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Giurisprudenza

L’apparenza del diritto e l’affidamento incolpevole nelle operazioni di CQS o di delegazione segnate da elementi di criticità conseguenti il disconoscimento delle firme da parte dell’A.T.C.

1 Dicembre 2016

Avv. Francesco Concio, Senior Associate, La Scala Studio Legale

Tribunale di Milano, 11 ottobre 2016, n. 11151; Tribunale di Milano, 11 ottobre 2016, n. 11152

In alcuni giudizi che hanno ad oggetto l’accertamento del diritto della società finanziaria al pagamento delle rate trattenute e non versate dall’A.T.C. ( “Aziente Terze Cedute”), è sempre più frequente, da parte dei Tribunali, il ricorso al principio dell’apparenza del diritto, soprattutto se l’impalcatura difensiva della debitrice ceduta poggia sul disconoscimento delle firme apposte sugli atti di benestare alla cessione del quinto o alla delegazione di pagamento, ovvero sui certificati di stipendio.

E questo è proprio quanto accaduto recentemente avanti il Tribunale di Milano, il quale, con due sentenze gemelle emesse entrambe in data 10.10.2016 (n. 11151/2016 e n. 11152/2016), ha definito due giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo speculari tra loro, giungendo alla conclusione che il disconoscimento delle sottoscrizioni da parte dell’A.T.C. non fosse – tenuto conto di una serie di imprescindibili elementi, compreso l’apposizione del timbro sociale sugli atti di benestare e sui certificati di stipendio – elemento sufficiente ad ottenere la revoca dei decreti ingiuntivi.

In particolare, le vicende di causa muovevano le premesse da motivazioni poco condivisibili, poiché in entrambi i casi le società opponenti avevano allegato – circostanza poi smentita – di non essere a conoscenza dei rapporti intercorsi tra i dipendenti, che avevano sottoscritto i contratti di finanziamento contro cessione del quinto, e l’A.T.C., siccome non riconducibili al legale rappresentante pro tempore, quale unico soggetto cui sarebbe spettato il potere di firma e di rappresentanza della società opponente.

Per queste ragioni, in sede di opposizione l’A.T.C. aveva provveduto a disconoscere “le sottoscrizioni in calce agli atti di benestare alla cessione del quinto e alla delegazione di pagamento, poste a fondamento del ricorso monitorio” (cfr. pag. 3/8 sentenze Trib. Milano nn. 11151 e 1152 dell’11.10.2016).

Il Giudice meneghino, tuttavia, aveva ritenuto opportuno superare il suddetto disconoscimento, tenendo conto unicamente delle motivazioni addotte in entrambi i giudizi dalla creditrice procedente, per il seguente ordine di ragioni: (i) il timbro sociale dell’A.T.C. non era stato disconosciuto, pertanto si era generata in capo alla Finanziaria un’apparenza incolpevole circa la provenienza degli atti di benestare in cui risultava la sottoscrizione della società opponente; (ii) in entrambi i suddetti giudizi la convenuta opposta aveva prodotto ulteriore documentazione di provenienza della società opponente, quali il certificato di stipendio dei lavoratori, nonché gli avvisi di ricevimento attestanti la notifica del contratto e le successive diffide di pagamento, avverso le quali l’A.T.C. non aveva manifestato alcuna reazione; (iii) infine, nel corso della prima udienza di comparizione era emerso che le firme apposte sul suddetto corredo documentale non erano riconducibili al legale rappresentante pro tempore, bensì ad altro soggetto, che, pur facendo parte della società quale socio e consigliere di amministrazione, era tuttavia privo dei poteri di rappresentanza dell’A.T.C.

Questo, infatti, è quanto affermato dal Tribunale di Milano nelle motivazioni di entrambe le sentenze: “Ritiene il giudicante che – alla luce delle contestazioni dell’opponente in uno con le dichiarazioni rese dalla stessa in sede di udienza di prima comparizione e trattazione circa l’apposizione della firma da parte di soggetto facente parte della società quale socia e consigliere di amministrazione ma non munita dei poteri di rappresentanza – al fine di dirimere la controversia non sia decisiva la verifica dell’autenticità delle sottoscrizioni disconosciute; il thema decidendum deve piuttosto incentrarsi su un diverso ambito e, segnatamente, quello della verifica degli effetti degli atti compiuti dal falsus procurator nella sfera del rappresentato, tenuto conto del c.d. principio dell’apparenza, invocato a propria tutela da parte convenuta opposta” (cfr. pag. 4/8 sentenze Trib. Milano nn. 11151 e 11152 dell’11.10.2016).

E ciò, spiega il Giudice ambrosiano, in considerazione del fatto che il principio di apparenza del diritto – che viene ricondotto a quello più generale dell’affidamento del terzo incolpevole – è di più ampia applicazione.

Pertanto, tale principio ben può essere invocato, in tema di rappresentanza, quando, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante – che a norma dell’art. 1393 c.c. costituisce comunque una facoltà, e non un obbligo in capo al terzo contraente – non solo vi sia la buona fede del terzo, ma sussista altresì un comportamento colposo del rappresentato che sia tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (cfr. ex plurimis: Cass. n. 13829/2004; n. 12617/2003 e n. 18191/2007).

Invitabile, pertanto, giungere, nel caso di specie, alla conclusione che “Il compendio documentale allegato in corso di causa da parte della convenuta, deve ritenersi essere stato idoneo ad ingenerare l’affidamento in capo alla […omissis…]circa la provenienza degli atti di benestare da società opposta… Conducono, d’altro canto, a far ritenere sussistenti gli estremi della condotta colposa della società […omissis…] nell’aver ingenerato l’affidamento nella controparte, i seguenti elementi: l’aver consentito, anche in termini di omesso controllo, che terzi non autorizzati potessero sottoscrivere atti di impegno per la società e utilizzarne il timbro: sul punto va osservato che la circostanza della falsificazione del timbro da parte di ignoti, genericamente allegata da parte opponente e senza offerta di prova sul punto, deve ritenersi superata dalla dichiarazione effettuata in prima udienza circa la sottoscrizione dei documenti da parte di terzo, facente comunque parte della società […omissis…], con ciò dovendosi ritenere maggiormente plausibile l’ipotesi di utilizzo da parte di quest’ultima del timbro autentico società, seppur in modo indebito…” (cfr. pag. 6/8 sentenze Trib. Milano nn. 11151 e 11152 dell’11.10.2016).

Ragion per cui, a definizione dei due giudizi di opposizione occorsi tra le parti, il Tribunale di Milano ha confermato i decreti ingiuntivi opposti e condannato le controparti al pagamento delle spese di lite.


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