L’articolo analizza in dettaglio le clausole di sandbagging e antisandbagging nelle operazioni di M&A, esplorandone il significato, l’applicazione pratica e l’evoluzione giurisprudenziale. Viene approfondito l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle due diligence e sul concetto di conoscenza dell’acquirente, nonché le strategie negoziali che le parti possono adottare per gestire i rischi connessi.
Nel contesto delle operazioni di fusione e acquisizione (M&A), le clausole di sandbagging e antisandbagging rappresentano un tema classico, oggetto di attenzione e discussione tra le parti coinvolte. Queste clausole contrattuali, talvolta considerate aspetti tecnici da affrontare nelle fasi della negoziazione, possono invece incidere in modo significativo sull’esito complessivo di un’operazione, influenzando l’allocazione del rischio tra le parti, le modalità di gestione di eventuali contestazioni post-closing e il futuro rapporto tra venditore e acquirente.
Il termine “sandbagging” ha una storia peculiare. Deriva dal mondo del golf, dove indica la strategia scorretta di celare le proprie reali abilità per ottenere un vantaggio competitivo sleale. Tuttavia, il termine ha radici ancora più remote: nel XIX secolo, bande di strada utilizzavano calzini riempiti di sabbia, i cosiddetti sandbags, come armi improvvisate. Nel contesto delle operazioni di M&A, il sandbagging descrive invece la condotta dell’acquirente che, pur essendo a conoscenza di una violazione delle dichiarazioni e garanzie del venditore, decide di concludere ugualmente l’operazione, per poi avanzare una richiesta di indennizzo successiva al closing. Gli acquirenti giustificano questa prassi sostenendo che le dichiarazioni e garanzie contrattuali costituiscono “obblighi” giuridici vincolanti e che la loro violazione deve generare conseguenze, indipendentemente dalla conoscenza pregressa del problema. I venditori, dal canto loro, ritengono iniquo consentire a una parte di rimanere in silenzio solo per trarne vantaggio postumo.
In questo scenario si collocano le clausole di prosandbagging e antisandbagging, due clausole contrattuali agli antipodi.
La clausola di sandbagging, o prosandbagging, stabilisce che l’acquirente mantiene il diritto di ottenere un indennizzo anche qualora fosse consapevole della violazione della dichiarazione o garanzia già prima del closing.
Gli acquirenti apprezzano questa clausola in quanto rafforza la tutela contrattuale, garantisce l’efficacia delle dichiarazioni e garanzie fornite dal venditore e li protegge da rischi economici che potrebbero manifestarsi dopo la chiusura a prescindere dalla conoscenza.
Dall’altro lato, la clausola di antisandbagging vieta all’acquirente di avanzare richieste di indennizzo per violazioni delle dichiarazioni e garanzie se tali violazioni erano già note al momento della chiusura.
Dall’analisi delle prassi contrattuali emerge che una percentuale consistente dei contratti di M&A, stimata intorno al 70%, non include disposizioni specifiche in merito al sandbagging. In questi casi, la disciplina è dettata dal diritto applicabile. Nel contesto italiano, la disposizione rilevante è l’articolo 1491 del codice civile, che prevede l’esclusione della garanzia se il compratore era a conoscenza dei vizi della cosa o se tali vizi erano facilmente riconoscibili. Tuttavia, la norma prevede anche che la garanzia rimanga efficace qualora il venditore abbia dichiarato espressamente e specificamente l’assenza di vizi. La giurisprudenza italiana ha affrontato la questione in varie occasioni. Il Tribunale di Milano, in una sentenza del 19 marzo 2021, ha stabilito che la due diligence consente all’acquirente di valutare ex ante le problematiche e di accettarle implicitamente al momento della chiusura. Anche la Cassazione, nella sentenza del 19 dicembre 2016, ha osservato che la due diligence consente all’acquirente di formarsi un convincimento sull’attendibilità delle dichiarazioni del venditore e che, in caso di discrasia tra le dichiarazioni e la realtà dei fatti, l’acquirente potrebbe vedere limitate le proprie possibilità di far valere pretese risarcitorie.
Questa interpretazione giurisprudenziale impone riflessioni. Nel silenzio del contratto, il venditore potrebbe sostenere che l’acquirente non abbia realmente fatto affidamento sulla dichiarazione violata, avendo avuto la possibilità di accorgersene durante la due diligence. Questo scenario si complica ulteriormente con l’introduzione dell’intelligenza artificiale (AI) nei processi di due diligence. L’AI consente di analizzare enormi volumi di dati, identificare anomalie contrattuali e individuare rischi nascosti con un livello di precisione superiore rispetto ai metodi tradizionali. Tuttavia, questa tecnologia solleva alcuni interrogativi: nel caso in cui un software AI identifichi un problema, ci si potrebbe domandare se l’acquirente debba essere considerato consapevole della questione, anche in assenza di una segnalazione esplicita nei report finali. In presenza di una clausola antisandbagging, il venditore potrebbe sostenere che l’acquirente non debba avere titolo per invocare l’indennizzo per problematiche già rilevate dall’AI. Qualora il contratto fosse privo di disposizioni specifiche, la giurisprudenza potrebbe evolvere verso un riconoscimento di una diligenza più elevata, derivante dall’uso dell’AI, con possibili conseguenze sulla limitazione delle tutele dell’acquirente.
La questione presenta ulteriori complessità sul piano probatorio. Se l’AI dovesse generare un alert riguardante una potenziale criticità e l’acquirente non procedesse a un approfondimento, rimarrebbe aperto il quesito se quest’ultimo possa comunque avanzare una richiesta di risarcimento. La risposta potrebbe dipendere dall’evoluzione della prassi contrattuale e dalla capacità delle parti di disciplinare espressamente nel contratto le conseguenze derivanti dall’utilizzo dell’AI. Una possibile soluzione per gli acquirenti potrebbe consistere nel prevedere espressamente che le informazioni rilevate da strumenti di intelligenza artificiale non costituiscano automaticamente “conoscenza effettiva”, salvo conferma espressa. D’altro lato, i venditori potrebbero considerare l’opportunità di rafforzare le clausole antisandbagging al fine di escludere richieste di indennizzo relative a elementi identificati dall’AI, oltre a prestare particolare attenzione alla redazione delle disclosure schedules, così da ridurre il rischio di eventuali contestazioni post-closing.
Il quadro delineato evidenzia l’importanza di adottare un approccio negoziale consapevole e proattivo. Gli acquirenti potrebbero valutare l’opportunità di includere clausole prosandbagging, nonché di definire il concetto di “conoscenza” in modo restrittivo, limitandolo alla consapevolezza effettiva di specifici dirigenti e chiarendo che le informazioni rilevate dall’AI non costituiscono automaticamente conoscenza effettiva, salvo conferma espressa. I venditori, dal canto loro, potrebbero considerare l’inserimento di clausole antisandbagging, l’introduzione di limiti temporali e quantitativi alle garanzie e la predisposizione di disclosure schedules accurate e dettagliate. In entrambi i casi, risulterebbe opportuno affrontare queste tematiche già nella fase preliminare della negoziazione, al fine di ridurre il rischio di incertezze e controversie future.
In conclusione, il sandbagging e l’antisandbagging non sono semplici clausole da collocare meccanicamente in un contratto, ma strumenti strategici da negoziare con attenzione, soprattutto in un’epoca in cui l’uso dell’intelligenza artificiale sta ridefinendo le dinamiche delle due diligence. La chiarezza contrattuale e la consapevolezza delle implicazioni giuridiche e commerciali di tali clausole sono oggi più che mai indispensabili per garantire il buon esito delle operazioni e la serenità delle parti coinvolte.