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Cessione del quinto e usura: carattere vincolante delle istruzioni Banca d’Italia e irrilevanza del premio assicurativo nella determinazione del T.E.G. per operazioni anteriori al 31.12.2009

3 Marzo 2016

Francesco Concio, Senior Associate, La Scala Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

La cessione del quinto dello stipendio è considerata da sempre una delle operazioni di prestito al consumo più complesse, soprattutto dal punto di vista delle eventuali criticità connesse al tema dell’usura.

La ragione, come noto, poggia sull’esistenza di un consistente ventaglio di interventi giurisprudenziali pervenuti in punto di usurarietà, che nel corso degli anni hanno ridefinito il quadro di insieme della problematica, offrendo soluzioni spesso contrastanti e non sempre condivisibili.

In questa direzione, solo qualche anno fa avremmo detto che il “premio assicurativo” era da considerarsi una componente necessaria per il calcolo del T.E.G. (ossia il Tasso Effettivo Globale rilevante ai fini dell’usura), e che le istruzioni di Banca d’Italia, quale organo di vigilanza e di indirizzo delle banche e degli operatori finanziari, non potevano assumere carattere vincolante.

La presente conclusione, alla quale la giurisprudenza civile era pervenuta in un primissimo momento, solcava la rotta tracciata da alcune decisioni della Cassazione penale (cfr. Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028; Cass. pen., 14 maggio 2010, n. 28743), la quale, interpellata in ordine all’esatta individuazione delle componenti di calcolo del T.E.G. (M.) – anche se con particolare riferimento alla sola Commissione di Massimo Scoperto (C.M.S.) – si era limitata ad affermare che la formulazione tipica dell’art. 644 c.p.c. rispettava chiaramente il principio di riserva di legge, senza, tuttavia, soffermarsi sul ruolo delle Istruzioni di Banca d’Italia.

La dinamica interessante, tuttavia, era un’altra.

Infatti, nonostante tale impostazione sistematica fosse solo una parte di un quadro d’insieme iù ampio, il cui esame avrebbe richiesto un maggior approfondimento, la stessa era comunque riuscita a risvegliare l’interesse di una giovanissima giurisprudenza civile che iniziava così a muovere i primi passi in materia.

In tale contesto, le Corti di merito adite in sede civile non avevano fatto altro che mutuare le conclusioni alle quali era pervenuta la giurisprudenza penale, elevandone i contenuti a inscindibile corollario di una logica argomentativa che affondava le radici nei rigidi schemi dell’articolo 644 c.p..

Benché, infatti, la giurisprudenza in parola condividesse l’idea che gli elementi costitutivi della fattispecie tipica del delitto di usura dovevano considerarsi integrati – trattandosi di norma penale parzialmente in bianco – dalle istruzioni della Banca d’Italia, era inevitabile, sennonché prevedibile, almeno inizialmente, che vi fosse una certa renitenza nell’offrire un inquadramento sistematico della problematica disancorato da una prospettiva tipicamente penale.

L’esame della problematica, pertanto, muoveva le premesse dall’inevitabile considerazione che, a mente dell’art. 644, co. IV, c.p., per la determinazione del tasso di interesse usurario occorreva, necessariamente, tenere conto delle commissioni, delle remunerazioni a qualsiasi titolo, nonché delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito.

Per l’effetto, nell’accertare se fossero stati applicati interessi usurari, dovevano considerarsi rilevanti tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito, compresa la Commissione di Massimo Scoperto (C.M.S.).

In definitiva, ancorché per le istruzioni di Banca d’Italia allora vigenti la C.M.S. non costituisse una componente di calcolo del T.E.G.(M.) rilevante ai fini dell’usura, per la giurisprudenza penale intervenuta in materia doveva tenersi conto necessariamente anche di tali voci di costo (cfr. Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028; Cass. pen., 14 maggio 2010, n. 28743).

Impostazione questa, confermata anche da una successiva pronuncia di legittimità (cfr. Cass. pen., 23.11.2011, n. 46669), nel cui solco si sono inserite, negli anni successivi, proprio con particolare riferimento alle operazioni di cessione del quinto, dapprima le note decisioni dei Tribunali di Alba, Busto Arsizio e Saronno, e, in seguito, la sentenza n. 3283 del 22.08.2013 della Corte d’Appello di Milano e quella della Corte d’Appello di Torino intervenuta in data 20.12.2013.

I contributi giurisprudenziali offerti a quel tempo rappresentavano, in ogni caso, il primo segno di un orientamento marcato, inflessibile ad un inquadramento sistematico della problematica più aderente alle volontà del Legislatore.

Detto orientamento, che sino a due anni fa ha continuato registrare dei consensi (cfr. App. Milano, sentenza n. 1070/2014 e Trib. Padova, ord. del 14.03.21014), ha poi ceduto il passo ad una serie di interventi che rappresentano ormai il perno intorno al quale ruota la maggior parte delle controversie interessate della rilevazione di una ipotesi di usura, nei contratti di cessione del quinto stipulati prima del 2009.

Procedendo, infatti, sul filo di una logica argomentativa diametralmente opposta all’orientamento giurisprudenziale sin qui esaminato, una parte della giurisprudenza ha iniziato ad esaminare la questione impiegando una diversa chiave di lettura, condividendo così l’impressione che le istruzioni di Banca d’Italia per la rilevazione dei T.E.G.M. ai fini dell’usura dovessero qualificarsi come norme tecniche autorizzate dotate di efficacia vincolante.

Per giungere ad una simile conclusione, tuttavia, la giurisprudenza ha dovuto confrontarsi, e superare, la tradizionale identificazione sistematica delle componenti di calcolo del T.E.G.(M.), operando sin da subito una netta distinzione tra due diverse voci di costo (la commissione di massimo scoperto e il premio assicurativo), entrambe rilevanti per la determinazione dell’unico tasso (il T.E.G.-M.), la cui soglia deve essere determinata inevitabilmente secondo le Istruzioni di Banca d’Italia.

In questo quadro di riferimento è cresciuta, inoltre, la consapevolezza che per quanto le due voci di costo condividessero la peculiare caratterizzazione oggettiva tipica, trattandosi, in entrambi i casi, di componenti di calcolo escluse dal T.E.G.(M.) – quantomeno per le Istruzioni previgenti alla riforma del 2009 – queste presentavano comunque una natura e una causale dissimile.

Diversamente dalla C.M.S., infatti, nelle operazioni di credito al consumo contro cessione del quinto, l’assicurazione era, ed è tutt’ora, imposta per legge (cfr. art. 54 del D.P.R. 180/1950: “Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente titolo devono avere la garanzia della assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui, per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente, non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il ricupero dei residuo credito. Non è consentito prestare garanzia in favore del cedente mediante cessione, da parte di altro impiegato o salariato di pubblica amministrazione, di una quota del proprio stipendio o salario. Gli istituti autorizzati a concedere prestiti ai sensi del presente titolo non possono assumere in proprio i rischi di morte o di impiego dei cedenti, ad eccezione dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e delle società di assicurazione”).

Dunque, se la C.M.S. era da considerarsi un onere, una commissione applicata dalla Banca al Cliente, lo stesso non poteva certo dirsi per il premio assicurativo, imposto dalla legge nelle operazioni di cessione del quinto.

Diversamente commentando, avremmo corso il rischio di scontrarci con un’inevitabile paradosso: se, infatti, era la stessa legge a prevedere come obbligatoria la stipula di un contratto di assicurazione nei finanziamenti assistiti da cessione del quinto, sostenere che la relativa voce di spesa fosse equiparabile alla C.M.S. non avrebbe avuto altro effetto – laddove avessimo voluto ripercorre le tracce della giurisprudenza penale intervenuta in tema di C.M.S. – se non quello di generare una condizione di usura in un contesto chiaramente distante da quello dei contratti di conto corrente.

Il che, non solo avrebbe spostato il centro di attenzione della problematica sotto una diversa prospettiva, ma avrebbe addirittura rischiato di allontanare l’operatore dall’esatta individuazione di alcuni parametri chiave, indispensabili per giungere ad un corretto inquadramento sistematico della problematica.

Uno tra tutti, l’impossibilità di determinare l’eventuale superamento del tasso soglia usura senza la preventiva consultazione delle Istruzioni di Banca d’Italia “per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai fini della legge sull’usura”.

Per quanto, infatti, l’art. 644, comma III, c.p., preveda che “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari…”, è pur vero che senza l’impiego delle Istruzioni di Banca d’Italia il precetto penale non può dirsi certo integrato, mancando di fatto qualsiasi riferimento utile perché la fattispecie costitutiva del delitto di usura possa considerarsi completa sotto ogni profilo.

E’ questa, dunque, la ragione per cui il Legislatore ha deciso, a suo tempo, di affidare il completamento della fattispecie penale all’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n.108, secondo cui: “Il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”.

In definitiva, la conclusione alla quale era, ed è tutt’ora, possibile giungere, assume valore dogmatico: se, infatti, è proprio la Banca d’Italiaa dettare le istruzioni per “per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai fini della legge sull’usura” rilevate trimestralmente dal Ministero del Tesoro, appare inevitabile immaginare che dette istruzioni siano norme tecniche autorizzate dotate di una propria, ed esclusiva, efficacia vincolante.

E ciò, a maggior ragione se si considera che, a mente dell’art. 2 bis, comma 2, della Legge di conversione n. 2/2009, “Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.

Di conseguenza, l’unica conclusione raggiungibile è che, dovendo continuare a rilevare il T.E.G.M. secondo le disposizioni vigenti al momento dell’entrata in vigore della suddetta Legge di conversione, ogni problematica connessa ad eventuali profili di usurarietà dei tassi applicati alle operazioni di cessione del quinto, avrebbe dovuto essere risolta volgendo lo sguardo alle istruzioni di Banca d’Italia.

Ed è proprio qui che la linea di confine tra le Istruzioni della Banca d’Italia, ante e post riforma 2009, gioca un ruolo fondamentale per gli operatori di settore destinati a confrontarsi con i suesposti rilievi.

Nel tentativo, infatti, di superare la congerie di prevedibili complicazioni dovute al periodo transitorio, nelle “Istruzioni per la rilevazione dei Tassi Effettivi Globali Medi ai sensi della legge sull’Usura” aggiornate al mese di agosto 2009, era stato previsto che “Fino al 31 dicembre 2009, al fine di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della banca d’Italia e dell’UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006” (cfr.pagg. 15 e 16, Sez. D, sottosez. D1 – “Istruzioni per la rilevazione dei Tassi Effettivi Globali Medi ai sensi della legge sull’Usura”).

Ragion per cui, oggi appare senz’altro condivisibile ritenere che, se prima del 31.12.2009 le Istruzioni della Banca d’Italia prevedevano che “Nelle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio e assimilate indicate nella Cat. 8 le spese per assicurazione in caso morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore non rientrano nel calcolo del tasso purché certificate da apposita polizza”, del premio assicurativo, ai fini dell’usura nelle operazioni di cessione del quinto, occorrerà tenerne conto unicamente a partire dal 01.01.2010.

E’ questo, dunque, l’esatto quadro di riferimento nel quale ha preso forma il recente revirementdella giurisprudenza di merito e dell’A.B.F., secondo la quale, quantomeno con riferimento alle operazioni di cessioni del quinto, le Istruzioni di Banca d’Italia, oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica, hanno natura di norme tecniche autorizzate, e, in quanto tali, vincolanti, essendo queste autorizzate dalla normativa regolamentare, oltreché necessarie al fine di dare uniforme attuazione al disposto della norma di cui all’art. 644, commi III e IV c.p. (cfr. ABF – Collegio Roma- decisione N. 1137 del 28.02.2013; ABF – Collegio Roma – decisione n. 620/1012; ABF – Collegio Milano – decisione n. 2860 del 03.09.2012; ABF – Collegio Milano – decisione n. 4819 del 20.09.2013; Trib. Milano, sentenza del 3 giugno 2014, n. 7234; Trib. Milano, ordinanza del 21.10.2014, Dr. A.S. Stefani; Trib. di Milano, sentenza n. 15318 del 23.12.2014, Dr. F. Ferrari; Trib. Avezzano, ordinanza del 21.01.2015, Dr. A. Dell’Orso; Trib. di Milano, sentenza del 19.03.2015, n. 3586, Dr.ssa L. Cosentini; Trib. Varese, sentenza del 10.4.2015, n. 194, C.R. Dr.ssa S. Colombo;Trib. Torino, sentenza del 28.05.2015 n. 3944, Dr.ssa M. giusta; Trib. Milano, sentenza del 24.09.2015, n. 10737, Dr.ssa C. Cassone; Trib. Milano,sentenza del 01.10.2015, Dr.ssa S. Brat;decisione A.B.F. – Collegio di Roma – prot n. 1037734/15 del 02.10.2015; e Tribunale di Monza, sentenza del 11.11.2015, Dr.ssa G. Mariconda).

Per giungere alla conclusione, con riferimento ai contratti di cessione del quinto anteriori al 31.12.2009, la giurisprudenza è, senz’altro, riuscita a traghettare ogni problematica connessa al tema dell’usura in acque più serene, lontana da eventuali profili di criticità generati dall’inserimento del premio assicurativo tra le componenti di calcolo del T.E.G. (M.).

E’ chiaro, tuttavia, che per i contratti di prestito al consumo assistiti da cessione del quinto successivi al 01.01.2010, il problema rimane proprio in ragione delle modifiche apportate alle Istruzioni di Banca d’Italia.

Per questi, pertanto, occorrerà tenere conto necessariamente del premio assicurativo per la determinazione del T.E.G.

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