i costi iniziali delle attività preliminari non siano rimborsabili ([15]).

In tale prospettiva, ove si ritenesse che i principi enunciati nella sentenza Lexitor siano stati in qualche modo superati, l’art. 125 sexies TUB, nella versione antecedente il decreto Sostegni-bis, dovrebbe tornare ad essere interpretato secondo il tradizionale insegnamento fondato sulla distinzione tra costi recurring e costi upfront.

Conseguentemente, il giudice nazionale tornerebbe investito del compito di verificare se, nella pratica, l’intermediario si sia comportato in modo conforme ai propri doveri di trasparenza precontrattuale e contrattuale, interpretando le norme interne in armonia con la più recente giurisprudenza comunitaria.

Nel caso in cui la distinzione tra i costi non fosse chiara, ovvero l’intermediario avesse fatto ricorso a voci omnicomprensive e clausole opache, la “sanzione” sarebbe quella della ripetibilità di tutti i costi. Come del resto si era sempre fatto prima della sentenza Lexitor.

La questione Lexitor non pare dunque essere ancora giunta al termine, anche se è evidente che, a livello dell’Unione Europea, il principio della rimborsabilità di quota parte di tutti i costi, senza alcuna distinzione, parrebbe essere stato seriamente messo in discussione, se non addirittura definitivamente superato.

 

([1]) Causa C-383/18, che ha deciso sul rinvio pregiudiziale del Tribunale circondariale di Lubino (Polonia) avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 16 par. 1 della Direttiva 2008/48/CE che disciplina l’ipotesi di estinzione anticipata dei contrati di credito conclusi dai consumatori. Precisamente, alla Corte di Giustizia è stata sottoposta la seguente questione pregiudiziale “Se la disposizione contenuta nell’articolo 16, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, lettera g), della [direttiva 2008/48], debba essere interpretata nel senso che il consumatore, in caso di adempimento anticipato degli obblighi che gli derivano dal contratto di credito, ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, compresi i costi, il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito in questione”. In quell’occasione, la Corte, interpretando l’art. 16, par. 1 della Direttiva 2008/48/CE, aveva affermato il principio per cui il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito era riferito a  tutti i costi, indipendentemente dalla natura degli stessi, se collegati durata del contratto, come i costi assicurativi (c.d. costi “recurring”), o slegati da tale durata, come le spese di istruttoria o le provvigioni riconosciute all’intermediario del credito (c.d. costi “upfront”).

([2]) Cfr. art. 25, par. 1, della MCD: “Gli Stati membri assicurano che il consumatore abbia il diritto di adempiere in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di credito prima della scadenza di tale contratto. In tal caso, il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito al consumatore, che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”.

Cfr. art. 16, comma 1, della direttiva CCD: “il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”.

([3]) L’art. 120-noviesdecies, comma 1 TUB, introdotto con il d.lgs. 21 aprile 2016 n. 72 di attuazione della MCD, prevede che “Ai contratti di credito disciplinati dal presente capo si applicano gli articoli 117, 118, 119, 120, comma 2, 120-ter, 120-quater, 125-sexies, comma 1”.

([4]) Cfr. Collegio di Napoli, Decisione N. 17588 del 9 ottobre 2020.

([5]) L’Art. 120 quaterdecies 1, TUB prevede che “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore e ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, in misura pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.

([6]) Causa C-555/21 Unicredit Bank Austria

([7]) Prosegue poi osservando come “Non metto in dubbio che i costi pagati a terzi formino parte del costo totale del credito: diversamente, il consumatore non riceverebbe tutte le informazioni necessarie per scegliere tra le offerte dei diversi creditori.

Non sono invece del parere che, per tale motivo, il diritto alla riduzione sancito dall’articolo 25 della direttiva 2014/17 sia applicabile a costi che non corrispondono a servizi del creditore ancora da eseguire al momento del rimborso anticipato.

Alcuni di tali costi sono retribuzioni di singole prestazioni preparatorie del futuro rapporto contrattuale (l’intermediazione). Altri contribuiscono a sostenere gli oneri pubblici (imposte) o remunerano attività o servizi della pubblica amministrazione, nell’interesse non solo delle parti, ma anche della società nel suo complesso e del traffico giuridico (registrazione dell’ipoteca). Il fatto che tali costi debbano essere computati per informare il consumatore del “prezzo” totale del credito, ai sensi dell’articolo 4, punto 13, della direttiva 2014/17, sia quando egli li paghi direttamente al destinatario finale sia quando lo faccia tramite il creditore, non implica, insisto, che essi formino parte dei costi che saranno oggetto di riduzione in caso di rimborso anticipato.

Non vedo alcuna ragione oggettiva per cui la riduzione proporzionale dei costi in forza dell’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 dovrebbe operare su importi estranei alle controprestazioni del creditore, che non li sopporta, né li riscuote. Quando essi gravano, per legge, sul mutuatario, la mia convinzione è ancora più ferma: applicare il diritto di riduzione a tali voci del costo totale del credito implicherebbe che la pubblica amministrazione esattrice o tenutaria del registro, estranea al rapporto bilaterale tra creditore e mutuatario, debba rimborsare proporzionalmente tali somme”.

([8]) L’avvocato generale è un componente della Corte di Giustizia che in piena imparzialità presenta, nelle cause di cui è investito, un parere scritto denominato «conclusioni», in cui esamina nel dettaglio gli aspetti, in particolare giuridici, della controversia e propone la risposta che reputa si debba fornire al problema posto. Tale parere, se pur non vincolante per la Corte di Giustizia, generalmente è anticipatorio del contenuto della decisione.

([9]) L’Avvocato Generale osserva che “in tal modo, il consumatore medio disponga delle informazioni di cui necessita per prendere una decisione sul contratto di credito immobiliare, dopo avere confrontato i prodotti sulla base del TAEG. Egli saprà, inoltre, che possono esistere costi supplementari: rientranti nel TAEG, ma ignoti al creditore, oppure estranei al costo totale del credito, dei quali viene avvisato”.

([10]) In particolare, la Corte di Giustizia ha affermato che il diritto alla riduzione del costo totale del credito previsto dalla direttiva MCD “non può includere i costi che, indipendentemente dalla durata del contratto, siano posti a carico del consumatore a favore sia del creditore che dei terzi, per prestazioni che siano già state eseguite al momento del rimborso anticipato” (punto 32 Sentenza Unicredit Austria).

([11]) Cfr. ABF, Collegio di Coordinamento, decisione n. 5031 del 10 maggio 2017, secondo cui “in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri up front e recurring, anche in applicazione dell’art. 1370 c.c. e, più in particolare, dell’art. 35, comma 2 d.lgs. n. 206 del 2005 (secondo cui, in caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore), l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare”; cfr. Trib. Napoli, 4 dicembre 2018; conforme Trib. Santa Maria Capua Vetere, 20 marzo 2018, n. 1009; Trib. Torino 29 marzo 2019, n.1543.

([12]) Il SECCI, acronimo di “Standard European Consumer Credit Information”, è stato introdotto proprio con l’entrata in vigore della CCD, ed è redatto sulla base del modello di cui all’Allegato 4C della direttiva.

([13]) Cfr. considerando 19 della MCD “Per ragioni di certezza del diritto, il quadro giuridico dell’Unione in materia di contratti di credito relativi a beni immobili residenziali dovrebbe essere coerente con gli altri atti dell’Unione e complementare ad essi, in particolare nei settori della protezione dei consumatori e della vigilanza prudenziale. Alcune definizioni essenziali quali «consumatore», e «supporto durevole», nonché concetti chiave usati nelle informazioni di base per designare le caratteristiche finanziarie dei crediti, compresi l’importo totale che il consumatore deve pagare e il tasso debitore dovrebbero essere in linea con quelli stabiliti nella direttiva 2008/48/CE, in modo che la medesima terminologia si riferisca alle stesse situazioni di fatto, indipendentemente dal fatto che si tratti di un credito al consumo o di un credito relativo a beni immobili residenziali. Nel recepire la presente direttiva, pertanto, gli Stati membri dovrebbero garantire coerenza di applicazione e di interpretazione in relazione a queste definizioni essenziali e a questi concetti chiave”.

Cfr. anche il considerando 51 della MCD “Per garantire ai consumatori del settore creditizio un quadro coerente e per ridurre al minimo gli oneri amministrativi per i creditori e gli intermediari del credito, la struttura della presente direttiva dovrebbe seguire, ove possibile, quella della direttiva 2008/48/CE, in particolare i principi che stabiliscono che le informazioni contenute nella pubblicità relativa ai contratti di credito concernenti beni immobili residenziali siano fornite al consumatore con un esempio rappresentativo, che al consumatore siano fornite informazioni precontrattuali dettagliate su un prospetto informativo standardizzato, che il consumatore riceva spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito, una base comune da definire per il calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG), spese notarili escluse, e che i creditori valutino il merito di credito del consumatore prima di erogare un credito. Analogamente, per creare parità di condizioni con le disposizioni stabilite dalla direttiva 2008/48/CE, dovrebbe anche essere assicurato ai creditori l’accesso, a condizioni non discriminatorie, alle pertinenti banche dati relative ai crediti. In maniera analoga alla direttiva 2008/48/CE, la presente direttiva dovrebbe garantire che tutti i creditori che offrono contratti di credito relativi a beni immobili siano sottoposti all’appropriata procedura di abilitazione e all’appropriata vigilanza, e dovrebbe prevedere requisiti relativi all’instaurazione di meccanismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie e all’accesso a tali meccanismi”.

([14]) La definizione di “costo totale del credito” è la medesima in entrambe le direttive, in virtù del rinvio operato dall’art. 4 n. 13) della CCD alla definizione contenuta nel corrispondente art. 3 lett. g) della CCD.

([15]) Si legge: “Al consumatore dovrebbe essere concessa la facoltà di adempiere ai suoi obblighi prima della data concordata nel contratto di credito. Come stabilito dalla Corte di giustizia dell’UE nella sentenza Lexitor, il diritto del consumatore ad una riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore, ad eccezione dei costi iniziali che si esauriscono pienamente al momento della concessione del prestito e che corrispondono a servizi effettivamente forniti al consumatore. I costi iniziali dovrebbero essere adeguatamente individuati e dichiarati nel contratto di credito […]”.

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