Il presente contributo analizza i principali impatti per i partecipanti ai mercati finanziari e per i consulenti finanziari derivanti dai nuovi requisiti previsti nella proposta di riforma del Regolamento sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR), adottata dalla Commissione UE lo scorso 20 novembre 2025.
1. La proposta di riforma del Regolamento SFDR
Il 20 novembre 2025 la Commissione UE ha presentato una proposta di riforma del Regolamento sull’informativa sulla finanza sostenibile (SFDR), i cui requisiti sono stati approfonditi nell’articolo dedicato del 21 novembre Regolamento SFDR: le proposte di modifica della Commissione UE.
L’esigenza alla base del riesame della normativa risiede nel fatto che la Commissione ha ritenuto che gli obiettivi della SFDR di aiutare il settore finanziario dell’UE ad allocare capitali per le priorità sostenibili dell’Europa non fossero stati pienamente raggiunti. Al contrario, il recepimento dei requisiti si è tradotto in informative lunghe, complesse e di difficile comprensione per gli investitori, e un uso improprio degli articoli 8 e 9 come sistema di etichettatura di prodotti green, creando confusione – in particolare per gli investitori al dettaglio – e aumentando il rischio di greenwashing e vendite improprie.
La normativa SFDR è in vigore dal 21 marzo 2021 e ha richiesto ai partecipanti ai mercati finanziari e ai consulenti sforzi significativi per la messa a terra di una serie di requisiti per integrare i rischi e gli impatti negativi legati ai fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) all’interno delle proprie politiche e processi di investimento, dei modelli di distribuzione e di rendere pubbliche tali informazioni sia a livello di prodotto che di entity.
La review dell’SFDR oggi rappresenta un notevole cambio di passo rispetto a quanto è stato recentemente recepito e implementato dagli operatori al fine di garantire la conformità all’SFDR di marzo 2021, e sebbene la Commissioni parli di “semplificazione”, le novità proposte portano con sé una serie di sfide sia per i partecipanti ai mercati che per i consulenti finanziari.
Di seguito si approfondiscono i principali impatti per i partecipanti ai mercati finanziari e per i consulenti finanziari derivanti dai nuovi requisiti.
2. Ridefinizione dello scope e delle esenzioni
Come recita l’articolo 1, il Regolamento è rivolto ai partecipanti ai mercati finanziari e prevede:
- trasparenza in merito alla fornitura di informazioni relative alla sostenibilità
- la categorizzazione dei prodotti finanziari come prodotti finanziari relativi alla sostenibilità e la trasparenza in merito a tali prodotti.
La proposta pertanto esclude i consulenti finanziari dallo scope del Regolamento, limitando i loro obblighi alle preferenze di sostenibilità previste da MiFID II. Questo comporta una significativa semplificazione degli adempimenti, con la rimozione degli obblighi di disclosure SFDR e la focalizzazione sulla corretta identificazione delle preferenze ESG dei clienti e sulla selezione di prodotti conformi alle nuove categorie. Tuttavia, si prevedono impatti indiretti anche per i consulenti finanziari, a valle degli adempimenti previsti per i partecipanti ai mercati finanziari.
3. Principali impatti per i partecipanti ai mercati finanziari: nuova categorizzazione dei prodotti e impatti su governance e processi
La sostituzione degli articoli 8 e 9 con tre nuove categorie di prodotti sostenibili (“Transition”, “ESG Basics”, “Sustainable”) introduce una struttura più chiara e orientata agli obiettivi, ma comporta anche nuove complessità operative. Le nuove categorie prevedono determinate caratteristiche di investimento, esclusione e disclosure per ciascun prodotto. In particolare, per quanto concerne le caratteristiche di investimento i requisiti definiscono:
- “Transition” i prodotti che in linea con l’art. 7 investono in uno (o in una combinazione) dei seguenti ambiti:
- Portafogli legati a benchmark climatici UE
- Attività economiche allineate alla tassonomia UE, comprese quelle transitorie o in fase di allineamento
- Imprese con piani di transizione credibili su fattori di sostenibilità
- Imprese con obiettivi scientifici verificabili e trasparenti
- Strategie di engagement credibili, con obiettivi chiari e azioni correttive
- Investimenti conformi all’articolo 9(2) combinati con i precedenti
- Portafogli con obiettivi di riduzione delle emissioni nel tempo
- Altri investimenti che contribuiscono alla transizione, con giustificazione documentata.
- “ESG Basics” i prodotti che in linea con l’art. 8 investono in uno (o in una combinazione) dei seguenti ambiti:
- Rating ESG superiore alla media rispetto all’universo di investimento o al benchmark
- Performance migliore su indicatori di sostenibilità specifici rispetto alla media o al benchmark
- Imprese con track record positivo in processi e risultati legati alla sostenibilità
- Combinazione di investimenti regolamentati (art. 7(2) o 9(2)) con quelli sopra indicati
- Altri investimenti che integrano fattori di sostenibilità, con giustificazione documentata.
- “Sustainable” i prodotti che in linea con l’art. 9 investono in uno (o in una combinazione) dei seguenti ambiti:
- Portafogli allineati al benchmark UE-Parigi
- Attività economiche conformi alla tassonomia UE
- Strumenti emessi secondo Regolamento UE 2023/2631
- Investimenti (anche co-investimenti) legati a progetti con garanzia UE per obiettivi ambientali/sociali
- Asset comparabili con elevati standard di sostenibilità, giustificati nelle informative.
- Fondi europei per imprenditoria sociale (EuSEF)
- Altri investimenti che contribuiscono a obiettivi ambientali o sociali, con giustificazione documentata.
In virtù di queste nuove categorie, i partecipanti ai mercati finanziari dovranno:
- Rivedere le strategie di asset allocation, le politiche di investimento e prevedere una corretta periodicità per il ribilanciamento di portafoglio al fine di garantire che almeno il 70% degli investimenti sia – nel continuo – allineato alla categoria di prodotto scelta.
- Gestire le fasi di ramp-up: la normativa prevede la possibilità di periodi transitori per raggiungere la soglia del 70%, che dovranno essere dichiarati nei documenti precontrattuali e nei report periodici, garantendo coerenza informativa tra le diverse fasi di vita del prodotto.
- Rafforzare le logiche di misurazione, monitoraggio e disclosure per garantire la coerenza tra il naming del prodotto con la relativa classificazione:
-
- è necessario definire con precisione l’applicazione delle esclusioni a diverse tipologie di asset, inclusi titoli sovrani e strumenti complessi, per evitare disparità interpretative e difficoltà di comparabilità tra prodotti. L’introduzione di criteri di esclusione più stringenti rispetto alle ESMA Fund Naming Guidelines, richiede ai gestori di monitorare costantemente la conformità degli asset e aggiornare le policy di investimento. Infatti, oltre alla soglia del 70% sugli investimenti allineati alla relativa categoria, ai prodotti green si applicheranno severe limitazioni relative al perimetro di investimento (requisiti man mano più stringenti sono previsti per prodotti “ESG basics” e “Sustainable”), dovendo prevedere come minimo l’esclusione degli investimenti in società:
- coinvolte in attività riguardanti armi controverse;
- attive nella coltivazione e nella produzione di tabacco;
- per le quali gli amministratori di indici di riferimento hanno constatato violazioni dei principi del patto mondiale delle Nazioni Unite o delle linee guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali;
- che ottengono l’1 % o più dei ricavi dalla prospezione, estrazione, distribuzione o raffinazione di carbon fossile e lignite;
- che sviluppano nuovi progetti per l’esplorazione, l’estrazione, la distribuzione o la raffinazione di carbon fossile e lignite;
- che non hanno un piano per abbandonare gradualmente le attività di cui al punto precedente;
- la revisione riconosce formalmente l’impact investing come “add-on” alle categorie “Sustainable” e “Transition”, riservando l’utilizzo del termine “impact” solo ai prodotti che soddisfano requisiti specifici di disclosure (obiettivi, teoria del cambiamento, KPI, processi di misurazione). Questo favorisce la trasparenza e la distinzione tra strategie di impatto e approcci ESG generici, ma impone ai gestori l’adozione di framework robusti di misurazione e reporting;
- i prodotti misti (es. fondi di fondi) sono soggetti a un regime di categorizzazione piena: possono essere classificati solo se almeno il 70% degli investimenti è costituito da asset conformi alla categoria di riferimento, con possibilità di basarsi sulle disclosure degli underlying. Ciò consente una semplificazione della due diligence ma richiede una maggiore attenzione nella selezione dei prodotti sottostanti;
- i prodotti che non rientrano nelle tre categorie principali potranno fare riferimento ai fattori di sostenibilità solo in modo marginale e non centrale nei documenti precontrattuali e di marketing. L’introduzione di un obbligo di reporting annuale per chi sceglie la disclosure volontaria rappresenta un presidio efficace contro il greenwashing e impone agli operatori di strutturare processi di raccolta e comunicazione dei dati anche per prodotti non categorizzati;
- l’eliminazione della definizione di “sustainable investment” e del test DNSH (“Do Not Significant Harm”) semplifica il quadro normativo, riducendo la complessità interpretativa e operativa. Tuttavia, la reintroduzione di obblighi di disclosure sui Principal Adverse Impacts (PAI) a livello di prodotto per le categorie Transition e Sustainable impone una revisione dei processi di raccolta dei dati e di reporting, con la necessità di integrare nuovi indicatori e metodologie.
- è necessario definire con precisione l’applicazione delle esclusioni a diverse tipologie di asset, inclusi titoli sovrani e strumenti complessi, per evitare disparità interpretative e difficoltà di comparabilità tra prodotti. L’introduzione di criteri di esclusione più stringenti rispetto alle ESMA Fund Naming Guidelines, richiede ai gestori di monitorare costantemente la conformità degli asset e aggiornare le policy di investimento. Infatti, oltre alla soglia del 70% sugli investimenti allineati alla relativa categoria, ai prodotti green si applicheranno severe limitazioni relative al perimetro di investimento (requisiti man mano più stringenti sono previsti per prodotti “ESG basics” e “Sustainable”), dovendo prevedere come minimo l’esclusione degli investimenti in società:
4. (segue) Semplificazione degli obblighi di disclosure
- Eliminazione degli obblighi di disclosure a livello di Entity
La rimozione degli obblighi di disclosure PAI a livello di entità riduce gli oneri amministrativi e semplifica la compliance, soprattutto per gli operatori di piccole e medie dimensioni. È fondamentale distinguere tra gli obblighi SFDR e quelli previsti dalla CSRD, che sussistono, includendo anche gli aspetti relativi agli impatti degli investimenti, soprattutto per quanto riguarda il reporting degli asset under management.
- Semplificazione dei template di disclosure e digitalizzazione
I nuovi template di disclosure, limitati a due pagine per i documenti precontrattuali e periodici, facilitano la comparabilità tra prodotti e riducono la complessità per gli investitori.
I template di disclosure, personalizzati per ogni categoria di prodotto, devono contenere come minimo le seguenti informazioni:
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- Conferma di conformità alle condizioni previste (dalla relativa categoria)
- Descrizione degli obiettivi del prodotto
- Dettagli sulle strategie di investimento
- Dichiarazione sull’obiettivo ambientale e modalità di conformità
- Indicatori di sostenibilità e azioni correttive per asset non performanti
- Conferma delle esclusioni applicabili agli investimenti
- Fonti di dati utilizzate per supportare le informazioni.
Per i prodotti che non sono classificati secondo le tre nuove categorie, non è vietato ai partecipanti ai mercati finanziari di includere informazioni sul se e in che modalità tali prodotti finanziari tengano conto dei fattori di sostenibilità, a condizione che tali informazioni non siano un elemento centrale dell’informativa precontrattuale e non facciano riferimento esplicito alle categorie rappresentate dai nuovi articoli 7, 8, 9.
La pubblicazione obbligatoria su sito web e la digitalizzazione dei dati, con allineamento alla European Single Access Point (ESAP), richiedono l’adeguamento dei sistemi IT e delle procedure di data management.
- Impatti su documenti di marketing e logiche di distribuzione
La riserva dei claim ESG nei nomi e nel marketing ai soli prodotti categorizzati comporta una revisione delle strategie di comunicazione e distribuzione. I gestori dovranno aggiornare i materiali di marketing e i documenti precontrattuali, assicurando coerenza tra le informazioni pubblicate e la reale conformità del prodotto ai criteri SFDR.
5. Principali impatti sui distributori: aggiornamento dei processi di distribuzione in recepimento delle novità sui prodotti
Per i consulenti, rimangono saldi gli obblighi MiFID II, ma si renderanno necessari interventi al fine di rendere coerenti le nuove categorie di prodotti con i modelli in essere, in particolare:
- modelli di target market e product governance: dovranno essere aggiornati per riflettere la nuova categorizzazione SFDR, assicurando che la distribuzione dei prodotti sia coerente con le preferenze di sostenibilità dei clienti e con i requisiti di trasparenza e disclosure;
- modelli di adeguatezza: numerosi player sul mercato italiano hanno implementato modelli di adeguatezza basati su logiche di portafoglio e soglie discrezionali. Tali modelli dovranno integrare le nuove categorie dei prodotti ESG, e garantire che anche il questionario di profilatura ai sensi MiFID sia adeguato al fine di consentire all’investitore di comprendere le nuove categorie di prodotto e le relative implicazioni;
- disclosure web e informativa: i consulenti hanno previsto nei propri siti web pagine dedicate alla sostenibilità, prevedendo sia la disclosure a livello di entity (ex. Artt. 3, 4 e 5 SFDR). Le pagine web andranno aggiornate di conseguenza ai nuovi requisiti e saranno necessariamente snellite, vista l’eliminazione di una serie di obblighi a carico dei consulenti.
- formazione professionale e alfabetizzazione finanziaria: la revisione normativa impone ai consulenti un aggiornamento delle competenze professionali, con particolare attenzione alla comprensione delle nuove categorie SFDR, dei criteri di esclusione e delle modalità di disclosure. La formazione continua diventa essenziale per garantire la qualità della consulenza e la conformità alle nuove regole. Inoltre, in linea con uno degli obiettivi della SIU (“Savings and Investments Union”), la cui strategia include la promozione dell’alfabetizzazione finanziaria verso l’investitore, la semplificazione delle disclosure e la maggiore chiarezza delle categorie di prodotto facilitano la comunicazione con il cliente, migliorando la trasparenza e la comprensibilità delle informazioni ESG. I consulenti potranno offrire una consulenza più mirata e personalizzata, basata su dati comparabili e su una chiara distinzione tra prodotti “Sustainable”, “Transition” e “ESG Basics”.
6. Conclusione
La revisione del SFDR rappresenta un passo avanti verso la semplificazione, la trasparenza e la riduzione degli oneri amministrativi, ma comporta anche nuove sfide operative. Gli operatori dovranno rivedere profondamente i processi di categorizzazione, asset allocation, reporting e comunicazione, investendo in formazione, sistemi informativi e governance ESG.
La collaborazione tra industria, Autorità di Vigilanza e provider di dati sarà essenziale per garantire una piena attuazione della normativa e per cogliere le opportunità offerte dalla finanza sostenibile europea.

