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Dossier

L’Agenzia delle Entrate e la “risoluzione consensuale” del trust

18 Ottobre 2019

Daniele Muritano

1. Il caso.

Con la risposta a interpello n. 355/19 l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto applicabile alla “risoluzione consensuale” di un trust l’imposta di donazione (e le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale qualora il fondo in trust comprenda beni immobili).

Il caso illustrato nella risposta a interpello è il seguente.

Disponente del trust, regolato dalla legge dell’isola di Jersey[1], è Tizio. Beneficiari del reddito sono Caia, Sempronia e Mevio e «ogni altro discendente in linea retta del Disponente che dovesse nascere nel corso della durata del Trust». Beneficiari del fondo in trust sono i «soli discendenti in linea retta del Disponente». Oltre al trustee esiste anche un guardiano del trust. Il trust «è irrevocabile e discrezionale» e la sua durata è fissata in 30 anni a partire dalla sua costituzione, avvenuta nel 2013.

Il fondo in trust, che in origine comprendeva una somma di denaro, comprende ora soltanto la quota di partecipazione in una società.

L’istante ritiene che sia possibile “risolvere” il trust con il consenso di tutte le parti, ossia il disponente, i beneficiari, il trustee e il guardiano.

In particolare, l’istante ritiene che la “risoluzione consensuale” sia possibile in applicazione della sec. 43(3) della legge regolatrice del trust, la quale prevederebbe che qualora i beneficiari del trust decidano la cessazione anticipata del trust il fondo in trust non è trasferito ai beneficiari, ma ritorna nel patrimonio personale del disponente.

Tale affermazione dell’istante è sicuramente inesatta, perché la sec. 43(3) della Trusts (Jersey) Law 1984 stabilisce che:

«Without prejudice to the powers of the court under paragraph (4) and notwithstanding the terms of the trust, where all the beneficiaries are in existence and have been ascertained and none are interdicts or minors they may require the trustee to terminate the trust and distribute the trust property among them». (Fermi restando i poteri del giudice in forza del paragrafo (4) e nonostante quanto disposto dal trust, laddove tutti i beneficiari sono in vita, sono stati individuati e nessuno di loro è interdetto o minore, essi possono richiedere al trustee di cessare il trust e distribuire loro il fondo in trust).

La disposizione normativa è inequivoca: in caso di anticipata cessazione (early termination) del trust il fondo in trust non ritorna affatto nel patrimonio personale del disponente ma deve essere distribuito dal trustee ai beneficiari (finali). L’espressione “among them” è infatti certamente riferita ai beneficiari (finali).

Proseguiamo.

L’istante richiama l’opinione dottrinale relativa ai casi in cui può venir meno un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., tra cui sarebbe compreso “l’accordo in tal senso fra i soggetti coinvolti nel negozio”. Ciò consentirebbe di giungere allo stesso risultato anche riguardo a un trust. In disparte il fatto che trust e atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. sono istituti diversi, ammesso che il venir meno di un vincolo di destinazione sia consentito con le modalità indicate, è necessario prima stabilire chi siano i “soggetti coinvolti nel negozio” il cui consenso occorre acquisire.

L’istante conclude osservando che l’atto istitutivo del trust non esclude che esso possa essere sciolto per mutuo consenso di tutte le parti. Poiché il trust si limita a prevedere che i beneficiari, senza il consenso delle altre parti, «non possono estinguere anticipatamente il Trust», a contrario, ritiene l’istante, con il consenso dei beneficiari (nel caso di specie di Caia, Sempronia e Mevio)e delle altre parti il trust si potrebbe risolvere.

2. La soluzione proposta dall’istante.

L’istante ha affermato che la risoluzione di un atto istitutivo di trust, che non ha ancora comportato un trasferimento di ricchezza ai beneficiari non comporta a sua volta un trasferimento di ricchezza assoggettabile all’imposta sulle donazioni. Cita a sostegno una pronuncia[2] del giudice tributario in tema di “revoca” (non, quindi, risoluzione) di un trust, secondo la quale «la revoca dell’atto di disposizione […] va assoggettata all’imposta di registro e non a quella sulle successioni e donazioni» e altra pronuncia[3] relativa a un caso di (parziale) “scioglimento” di un trust.

3. La soluzione ritenuta applicabile dall’Agenzia delle Entrate.

In estrema sintesi, l’Agenzia ritiene applicabile l’imposta di donazione in forza del seguente ragionamento:

(a) l’atto istitutivo di un trust è un atto unilaterale e quindi non può applicarsi l’art. 1372 c.c., che regola la diversa ipotesi di scioglimento del contratto per mutuo consenso;

(b) l’atto di dotazione attraverso cui il disponente conferisce i beni nel trust è anch’esso un atto unilaterale;

(c) le parti dell’atto di risoluzione consensuale del trust sono diverse rispetto al disponente che ha istituito il trust;

(d) l’oggetto dei due atti è diverso, perché nel trust è stato conferito denaro mentre a seguito della risoluzione il disponente riceverà quote societarie.

Conclusione: poiché l’atto determina un trasferimento gratuito di beni dal trustee al disponente si applica l’imposta di donazione. Se, poi, si trattasse di trasferimento immobiliare, si applicherebbero pure le imposte ipo-catastali, in quanto sono dovute per la formalità di trascrizione e voltura.

4. La cessazione del trust con attribuzione del fondo in trust ai beneficiari finali.

L’istante, nel caso oggetto dell’interpello, ha (inesattamente, come abbiamo visto) richiamato la disposizione della legge dell’isola di Jersey che consente ai beneficiari di un trust di determinarne l’anticipata cessazione ottenendo il trasferimento del fondo in trust a loro favore.

Il tema della early termination del trust è oltremodo complesso. In questa sede ci limiteremo a qualche cenno, al fine di precisare che, nel caso in oggetto, il trust non può né essere fatto cessare anticipatamente né, come si vedrà nel successivo paragrafo, essere “risolto” per mutuo consenso.

La early termination del trust è il frutto dell’esercizio di un potere che spetta solo e soltanto ai beneficiari del trust (tutti: sia di reddito sia finali). Non occorrono né il consenso del disponente né il consenso del trustee né tantomeno il consenso del guardiano. Del primo, perché egli, a seguito della stipula del trust e dell’affidamento dei beni al trustee è, come usualmente si afferma, “uscito di scena”; del secondo e del terzo, perché sono soggetti deputati al soddisfacimento dell’interesse dei beneficiari e, come tali, non sono portatori di alcun autonomo e personale interesse.

Il potere di chiedere la cessazione anticipata del trust discende dalla regola giurisprudenziale affermata nel caso Saunders v Vautier[4], sulla cui falsariga si colloca la sec. 43 della Trusts (Jersey) Law 1984, che «recognises the rights of beneficiaries who are sui juris and together absolutely entitled to the trust property to exercise their proprietary rights to overbear and defeat the intentions of a testator or settlor».

La regola si spiega con la considerazione che, essendo il trust per definizione istituito nell’interesse dei beneficiari, una volta che costoro siano nominalmente e definitivamente individuati non v’è ragione di costringerli ad attendere il termine finale del trust fissato dal disponente per ricevere i beni in trust.

Costoro, pertanto, se sono capaci d’agire, ben possono concordemente decidere di costringere il trustee a distribuire loro – immediatamente – il fondo in trust[5].

La regola però si applica, come già anticipato, solo se i beneficiari sono «sui juris» e «absolutely entitled», cioè se essi – complessivamente considerati – vantano un diritto certo sulla totalità del trust fund.

Tanto per fare qualche esempio, la regola è stata ritenuta non applicabile nel caso in cui vi sia un beneficiario “contingent” (cioè sotto condizione sospensiva), come pure nel caso in cui il disponente abbia indicato quali beneficiari una rosa o categoria di soggetti congegnata in modo tale che, fino al termine del trust, non è possibile sapere chi ne farà effettivamente parte[6].

Nel caso oggetto dell’interpello beneficiari del reddito del trust sono Caia, Sempronia e Mevio e «ogni altro discendente in linea retta del Disponente che dovesse nascere nel corso della durata del Trust»; beneficiari del fondo in trust sono invece i «soli discendenti in linea retta del Disponente».

Poiché il lemma “discendenti” letteralmente comprende non soltanto i figli del disponente ma anche i figli di questi ultimi e così via, per applicare la regola in Saunders v Vautiers occorrerebbe anche il consenso dei beneficiari ulteriori.

Il consenso dei beneficiari ulteriori, però, può essere prestato solo se costoro sono individuati nominalmente e non con riferimento a una classe.

Nel caso dell’interpello n. 355/19 quella dei “discendenti” è chiaramente una classe, che è aperta e si chiuderà solo al termine del trust. Lo dimostra la clausola dell’atto che prevede quale beneficiario di reddito «ogni altro discendente in linea retta del Disponente che dovesse nascere nel corso della durata del Trust» (il trust ha durata 30 anni).

Pertanto, benché in linea di principio la presenza di un “gift over beneficiary” non impedisce l’applicazione della regola in Saunders v Vautier, nel caso concreto la regola medesima non può essere applicata, perché la classe dei “discendenti” non è chiusa.

Di conseguenza anche la sec. 43 della legge regolatrice del trust, espressione della regola in Saunders v Vautier, è inapplicabile. Ma anche se in astratto fosse applicabile, non avrebbe certo l’effetto di far ritornare il trust fund al disponente: il par. 3 è testuale (contrariamente a quanto si scrive nell’interpello) nel prevedere che i beneficiari «may require the trustee to terminate the trust and distribute the trust property among them».

I beneficiari finali potrebbero ricevere anticipatamente il fondo in trust (in tutto in parte, direttamente o indirettamente) solo attraverso l’esercizio da parte del trustee del power of advancement o del power of application. L’analisi di presupposti e modalità di esercizio di tali poteri va però oltre i limiti del presente scritto.

5. La cessazione del trust e la restituzione del fondo in trust al disponente.

L’inapplicabilità al trust in questione della regola in Saunders v Vautier preclude, per ovvie ragioni, anche la sua cosiddetta risoluzione consensuale.

Si è scritto “cosiddetta” risoluzione consensuale, poiché rispetto a un trust la possibilità di un “ritorno” dei beni al disponente non discende dall’applicazione dell’art. 1372 c.c. bensì dall’uso della stessa regola in Saunders v Vautier da parte del disponente[7].

A ben vedere, infatti, ciò che inesattamente si definisce “risoluzione consensuale” del trust non è altro che la combinazione tra una rinuncia dei beneficiari del trust (sia di reddito sia finali) alla loro posizione, consentita dalla legge regolatrice del trust e l’esercizio da parte del disponente, divenuto unico beneficiario del trust, del potere di anticipata cessazione dello stesso.

La sec. 10A (1) della legge di Jersey prevede che «Despite the terms of the trust, a beneficiary may disclaim, either permanently or for such period as he or she may specify, the whole or any part of his or her interest under a trust if he or she does so in writing». (A prescindere da quanto previsto nel trust, un beneficiario, con dichiarazione scritta, può rinunciare, sia definitivamente sia limitatamente al periodo di tempo che sarà da lui specificato, in tutto o in parte, alla posizione giuridica che gli derivi in forza di un trust).

Pertanto, poiché il beneficiario di un trust può rinunciare definitivamente alla propria posizione giuridica ne consegue che se tutti i beneficiari di un trust rinunciano e il trust nulla prevede per questa eventualità, il programma predisposto dal disponente non può essere condotto a termine. Il trust “fails” e diventa un “automatic resulting trust” in favore del disponente medesimo[8].

Il trust, infatti, presuppone che vi sia taluno (il beneficiario) nei confronti del quale il trustee deve adempiere le proprie obbligazioni fiduciarie. Se costui manca fin dall’origine oppure viene meno successivamente (ad es. per morte, rinuncia, mancato avveramento di una condizione)[9] ne consegue che il “beneficial interest” del trust “ritorna” al disponente[10]. Identico effetto di “ritorno” si produce se le finalità del trust non possono essere realizzate per altre ragioni, ad es. per impossibilità sopravvenuta[11].

In veste di unico titolare del beneficial interest il disponente potrà pertanto ottenere dal trustee la restituzione del fondo in trust in forza della regola in Saunders v Vautier.

Ora, con riguardo al trust oggetto dell’interpello, la rinuncia di tutti i beneficiari non è possibile per le stesse ragioni per cui non è possibile che i beneficiari esercitino il potere di anticipata cessazione del trust.

La classe dei beneficiari del reddito e dei beneficiari finali del trust è, come detto,una classe aperta, che si chiuderà solo al termine del trust e quindi non è possibile che si determini il sorgere di un automatic resulting trust in favore del disponente per effetto della rinuncia dei soli beneficiari di reddito, unici soggetti indicati nominalmente nell’atto istitutivo. Occorrerebbe la rinuncia di tutti i beneficiari del trust che però, per le ragioni già esposte, è da escludere.

6. La tassazione della “restituzione” del fondo in trust al disponente.

Anche se il trust oggetto dell’interpello non può cessare anticipatamente né essere “risolto”, resta comunque il problema delle modalità di tassazione della restituzione del fondo in trust al disponente qualora si verifichi uno dei casi esemplificati nel precedente paragrafo.

L’atto di reintestazione al disponente dei beni che compongono il fondo in trust, laddove si tratti di atto sottoposto a registrazione, è soggetto al pagamento dell’imposta di registro in misura fissa e, se tra tali beni vi sono immobili, al pagamento delle imposte ipotecaria e catastale anch’esse in misura fissa (così come affermato dall’istante nell’interpello in commento).

Si tratta di operazione negoziale che non si sostanzia in alcun trasferimento di ricchezza in favore del disponente. La reintestazione dei beni è atto “neutro”, che come tale non può soggiacere al pagamento di imposte che presuppongono la manifestazione di capacità economica.

Non è quindi sostenibile l’applicazione delle imposte (di registro, donazione, ipotecaria e catastale) in misura proporzionale, perché le imposte proporzionali presuppongono un effettivo arricchimento dell’avente causa in omaggio al principio di rango costituzionale di capacità contributiva ex art. 53 Cost. Ciò vale anche per le imposte ipotecaria e catastale, in quanto anch’esse presuppongono un effettivo arricchimento dell’avente causa[12].

Se ciò non bastasse, l’interpretazione sistematica, imperniata sul principio di capacità contributiva, consente di supportare la tesi mediante il richiamo a fattispecie del tutto analoghe a quella al vaglio, in cui la stessa Agenzia delle Entrate, la giurisprudenza e persino il legislatore, hanno ritenuto applicabile le imposte in misura fissa.

Va anzitutto ricordato, con riferimento al trasferimento di un bene immobile dal fiduciante alla società fiduciaria e al suo ri-trasferimento da questa al fiduciante, che la DRE dell’Emilia Romagna, con la risoluzione n. 909-14280/2003 del 13 marzo 2003, ha affermato che tali atti non hanno a oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale e quindi devono essere assoggettati al pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (nello stesso senso anche la risoluzione della Direzione Provinciale della Lombardia del 31 dicembre 2001).

Quanto alle ulteriori fattispecie si richiamano:

1) la risoluzione della donazione per mutuo consenso;

2) il trasferimento di beni immobili dal mandante al mandatario nel caso di mandato ad alienare senza rappresentanza;

3) la restituzione dei beni al disponente nel caso di trust a vantaggio di disabili gravi che cessa a seguito della morte del disabile.

La risoluzione della donazione per mutuo consenso è esaminata dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 20 del 2014.

In tale risoluzione l’Agenzia afferma che «Nel caso di risoluzione per mutuo consenso di un precedente atto di donazione avente per oggetto un bene immobile, senza previsione di un corrispettivo, le parti si obbligano, in linea generale, alla sola restituzione del bene immobile. Tenuto conto dell’effetto eliminativo che esplica l’atto di risoluzione per mutuo consenso, si ritiene che tale fattispecie non integra il presupposto per l’applicazione della disciplina prevista per i trasferimenti immobiliari dall’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al TUR, e la consegna (sic!)dell’immobile all’originario proprietario non assume rilievo ai fini dell’imposta proporzionale di registro.» E aggiunge che«Considerato l’effetto retroattivo prodotto dalla risoluzione convenzionale per mutuo consenso, che elimina ab origine gli effetti prodotti dal primo contratto, si precisa, infine, che per la risoluzione per mutuo consenso relativa ad un atto di donazione avente ad oggetto un diritto reale immobiliare, le imposte ipotecaria e catastale devono essere applicate nella misura fissa di euro 200

La fattispecie della restituzione dei beni immobili al disponente a seguito della cessazione del trust per impossibilità di perseguirne il programma è del tutto analoga a quella della risoluzione della donazione.

I trust infatti, nella stragrande maggioranza dei casi danno luogo a una liberalità indiretta, per cui la loro “eliminazione dal mondo giuridico” è in tutto e per tutto assimilabile alla risoluzione consensuale di una donazione (diretta).

Tali “regole” applicative sono estensibili anche ai trust non liberali (es. di garanzia) perché anche in questi casi difetta l’arricchimento del disponente quale effetto proprio dell’avvenuta revoca o risoluzione[13].

Il trasferimento di beni immobili dal mandante al mandatario nel caso di mandato ad alienare senza rappresentanza è stato indagato, sotto il profilo tributario, dalle recenti pronunce della Corte di cassazione n. 11401 e 11402 del 2019.

La Corte, per decidere sulle modalità di tassazione di tale atto ha applicato la sua stessa giurisprudenza in tema di trust, affermando quanto segue:

«3.4 – Al riguardo, secondo il più recente orientamento, è da privilegiare la interpretazione costituzionalmente orientata del citato D.L. 3 ottobre 2006, ridetto art. 2, commi 47 e segg., la quale, con confacente richiamo dell’art. 53 Cost., comma 1, circoscrive la applicazione della suddetta norma tributaria, correlandola, in senso restrittivo, al rilievo della capacità contributiva comportata dal trasferimento del bene; sicché, quando il conferimento costituisce un atto sostanzialmente “neutro” che non arreca un reale ed “effettivo incremento patrimoniale (al) beneficiario” meramente formale della attribuzione, resta esclusa la ricorrenza di alcun “ trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta”.

3.5 – Siffatto principio di diritto merita di trovare applicazione anche in relazione al caso in esame del trasferimento, a titolo gratuito, dell’immobile alienando operato dal mandante in capo al mandatario senza rappresentanza, al fine della esecuzione del mandato alla vendita.

Sotto il pregnante e decisivo profilo della capacità contributiva il trasferimento in parola risulta, infatti, manifestamente neutro in quanto non comporta alcun sostanziale “trapasso di ricchezza” e definitivo arricchimento della sfera patrimoniale del mandatario, atteso che costui è gravato (per l’adempimento dei mandato) dalle correlate obbligazioni di trasferire al terzo acquirente il bene (del quale è intestatario meramente formale), e di corrispondere al mandante il relativo prezzo, ovvero – qualora il mandato non possa essere adempiuto – dalla obbligazione di retrocedere il bene al mandante.»

Come nel mandato ad alienare, anche il trasferimento dei beni in favore del trustee è fattispecie strumentale e temporanea, perché finalizzata al perseguimento del programma stabilito nell’atto istitutivo di trust, per cui i beni e diritti trasferiti al trustee sono meramente funzionali all’espletamento della sua attività.

Allo stesso modo la gestione dei beni in trust a vantaggio dei beneficiari è il programma che, per effetto della revoca, dell’avverarsi di una condizione risolutiva o di qualsiasi altra causa, non può più essere realizzato dal trustee.

Ne consegue, “simmetricamente”, che laddove il mandatario non alieni il bene nei termini stabiliti nel mandato e per tale ragione debba reintestarlo al mandante non potranno che essere dovute le imposte in misure fissa. La vendita a terzi, in tale contesto, è il (non realizzato) programma negoziale stabilito nel mandato.

Larestituzione dei beni al disponente nel caso di trust a vantaggio di disabili gravi che cessa a seguito della morte del disabile, è disciplinata dall’art. 6, comma 4, della L. 22 giugno 2016, n. 112, prevede che «In caso di premorienza del beneficiario rispetto ai soggetti che hanno istituito il trust ovvero stipulato i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero costituito il vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile, i trasferimenti di beni e di diritti reali a favore dei suddetti soggetti godono delle medesime esenzioni dall’imposta sulle successioni e donazioni di cui al presente articolo e le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa.»

Il comma 1 del medesimo art. 6 prevede le modalità di tassazione dell’atto traslativo iniziale (o dell’atto con cui il disponente si dichiara trustee): «I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile ovvero destinati a fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, istituiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni.»

Queste disposizioni, lette alla luce dei principi di diritto affermati dall’ormai granitica giurisprudenza della Corte di cassazione, che costituiscono ormai il “diritto vivente” della tassazione dei trust[14], lungi dal considerarsi come agevolative[15], rappresentano la (anticipata) “codificazione” dei principi medesimi, relegando così in soffitta i documenti di prassi dell’amministrazione finanziaria, che essendo ormai contra legem, non possono più essere applicati.

Se, pertanto, è ormai impensabile una tassazione in misura proporzionale al momento del trasferimento dei beni al trustee[16] è impensabile una tassazione proporzionale al momento della restituzione dei beni dal trustee al disponente. La rdisposizione dell’art. 6, comma 4, della L. 112/16 è applicabile a tutti i negozi di destinazione, compreso il trust.

7. L’infondatezza degli argomenti contenuti nella risposta a interpello.

Nel par. 3 abbiamo indicato gli argomenti addotti dal’Agenzia delle Entrate per giustificare l’applicazione dell’imposta di donazione all’atto di restituzione del fondo in trust al disponente. Li riportiamo di nuovo per agevolare il lettore:

(a) l’atto istitutivo di un trust è un atto unilaterale e quindi non può applicarsi l’art. 1372 c.c., che regola la diversa ipotesi di scioglimento del contratto per mutuo consenso;

(b) l’atto di dotazione attraverso cui il disponente conferisce i beni nel trust è anch’esso un atto unilaterale;

(c) le parti dell’atto di risoluzione consensuale del trust sono diverse rispetto al disponente che ha istituito il trust;

(d) l’oggetto dei due atti è diverso, perché nel trust è stato conferito denaro mentre a seguito della risoluzione il disponente riceverà quote societarie.

Ognuno di questi argomenti è infondato.

(a) La (ritenuta) unilateralità dell’atto istitutivo di trust è estranea alle questioni di tassazione della restituzione del fondo in trust al disponente, in quanto l’atto istitutivo è atto programmatico, con cui il disponente configura le obbligazioni fiduciarie che il trustee deve adempiere[17].

(b) La (ritenuta) unilateralità dell’atto di affidamento al trustee dei beni in trust con conseguente inapplicabilità dell’art. 1372 c.c. è del tutto fuori luogo.

In disparte il fatto che il trust è necessariamente regolato da una legge straniera, tanto è vero che la sua eliminazione dal mondo giuridico, come abbiamo dimostrato nei precedenti paragrafi, è effetto risultante dall’applicazione di tale legge e non dell’art. 1372 c.c., ciò che è certamente inesatto è affermare che determinati beni possano essere trasferiti (meglio: affidati) dal disponente al trustee con atto unilaterale.

È infatti pacifico che al trasferimento della proprietà di beni siti in Italia si applica la legge italiana. Lo afferma testualmente l’art. 4 della Convenzione de L’Aja dell’1 luglio 1985: «La Convenzione non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee».

Nell’ordinamento italiano, poi, è opinione prevalente, per non dire pacifica, che gli effetti reali derivano esclusivamente da fattispecie bilaterali[18]. Pertanto è da escludersi che il disponente possa istituire un trust (= stipulare l’atto istitutivo) e trasferire i beni al trustee (= stipulare l’atto traslativo) senza l’accettazione di quest’ultimo[19].

(c) L’affermazione secondo cui le parti dell’atto di risoluzione consensuale del trust sono diverse rispetto al disponente che ha istituito il trust è anch’essa priva di pregio.

Come già sopra precisato, il disponente, il trustee e il guardiano in quanto tali non hanno alcun ruolo nell’operazione negoziale che conduce alla restituzione del fondo in trust al disponente. Quest’ultimo agirà non in tale veste bensì in quella di unico titolare del beneficial interest. Le altre due figure (trustee e guardiano) interverranno esclusivamente per prendere atto della fine del trust, essendo il loro consenso irrilevante. Il trustee sarà obbligato a reintestare e consegnare il fondo in trust al disponente/beneficiario. Ciò premesso, l’Agenzia nega l’applicabilità delle imposte in misura fissa perché «le parti che intervengono nell’atto con cui il trustee restituisce il fondo in trust al disponente sono diverse rispetto al disponente». In particolare, tale diversità parrebbe riguardare il trustee, che non è più quello originario. L’argomento tradisce il fraintendimento di un profilo centrale dell’istituto:nel trust chi gestisce il fondo è un “organismo” distinto dalle persone che lo compongono[20]; il mutamento del trustee è quindi irrilevante.

(d) Infine, l’argomento secondo cui ciò che sarà oggetto di restituzione al disponente è diverso da ciò che in origine era compreso nel fondo in trust, non coglie nel segno ed è puramente formalistico. Stiamo discutendo di un trust, dove ciò che conta è il valore, non il singolo bene determinato, conta il fund, non la res[21].

Non si ignora, ovviamente, che ben potrebbe il fund essere di valore maggiore rispetto allares originariamente affidata al trust. Ma ciò non cambia i termini della questione, perché la tassazione con l’imposta di donazione, oltre a presupporre un atto “autenticamente” liberale implica che il depauperamento e l’arricchimento coinvolgano patrimoni di soggetti diversi, e non è logicamente né giuridicamente ipotizzabile una donazione in favore di se stessi[22].

In realtà il patrimonio del disponente, in caso di restituzione del fondo in trust per effetto dell’impossibilità di prosecuzione del programma, non si modifica. In tale patrimonio, infatti, è presente, fin dal momento dell’istituzione del trust, il diritto di ottenere la restituzione del fondo in trust per il caso in cui sia impossibile la prosecuzione del programma[23].



[1] Trusts (Jersey) Law 1984 e successive modificazioni.

[2] Comm. Trib. Reg. Lombardia, sez. dist. Brescia 16 maggio 2016, n. 2937, in Trusts, 2016, 648. Occorre però precisare che nel caso oggetto della pronuncia il notaio aveva applicato l’imposta di registro (e le imposte ipotecaria e catastale) in misura proporzionale. L’ufficio aveva invece ritenuto applicabile l’imposta di donazione nella misura dell’8% e chiesto la differenza. La Commissione, a dire il vero, si è limitata ad affermare l’applicabilità dell’imposta di registro, senza precisare se in misura fissa o proporzionale. L’applicabilità dell’imposta in misura fissa sembra però discendere dal fatto chenella motivazione della sentenza è richiamata la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 20/E del 14 febbraio 2014, che ritiene applicabili le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa all’atto di risoluzione di una donazione per mutuo consenso.

[3] Comm. Trib. Prov. Milano 3 febbraio 2017, in Trusts, 2017, 547, che ha così motivato: «Quanto all’imposizione sull’atto di scioglimento del vincolo de quo, la Commissione, osservato che non ha comportato alcun trasferimento di ricchezza dal trust/trustee ai beneficiari, ma il ritorno del bene nel patrimonio del disponente, non si applica l’art. 2, co. 47, D.L. n. 262 del 2006 (conv. con modif. nella Legge n. 286 del 2006), che prevede l’applicazione dell’imposta di donazione alla costituzione dei vincoli di destinazione, fattispecie legale che non ricorre nella vicenda in giudizio. Il principio si applica anche con riferimento alle imposte ipo-catastali, che accedono in presenza di immobili, all’imposta sulle donazioni: per l’effetto, in difetto della costituzione di un vincolo, anzi in presenza di un ri-trasferimento al dante causa dei beni vincolati, non si applica l’imposta in misura proporzionale, ma fissa.»

[4] Saunders v Vautier [1841] EWHC J82. Cfr. anche Goulding v James [1997] 2 All ER 239.

[5] Sul tema è utile segnalare la sentenza della High Court of Justice, Lewis and others v Tamplin and others, 26 marzo 2018, Paul Matthews J., ove si chiarisce che in forza della regola in Saunders v Vautier i beneficiari, pur se tutti concordi, non possono impartire direttive al trustee circa l’esercizio dei suoi poteri, ma hanno soltanto la facoltà di porre fine al trust.

[6] Riguardo al primo caso cfr. Re Lord Nunburnholme [1912] 1 Ch 489: un soggetto era stato indicato come beneficiario se avesse raggiunto l’età di 30 anni e si è pertanto escluso che costui potesse reclamare la quota di beni in trust spettantegli prima che la condizione si fosse avverata; riguardo al secondo caso cfr. Re Jefferies [1936] 2 All ER 626.

[7] La questione può complicarsi se il fondo in trust comprende beni apportati non solo dal disponente ma anche da terzi. In questa sede ci limiteremo ad analizzare il caso oggetto dell’interpello, in cui non sembra vi siano stati apporti di terzi.

[8] Re Vandervell’s Trusts (No 2) [1974] 1 All ER 47.

[9] Re Ames [1946] Ch 217; Essery v Cowlard [1884] 26 Ch D 191.

[10] Vandervell v Inland Revenue Commissioners[1967] 2 AC 291.

[11] Un celebre e molto discusso caso inglese è BarclaysBankvQuistclose[1970] AC 567.

[12] Cfr. Cass. nn. 11401 e 11402 del 30 aprile 2019, che richiamano: ordinanza n. 1131 del 17 gennaio 2019; sentenza n. 21614 del 26 ottobre 2016, sentenza n. 975 del 17 gennaio 2018, sentenza n. 15469 del 13 giugno 2018, ordinanza nn. 31445 e 31446 del 5 dicembre 2018. Da ultimo cfr. Cass. nn. 16699, 16700, 16701, 16702, 16703, 16704 e 16705 del 21 giugno 2019; n. 19167 del 17 luglio 2019; n. 19319 del 18 luglio 2019; nn. 22754, 22755 22756 e 22757 del 12 settembre 2019.

[13] I trust non liberali, peraltro, come confermato dalla giurisprudenza più recente (v. nt. 12), sono del tutto estranei all’imposta di donazione. D’altro canto, dal punto di vista degli “effetti” (e solo quelli) prodotti dagli atti di restituzione dei beni dal disponente al trustee, il “flusso” (meglio: il “non flusso”) è identico a quello che si verifica nel caso di risoluzione della donazione: i beni, appunto, tornano indietro e nessuno si arricchisce.

[14] V. la giuripsrudenza cit. alla nt. 12.

[15] In argomento cfr. anche Cass. 12 settembre 2019, n. 22754, la quale afferma che «[O]ggettivamente debole è l’argomento di segno contrario secondo cui quando il legislatore ha inteso esentare da imposta di successione e donazione il trust, lo ha specificato a chiare lettere, così come accade nell’art. 6 l. n. 112 del 2016 cit. sul trust di disabilità. Questa conclusione appare forzata. Alla determinazione dei presupposti dell’imposta dovrebbe, di regola, giungersi in via diretta, certa e tassativa, e non con argomento a contrario».

[16] Ciò vale – a maggior ragione – anche riguardo ai trust c.d. autodichiarati.

[17] Tra l’altro l’atto istitutivo “isolato” da un atto di affidamento di trust property al trustee non dà neppure luogo a un trust. Il problema della unilateralità o meno di tale atto è di scarsissima rilevanza pratica, poiché di regola il trustee è presente all’istituzione del trust e accetta l’incarico contestualmente.

[18] R. Sacco, La conclusione dell’accordo, in Gabrielli (a cura di), I contratti in generale, I, Utet, 1999, 77.

[19] A sostenere il contrario si dovrebbe ipotizzare un disponente che – da solo – istituisca un trust e si spogli dei beni (anche immobili) senza che la persona nominata trustee ne sia a conoscenza. Questo, oseremmo dire, rasenta i limiti del fantadiritto.

[20] Cfr. Corte di giustizia dell’Unione europea, 14 settembre 2017, in causa C-646/15, Trustees of the P Panayi Accumulation & Maintenance Settlements vs Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs, in Trusts, 2018, 231.

[21] M. Graziadei e B. Rudden, Il diritto inglese e il trust: dalle res al fund, in Quadrimestre, 1992, 458: del primo A. v. pure Diritti nell’interesse altrui. Undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche, 13, Università degli studi di Trento, Trento, 1996, 482 segg., segn. 484. M. Lupoi, La metabolizzazione del trust, in Corr. giur., 2017, 784, a 795.

[22] Il trustee è soggetto neutro sul piano fiscale. Rifiutiamo infatti di credere che l’Agenzia, per tassare la restituzione con l’imposta di donazione, giunga a ritenere esistente uno “spirito di liberalità” in capo al trustee.

[23] La situazione è analoga a quella di chi conferisce un mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili ovvero un mandato senza rappresentanza ad alienare beni immobili con contestuale trasferimento dei medesimi al mandatario. Nel primo caso, a seguito del conferimento del mandato ad acquistare, poiché il mandante deve fornire al mandatario la provvista ex art. 1719 c.c., dal suo patrimonio uscirà una somma di denaro ma vi entrerà un credito: a riottenere la somma dal mandatario, se questi non eseguirà il mandato, oppure il bene che il mandatario acquisterà. Ne consegue che quando il mandatario ritrasferisce il bene al mandante il patrimonio di quest’ultimo non si modifica, se non in senso “qualitativo”. Lo stesso avviene nel secondo caso. A seguito del conferimento del mandato ad alienare e del trasferimento dei beni immobili al mandatario (trasferimento che, come si è evidenziato nel testo, è soggetto al pagamento delle imposte in misura fissa), nel patrimonio del mandante è compreso il diritto (che ha natura creditoria) a riottenere dal mandatario il bene immobile qualora questi non riesca ad alienarlo nei termini previsti dal mandato. Anche in questo caso quando il mandatario ri-trasferisce il bene al mandante il patrimonio di quest’ultimo non si modifica, se non, di nuovo, “qualitativamente”. In tutti questi casi, contrariamente alla prassi dell’Agenzia, la mancanza di arricchimento del mandante implica l’applicazione delle imposte nella sola misura fissa.


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