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Giurisprudenza

Condanna agli “interessi legali”: le Sezioni Unite sul saggio d’interesse

8 Maggio 2024

Cassazione Civile, Sez. Un., 7 maggio 2024, n. 12449 – Pres. D’Ascola, Rel. Scoditti

Di cosa si parla in questo articolo

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 12449 del 7 maggio 2024 (Pres. D’Ascola, Rel. Scoditti), hanno risolto il contrasto giurisprudenziale sul saggio d’interesse da applicarsi alla sentenza di condanna agli “interessi legali”, che non contenga ulteriori specificazioni da parte del Giudice.

Questo il principio di diritto espresso:

Ove il giudice disponga il pagamento degli «interessi legali» senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

Le Sezioni Unite, nel proprio percorso argomentativo, partono infatti dalla premessa che il quarto comma dell’art. 1284 C.c., relativo ai c.d. “super interessi”, non integra un mero effetto legale della fattispecie costitutiva degli interessi, ma rinvia ad una fattispecie, i cui elementi sono in parte integrati da ulteriori presupposti, suscettibili di autonoma valutazione giudiziale rispetto al mero apprezzamento della spettanza degli interessi nella misura legale.

In sostanza, oggetto di accertamento, a seguito della introduzione della controversia con la deduzione in giudizio di un determinato rapporto giuridico, sarà anche la ricorrenza dei presupposti applicativi dell’art. 1284, comma 4, che consente l’applicazione del saggio degli interessi legali previsto dalla legislazione speciale per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Le Sezioni Unite analizzano dunque la varietà dei presupposti applicativi, previsti dal citato articolo, degli interessi maggiorati oggetto dell’attività di accertamento del giudice della cognizione, fra cui:

  • la natura della fonte dell’obbligazione, che, in base all’art. 1173 cod. civ., può essere la più varia:
    • obbligazioni contrattuali o derivanti da responsabilità extracontrattuale
    • crediti di lavoro (con la specifica disciplina di cui all’art. 429, comma 3, C.c.)
    • crediti in materia di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo di cui alla L. 89/2001
    • crediti per gli alimenti e derivanti da obblighi familiari
  • se vi sia una valida ed efficace determinazione contrattuale della misura degli interessi, prevista dall’art. 1284, comma 4, quale circostanza la cui esistenza impedisce la produzione degli interessi nella misura prevista dalla legge speciale
  • l’identificazione della domanda giudiziale, quale momento rilevante per la decorrenza degli interessi legali in questione: può infatti essere controverso se l’epoca della domanda giudiziale debba risalire ad una domanda cautelare, come, ad esempio, l’istanza di sequestro conservativo di cui all’art. 671 C.p.c. o di CTP/ATP; o se la decorrenza vada applicata sin dal momento della domanda di mediazione ante processo.

Per la Corte, in sostanza, è necessario svolgere l’accertamento, propriamente giurisdizionale, di corrispondenza della fattispecie concreta a quella astratta di spettanza degli interessi maggiorati: tale giudizio sussuntivo, risolutivo sul punto della controversia, e che è suscettibile di diventare cosa giudicata, ricade nell’attività di cognizione, che fonda il titolo esecutivo giudiziale e che deve essere necessariamente svolta ai fini del provvedimento da emettere sulla domanda.

In conclusione, il titolo esecutivo giudiziale, nel dispositivo e/o nella motivazione, deve contenere l’accertamento di spettanza degli interessi legali maggiorati nella misura indicata: dal punto di vista del giudice dell’esecuzione, la mera previsione, nel dispositivo e/o nella motivazione del titolo esecutivo, di condanna al pagamento degli “interessi legali”, è inidonea ad integrare tale accertamento, in ragione dell’autonomia relativa della fattispecie produttiva degli interessi maggiorati, rispetto alla ordinaria produzione degli interessi legali.

Se il titolo esecutivo è silente, quindi, il creditore non potrà pertanto conseguire in sede di esecuzione forzata il pagamento degli interessi maggiorati, stante il divieto per il giudice dell’esecuzione di integrare il titolo, ma potrà affidarsi al solo rimedio impugnatorio.

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