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La clausola di intrasmissibilità nelle polizze infortuni e malattia. Commento alla Lettera al mercato IVASS del 28 febbraio 2018.

12 Giugno 2018

Avv. Cristina Pagni e Avv. Lorenzo Martini, Mazzoni Regoli Cariello Pagni Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione: la Lettera al mercato del 28 febbraio 2018

Con Lettera al mercato del 28 febbraio 2018, l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS) ha rilevato la presenza sul mercato di un genere di clausole contenute nelle polizze assicurazione infortuni e malattia particolarmente penalizzanti per gli assicurati.

La clausola oggetto della rilevazione prevede innanzitutto che la Compagnia abbia a disposizione un periodo di tempo molto ampio, se non addirittura indeterminato, entro il quale valutare i postumi permanenti dell’invalidità subiti dall’assicurato derivanti dalla malattia o dall’infortunio.

È previsto, inoltre, una sorta di patto di intrasmissibilità, in virtù del quale pattiziamente le parti qualificano il diritto all’indennizzo dell’assicurato danneggiato come personale, con la conseguenza che questo nelle intenzioni dei contraenti (o meglio della impresa assicuratrice) non sarebbe trasmissibile in favore degli eredi, con l’unica eccezione in cui la Compagnia abbia accertato, entro il termine a sua disposizione, gli effetti delle lesioni subite e abbia già quantificato in favore dell’assicurato l’ammontare dell’indennizzo. Nel qual caso infatti qualora intervenga il decesso dell’assicurato, per cause diverse da quella che ha generato l’invalidità, sarà sempre possibile per gli eredi riscattare l’indennizzo già determinato dalla Compagnia.

Dalla formulazione solitamente utilizzata in queste polizze[1], che rispecchia l’impostazione sopra descritta, forse non emerge con chiarezza la portata della clausola in commento, tanto penalizzante per l’assicurato e i suoi aventi causa che l’IVASS ora, ma già in precedenza l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nel 2017[2] e la Corte di Cassazione nel 2007[3], ha ritenuto di intervenire con il provvedimento in commento.

Infatti, cambiando angolo visuale è facile avvedersi che una siffatta clausola, in caso di decesso dell’assicurato avvenuto in un momento antecedente a quello dell’accertamento dei postumi da parte della Compagnia (che si ribadisce ha solitamente un margine molto ampio per compiere questa attività) impedisce agli eredi del de cuius di accedere all’indennizzo nato in conseguenza dell’infortunio o della malattia. Ciò che parrebbe prima facie trovare giustificazione a causa della mancata stabilizzazione dei postumi e il conseguente mancato accertamento degli stessi da parte della Compagnia, ma che invece secondo l’IVASS rappresenta un evidente squilibrio della posizione dell’assicurato.

Fuori da ogni formalismo, infatti, non pare difficile evidenziare che così operando, il risultato ottenuto da un siffatto schema negoziale è quello di negare il diritto all’indennizzo all’assicurato e agli eredi di questo, anche quando lo stato di invalidità del de cuius si sia effettivamente consolidato prima del decesso. E ciò per il solo fatto che la Compagnia non ha ritenuto di effettuare i dovuti accertamenti (attraverso proprie perizie o visite mediche) necessari ex contractu affinché il diritto all’indennizzo, secondo la tesi contrapposta favorevole a questa pratica commerciale[4], potesse ritenersi perfezionato in capo all’assicurato e quindi trasmissibile ai suoi eredi.

Ciò detto l’IVASS ha ritenuto che le conseguenze di una simile pattuizione determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, naturalmente a danno dell’assicurato in primis, ma anche dei suoi eredi. Lo squilibrio, sempre da come si apprende dalla Lettera al mercato, caratterizzerebbe il rapporto tra le prestazione dei due contraenti, ove a fronte di un impegno certo in capo all’assicurato, quale il pagamento del premio, corrisponde una prestazione non altrettanto certa in capo alla Compagnia, il cui adempimento dipende unicamente dalla volontà della stessa, che gode di ampia discrezionalità nei tempi e nelle modalità con le quali svolgere l’accertamento medico legale propedeutico alla verificazione del danno e alla liquidazione dell’indennizzo.

In ultima analisi viene poi rilevato come lo squilibrio tra le parti contraenti il contratto di assicurazione è ancora più accentuato stante l’impossibilità per gli eredi di dimostrare l’invalidità patita dall’assicurato nel periodo precedente al decesso attraverso documentazione, anche la più rigorosa (come certificazione INAIL, INPS, ospedaliera etc.) che non sia però risultante dall’accertamento compiuto dalla Compagnia, unica modalità che permette quindi la determinazione dell’indennizzo, nonché la sua contestuale trasferibilità in capo agli eredi in caso di successivo decesso dell’assicurato.

2. Considerazioni preliminari sul momento perfezionativo del diritto all’indennizzo e sulla sua trasferibilità

Prima ancora di trattare il tema della vessatorietà della clausola di intrasmissibilità, argomento cardine posto a fondamento dall’IVASS nella sua Lettera al mercato, è preliminarmente da interrogarsi sul momento nel quale il diritto all’indennizzo può dirsi nato in capo all’assicurato e se questo possa ritenersi idoneo ex se (ovvero a prescindere dalle pattuizioni dei contraenti) ad essere trasferito in successione in favore degli eredi.

Solo in un secondo momento sarà allora possibile capire se rientra nell’ambito di operatività dell’autonomia privata la possibilità per le parti di qualificare il diritto all’indennizzo come personale e quindi di deciderne la sua intrasmissibilità.

Orbene quanto alla prima questione, nell’interrogarci sul momento genetico del diritto all’indennizzo in capo all’assicurato non può che rilevarsi, senza presunzione di completezza[5], come la polizza contro gli infortuni e la malattia abbia come oggetto negoziale il trasferimento del rischio in capo all’impresa assicuratrice delle conseguenze (quali appunto la malattia o l’infortunio) derivanti dalle lesioni occorse all’assicurato. Del resto se l’interesse dedotto in obbligazione mediante il suddetto strumento assicurativo è quello per il contraente di garantirsi una certa rendita economica nel caso subisca una lesione alla propria integrità psicofisica, dalla quale derivi un certo grado di inabilità ovvero di invalidità, allora non sembra errato retrocedere ad un tempo antecedente a quello dell’accertamento della Compagnia, il momento perfezionativo del diritto all’indennizzo in capo all’assicurato. Questo, infatti, sin dal momento in cui ha subito una certa lesione matura nel suo interesse il diritto di essere tenuto indenne dalla Compagnia delle conseguenze dannose e affinché si realizzi la suddetta circostanza non sembra essere richiesta alcuna attività positiva dell’impresa assicuratrice, quale appunto la quantificazione dell’indennizzo, che quindi rimane altra cosa rispetto al diritto all’indennizzo.

In definitiva, così come la funzione economica del contratto viene in rilievo in un momento antecedente al configurarsi dell’eventuale danno, essendo il trasferimento dell’alea proprio la causa del rapporto assicurativo, così il configurarsi del diritto alla liquidazione sorge logicamente e temporalmente in un momento diverso dal costituirsi del relativo diritto all’indennizzo.

Con la logica conseguenza che, seppur non ancora accertato, il diritto all’indennizzo nasce e si perfeziona fin dal momento della lesione in capo all’assicurato, tanto che qualora quest’ultimo deceda per cause indipendenti dall’invalidità, il diritto, ancorché non accertato né quantificato dalla Compagnia, è già esistente e quindi potenzialmente idoneo a cadere in successione.

Discorso in parte differente, e siamo a trattare del secondo tema, è quello se il diritto all’indennizzo è tale anche per gli eredi del de cuius, ovvero se non sia solo potenzialmente idoneo a cadere in successione, ma se lo sia effettivamente e indipendentemente dalla sua previa quantificazione da parte della Compagnia.

Sul punto non si può che dare una risposta positiva, nel senso di riconoscere al diritto all’indennizzo dell’assicurato, deceduto per cause non dipendenti dall’infortunio, tutti i crismi affinché lo stesso possa ritenersi idoneo a cadere in successione, trattandosi di un diritto a contenuto patrimoniale, già perfezionatosi in capo al de cuius. E ciò stante il principio c.d. della generale trasmissibilità agli eredi dei rapporti giuridici patrimoniali[6], in virtù del quale la circolazione mortis causa dei rapporti giuridici a contenuto patrimoniale può ritenersi una regola generalmente operativa nel nostro ordinamento, il quale fa salve alcune specifiche ipotesi solitamente rientranti nei rapporti c.d. intuitus personae.

È questo un punto che merita una riflessione.

3. Sulla natura personale del diritto all’indennizzo in capo all’assicurato e la sua qualificazione pattizia

Nel corso dell’istruttoria che l’AGCM ha promosso contro alcune polizze immesse sul mercato da HELVETIA (che per l’appunto prevedevano la clausola di intrasmissibilità), quest’ultima fra le altre argomentazioni, sottolineava che “nel caso della copertura relativa all’invalidità permanente, non sono oggetto di tutela assicurativa diretta gli eredi del beneficiario, i quali accedono all’indennizzo derivante dalla stessa solo nel caso, previsto dal contratto, che il predetto indennizzo sia già stato offerto in misura determinata prima della morte dell’assicurato” e ciò perché, conclude, “tali eredi dovrebbero esercitare un diritto personale, esclusivo del defunto”. L’argomentazione è nota e peraltro ripresa nelle difese svolte dagli operatori, come si apprende dalla lettura delle principali pronunce espresse in materia[7].

Tale assunto muove dalla tesi secondo cui la clausola in commento circoscrive l’operatività della polizza, fissando il carattere personale dell’indennità in quanto la morte dell’assicurato segnerebbe il momento estintivo dell’obbligazione, fatta eccezione per il caso in cui sia stata previamente liquidata o offerta[8]. In particolare, ne conseguirebbe la possibilità delle parti di rendere personale il diritto in questione, venuto meno alla morte del titolare originario, riqualificando e “depatrimonializzando”[9] il diritto all’indennizzo secondo la propria volontà.

A dispetto di quanto sopra però, bisogna riconoscere che la natura dei diritti dipende “dal loro naturalistico fondamento teleologico ed assiologico”[10] non già dalla qualificazione che ne abbiano fatto arbitrariamente le parti. Vieppiù in una materia, quale quella delle successioni, avente rilevanza di diritto pubblico, che in quanto tale non è disponibile dalla volontà negoziale dei privati[11].

Con il naturale corollario per cui, indipendentemente da ogni valutazione che le parti possono compiere e pattuire nel contratto, il diritto all’indennizzo, stante la sua natura patrimoniale, non può essere convenzionalmente riqualificato come personale.

Come alla pari, non sembra ragionevole assimilare, come si è tentato, il diritto all’indennizzo all’obbligazione alimentare[12] per legittimare la pedissequa clausola di intrasmissibilità, stante la peculiare connotazione del bisogno di sostentamento, indispensabile per fronteggiare le esigenze della vita, strettamente legate al soggetto beneficiario e per ciò limitate alla vita di quest’ultimo. Finalità quest’ultima del tutto estranea al caso che ci occupa, ove il diritto all’indennizzo una volta consolidatosi in capo all’assicurato ben può essere esercitato dagli eredi, non condividendo la caratteristica di sostentamento legata alla persona propria invece del credito alimentare.

4. Sull’autonomia delle parti nel prevedere la clausola di intrasmissibilità e sui motivi della sua vessatorietà

Precisato che il diritto all’indennizzo nasce in capo all’assicurato a prescindere da una qualsivoglia attività di quantificazione del suo ammontare e che stante il suo carattere patrimoniale è certamente idoneo a cadere in successione, a nulla rilevando la diversa qualificazione che le parti ne abbiano fatto nella polizza, è ora da chiedersi se i contraenti ne possono comunque limitare la trasferibilità e se ciò rappresenta una pratica vessatoria del consumatore (nulla ai sensi, e nei limiti, dell’art. 36 cod. cons.[13]).

La prima è una questione effettivamente controversa, trattando questa della compatibilità della clausola di intrasmissibilità con i principi in materia successoria che regolano il nostro Ordinamento ed in particolare con il divieto c.d. “di patti successori” previsto dall’art. 458 c.p.c. a mente del quale “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”.

Sul punto non sembra esserci comunanza di vedute. La Lettera al mercato, così come il provvedimento AGCM, non affronta la problematica e anche la Sentenza richiamata dall’IVASS non prende alcuna specifica posizione in materia, limitandosi unicamente ad operare un breve cenno ad una risalente pronuncia (invocata dalle difese delle parti), verso la quale però sembra mantenere un atteggiamento neutrale stante la sua estraneità al thema decidendum. Per completezza, vi è da dire però che nella pronuncia richiamata, sempre la Suprema Corte si è pronunciata nel senso di ritenere non integrante un patto commissorio, la clausola di intrasmissibilità agli eredi dell’assicurato del diritto all’indennità per invalidità permanente non ancora liquidata od offerta alla data della morte di quest’ultimo.

In realtà pur non tacendo le critiche mosse da quella parte della Dottrina che vede nella clausola di intrasmissibilità una illegittima restrizione dell’autodeterminazione del testatore, privato del suo diritto a disporre liberamente della propria successione[14], a ben vedere la questione della compatibilità con il divieto di patti successori pare essere facilmente assorbibile (anzi assorbita) dal successivo e centrale tema, che è quello della vessatorietà.

Del resto a prescindere dalla circostanza che la clausola di intrasmissibilità integri o meno un patto commissorio (cosa che ne determinerebbe ab origine la sua nullità ex art. 458 c.c.) ciò che è fuor di dubbio (proprio a seguito degli interventi dell’IVASS, AGCM, ma anche della costante giurisprudenza) è che tale pattuizione rappresenta in ogni caso una pratica vessatoria nei confronti dell’assicurato, in quanto tale parimenti nulla ai sensi dell’art. 36 cod. cons.

È questo il tema centrale utilizzato dall’IVASS nella Lettera al mercato, che proprio sul punto richiama, come accennato, tanto il provvedimento di AGCM quanto la pronuncia della Suprema Corte.

Si legge, infatti, che la clausola di intrasmissibilità determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto a danno dell’assicurato, posto che “a fronte di un impegno certo in capo al primo (pagamento del premio), la prestazione dell’impresa risulta invece subordinata ad una condizione la cui realizzazione dipende unicamente dalla volontà dell’impresa stessa, cioè dallo svolgimento dell’accertamento medico-legale entro i termini, in genere assai ampi (fino 18 mesi), previsti dal contratto”.

Il problema centrale, risolto nel senso che si dirà dalla Suprema Corte e fatto proprio dall’IVASS e AGCM, è quale sia il discrimine nei contratti di assicurazione infortuni e malattia tra delimitazione dell’oggetto negoziale e limitazione della responsabilità.

Inquadrare la clausola di intrasmissibilità nell’una piuttosto che nell’altra categoria, assume conseguenze la cui rilevanza è di tutta evidenza. Qualora infatti si dovesse ritenere, come si è ritenuto, che dette modalità operative rappresentino una pratica commerciale vessatoria, come accennato, si dovrà tenere in buona evidenza quanto disposto in materia dalle disposizioni del nostro codice, ovvero dall’art. 1341 c.c., oltre a quelle dettate a tutela del consumatore dal codice del consumo con gli artt. 33 e 36.

Sul punto non si può che prendere le mosse dalla Sentenza della Suprema Corte richiamata nella Lettera al mercato in commento, la quale è limpida nell’individuare l’oggetto del contratto di assicurazione ne “l’invalidità permanente che avrebbe potuto riportare l’assicurato” precisando finanche che la “delimitazione contrattuale del rischio (o alea) riguarda il luogo, il tempo, le cose o le parti del corpo umano, contemplati nella comune volontà negoziale, quali elementi determinanti dell’esistenza e del contenuto del danno […] di modo che ogni altra previsione contrattuale che limiti, riduca o escluda la responsabilità dell’assicuratore per fatti estranei al danno, non attiene alla sfera della limitazione del rischio ma quella diversa dei limiti dall’obbligo di risarcimento del danno già sorto e definito nella sua entità di fatto e di diritto”[15].

Del resto proprio nel rinviare a quanto sopra detto circa il momento generativo del diritto all’indennizzo non si può che condividere l’impostazione assunta dalla Suprema Corte, dalla quale deriva come naturale corollario che la clausola di intrasmissibilità altro non è che una clausola limitativa della responsabilità patrimoniale dell’assicuratore per un fatto “estraneo, all’oggetto del contratto, ovvero all’obbligo di indennizzo perfezionatosi sin dalla consolidazione in capo all’assicurato del danno assicurato.

La conseguenza di ciò non può dunque che essere una significativa alterazione del normale equilibrio contrattuale, a tutto vantaggio della Compagnia, la quale da parte sua così operando ha tutto l’interesse a sottrarsi all’immediata esecuzione della prestazione in attesa che si verifichi quell’evento (quale il decesso dell’assicurato) che, in assenza dei correttivi di cui oggi stiamo discutendo, comporterebbe l’estinzione della propria obbligazione di indennizzo. Una clausola, in altre, parole che favorirebbe una pratica scorretta, ovvero un’esecuzione del contratto da parte dell’impresa assicuratrice contraria a buona fede (sul punto v. infra le raccomandazioni dell’IVASS).

Quanto ai profili di vessatorietà la Sentenza richiama senza incertezze l’art. 1341 c.c., ma stante la qualifica di consumatore dell’assicurato il tema deve rimandare senza dubbio, come più volte anticipato, al codice del consumo. A tal proposito si segnala una recente sentenza del Tribunale di merito di Napoli, chiarissima nel collocare la clausola in commento come in violazione dell’art. 33 cod. cons. tanto nella ipotesi sub d), che riferisce alle clausole che prevedono un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà; quanto nella ipotesi sub v), che sancisce la vessatorietà della clausola che prevede l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore.

La vessatorietà in effetti sta tutta in questo ovvero nel fatto che l’adempimento dell’obbligazione di indennizzo che grava sull’impresa assicuratrice è sottoposto ad una condizione sospensiva meramente potestativa, perché dipendente esclusivamente dalla volontà della Compagnia di procedere all’accertamento del danno e alla quantificazione del suo indennizzo.

Uno schema negoziale, quello adottato dalla Compagnia che, a ben vedere, allora, prima che essere vessatorio è intimamente nullo ai sensi dell’art. 1453 c.c. a mente del quale “è nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore”.

Non solo l’ampio termine a disposizione della Compagnia per svolgere i necessari accertamenti, ma anche la mancanza di una rigorosa predeterminazione atta a velocizzare, in favore dell’assicurato, le procedure di accertamento rendono ancora più vessatoria la clausola di intrasmissibilità.

Come lo stesso è da dirsi, ci ricorda sempre la Lettera al mercato dell’IVASS, per l’impossibilità per gli eredi di provare le conseguenze dannose subite dall’assicurato mediante documentazione non proveniente dalla stessa Compagnia.

5. Considerazioni conclusive

Interessanti, infine, paiono essere le raccomandazioni formulate dall’IVASS a conclusione della sua Lettera al mercato. In primo luogo sono richiamati all’attenzione delle imprese assicuratrici i criteri di correttezza e trasparenza disposti dall’art. 183 del Codice delle Assicurazioni Private. Nella stessa ottica quindi si invitano le Compagnie a rivedere la formulazione delle polizze concernenti l’assicurazione infortuni e malattie “alla prima occasione utile e comunque entro 120 giorni” dalla pubblicazione della Lettera in commento.

Come a sottolineare l’importanza del tema, nonché l’attenzione che l’IVASS gli ha riservato, questa sembra poi spingersi oltre e dopo aver chiaramente inquadrato le problematiche, arriva a suggerire i correttivi che dovranno seguire le Compagnie per evitare di cadere in pronunce di vessatorietà o procedimenti dell’AGCM[16].

In tal senso allora è opportunatamente richiesto all’impresa che intenda riservarsi un periodo minimo per l’accertamento dei postumi permanenti, di prevedere la possibilità per gli eredi dell’assicurato, nel caso di premorienza di quest’ultimo rispetto a tale termine o all’accertamento legale dell’impresa, “la possibilità di dimostrare la sussistenza del diritto all’indennizzo mediante la consegna di altra documentazione idonea ad accertare la stabilizzazione dei postumi”.

Così disponendo, è chiara l’intenzione dell’IVASS nel tentare di superare la clausola di intrasmissibilità del diritto all’indennizzo che potrà quindi essere esercitato iure successionis dagli eredi, anche qualora, seppur perfezionatosi in capo all’assicurato, questo sia deceduto in un momento antecedente all’accertamento del danno e alla relativa liquidazione dell’indennizzo da parte della Compagnia.

Ciò detto parrebbe rappresentare un utile spunto operativo per le Compagnie quello di prevedere all’interno delle loro polizze appositi meccanismi attivabili in particolari ipotesi (quali ad esempio l’improvviso peggioramento delle condizioni di salute dell’assicurato), che permettano in tempi brevi tanto l’accertamento del danno subito da parte dell’assicuratore, quanto il conseguente diritto all’indennizzo, nonché la sua liquidazione. E ciò anche nell’interesse dell’impresa assicuratrice, la quale avrà oggi, a seguito degli interventi dell’IVASS e dell’AGCM, tutto l’interesse ad accertare con i propri mezzi e le proprie risorse la verificazione del danno in capo all’assicurato prima che questo venga a mancare. Il rischio, infatti, sarebbe quello di demandare il necessario accertamento all’attività degli eredi, che presumibilmente saranno portati ad affidarsi a propri professionisti o esperti a tutto svantaggio degli interessi della Compagnia. A tal proposito quest’ultima, rispettando il dettato dell’IVASS e quindi permettendo la dimostrazione della sussistenza del diritto all’indennizzo del de cuius, potrebbe alla pari individuare preventivamente, ovvero al momento della sottoscrizione della polizza, i documenti il cui grado di certezza e di autorevolezza (in senso di oggettività ed imparzialità) permettano di ritenere con certezza adempiuto l’onus probandi gravante sugli eredi.



[1] Per una migliore comprensione, si riporta di seguito la formulazione della clausola oggetto di giudizio della sentenza del 12 settembre 2016, emessa dal Tribunale di Napoli: “il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l’Assicurata muore dopo che l’indennizzo sia stato liquidato o comunque offerto in misura determinata, la Società paga l’importo liquidato od offerto in parti uguali agli eredi”.

Non dissimile la clausola oggetto della sentenza del 31 gennaio 2017, emessa dal Tribunale di Roma, in virtù della quale: “il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l’assicurato muore per causa indipendente dall’infortunio dopo che l’indennizzo sia stato liquidato o comunque offerto in misura determinata, l’Impresa paga agli eredi l’importo liquidato od offerto secondo le norme della successione testamentaria o legittima”.

[2] Con provvedimento n. 26661 del 28 giugno 2017.

[3] Con Sentenza dell’11 gennaio 2007, n. 395.

[4] Per una panoramica delle argomentazioni svolte da ANIA e HELVETIA in punto di legittimità della clausola di intrasmissibilità si veda AGCM, provvedimento n. 26661 del 28 giugno 2017 – v. infra.

[5] È noto l’annoso dibattito circa la categoria nella quale si discute sia da ricondurre la polizza infortuni e malattia, se nel ramo delle polizze contro i danni, cui sembrerebbe far riferimento il dato codicistico che prende le mosse dall’art. 1916 ult. comma c.c., ovvero nel ramo vita al quale sembra propendere invece la Giurisprudenza. A tal proposito vedasi, per una completa disamina delle pronunce, Cassazione Sezioni Unite, sentenza del 10 aprile 2002, n. 5119.

[6] Sul punto si veda lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 416-2012/C, La circolazione mortis causa dei rapporti giuridici in via di formazione e dei rapporti preliminari a parziale indeterminatezza soggettiva.

[7] Si veda a tal proposito le difese riassunte nella Sentenza della Suprema Corte dell’11 gennaio 2007, n. 395, ovvero in quelle riepilogate nelle sentenze del Tribunale di Napoli del 12 settembre 2016 e del Tribunale di Roma del 31 gennaio 2017, n. 1710.

[8] In tal caso si considererebbe già acquisita al patrimonio del soggetto assicurato.

[9] L’espressione è di CALVO, Assicurazione contro gli infortuni e clausola di intrasmissibilità del diritto all’indennizzo, in Resp. civ., 2007, 4, p. 4.

[10] Ibid.

[11] Si veda nota a Corte d’Appello di Roma, sentenza del 28 giugno 2007, n. 2917, in Giustizia Civile, 2010, 09, 00, 1951, “non potrebbero perciò le parti stabilire cosa si trasmette e cosa non si trasmette agli eredi, in quanto tale materia è riservata alla legge dello Stato”.

[12] Ovvero agli altri rapporti giuridici, che seppur aventi contenuto patrimoniale non sono comunque idonei a cadere in successione, stante la loro natura strettamente connessa alla persona.

[13] “Le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice […]”.

[14] SCIARRINO, Indennizzo per invalidità permanente: natura vessatoria della clausola di intrasmissibilità agli eredi, in Corriere Giur., 2017, 12, 1537; CALVO, op. cit.; ma anche commento di cui alla nota 10: “la clausola sopra ricordata costituisce un patto in virtù del quale l’assicurato dispone della propria successione. Essa pertanto integra gli estremi dei patti successori vietati dall’art. 458 c.c.”.

[15] Sentenza dell’11 gennaio 2007, n. 395.

[16] Che si apprende dal Comunicato stampa congiunto del 28 febbraio 2018, ha già avviato nei confronti delle compagnie assicurative Generali Italia S.p.A., Zurich Insurance Company Ltd (Rappresentanza Generale per l’Italia) e Allianz S.p.A.

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