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Attualità

L’utilizzo della cartolarizzazione nel litigation funding

6 Ottobre 2025

Francesco Dialti, Partner, CBA
Sean Parker, Associate, CBA
Claudio Mastrobattista, CBA

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la possibilità di utilizzare un’operazione di cartolarizzazione quale strumento per finanziare l’acquisto di crediti litigiosi, favorendo così lo sviluppo nel mercato italiano del litigation funding.


Come noto, il litigation funding è l’operazione in cui un finanziatore investe in un contenzioso (stragiudiziale, giudiziale o arbitrale) di un terzo assumendosi tutti o parte dei costi della disputa, in cambio di una quota, o tutti, i proventi ottenuti in caso di successo della medesima.

Tale tecnica agevola l’accesso alla giustizia e l’esercizio del diritto alla difesa, entrambi valori costituzionalmente tutelati. È chiaro, infatti, che il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi, sancito dall’art. 24 della Costituzione italiana, rischia di restare meramente teorico ove i titolari dei diritti non siano dotati delle risorse necessarie a sostenere le relative spese legali. Così, consentendo di avviare e proseguire azioni legali senza dover sopportare l’onere finanziario di tali spese, il litigation funding certamente agevola l’accesso alla giustizia. Inoltre, poiché l’apporto delle risorse messe a disposizione da parte di un terzo finanziatore migliora la qualità dei mezzi di difesa tecnica, lo strumento rende anche più effettivo il principio del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione.

Negli ultimi anni, il litigation funding sta progressivamente radicandosi nel mercato italiano.

Anche se vi erano già state in passato operazioni sporadiche di cartolarizzazione ai sensi della legge 130/99 di crediti litigiosi (tra cui un’operazione avente ad oggetto un claim single name collegato ad un’operazione assistita garanzie internazionali), la più importante novità che ha caratterizzato nel 2025 il settore del litigation funding in Italia è, senza dubbio, l’utilizzo della cartolarizzazione quale strumento per finanziare l’acquisto di crediti litigiosi: l’acquisto di crediti da parte di un veicolo di cartolarizzazione, appositamente costituito ai sensi della legge 130/99, è finanziato tramite l’emissione, da parte del medesimo, di asset backed securities.

Non vi è dubbio che, in un mercato del litigation funding in forte espansione, ma ancora privo di una disciplina organica, il ricorso alla legge 130/99 offra opportunità alternative nella gestione e riconduca le operazioni di litigation funding all’interno di una disciplina collaudata ormai da anni, presidiata dalle autorità di vigilanza e da intermediari finanziari specializzati, creando trasparenza, in contrapposizione a schemi non regolamentati (e non autorizzati) di acquisto di crediti. In tal senso, ai sensi di numerose pronunce della Corte di Cassazione[1], l’acquisto di crediti è qualificabile come attività finanziaria riservata (ai sensi dell’articolo 106 TUB e del decreto ministeriale 53/2015) laddove sia previsto il pagamento immediato di un corrispettivo in denaro; viceversa, non sussiste attività finanziaria nei casi in cui la funzione di finanziamento sia esclusa (ad esempio, per essere la cessione totalmente priva di corrispettivo, in quanto connessa a un servizio reso al cedente dal cessionario) o residuale, come nel caso in cui il prezzo sia corrisposto in via differita e condizionata.

La cartolarizzazione dei crediti litigiosi presenta quindi, in primo luogo, il grande vantaggio di legittimare modalità di corresponsione del prezzo diverse dalla semplice previsione di un prezzo differito e eventuale legato all’esito della causa[2].

Le prime operazioni del 2025 di cartolarizzazione hanno avuto ad oggetto crediti collegati ad azioni di private enforcement per il risarcimento del danno da violazioni del diritto della concorrenza (c.d. azioni di follow-on).

In relazione a tali operazioni, lo strumento della cartolarizzazione permette campagne di book-building mirate a creare un portafoglio di claims, in modo da tutelare in via coordinata e collettiva azioni risarcitorie che risulterebbero altrimenti molto complesse e onerose in caso di azione da parte dei singoli danneggiati.

Lo strumento è stato utilizzato in relazione a violazioni del diritto della concorrenza sia a livello nazionale, sia a livello comunitario.

Particolarmente interessante è stato l’utilizzo di una cartolarizzazione di diritto italiano per una campagna di book-building volta a creare un portafoglio di claims da azionare in altro Stato comunitario. In tale ipotesi ovviamente il regime di pubblicità previsto della legge 130/99 (che ha efficacia solo nel territorio nazionale) deve essere integrato ai fini dell’opponibilità della cessione, in base alle regole che discendono dalle norme di diritto internazionale privato e dal Regolamento (CE) n. 593/2008 (cd. Regolamento Roma 1).

È poi seguita, poche settimane fa, la prima operazione di cartolarizzazione avente ad oggetto crediti da personal injuries, che rappresenta un passaggio significativo per lo sviluppo nel mercato italiano del litigation funding.

L’operazione – realizzata dalla società veicolo Prontodanno.it SPV 1 S.r.l. – ha ad oggetto un portafoglio target di 500 claims derivanti dal diritto al risarcimento, a titolo di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale, per danni alla persona subiti da persone fisiche in conseguenza di eventi di malpractice medica, sinistri stradali e infortuni sul lavoro.

Il numero considerevole di claims permette di “spalmare” il rischio, a beneficio del buon esito e del rendimento dell’operazione.

Le cessioni avvengono pro soluto e possono riguardare tanto crediti già accertati con sentenze favorevoli, quanto crediti ancora in fase di accertamento, o addirittura solo prospettici.

Per quanto concerne le caratteristiche strutturali di una cartolarizzazione di crediti litigiosi, bisogna differenziare tra operazioni aventi ad oggetto single claims (o claims di numero limitato) e operazioni che mirano ad aggregare una pluralità di crediti, una parte dei quali non ancora identificati. In quest’ultima ipotesi l’operazione viene strutturata come operazione partly-paid; gli investitori sottoscrivono i titoli e corrispondono alla SPV il subscription price in parte all’emissione e, in parte, nel corso del cd. “periodo di investimento”, fornendo alla medesima la provvista necessaria non soltanto per l’acquisto di crediti, ma anche per il pagamento delle spese di contenzioso dei claims. Nel caso in cui i fondi della SPV non siano sufficienti, la SPV è quindi legittimata a richiedere agli investitori ulteriori versamenti a titolo di prezzo di sottoscrizione dei titoli; a tali versamenti consegue ovviamente un incremento della quota versata dei titoli.

Le operazioni che mirano ad aggregare una pluralità di crediti, una parte dei quali non ancora identificati, si caratterizzano inoltre per il loro carattere revolving: i flussi finanziari generati dall’attività di riscossione dei crediti, per un primo arco temporale (cd. “periodo di investimento”) vengono utilizzati esclusivamente per acquistare nuovi crediti e finanziare i contenziosi. In questa prima fase pertanto non è previsto il rimborso del capitale agli investitori, che sarà dovuto solo una volta terminato il periodo di investimento. Il carattere revolving permette anche, ovviamente, di migliorare il rendimento finale dell’operazione.

In particolare, i documenti dell’operazione prevedono che per far fronte alle spese di acquisto e di contenzioso da sostenersi nel corso dell’operazione, la SPV impieghi prevalentemente i fondi già a tal fine disponibili, i quali sono costituiti, in prima fase, dai versamenti iniziali effettuati dai sottoscrittori all’atto di sottoscrizione dei titoli e, in seconda fase, dagli importi tempo per tempo incassati dalla SPV a valere sui crediti. Nel caso in cui tali fondi non fossero sufficienti, la SPV è legittimata a richiedere agli investitori ulteriori versamenti a titolo di prezzo di sottoscrizione dei titoli al fine di finanziare gli acquisti e/o le spese di contenzioso, con conseguente incremento della quota versata dei titoli.

Come sopra accennato, tali ulteriori fondi possono essere richiesti agli investitori unicamente entro i precisi limiti temporali del periodo di investimento, la cui durata è fissata all’inizio dell’operazione.

Interessante è, infine, esaminare la topologia di investitori che hanno sottoscritto i titoli ABS delle prime operazioni di cartolarizzazione italiane.

Mentre nelle prime operazioni i sottoscrittori erano stati fondi internazionali, nell’operazione Prontodanno i sottoscrittori sono family offices e holding di partecipazione di alcune note famiglie imprenditoriali italiane, registrandosi così un allargamento della platea degli investitori in questa asset class.

 

[1] Si segnalano, fra le altre: Corte di Cassazione, ordinanza n. 7375 del 19 marzo 2024; Corte di Cassazione, sentenza n. 7635 del 21 marzo 2024.

[2] Nella prassi, nella stessa operazione si possono avere modalità di pagamento del prezzo miste. Sulla base infatti degli esiti dell’attività di due diligence individualmente svolta con riferimento a un dato credito e delle preferenze del relativo cedente si potrà optare: i) per un prezzo di acquisto di tipo cash-out, corrisposto in unica soluzione al cedente all’atto di stipula della cessione; o ii) per un prezzo di acquisto interamente differito, ossia dovuto subordinatamente all’avvenuto incasso; o iii) per un prezzo di acquisto di carattere misto, ossia in parte corrisposto al momento della cessione, quale corrispettivo iniziale, e in parte da corrispondersi subordinatamente all’incasso, come componente differita condizionata.

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