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Attualità

Abuso del diritto nell’imposta di registro: l’orientamento dell’AE alla luce della rimessione alla Corte Costituzionale

25 Settembre 2019

Giorgio De Capitani e Maura Dal Col, PwC TLS Avvocati e Commercialisti

Con la Risposta all’interpello n. 196 dell’11 giugno 2019 (la “Risposta”), l’Agenzia ha ribadito la legittimità (rectius, l’assenza di abuso) dell’operazione di conferimento di azienda seguito dalla cessione della partecipazione nella società conferitaria, dal punto di vista dell’imposta di registro. Pur confermando l’orientamento pregresso già espresso dall’Agenzia, la Risposta deve essere letta (ed applicata) tenendo a mente la successiva Ordinanza della Corte di Cassazione n. 23549 del 23 settembre 2019, di orientamento diametralmente opposto.

La questione interpretativa oggetto dell’interpello

L’interpello oggetto di Risposta ha ad oggetto la valutazione del trattamento ai fini dell’imposta di registro di un’operazione di conferimento di azienda seguito dalla cessione della partecipazione nella società conferitaria (il c.d. “two steps deal”) che la società istante avrebbe voluto porre in essere nell’ambito di una delle procedure di composizione della crisi d’impresa. La scelta di una modalità di circolazione indiretta (i.e. conferimento e cessione della partecipazione) e non diretta (cessione dell’azienda) sembrerebbe essere legata alla volontà di facilitarne la cessione al mercato e conseguente risoluzione di una situazione di crisi.

Il tema affrontato nella Risposta riguarda la facoltà dell’Amministrazione Finanziaria di riqualificare il two steps deal (assoggettato ad imposta di registro in misura fissa) in un’operazione di cessione diretta di azienda (assoggettato ad un’imposta di registro proporzionale). Ciò sulla base dell’art. 20 DPR 131/1986 (“TUR”) relativo all’interpretazione degli atti da un lato e/o dell’art. 10bis L. 212/2000 relativo all’abuso del diritto dall’altro.

L’Agenzia delle Entrate conclude stabilendo che siffatta operazione non è né riqualificabile ai sensi dell’art. 20 TUR né rappresenta una fattispecie di abuso del diritto ex art. 10bis L. 212/2000 e pertanto sconterà l’imposta di registro in misura fissa.

La (im)possibilità di riqualifica ex art. 20 TUR

L’art. 20 TUR, recante disciplina in materia di “Interpretazione degli atti”, nella sua formulazione previgente prevedeva che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti  presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Seppur la ratio della norma doveva essere quella di autorizzare “il ricorso a tecniche ermeneutico/qualificatorie tese a valorizzare gli effetti giuridici complessivi di più atti sottoposti a registrazione in funzione del loro collegamento[1] e non quella di “qualificare diversamente gli accordi raggiunti dai privati rispetto a quanto da essi esternato sulla base di riscontri vertenti da sostanza economica della fattispecie[2] “l’art. 20 ha spesso consentito all’Amministrazione Finanziaria di applicare il trattamento fiscale in base agli aspetti sostanziali dell’atto ed evitare quindi che aspetti formali dell’atto registrato potessero influire nella determinazione del carico impositivo. Tale norma ha rappresentato infatti per anni il fondamento delle contestazioni in materia di imposta di registro di operazioni di conferimento d’azienda seguiti da cessione di partecipazione che sono state riqualificate in operazioni di cessione d’azienda.

Con l’introduzione nel nostro ordinamento del concetto di abuso del diritto si è posto il problema di capire quale potesse essere la relazione tra l’art 20 TUR e l’art. 10bis L. 212/2000, in particolare per determinare se il primo fosse in qualche modo assorbito dal secondo ovvero se le due norme rispondessero a finalità diverse con conseguenti ambiti applicativi differenti.

In tale contesto è intervenuta la legge di Bilancio 2018[3] che ha apportato alcune modifiche all’art. 20 (al quale la legge di Bilancio 2019[4] ha attribuito natura interpretativa), ad oggi pertanto formulato come segue: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Se, con questa modifica, la ratio della norma non sembra aver subito rilevanti variazioni, l’ambito applicativo della stessa è stato circoscritto al contenuto di singoli atti (e non a pluralità di atti), evitando così che elementi non espressi e/o atti diversi possano essere presi in considerazione al fine di individuare il trattamento fiscale corretto.

Premesso quanto sopra, nella fattispecie oggetto della Risposta, l’Agenzia non può, sulla sola base dell’art. 20 TUR, “far valere un presunto collegamento […] e quindi, interpretando l’atto sottoposto a registrazione unitamente ad altri atti, assumere un presunto effetto giuridico unitario”. Il two steps deal non rientra pertanto tra gli atti riqualificabili ai sensi dell’art. 20 TUR in cessione diretta d’azienda.

In tal modo l’Agenzia ha pienamente accolto la modifica normativa nel senso voluto dal legislatore ed espresso nella relazione di accompagnamento alla norma[5].

In questo frangente, si deve tenere conto dell’Ordinanza della Cassazione n. 23549 del 23 settembre 2019, la quale ha riaperto la questione ormai “risolta” dalle modifiche normative sopra menzionate, rimandando alla Corte Costituzionale l’esame della norma in considerazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. Il principale messaggio dell’Ordinanza riguarda, in particolare, il fatto che l’Imposta di Registro non possa essere vista come mera imposta d’atto, in quanto avente natura di imposta applicabile alla manifestazione di reddito. Inoltre, viene ribadito che non sono solo i casi di elusione o evasione ad essere passibili di diversa interpretazione e quindi riqualificazione ai sensi dell’Imposta di Registro. Questa Ordinanza si pone in netto contrasto con il contenuto della Risposta in oggetto, che conclude in modo diametralmente opposto alla stessa. Ad oggi, non è possibile prevedere quale sarà l’evoluzione di questo “rinnovato” filone interpretativo. Nel prosieguo dell’articolo, pertanto, non verranno svolte particolari ulteriori riflessioni in merito.

La rilevanza della fattispecie ai fini dell’abuso del diritto

Principio di matrice europea e da anni qualificato come principio immanente dell’ordinamento dai giudici della Cassazione[6], l’abuso del diritto è stato codificato normativamente nel 2015 quando è stato introdotto nello Statuto dei Diritti del Contribuente l’art. 10bis[7]. Prima del 2015 esisteva infatti nel nostro ordinamento solo un concetto di elusione fiscale strettamente correlato a particolari operazioni espressamente elencate nell’art. 37bis D.p.r 600/1973 (e la cui applicabilità a fattispecie diverse da quelle espressamente previste era spesso oggetto di contenzioso).

In base all’art. 10bis, gli elementi distintivi della disciplina dell’abuso del diritto sono:

  • La liceità formale dell’operazione[8];
  • L’eventuale concatenazione di atti[9];
  • La realizzazione di vantaggi fiscali indebiti, da intendersi in termini di violazione della ratio della norma e dei principi dell’ordinamento[10];
  • L’ assenza di sostanza economica[11];
  • L’assenza di valide ragioni extrafiscali non marginali[12].

Nella Risposta in commento, l’Agenzia riconosce che l’operazione posta in essere non abbia un carattere abusivo in quanto non ravvede la presenta di un vantaggio fiscale indebito. La motivazione è tuttavia piuttosto scarna, limitandosi l’Amministrazione a sostenere che “il vantaggio fiscale dato dalla differenza tra l’imposta di registro in misura fissa, applicabile alle due operazioni, rispetto all’imposta di registro in misura proporzionale, applicabile nel caso di cessione di azienda, non risulta indebito, non contrastando con i principi che presiedono la tassazione proporzionale, ai fini dell’imposta di registro, delle cessioni d’azienda di cui all’art. 23 TUR”. Dalla motivazione citata sembra potersi desumere, in altre parole, il seguente principio: l’articolo 23 TUR riguarda la tassazione della cessione diretta dell’azienda. La cessione indiretta dell’azienda si qualifica come atto di pari dignità da qualificarsi ai fini dell’imposta di registro secondo la propria natura (i.e. la cessione di un bene di secondo grado, ovvero la partecipazione) e, pertanto, non costituisce un mero raggiro della tassazione della cessione diretta come disciplinata dall’articolo 23 TUR. Da qui, la non elusività del comportamento adottato (salvo ulteriori operazioni di riorganizzazione, come riportato sotto).

La Risposta 196: innovativa o solo confermativa?

Il principio sancito dall’Agenzia con la Risposta sembrerebbe avere in buona sostanza una matrice confermativa. L’assenza di abuso era infatti già stata confermata qualche tempo prima[13] in casi analoghi, laddove peraltro l’Agenzia aveva avuto modo di fornire anche una più ampia spiegazione delle ragioni sottostanti la conclusione raggiunta. Aveva infatti precisato che “La tassazione in misura fissa nell’ambito dell’imposta di registro risponde ad esigenze che nulla hanno a che vedere con la tassazione di capacità contributiva e che quindi non possono ritenersi “vantaggi fiscali” concessi dal legislatore a fronte della manifestazione di una capacità contributiva. Di conseguenza, la circostanza per cui oggigiorno ai fini dell’imposta di registro la cessione diretta dell’azienda continui a scontare la tassazione in misura proporzionale, mentre la cessione indiretta della stessa (tramite il trasferimento delle quote sociali) sconti la tassazione in misura fissa non appare riconducibile ad alcuna logica di fondo del settore impositivo in esame, tale per cui se il contribuente sceglie la seconda – seppure con un percorso articolato – configuri una violazione delle finalità perseguite dalla prima. Di conseguenza, il comportamento di quei contribuenti che, anche motivati dalla finalità di minimizzare il loro carico impositivo, scelgano di trasferire l’azienda mediante la cessione delle partecipazioni, previo loro conferimento in un apposito veicolo, non può essere ritenuto abusivo, difettando proprio il contrasto con la ratio di disposizioni o principi desumibili dall’imposta di registro.[14]

A voler tuttavia individuare qualche peculiarità, si può notare come la Risposta appaia molto più strutturata dividendo in modo netto i commenti relativi all’art. 20 TUR da quelli relativi all’abuso del diritto nell’ambito dell’imposta di registro. Rimarcando così il fatto che l’art. 20 TUR non ha una natura antielusiva, e che quindi le due norme si applicano contemporaneamente e distintamente alle medesime fattispecie (con effetti molto diversi).

Inoltre, in senso contrario, la Risposta non sembra prendere in considerazione, come invece fatto in altre circostanze, il possibile impatto ai fini della qualificazione dell’operazione di eventuali operazioni poste in essere a valle del two steps deal (vedi oltre). Tale mancanza, tuttavia, non sembra essere corroborata da argomentazioni aggiuntive o diverse, tali da indicare una diversa interpretazione dell’Agenzia. Sembrerebbe infatti essere più legata ad una diversa struttura delle Risposta stessa, che alla volontà di stabilire un principio diverso da quanto già precedentemente espresso.

L’impatto di eventuali operazioni successive al two steps deal

A differenza della Risposta in commento in cui l’Agenzia ha posto l’attenzione al solo two steps deal (sia dal punto di vista dell’art. 20 TUR che dell’art. 10bis), l’Agenzia ha in precedenza[15] fornito alcuni commenti in merito all’eventualità che porre in essere operazioni successive alla transazione oggetto di istanza possa condurre ad una situazione abusiva. In particolare, L’Agenzia ha commentato il caso della fusione tra la conferitaria e la società che ha acquisito le partecipazioni di quest’ultima, finalizzata di fatto ad ottenere un accorciamento della catena partecipativa.

In tal caso, l’applicazione dell’imposta di registro fissa al suddetto conferimento d’azienda, considerato lecito nell’ambito del two steps deal e non configurante un vantaggio fiscale, viene ad inquadrarsi quale indebito risparmio d’imposta nel momento in cui risulta chiaro (tramite la fusione) che l’obiettivo della transazione è il trasferimento diretto dell’azienda (assoggettato ad un’imposta proporzionale), realizzato tramite un percorso che l’Amministrazione definisce “tortuoso”[16].

Fatta salva la libertà di scelta da parte del contribuente, al fine di verificare se una fattispecie debba essere ritenuta abusiva o meno, è utile verificare se esistano soluzioni alternative per raggiungere il medesimo obiettivo e in tal caso se l’operazione realmente posta in essere si discosti o meno dalla soluzione considerata standard. In tale contesto, mentre se l’obiettivo è quello di spostare un’azienda, questo può essere raggiunto trasferendo la stessa in modo diretto o indiretto, se l’obiettivo è fin dall’inizio quello di acquisire un’azienda senza che vi sia alcun filtro societario (in altre parole, acquisire una azienda con l’obiettivo di integrarla con la propria), allora l’operazione privilegiata non può che essere il trasferimento a titolo oneroso dell’azienda stessa con la conseguenza che eventuali operazioni diverse e/o più complesse potrebbero essere ritenute contestabili. Fatto salvo ovviamente il caso in cui porre in essere una catena di operazioni risponda ad esigenze extrafiscali non marginali che giustificano anche la realizzazione di un vantaggio fiscale considerato indebito.

Adottare un simile approccio, se da un lato trova certamente una sua logica e ratio di fondo in quanto è evidente come la combinazione di molteplici operazioni sia molto distante dall’operazione lineare e diretta di cessione, dall’altro pone non pochi dubbi in merito all’estensione di potere di contestazione e all’effetto che l’aspetto temporale potrebbe generare. Non è infatti chiaro se ciò che rende indebito il vantaggio è il solo fatto di porre in essere un’operazione di fusione a seguito di un two steps deal oppure se il rischio di contestazione emerga solo nel caso di concomitanza o stretta correlazione temporale tra le varie operazioni poste in essere oppure se, come tenderemmo a sostenere, ciò che rileva è che l’intento di porre in essere un trasferimento d’azienda sia evidente e documentabile sin dall’inizio (ad esempio perché la fusione è già stata ipotizzata come step della riorganizzazione / acquisizione) a prescindere dal momento in cui vengono poste in essere. Conseguentemente, non sembrerebbe esistere un periodo minimo che salvi la successiva fusione dal rischio di contestazione qualora la stessa fosse contemplata sin dall’origine. D’altra parte, una fusione realizzata anche poco dopo l’operazione di conferimento, qualora derivante da una sopraggiunta decisione supportata da valide ragioni economiche, ma non originariamente prevista, non dovrebbe generare un indebito risparmio d’imposta e pertanto essere rispettata in sede di verifica.

Conclusione

La Risposta in commento deve certamente essere accolta con favore in quanto aiuta a delineare un orientamento volto a dare certezza della liceità del two steps deal sia dal punto di vista dell’art. 20 TUR (con ciò allineandosi all’interpretazione normativa) che anche (e soprattutto) dell’abuso del diritto.

Il documento lascia invece (in quanto non affronta esplicitamente) margini di incertezza in merito alla liceità di operazioni più complesse combinate tra loro che hanno quale effetto principale quello di trasferire in modo diretto l’azienda.

In ogni caso, la Risposta in commento dovrà essere considerata ed applicata tenendo a mente la successiva Ordinanza della Cassazione sopra citata, la quale purtroppo riapre la questione dell’ambito di applicazione dell’art. 20 TUR.

 

[1] Giovanni Girelli, “Forma giuridica e sostanza economica nel sistema dell’imposta di registro”, CEDAM, 2017

[2] Ibidem

[3] Art.1 comma 87, L. 27 dicembre 2017, n. 205

[4] Art. 1 comma 1084, L. 30 dicembre 2018, n. 145

[5] “La norma in esame è volta a definire la portata della previsione di cui all’articolo 20 del TUR, al fine di stabilire che detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all'atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici "collegati" con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote). Al riguardo, si evidenzia che, trattandosi di norma di natura chiarificatrice, dalla stessa non derivano effetti in termini di gettito. In particolare, la misura si limita esclusivamente a precisare le modalità con cui gli uffici devono effettuare le valutazioni ai fini del controllo, in tema di imposta di registro”.

[6] Si richiamano la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Halifax C-255/02, i cui principi sono stati recepiti ed estesi dalla Cassazione anche ai tributi non armonizzati (si pensi alle sentenze della Cassazione a SS. UU. 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057).

[7] “1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. […] 2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario. 3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente. 4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. […]”

[8] l’operazione abusiva è formalmente corretta e in linea con la normativa fiscale (tale elemento distingue il concetto di abuso da quello di evasione).

[9] è rilevante ai fini dell’abuso del diritto non solo il singolo atto bensì anche una serie di atti, fatti e contratti anche collegati tra loro che, nel loro insieme, costituiscono una fattispecie abusiva. Nell’ambito dell’imposta di registro questo aspetto sembrerebbe essere la principale discriminante tra quanto disposto dal (e contestabile alla luce del) disposto dell’art. 20 laddove invece rileva solamente il singolo atto portato alla registrazione.

[10] Tale vantaggio deve rappresentare un effetto essenziale dell’operazione, cosa che si concretizza nel momento in cui non si ravvisa sostanza economica nell’operazione (vedi oltre).

[11] Che deve essere intesa quale “assenza di effetti extra fiscali apprezzabili” (Assonime, Circolare 21 del 4 agosto 2016) e presenza di costruzioni artificiose distanti dalla prassi di mercato e non coerenti con la qualificazione formale delle stesse.

[12] Tale elemento assume natura di esimente escludendo la natura abusiva ogni qualvolta un’operazione sia stata scelta per ragioni di ordine organizzativo e gestionale senza le quali non sarebbe stata posta in essere.

[13] Risposta all’interpello n. 138 del 13 maggio 2019 e risposta all’interpello n. 13 del 29 gennaio 2019.

[14] Risposta all’interpello n. 13 del 29 gennaio 2019

[15] Risposta all’interpello n. 138 del 13 maggio 2019 e risposta all’interpello n. 13 del 29 gennaio 2019.

[16] “Qualora a seguito della cessione delle partecipazioni nella società conferitaria, l’acquirente proceda alla sua incorporazione, anche inversa, mediante una fusione (operazione quest’ultima a sua volta assoggettata a imposta di registro in misura fissa), le argomentazioni sopra esposte non possono più assumere rilevanza. In questa particolare fattispecie, è infatti chiara la volontà di acquisire direttamente l’azienda, risultando il percorso tortuoso posto in essere meramente strumentale al predetto obiettivo perseguito. Perciò, la combinazione di tre atti soggetti a tassazione in misura fissa (conferimento d’azienda, cessione delle partecipazioni nella società conferitaria e fusione tra la stessa società conferitaria e la società acquirente) configurerà il conseguimento di un indebito vantaggio d’imposta consistente nell’aggiramento della tassazione in misura proporzionale della cessione diretta dell’azienda”Risposta all’interpello n. 138 del 13 maggio 2019.

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