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Giurisprudenza

Conto corrente: fideiussore è tenuto al pagamento fino allo scioglimento del rapporto, purché sia legittimo il recesso della banca

21 Dicembre 2015

Davide Camasi, dottorando presso Leiden Law School

Cassazione Civile, Sez. I, 10 novembre 2015, n. 22961

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in analisi, la Corte di Cassazione (Presidente: Di Palma, Relatore: Nappi) si occupa, inter alia, di analizzare gli effetti che il recesso di un istituto di credito da un contratto di conto corrente genera sul fideiussore in relazione al medesimo, sottolineando come il garante personale sia tenuto al soddisfacimento del debito sussistente alla data dello scioglimento del rapporto, purché tale scioglimento, come nella situazione in esame, sia legittimo.

In particolare, a seguito della sentenza di rigetto della Corte di Appello di Roma, che non aveva accolto una domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti da una supposta ingiustificata revoca degli affidamenti accordati su conti correnti degli attori, caratterizzati da una considerevole esposizione debitoria, e di una società da essi garantita con fideiussioni, i ricorrenti hanno provveduto a dedurre in Cassazione, inter alia, violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1461 e 1845 c.c. e omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni contrattuale. Tali ricorrenti hanno posto in rilievo come, a parere dei medesimi, non fosse stata adeguatamente considerata la circostanza che oggetto della revoca risultasse essere un contratto di conto corrente (non di apertura di credito, a cui si connette l’art. 1845 c.c.) né il principio di buona fede sembrasse agli stessi correttamente rispettato dalla banca.

Il Supremo Collegio, pur riconoscendo l’autonomia del contratto di conto corrente rispetto a quello di apertura di credito, ha considerato assenti problematiche in relazione allo scioglimento del primo rapporto contrattuale, dato che l’art. 1833 c.c. “prevede la facoltà di ciascuna delle parti di recedere dal contratto di conto corrente a tempo indeterminato a ogni chiusura periodica del conto, previo preavviso di dieci giorni”, né i decorrenti avevano eventualmente dedotto che il rapporto fosse da considerarsi a tempo determinato. In aggiunta permane nell’alveo dell’insindacabile discrezionalità del giudice di merito la valutazione in ordine alla “giustificabilità del recesso in ragione dell’entità dell’esposizione debitoria, in mancanza di prova della sua contrarietà a buona fede” (come ricordato anche in Cass., sez. I, 7 marzo 2008, n. 6186, citata espressamente nella pronuncia in analisi). In relazione alla figura del fideiussore, la Suprema Corte, ricollegandosi ad una pronuncia anteriore del giugno scorso (Cass., sez. I, 12 giugno 2015, n. 12263), ha sottolineato come la tutela del medesimo si risolva nel principio in base al quale “in caso di recesso della banca dal contratto di conto corrente bancario, il fideiussore resta tenuto al soddisfacimento del debito quale esistente alla data dello scioglimento del rapporto e in tale misura cristallizzato”.

Per completezza, è opportuno ricordare il rigetto altresì degli altri motivi di ricorso in Cassazione. Nel dettaglio, con il secondo motivo veniva lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dato che i giudici di merito avevano riconosciuto all’istituto di credito interessi convenzionali pur in assenza di un’esplicita domanda di parte (dato che ai giudici di merito era stato devoluto, a seguito altresì della riunione dei giudizi conseguenti all’opposizione proposta dai ricorrenti avverso talune ingiunzioni monitorie decretate su richieste delle banche estese anche agli interessi, l’accertamento della giusta misura di questi ultimi). Infine, non è stato accolto il terzo motivo, con cui si lamentava l’erronea compensazione delle spese del giudizio di primo grado benché concluso con l’accoglimento della domanda, dato che tale compensazione risulta legittima anche in presenza di “parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in un unico capo” (come posto in luce da corposa giurisprudenza richiamata nella pronuncia in esame).

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