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Meccanismi di risoluzione delle controversie fiscali: novità e criticità nell’attuazione della Direttiva DRM

23 Dicembre 2020

Rosamaria Nicastro, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo
MAP

Lo scorso 25 giugno è entrato in vigore il D. Lgs. 10 giugno 2020, n. 49 recante «Attuazione della Direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio, del 10 ottobre 2017, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell’Unione europea», emanato in attuazione dell’art. 8, comma 1, della L. n. 117 del 2019 (legge di delegazione europea 2018).

La Direttiva – nota come Direttiva DRM (Dispute Resolution Mechanism), il cui termine di recepimento era fissato al 30 giugno 2019[1], ha istituito un meccanismo non giurisdizionale, vincolante e con obbligo di risultato, di risoluzione amministrativa delle controversie tra Stati membri derivanti dall’interpretazione e applicazione di Accordi e Convenzioni per l’eliminazione della doppia imposizione.

La finalità dichiarata della Direttiva DRM è quella di rendere maggiormente efficienti i meccanismi di risoluzione delle controversie internazionali in materia di doppia imposizione ed in particolare la «procedura amichevole» (Mutual Agreement Procedure «MAP» ) che comporta la consultazione diretta tra Amministrazioni fiscali di Paesi diversi[2].

La MAP, come noto, trova la sua disciplina sia nei Trattati fiscali bilaterali sottoscritti dagli Stati sulla base del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, sia nella Convenzione europea n. 90/436/CEE del 23 luglio 1990 «sull’arbitrato dell’Unione» (cd. Convenzione arbitrale).

La Convenzione arbitrale, ed alcuni Trattati, prevedono un meccanismo di arbitrato obbligatorio e vincolante, ai sensi del quale, se le Autorità competenti non raggiungono un Accordo entro due anni dall’inizio della procedura, la questione viene demandata ad una commissione consultiva indipendente chiamata ad esprimere – in sede arbitrale – un parere al fine dell’eliminazione della doppia imposizione. Il parere diviene vincolante se, entro sei mesi da quando viene reso dalla commissione consultiva, le autorità competenti non raggiungono un Accordo (anche difforme dal parere).

La Commissione Europea, a seguito di un’analisi sul funzionamento del descritto meccanismo, ne ha rilevato alcune criticità in tema di: i) ambito di applicazione limitato; ii) accesso difficoltoso alla procedura, iii) eccessiva durata della stessa; iv) scarso ricorso alla fase arbitrale.

Peraltro, le criticità evidenziate a livello comunitario dalla Commissione Europea sono ampiamente riscontrabili anche nell’ambito domestico nel quale sia il Legislatore che l’Amministrazione finanziaria sono intervenuti limitando fortemente la possibilità di fruizione degli strumenti.

Si consideri, ad esempio, che ai sensi delle previsioni della Convenzione, la procedura non risulta applicabile quando una delle imprese interessate sia «passibile di sanzioni gravi»; orbene, detta previsione è stata declinata, in sede di firma della stessa da parte dell’Italia, nelle dichiarazioni unilaterali, con la specificazione che «per “sanzioni gravi” si intendono le sanzioni previste per illeciti configurabili, ai sensi della legge nazionale, come ipotesi di reato fiscale», (rientrandovi, quindi, anche l’ipotesi di mera infedele dichiarazione) con la conseguenza che risultano, sul versante domestico, escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione tutte le controversie in materia di prezzi di trasferimento attualmente riconducibili alla fattispecie penale della dichiarazione infedele, al superamento delle previste soglie di punibilità.

Lo strumento è stato, poi, reso ancor meno fruibile, sempre nella sede domestica, anche dall’intervento dell’Agenzia delle Entrate, la quale, con la Circolare n. 21/E del 2012, ha affermato che le fattispecie rientranti nell’ambito oggettivo della Convenzione arbitrale sono solo quelle originanti dalle contestazioni di cui all’art. 110 T.U.I.R. in materia di prezzi di trasferimento, con ciò escludendo, quindi, eventuali richieste di arbitrato fondate su contestazioni di altra natura, quali ad esempio, quelle sui rilievi connessi all’inerenza dei costi sostenuti fra imprese associate o su stabili organizzazioni occulte.

La Direttiva DRM – che contiene la previsione di un procedimento che si articola in una fase di procedura amichevole (Mutual Agreement Procedure, “MAP”) in combinazione con una (eventuale) fase arbitrale – nell’ottica di superamento delle criticità evidenziate – presenta ora, in discontinuità con gli strumenti già vigenti, alcuni tratti peculiari che meritano particolare apprezzamento[3]. Essi attengono principalmente: a) alla introduzione di meccanismi di natura arbitrale (eventuali) e di ricorso alle competenti corti giurisdizionali nazionali attivabili dal contribuente;b)al riconoscimento di un ruolo attivo al contribuente, con ampi poteri di impulso ogni qualvolta si presenti la necessità di superare l’inerzia delle Autorità competenti coinvolte, o di contrastare dinieghi di queste ultime al passaggio alle fasi successive della procedura;c)alla istituzione di veri e propri diritti per il contribuente tutelabili nelle sedi giurisdizionali;d)all’innesto diretto nel tessuto dei Trattati e delle Convenzioni vigenti (come verranno modificati dal Multilateral Instrument «MLI»)[4] in recepimento dello standard comune a livello internazionale in materia di controversie fiscali internazionali.[5]

La Direttiva DRM, presenta poi, oltre ai peculiari tratti della sua architettura sopra esposti[6], anche molteplici elementi di novità – rispetto ai procedimenti di risoluzione delle controversie in sede comunitaria già noti – ma la disciplina domestica che ne dà attuazione, e cioè il D. Lgs. 10 giugno 2020, n. 49 (il “Decreto”), contiene previsioni normative non sempre coerenti con lo spirito e le finalità della legislazione comunitaria.

Tra i tratti di novità del procedimento previsto dalla Direttiva DRM, in primo luogo può annoverarsi, rispetto ai precedenti meccanismi, l’ampliamento dell’ambito oggettivo di applicazione.

Il nuovo perimetro di applicazione risulta includere le controversie che derivano dalla interpretazione e dalla applicazione di Accordi e Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio e dalla Convenzione 90/436/CEE, del 23 luglio 1990, (cd. Convenzione Arbitrale) relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (doppia imposizione riconducibile a rettifiche di transfer pricing).

Rispetto all’ambito oggettivo di applicazione contemplato dalla Direttiva, il Decreto che ne fornisce attuazione specifica, all’art. 2, comma 2, che si intende per «doppia imposizione» l’applicazione da parte dell’Italia e di uno o più Stati membri delle imposte contemplate da un Accordo o Convenzione di cui all’articolo 1, sullo stesso reddito o patrimonio imponibile, qualora comporti: a) un’imposizione aggiuntiva; b) un aumento delle imposte dovute; c) l’annullamento o la riduzione delle perdite che potrebbero essere utilizzate per compensare gli utili imponibili.

Il riferimento alla «imposizione aggiuntiva» operato dal Decreto, non appare perfettamente coincidente con la lettera della Direttiva DRM, che all’art. 2, lett. c), utilizza, invece, la locuzione «onere fiscale aggiuntivo» e tuttavia, parrebbe consentire l’applicazione delle procedure di risoluzione in discorso anche alle richieste di rimborso[7]nelle fattispecie di diniego, tacito o espresso purché relative a fattispecie che originino una doppia imposizione. Quanto all’ambito oggettivo di applicazione del meccanismo, il Decreto, quindi, sembra ampliare addirittura la portata della disposizione comunitaria.

La Direttiva DRM inoltre, innova, in quanto amplia, anche l’ambito soggettivo di applicazione della procedura. Ai nuovi meccanismi può, infatti, ora accedere qualunque persona, fisica o giuridica che sia, che eserciti o meno attività imprenditoriale purché sia residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato o in un altro Stato membro e sempre purché la imposizione a questa riferibile sia direttamente interessata in una questione involgente una doppia imposizione.

La conseguenza combinata di dette due macro novità comporta che, rispetto alla Convenzione Arbitrale, la Direttiva DRM ampli complessivamente il campo di applicazione della procedura.

Il nuovo ambito applicativo non risulta, quindi, più limitato alla materia dei prezzi di trasferimento e alla attribuzione di utili alle stabili organizzazioni, e, dunque, riguardante – in principio – le fattispecie coperte dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Ed, infatti, il riconosciuto diritto di accesso a questi meccanismi anche alle persone fisiche e alle imprese estranee a gruppi multinazionali conducono alla identificazione di molteplici fattispecie rispetto a cui risulta esperibile la nuova procedura quali, ad esempio: i) il Transfer pricing e la determinazione del reddito della Stabile Organizzazione; ii) la contestazione della residenza fiscale di persone fisiche, società o altri enti esteri (fenomeni di doppia residenza e di estero-vestizione); iii) la contestazione di Stabile Organizzazione occulta di società/enti non residenti; iv) i debiti per imposte estere ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni al fine di beneficiare del credito d’imposta ex art.165 Tuir; v) le contestazioni relative a ritenute su flussi crossborder (royalties, interessi, dividendi) di fonte italiana, ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni; vi) gli APA (Advanced Pricing Agreements) bilaterali[8].

L’ampliamento della portata soggettiva ed oggettiva dello strumento, quali elementi assai significativi sul versante delle novità, si accompagnano ad altro elemento – che segna anch’esso un progresso significativo – cioè la esperibilità della procedura anche in caso di ricorso alle Commissioni tributarie ed in alcuni casi di definitività della ripresa a tassazione[9].

Il nuovo meccanismo, cioè si contraddistingue per l’ulteriore novità data dal superamento del limite della definitività dell’imposta ai fini dell’attivazione della procedura[10].

E’, infatti, possibile presentare l’istanza di apertura della procedura anche nelle ipotesi in cui la controversia fiscale, purché originata da un’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria, sia già stata oggetto di definizione in via amministrativa, senza che sia richiesta la preventivainstaurazione delle procedure contenziose nazionali[11]; può in buona sostanza attivarsi la procedura anche in caso di omessa impugnazione dell’atto impositivo, in ipotesi di fruizione degli istituti deflattivi attinenti a “procedure amministrative tributarie che comportano la definitività dell’imposta”, quale quello dell’accertamento con adesione e quello della mediazione tributaria.

Si segnala, però, che, per come rappresentato nella Relazione Illustrativa al Decreto, rimarrebbe, invece, preclusa «la possibilità di accedere alla procedura amichevole nei casi di ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1972, nei i quali la violazione non sia già stata constatata e non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento».

Orbene, una siffatta interpretazione, come, peraltro, la limitazione alla proponibilità della istanza nelle ipotesi in cui la controversia sia stata definita in sede giudiziale[12] appare contraria alle finalità della Direttiva DRM, e, peraltro, non supportata dal testo della stessa; essa appare addirittura restringere le possibilità di accesso alla procedura anche rispetto ai meccanismi già esistenti giacché il paragrafo 14 del Commentario all’articolo 25 del Modello OCSE, come modificato a seguito delle conclusioni raggiunte in seno all’Azione 14 del Progetto BEPS, già consente al contribuente di presentare istanza di accesso alla MAP anche in caso di rettifica della dichiarazione operata in buona fede.

Se, quindi, l’indirizzo applicativo nella sede domestica, dovesse essere quello più restrittivo che esclude la possibilità di presentare l’istanza qualora la controversia sia stata definita in sede di conciliazione giudiziale o sia stata oggetto di ravvedimento operoso, potrebbe ipotizzarsi un contrasto con la disciplina comunitaria sottoponibile all’esame della Corte di Giustizia.

Ma anche sotto altro profilo il testo del Decreto appare “disallineato” rispetto ai contenuti della Direttiva DRM.

Ed, infatti, l’art. 16, par. 4, della Direttiva DRM ha riconosciuto agli Stati membri la possibilità di rifiuto della istanza quando«il diritto nazionale… non consenta loro di derogare alla decisione», tuttavia il Decreto prevede genericamente la ostatività alla presentazione della istanza se sulla questione controversa sia già intervenuta una «sentenza di merito» della Commissione tributaria[13].

Orbene, per quanto nel testo del Decreto non si faccia specificatamente riferimento ad una sentenza di merito passata in giudicato, deve ritenersi che l’unica sentenza che osti alla presentazione dell’istanza sia appunto quella definitiva. Ed invero, la previsione dell’ostatività alla presentazione della istanza di apertura della procedura amichevole di una sentenza di merito (non passata in giudicato) potrebbe, anche in questo caso, dar adito a profili di illegittimità comunitaria per violazione dei contenuti e delle finalità della Direttiva DRM con conseguente possibilità di rimessione della questione dinanzi alla Corte di Giustizia, o anche di diretta disapplicazionedella norma in parte qua da parte dei giudici nazionali.

Ed, infatti, nel caso dell’Italia, l’unico limite alla deroga alla decisione è quello costituito dal presupposto della definitività della sentenza (giudicato formale),[14] cosicché non può non intendersi che il testo del Decreto, per quanto monco, intendesse fare riferimento alla immodificabilità della stessa quale elemento legittimante il rifiuto dell’istanza di accesso alla procedura[15].

L’ulteriore distonia tra i contenuti della Direttiva DRM e quelli del Decreto si ravvede in relazione alle previsioni sulla interrelazione tra la procedura ed il processo penale. Le previsioni del Decreto, infatti, travalicano le previsioni della Direttiva DRM con implicazioni assai significative sul versante della fruizione dello strumento nell’ambito domestico.

Invero il Decreto contempla una duplice previsione, a seconda che il processo penale si sia già concluso (con irrogazione delle relative sanzioni) ovvero nel caso in cui il processo penale e la procedura amichevole si svolgano simultaneamente. Nella prima ipotesi ,[16] l’irrogazione di pene per i delitti di cui al Titolo II, D.Lgs. n. 74/2000, è causa di rigetto della istanza di istituzione della Commissione consultiva, nella seconda ipotesi[17], invece, l’avvio dell’azione penale per una delle condotte di reati di cui al Titolo II del D.Lgs. n. 74/2000, aventi ad oggetto il reddito/patrimonio oggetto di rettifica può costituire causa di sospensione della procedura fino all’esito del procedimento penale. Orbene che le previsioni del Decreto esorbitino quelle della Direttiva DRM è evidente laddove si consideri che l’art.16, comma 6, di quest’ultima fa riferimento esclusivamente a condotte di frodefiscale connotate da dolo e grave negligenza quali presupposti per la sospensione della procedura, mentre il Decreto, come anticipato, fa riferimento a tutti i delitti di cui al Titolo II del D. Lgs. n. 74/2000 (quindi quelli compresi nelle previsioni dall’art. 2 all’art.11 del D. Lgs. 74/2000 cit.).

Tra i delitti contemplati dal Titolo II del D. Lgs. n. 74/2000 rientrano, tuttavia, anche alcuni privi dei connotati della fraudolenza quali, fra tutti, il delitto di cui all’art. 4 (infedele dichiarazione) e, in alcuni casi, il delitto di cui all’art. 5 (omessa dichiarazione) che rileva nei casi di contestazione della residenza fiscale e in quelli di esistenza di stabili organizzazioni.

Non risulta, pertanto, difficile ipotizzare che la spinta in termini di efficientamento del meccanismo previsto dalla Direttiva DRM incontri il limite della sua peculiare trasposizione nel Decreto; l’ampliamento delle fattispecie che legittimano la sospensione della procedura ad opera del Legislatore domestico rischiano di frustrarne le finalità. Peraltro, anche sotto questo profilo, rileva che la contrarietà dei contenuti del Decreto rispetto a quelli della Direttiva DRM potrebbe essere fatta oggetto di esame da parte dei giudici nazionali per essere poi o superata a mezzo della disapplicazione della norma o costituire oggetto di rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia[18].

Conclusioni

La Direttiva DRM costituisce nella prospettiva del Legislatore europeo uno strumento evoluto di risoluzione delle controversie atto a superare le inefficienze degli strumenti vigenti. L’attribuzione di un ampio potere di impulso a favore del contribuente teso a superare l’inerzia delle Amministrazioni coinvolte e l’ampliamento dell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione rendono i suoi contenuti assai apprezzabili e gli obiettivi di eliminazione della doppia imposizione da questa perseguiti idoneamente realizzabili.

La sua attuazione sul versante domestico, però, già lascia intravvedere un percorso “ad ostacoli” in ragione, in alcuni casi, della scarsa precisione del testo del Decreto, ed in altri casi della erronea e limitante trasposizione in esso delle previsioni della Direttiva.

L’auspicio è che l’Amministrazione Finanziaria in primo luogo[19], e poi i Giudici – eventualmente chiamati a pronunciarsi sui conflitti dei contenuti del Decreto con quelli della Direttiva – possano cogliere adeguatamente la ratio della disciplina comunitaria ed il suo respiro, sostenendo una interpretazione ed applicazione del Decreto che ne fornisce attuazione tale da favorire il confronto tra le Amministrazioni e non frustrare i diritti e le lecite aspettative dei contribuenti.

 


[1] Il mancato recepimento della Direttiva nei termini prescritti ha comportato l’avvio da parte della Commissione europea di una procedura d’infrazione (n. 2019/0217) contro l’Italia.

[2] F. Mattarelli, procedure di Risoluzione delle controversie contro le doppie imposizioni:

brevi commenti sullo schema di decreto legislativo all’esame del Parlamento, Riv. Dir. Trib. on line, 5 febbraio 2020;

[3] F. Morra – M. Severi, Il recepimento della nuova direttiva per la risoluzione delle controversie fiscali da parte del d. lgs. 49/2020, in Riv. Dir. Trib. On line, 17 giugno 2020

[4] P. Pistone,, Diritto Tributario Europeo, Torino, 2018, pag. 285 e segg.

[5] tradotto nell’Action 14 del progetto OCSE/G20/BEPS39 e nel connesso MLI in esito all’Action 15

[6] F. Passagnoli, Direttiva DRM e legge di delegazione europea 2018: in attesa dei decreti attuativi da parte del Governo, in Riv. Dir. Trib., supplemento on line, 29 gennaio 2020

[7] In questo senso è stato espresso parere favorevole, con osservazioni, dalle Commissioni II (Giustizia) e VI (Finanze) riunite del Senato della Repubblica sull’atto del governo n. 143.

[8] Ciò secondo un’interpretazione estensiva del termine «Accordo», tale da ricomprendervi non solo i Trattati ma anche altre tipologie di accordi, tra cui quelli conclusi in base all’art. 25, par. 3 dei Trattati (gli APA bilaterali, sono conclusi in forza del combinato disposto dell’art. 25, par. 3 cit. e dell’art. 31-ter del d.p.r. 600/73)

[9] meglio infra

[10] Art. 16, commi 1 e 3 della Direttiva DRM.

[11] art. 3, comma 2, D. Lgs 10 giugno 2020, n. 49.

[12] L’art. 3, comma 3, del decreto esclude la possibilità di presentare l’istanza qualora sia intervenuta “una decisione del giudice a seguito di conciliazione ai sensi degli artt. 48 e 48 bis del D. Lgs. 546/1992.

[13] l’art. 3, comma 3 del D. Lgs. 10 giugno 2020, n. 49

[14] Art. 2-quater D.L. 30 settembre 1994, n. 564 sui limiti all’esercizio del potere di autotutela.

[15] Le Commissioni II (Giustizia) e VI (Finanze) del Senato avevano rilevato l’incongruenza in sede di Parere, il testo non è stato però integrato.

[16] Art. 9, comma 7, del D. Lgs. 10 giugno 2020, n. 49.

[17] Art. 21, comma 3, del D. Lgs. 10 giugno 2020, n. 49.

[18] F. Mattarelli, Procedure di risoluzione delle controversie contro la doppie imposizioni: brevi commenti sullo schema di decreto legislativo all’esame del Parlamento, in Riv. Dir. Trib. on line, 5 febbraio 2020.

[19] L’Agenzia delle Entrate è chiamata, infatti, oltre che a gestire i singoli procedimenti anche ad intervenire con provvedimenti del suo Direttore per definire le modalità e le procedure applicative per rendere operative le disposizioni del Decreto. Il primo Provvedimento è stato emanato il 16 dicembre 2020, n. 381180 e contiene disposizioni di natura strettamente organizzativa.

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