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Approfondimenti

Le nuove società di partenariato

L’introduzione delle limited partnership nella riforma TUF

28 Ottobre 2025

Alessandro Capraro, Alma LED

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza le nuove società di partenariato, la cui introduzione è prevista dallo schema di riforma del Testo Unico della Finanza (TUF) nell’ambito degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), e che dovrebbero riprendere il modello della c.d. limited partnership tipica dei paesi di common law.


1. Introduzione

Con lo schema di D. Lgs. (cd. schema) di attuazione dell’art. 19 della Legge 5 marzo 2024, n. 21 [1], approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri dell’8 ottobre 2025 [2], si sono nuovamente apportate importanti modifiche al D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (cd. TUF).

Tali modifiche si inseriscono nel più ampio contesto di una riforma organica del TUF volta a rafforzare il mercato dei capitali italiano e, più in generale, il sistema industriale delle piccole e medie imprese mettendo a loro disposizione strumenti di sostegno diversi dal tradizionale canale bancario.

Sul punto, una delle novità più rilevanti presenti nello schema è l’introduzione della “società di partenariato” nell’ambito degli organismi di investimento collettivo del risparmio (cd. OICR) [3] che, almeno secondo le intenzioni del Legislatore, dovrebbe ricalcare il modello della limited partnership tipica dei paesi di common law.

Questa inizia ad essere utilizzata dai fondi di venture capital [4] statunitensi a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso [5] e riscontra un sempre maggiore successo fino a diventare la forma giuridica più comune per i veicoli di investimento nei paesi di common law.

Dai paesi di common law, la limited partnership si è gradualmente diffusa anche nei paesi di civil law. Un catalizzatore, almeno nell’Unione Europea, di tale processo è sicuramente stata la Direttiva 2011/61/UE (cd. AIFMD) che, da un lato, ha dettato una disciplina armonizzata a livello di “gestore”, mentre, dall’altro lato, ha lasciato agli Stati membri la più ampia discrezionalità nell’individuare le possibili forme giuridiche a livello di “veicolo di investimento” [6]: questo ha generato, in alcuni Stati membri dove il private equity è più sviluppato o nei quali se ne sono comunque intuite le opportunità [7], un processo per introdurre forme di veicoli di investimento più adeguate alle esigenze degli investitori, ottenendo così un vantaggio competitivo sugli altri Stati membri.

L’Italia, complice anche la nascita del mercato del private equity solo a partire dai primi anni ‘80 del secolo scorso [8], deve storicamente “inseguire” le evoluzioni introdotte negli altri paesi con un notevole svantaggio per gli operatori del settore: l’introduzione della società di partenariato risponde, quindi, alla logica di voler colmare il gap esistente con gli altri Stati membri.

2. Brevi cenni sulla limited partnership

Come si è già detto, la forma giuridica per i veicoli di investimento più diffusa a livello internazionale è quella della limited partnership, corrispondente, a grandi linee, alla categoria delle società in accomandita semplice del diritto commerciale continentale.

Il modello base delle limited partnership prevede, infatti, un socio (detto general partner) responsabile della gestione degli affari e che risponde personalmente ed in maniera illimitata delle obbligazioni della limited partnership e una pluralità di soci (detti limited partners) che, invece, non hanno alcun potere di gestione della limited partnership e rispondono in maniera limitata a quanto conferito nella stessa [9].

Tale caratteristica di assegnare la responsabilità illimitata unicamente al socio gestore, lasciando invece i soci “passivi” (ovvero gli investitori nel caso specifico) responsabili solo limitatamente, unita, oltre che alla trasparenza fiscale [10], alla notevole flessibilità e snellezza che – a differenza che nelle società di capitali – è possibile mantenere negli assetti di governance e in elementi chiave per i fondi di investimento quali, per esempio, distribuzioni (cd. waterfall), commissioni di gestione e interessi di equalizzazione [11] hanno reso la limited partnership la forma giuridica per i veicoli di investimento più diffusa a livello internazionale.

Va tuttavia specificato come, nella prassi operativa dei fondi di investimento, spesso per motivi regolamentari, il general partner non è altro che una “società vuota” (in forma di limited liability company o tipologia societaria equivalente) con compiti limitati alla rappresentanza della limited partnership e ad aspetti di governance interna mentre – per utilizzare i termini dell’AIFMD – la gestione del portafoglio della limited partnership, ovvero le scelte sugli investimenti da effettuare, è in capo ad un differente soggetto (manager) che corrisponde al soggetto vigilato dal punto di vista regolamentare e che è legato alla limited partnership da un mero contratto di gestione, eventualmente supportato da un advisor e da altri provider terzi [12] [13].

3. Il modello italiano

Com’è noto, l’ordinamento italiano non ha mai conosciuto una forma di OICR assimilabile alla limited partnership essendo, infatti, il fondo comune di investimento un OICR di natura contrattuale che non ha una soggettività giuridica autonoma dal soggetto che lo gestisce, costituendo un patrimonio autonomo di quest’ultimo [14] e le SICAF/SICAV delle società per azioni.

Sebbene con l’introduzione del nuovo articolo 38 del TUF ad opera della Legge 5 marzo 2024, n. 21 [15] si è correttamente distinto in maniera esplicita tra SICAF/SICAV autogestite (che sono sia “gestori” che OICR) e SICAF/SICAV eterogestite (che sono solo OICR), parificando la disciplina di queste ultime a quella del fondo comune di investimento ed eliminando una serie di vincoli ed obblighi [16] che l’AIFMD e la Direttiva 2009/65/CE (cd. Direttiva UCITS) pongono esclusivamente in capo ai soggetti gestori, le SICAF/SICAV scontano il loro difetto ontologico di essere società per azioni con tutto quello che ciò comporta in termini di governance (es. obbligatorietà del collegio sindacale), complessità e rigidità della disciplina e incorporazione delle partecipazioni in titoli di credito (es. uguale trattamento degli azionisti, fatta salva la possibilità di creare categorie di azioni dotate di differenti obblighi e diritti).

Per tale ragione, il fondo comune d’investimento ha dominato e continua a dominare la scena del mercato italiano, nonostante la sua natura di OICR contrattuale generi comunque problematiche soprattutto a livello di governance.

4. L’introduzione della società di partenariato

Una delle principali novità dello schema è l’introduzione nel TUF della “società di partenariato” tra gli OICR che dovrebbe rappresentare, secondo le intenzioni del Legislatore, la trasposizione nell’ordinamento italiano della limited partnership.

Più nel dettaglio, è definita società di partenariato “l’Oicr chiuso costituito in forma di società in accomandita per azioni con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo nelle forme del private equity e del venture capital del patrimonio raccolto mediante l’offerta delle proprie azioni, di strumenti finanziari partecipativi, nonché mediante le ulteriori modalità di raccolta definite nello statuto[17].

Della definizione di società di partenariato vanno, in particolare, analizzati due aspetti: la forma giuridica di società in accomandita per azioni (cd. S.a.p.A.), che tratteremo in maniera approfondita nel paragrafo successivo, e la limitazione degli investimenti nelle forme del private equity e del venture capital del patrimonio raccolto.

A dispetto di quanto lascerebbe intendere la formula utilizzata, la società di partenariato non è vincolata ad investire in strumenti di equity o quasi-equity, potendo invece focalizzarsi anche su altre asset class in quanto la definizione di “private equity e venture capital” ricomprende “l’attività che consiste nell’investimento in imprese non quotate nei mercati regolamentati, attraverso strumenti di capitale, di debito, o altre forme similari, incluso l’investimento ulteriore nelle predette imprese successivamente all’eventuale ammissione delle stesse alla quotazione[18].

Ciò che, invece, viene escluso per la società di partenariato – a differenza che in tutte le altre tipologie di OICR – è la possibilità di effettuare investimenti iniziali ([19]) in società già quotate, lasciando tale possibilità, in via residuale, per i cd. follow-on [20] eseguiti successivamente alla quotazione della società in questione.

Questa scelta sembra essere motivata dalla volontà di far affluire capitali nelle PMI non quotate, sul presupposto che gli investitori – soprattutto quelli esteri – ritengano la limited partnership la forma più adeguata a tale tipologia di investimenti [21].

Dalla focalizzazione degli investimenti su società non quotate discende anche la disciplina relativa agli investitori che possono investire in una società di partenariato; infatti, anche prendendo come riferimento la normativa generale, non rientrando la società di partenariato tra gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (cd. OICVM) [22], la possibilità che un investitore non rientrante nella categoria degli investitori professionali [23] o degli altri investitori di cui all’art. 14 del Decreto Ministeriale 5 marzo 2015, n. 30 (cd. DM 30/2015), investa in una società di partenariato sarebbe relegata alle rarissime casistiche in cui un OICR alternativo (cd. FIA) chiuso [24] non sia riservato alle predette categorie di investitori. Tuttavia, sembra che alle società di partenariato si applichi una disciplina ancora più restrittiva che elimini tale rara possibilità qualificandole ex lege come OICR riservati e consentendo la sottoscrizione di loro azioni o strumenti finanziari partecipativi esclusivamente “agli investitori professionali e alle categorie di investitori individuate dal regolamento di cui all’articolo 39 [n.d.r., ovvero il DM 30/2015]” [25] [26].

Questo poiché gli investimenti in società non quotate risultano generalmente più rischiosi degli investimenti in società quotate, vista la presenza per queste ultime di un mercato liquido per la cessione delle partecipazioni e i più incisivi obblighi informativi a cui sono soggetti gli emittenti quotati; ciò è anche dimostrato dal fatto che gli OICR UCITS devono investire il loro patrimonio tendenzialmente in strumenti quotati, non potendo invece focalizzarsi su alternative illiquide.

Sembra perciò che, nelle intenzioni del Legislatore, la società di partenariato sia un OICR destinato ad investitori altamente specializzati con l’obiettivo di supportare le PMI non quotate, ed essendo gli investimenti nelle predette società più rischiosi di quelli nelle società quotate, si è deciso di rimuovere la possibilità di costituire società di partenariato non riservate [27].

Tuttavia, si sarebbe potuto optare per una disciplina assimilabile a quella degli altri OICR – che ben possono investire in società quotate – lasciando ai promotori la scelta sulla strategia di investimento.

Va in ogni caso sottolineato come la predetta limitazione abbia un impatto operativo limitato in quanto, normalmente, la strategia di investimento dei FIA è focalizzata su società non quotate.

Tornando all’analisi della disciplina della società di partenariato, coerentemente con le modifiche introdotte dallo schema anche agli altri gestori ricadenti sotto l’AIFMD (cd. GEFIA) e agli altri FIA, si è distinto tra “società di partenariato in gestione interna autorizzata” [28], “società di partenariato sottosoglia registrata” [29] “società di partenariato in gestione esterna” [30].

Per quanto riguarda la società di partenariato in gestione interna autorizzata, l’art. 35-novies.1 non detta previsioni dissimili dalle altre tipologie di GEFIA prevedendo – oltre alla forma giuridica di S.a.p.A. con collegio sindacale, il private equity e il venture capital come oggetto di investimento e la qualificazione ex lege come chiusa e riservata – la necessaria autorizzazione della Banca d’Italia sentita la CONSOB, la sede legale e la direzione generale in Italia, un capitale sociale minimo di Euro 50.000 (fatti salvi ulteriori requisiti che saranno previsti da Banca d’Italia), requisiti di onorabilità e professionalità per gli esponenti aziendali, requisiti di onorabilità per i titolari di partecipazioni qualificate, un struttura di gruppo adeguata (ove applicabile), la presentazione di un programma riguardante l’attività iniziale e una relazione sulla struttura organizzativa.

Disposizioni rilevanti sono poi dettate dall’art. 35-novies.3 in materia di capitale sociale e azioni prevedendo, come principio generale, l’autonomia statutaria in materia patrimoniale [31] su tematiche quali, ad esempio, (i) limiti all’emissione di azioni; (ii) vincoli di trasferibilità delle azioni [32]; (iii) costituzione di più comparti; (iv) emissione di frazioni di azioni, fermo restando che l’esercizio dei diritti sociali è subordinato al possesso di almeno un’azione; (v) possibilità di effettuare i versamenti in più soluzioni su richiesta della società di partenariato [33]; (vi) possibili modalità di raccolta del patrimonio gestito diverse dall’emissioni di azioni e di strumenti finanziari partecipativi [34].

L’art. 35-novies.4 dispone poi che le modificazioni statutarie debbano essere approvate in base ai quorum costitutivi e deliberativi determinati dallo statuto – lasciando quindi la massima libertà alle parti – fermo restando che è in ogni caso necessaria l’approvazione da parte di tutti i soci accomandatari e detta le casistiche di recesso [35], mentre l’art. 35-novies.5 disciplina le modalità di scioglimento e liquidazione, facendo riferimento alla disciplina generale del Codice civile relativa alle società di capitali [36].

Per quanto riguarda, invece, la società di partenariato sottosoglia registrata, la disciplina di riferimento è dettata dai nuovi articoli del TUF riguardanti, in via generale, i GEFIA sottosoglia.

Disposizioni particolari per la società di partenariato sottosoglia registrata prevedono l’oggetto della politica di investimento in private equity e venture capital e la forma giuridica della S.a.p.A.

Per quanto riguarda, invece, gli investitori ammissibili sembra che alla società di partenariato sottosoglia registrata, a differenza della società di partenariato in gestione interna autorizzata e della società di partenariato in gestione esterna, si applichi l’ancora più stringente previsione generale prevista per i GEFIA sottosoglia di cui all’art. 35-quaterdecies, comma 1, lett. j) a mente della quale, oltre agli investitori professionali e in deroga all’art. 1, comma 1, lettera m-quater), la sottoscrizione, se previsto dal relativo regolamento o statuto, può essere effettuata da “investitori non professionali che sottoscrivono ovvero acquistano quote [n.d.r., o azioni] del FIA per un importo complessivo non inferiore ad Euro 500.000 e che dimostrino con idonee evidenze di avere un portafoglio finanziario non inferiore ad Euro 5 milioni[37], ferma restando la possibilità per i componenti del consiglio di amministrazione del GEFIA e per il relativo personale di sottoscrivere, in relazione ai FIA gestiti, importi inferiori.

Infine, la disciplina della società di partenariato in gestione esterna è dettata dal nuovo art. 38-bis sul modello delle SICAF/SICAV eterogestite e prevede – oltre a previsioni che si sono già trattate quali la forma giuridica di S.a.p.A., la sede legale e la direzione generale in Italia, un capitali sociale minimo di Euro 50.000, la politica di investimento esclusiva in private equity e venture capital, il fatto di essere chiuse e riservate e la possibilità di istituire comparti – disposizioni relative al gestore esterno stante la loro qualifica esclusivamente di OICR.

Infatti, in relazione al gestore esterno l’art. 38-bis dispone che (i) lo statuto preveda con riferimento all’intero patrimonio raccolto, l’affidamento delle attività di gestione del portafoglio e del rischio, a un gestore esterno e l’indicazione della società designata; (ii) siano definite procedure idonee ad assicurare la continuità della gestione in caso di sostituzione del gestore esterno; (iii) siano stipulati accordi con il gestore esterno per consentire al consiglio di amministrazione della società di partenariato di disporre dei documenti e delle informazioni necessarie a verificare il corretto adempimento degli obblighi del gestore, per definire la tempistica e le modalità di trasmissione di tali documenti e informazioni nonché, in caso di gestore estero, per disciplinare gli obblighi di collaborazione del gestore nei confronti dei liquidatori della società; (iv) sia stipulato un accordo tra il gestore estero e il depositario che assicuri a quest’ultimo la disponibilità delle informazioni necessarie per lo svolgimento dei propri compiti.

Il comma 6 dell’art. 38-bis, invece, disciplina nel dettaglio anche la situazione patologica di scioglimento del contratto con il gestore esterno o di liquidazione del gestore esterno disponendo che, in tal caso, il consiglio di amministrazione delle società di partenariato provvede a convocare l’assemblea dei soci per deliberare sulla sostituzione del gestore o sulla richiesta di autorizzazione per trasformarsi in società di partenariato in gestione interna autorizzata, mentre non è presente alcun riferimento esplicito alla possibilità di registrazione come società di partenariato sottosoglia registrata. Se entro il termine di due mesi non è posta in essere una delle predette attività, la società si scioglie.

Disposizione problematica è quella prevista dal comma 2 dell’art. 38-bis, questa infatti dispone che “il gestore esterno può essere anche socio della società di partenariato”. Sebbene nella prassi sia abbastanza infrequente che un gestore esterno sia investitore degli OICR che gestisce in quanto è sostanzialmente un provider terzo seppur di attività vigilate e fondamentali per un OICR quali la gestione del portafoglio e la gestione del rischio, nessuna particolare criticità emergerebbe se fosse un socio accomandante con responsabilità limitata al commitment sottoscritto.

Diverso è il caso in cui fosse, invece, socio accomandatario con responsabilità illimitata. A tal proposito occorre effettuare una disamina preliminare sulla disciplina dei soci accomandatari e degli amministratori della S.a.p.A.

Infatti, dal combinato disposto degli artt. 2455 c.c. [38] e 2457, comma 2 c.c. [39] si evince una relazione biunivoca tra amministratori e soci accomandatari nel senso che tutti gli amministratori sono (anche) soci accomandatari e tutti i soci accomandatari sono (anche) amministratori.

L’art. 38-bis, disponendo a contrario che il gestore esterno possa anche non essere un socio, prevede indirettamente che può anche non essere un amministratore, ricalcando il modello operativo tipico della limited partnership odierne nel quale il general partner ha un ruolo marginale di governance interna mentre la gestione del portafoglio della limited partnership è in capo al manager terzo.

Anche nella società di partenariato, quindi, si verifica una scissione tra gestione della società dal punto di vista del Codice civile e gestione del portafoglio dell’OICR dal punto di vista regolamentare: in altri termini, agli amministratori della S.a.p.A. possono essere attribuiti esclusivamente i compiti che il Codice civile attribuisce inderogabilmente all’organo amministrativo della società per azioni, mentre la gestione del portafoglio della società di partenariato può essere conferita a un soggetto che non è né socio né amministratore.

Tuttavia, il dato testuale dell’art. 38-bis, comma 2 non esclude la possibilità che il gestore sia anche socio accomandatario illimitatamente responsabile (e quindi amministratore) della società di partenariato [40].

Tale possibilità contrasta nettamente con il principio di segregazione patrimoniale tra gestori e OICR gestiti garantito nel caso di SICAF/SICAV dalla natura di società per azioni dell’OICR, mentre nel caso di fondo comune di investimento dall’art. 36, comma 4 [41].

Infatti, sebbene, gli altri OICR gestiti restino formalmente non responsabili per le obbligazioni in capo al gestore socio accomandatario di una società di partenariato, una crisi di quest’ultima impatterebbe negativamente sul gestore e, quindi, indirettamente anche sugli altri OICR gestiti.

D’altronde, anche nella disciplina per la gestione della crisi degli OICR si prevede che il gestore risponda con il proprio patrimonio esclusivamente qualora l’OICR “sia privo di risorse liquide o queste siano stimate dai liquidatori insufficienti a soddisfare i crediti in prededuzione fino alla chiusura della liquidazione” e fermo restando che se possibile tali somme sono restituite al gestore utilizzando le eventuali risorse liquide della procedura che si rendano successivamente disponibili, dopo il pagamento dei crediti prededucibili [42].

Come norma di chiusura, infine, il nuovo art. 35-novies.6 dispone che, salvo quanto derogato dal TUF, alla società di partenariato si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del Codice civile relative alla S.a.p.A..

5. L’equivoco di fondo della S.a.p.A.

Resta, quindi, da capire se, alla luce dell’intenzione del Legislatore di introdurre nell’ordinamento italiano una forma di OICR assimilabile alla limited partnership per attrarre capitali da dirottare sulle PMI non quotate, sia stata corretta la scelta di optare per la S.a.p.A. [43].

A tale questione, tuttavia, non può purtroppo darsi risposta affermativa e ciò per due ordini di motivi, uno di carattere storico e l’altro di carattere più propriamente giuridico.

Partendo dalle motivazioni storiche, la S.a.p.A. è una forma di società di matrice prettamente continentale [44] che non trova equivalente negli ordinamenti di common law. Pertanto, se è vero che in alcuni paesi viene utilizzata anche per la costituzione di veicoli di investimento [45], non può dirsi che questa sia una forma diffusa e conosciuta a livello internazionale.

Passando, invece, alla motivazione di carattere giuridico va ricordato che, come già spiegato in precedenza, la limited partnership ha riscontrato un tale successo nel mondo dei fondi di investimento perché riesce a coniugare la responsabilità limitata dei soci investitori con una flessibilità organizzativa non consentita nelle società di capitali.

In altri termini, anche nel mondo anglosassone sono ovviamente presenti altre tipologie societarie in cui la responsabilità dei soci è limitata, ma queste, essendo società di capitali non sono adatte alle esigenze di un veicolo di investimento data la loro disciplina notevolmente più complessa e la mancanza di flessibilità a livello organizzativo.

A tal proposito, l’errore di fondo che si è compiuto nello scegliere la S.a.p.A. come forma giuridica della società di partenariato è stato quello di ritenere che l’elemento essenziale per cui la limited partership ha riscontrato un così ampio successo sia la distinzione tra socio accomandatario (general partner) e soci accomandanti (limited partners) [46].

In realtà tale elemento, più che un elemento essenziale è un escamotage per mantenere la responsabilità limitata degli investitori senza dover sottostare alle rigidità di una società di capitali, ritendo sia un sacrificio accettabile la responsabilità illimitata del general partner, a maggior ragione se – come si è già visto – questo è di fatto una “scatola vuota” e la gestione effettiva del veicolo di investimento è affidata ad un manager terzo.

Premesso ciò, la S.a.p.A. possiede sì la distinzione tra socio accomandatario e soci accomandanti come nella limited partnership, ma per il resto è totalmente assimilabile a una società per azioni e, quindi, ha ben poco in comune con la limited partnership, non essendo sufficiente l’autonomia statutaria in materia patrimoniale di cui all’art. 35-novies.3.

Infatti, com’è stato giustamente fatto notare, la S.a.p.A. non è un tipo sociale ibrido tra la società in accomandita semplice e la società per azioni [47], ma una mera variante della società per azioni [48].

Concludendo il discorso, si è probabilmente optato per una scelta più conservativa decidendo di non utilizzare la società in accomandita semplice – che sarebbe stata sì assimilabile alla limted partnership – come forma giuridica della società di partenariato in quanto, sempre probabilmente, non è stata ritenuta adeguata per qualificarsi come OICR poiché è storicamente utilizzata per attività economiche “semplici”, questo nonostante la società di partenariato sia riservata ad investitori altamente specializzati ben in grado di comprendere i rischi sottesi ai loro investimenti [49].

Così facendo, tuttavia, non si è raggiunto l’obiettivo di importare nell’ordinamento italiano la figura della limited partnership, andando a creare una sorta di doppione della SICAF/SICAV che – in attesa dei possibili effetti derivanti dall’introduzione delle SICAF/SICAV eterogestite – continuano a non intaccare la predominanza del fondo comune di investimento nel mercato italiano [50].

 

[1] https://www.dirittobancario.it/art/riforma-tuf-il-testo-del-decreto-legislativo-alla-camera/.

[2] https://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-144/29974.

[3] Le disposizioni in materia di società di partenariato saranno applicabili dopo nove mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D. Lgs. di cui allo schema o, se precedente, dalla data in cui verranno pubblicate le relative disposizioni attuative e verranno adeguati i rispettivi albi e registri di vigilanza.

[4] Convenzionalmente si fissa l’origine del venture capital nel 1946 con la creazione, a Boston, dell’American Research and Development Corporation il cui scopo era quello di investire i capitali raccolti presso investitori istituzionali in piccole imprese, spesso innovative e collegate a progetti del Massachusetts Institute of Technology. L’American Research and Development, tuttavia, ancora non adottava la forma della limited partnership.

[5] Martin Kenney, How venture capital became a component of the US National System of Innovation.

[6] Considerando 10 dell’AIFMD: “la presente direttiva non disciplina i FIA, i quali dovrebbero pertanto poter continuare ad essere disciplinati e sottoposti a vigilanza a livello nazionale. Sarebbe eccessivo disciplinare la struttura o la composizione dei portafogli dei FIA gestiti da GEFIA a livello di Unione e sarebbe difficile conseguire un’armonizzazione così vasta a causa della grande varietà di tipi di FIA gestiti dai GEFIA.”.

[7] Si pensi, ad esempio, a Lussemburgo, Irlanda o Malta.

[8] Matteo Cirla, 25 anni di private equity in Italia, Guerini NEXT, p. 9 ss.

[9] International Senior Lawyers Project, Private Investment Funds Governance, p. 9 ss.

[10] Tale aspetto è irrilevante nel contesto italiano in quanto il trattamento fiscale degli OICR è uniforme e non varia in base alla forma giuridica con la quale sono istituti o costituti (cfr., art. 73, comma 5-quinquies del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (cd TUIR)).

[11] Matthew Hudson, Funds – Private Equity, Hedge and All Core Structures, p. 9.

[12] Matthew Hudson, Funds – Private Equity, Hedge and All Core Structures, p. 10.

[13] Di ciò è consapevole anche il Legislatore: “i GPs operano di solito attraverso una Management Company che giuridicamente è una Limited Liability Partnership, i cui partner sono tutti Limited Partners (LPs). Ne segue che il “gestore” è un LP di una LLP che è il GP della Limited Partnership”, p. 16 della Relazione illustrativa dello schema.

[14] Cass. 16605/2010.

[15] https://www.dirittobancario.it/art/vigilanza-di-sicav-sicaf-eterogestite-nel-ddl-capitali/.

[16] Come la necessaria preventiva autorizzazione di Banca d’Italia sentita la CONSOB per la loro costituzione.

[17] Articolo 1, comma 1, lett. i-quater.1) del TUF come introdotto dallo schema.

[18] Articolo 1, comma 1, lett. i-quater.6) del TUF come introdotto dallo schema.

[19] Ovvero gli investimenti di un OICR in società in cui non ha precedentemente effettuato alcun investimento.

[20] Ovvero gli investimenti di un OICR in società in cui ha già precedentemente effettuato un investimento.

[21] Ciò sembra confermato dalla Relazione illustrativa dello schema: “con particolare riferimento alle PMI, si ipotizza che la nuova disciplina sulle società di partenariato e sui gestori sottosoglia registrati potranno avere un impatto positivo per le PMI, che rappresentano il target tipico d’investimento, sia per quanto concerne il private equity che il venture capital. Le nuove forme della gestione collettiva oggetto di revisione mirano proprio a garantire una canalizzazione del risparmio verso le piccole e medie imprese non quotate, al fine di consentirne la crescita e l’apertura al mercato”, p. 12 della sezione intitolata Analisi di Impatto della Regolamentazione (A.I.R.).

[22] Ovvero gli OICR aperti per investitori retail rientranti sotto l’ambito applicativo della Direttiva UCITS che, in base all’articolo 1, comma 1, lett. m) del TUF come modificato dallo schema, possono essere esclusivamente costituti in forma di fondo comune di investimento o di SICAV.

[23] Sul punto si segnala che, in base all’articolo 1, comma 1, lett. m-undecies) del TUF come modificato dallo schema, sono stati esplicitamente inseriti in tale categoria gli enti previdenziali di cui al D. Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e al D. Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103;

[24] In quanto la società di partenariato, come da relativa definizione, è ex lege un OICR chiuso.

[25] Art. 35-novies.1, comma 1, lett. i) e Art. 38-bis, comma 1, lett. f) del TUF come introdotti dallo schema.

[26] Ciò sembra confermato anche dalla Relazione illustrativa dello schema, p. 24: “quale FIA italiano riservato, la società di partenariato può essere partecipata solo da investitori professionali e da investitori appartenenti alle categorie individuate dal Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob, ai sensi dell’articolo 39 [n.d.r., il DM 30/2015]”.

[27] Va in ogni caso sottolineato come raramente un FIA non sia riservato in quanto ai FIA non riservati si applicano alcuni vincoli nelle decisioni di investimento previsti dal Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio di Banca d’Italia (Titolo V, Capitolo III, Sezione V), quando invece i FIA riservati non hanno alcuna limitazione nella politica di investimento

[28] Che è sia un GEFIA pienamente autorizzato ai sensi dell’AIFMD che un OICR.

[29] Che è sia un GEFIA cd. sottosoglia ai sensi dell’art. 3, par. 2 dell’AIFMD (ovvero che ha asset under management per massimo Euro 100 milioni se utilizza la leva o Euro 500 milioni se non utilizza la leva e a cui si applicano solo limitate disposizioni dell’AIFMD) che un OICR.

[30] Che è solo un OICR.

[31] Relazione illustrativa dello schema, p. 25.

[32] Coerentemente con la natura riservata della società di partenariato e con le quote di cd. GP commitment e carried interest destinate esclusivamente al team di investimento.

[33] Nei FIA riservati normalmente i commitment non sono richiamati per intero al momento della sottoscrizione ma in base alle esigenze di gestione (pagamento della management fee, operazioni di investimento, copertura di altri costi, ecc.), contrariamente si avrebbe un effetto estremamente distorsivo sul cd. hurdle rate.

[34] Ci si riferisce alla possibilità per gli OICR di contrarre finanziamenti, di regola a breve termine e per la gestione efficiente dei versamenti o dei default degli investitori, purché “l’indebitamento non avvenga nei confronti del pubblico” (p. 25, Relazione illustrativa dello schema).

[35] Possono recedere i soci che non hanno concorso alle deliberazioni che determinano: a) la modifica della clausola relativa all’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società; b) la trasformazione della società; c) il trasferimento della sede sociale all’estero; d) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso.

[36] Relazione illustrativa dello schema, p.26.

[37] Non possono, quindi, sottoscrivere le categorie di investitori previste dall’art. 14, comma 2 del DM 30/2015.

[38]l’atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari. I soci accomandatari sono di diritto amministratori […]”.

[39]il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell’accettazione della nomina”.

[40] Sulla possibilità che una persona giuridica sia amministratore di una società di capitali si veda la Massima n. 100  del 18 maggio 2007 a cura del Consiglio Notarile di Milano (https://www.consiglionotarilemilano.it/massime-commissione-societa/100/).

[41]ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio, da quello di ciascun partecipante e da qualsiasi altro comparto del medesimo fondo, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni relative alla gestione del fondo o del singolo comparto, ivi incluse quelle di natura tributaria, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo o del singolo comparto, rispettivamente. Su tali patrimoni non sono ammesse azioni dei creditori degli altri comparti o nell’interesse degli stessi, né azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né azioni dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti e dei relativi comparti”.

[42] Art. 57-ter del TUF come introdotto dallo schema.

[43]la società di partenariato si ispira alla figura della Limited Partnership che in vario modo è già operante in particolare nel Regno Unito, in Lussemburgo e in Francia nell’ambito del private equity e del venture capital”, p. 22 Relazione illustrativa dello schema.

[44] Trova, in particolare, le sue origini nella société en commandite par actions del Code de commerce francese del 1807 che è poi stata traslata nel Codice di commercio italiano del 1865. E. Barcellona, La società in accomandita per azioni, Giappichelli, p. 3.

[45] Si pensi alla société en commandite par actions francese o lussemburghese. Da notare, tuttavia, che in tali paesi è possibile costituire veicoli di investimento anche in forma di société en commandite simple o di société en commandite spéciale, assimilabili alla società in accomandita semplice.

[46] Relazione illustrativa dello schema, p. 23: “il modello dell’accomandita offre chiarezza circa l’assetto degli interessi, ripartito tra investitori-accomandanti e general partner-accomandatario cui è normalmente affidata la conduzione della società secondo i suoi progetti di investimento.”.

[47] E. Barcellona, La società in accomandita per azioni, Giappichelli, p. 1.

[48] E. Barcellona, La società in accomandita per azioni, Giappichelli, p. 4.

[49] Tali remore sembrano emergere da alcuni passaggi della Relazione illustrativa dello schema: “l’uso di un modello societario riconoscibile e chiaro nei suoi assetti dovrebbe agevolarne l’utilizzo anche da parte di investitori esteri. La personalità giuridica propria delle società in accomandita per azioni assicura certezza nella destinazione dei capitali conferiti agli investimenti”, p. 23.

[50] F. Annunziata, M. Notari, Le SICAF. Profili societari e regolamentari, Egea, p. 4.

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