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Oltre la semplificazione. Il delicato equilibrio tra competitività e sostenibilità nel sistema finanziario europeo

18 Luglio 2025

Matteo Arrigoni, Ricercatore in diritto dell’economia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: La rinnovata centralità della competitività delle imprese nell’agenda dell’Unione europea ha condotto la Commissione a individuare nella complessità normativa un ostacolo rilevante allo sviluppo del potenziale produttivo. In tale contesto, è stato avviato un processo di semplificazione regolatoria, il cui primo intervento ha riguardato la riduzione degli oneri connessi alla finanza sostenibile. L’obiettivo di semplificazione non può tuttavia tradursi in un arretramento degli standard normativi in materia di sostenibilità. Il presente contributo analizza criticamente l’impostazione adottata dalla Commissione europea, evidenziando, alla luce del modello dell’efficienza informativa dei mercati, le criticità della strategia di trasparenza come strumento regolatorio primario. La discussione sul presupposto della preferenza degli investitori per prodotti ESG suggerisce, inoltre, l’opportunità di riconsiderare il paradigma attuale, orientando la regolamentazione verso strategie fondate sull’offerta di prodotti ESG, anziché sulla domanda. In quest’ottica, divieti normativi o obblighi di governance rivolti agli emittenti potrebbero rivelarsi più efficaci e meno costosi nel promuovere la sostenibilità nel sistema finanziario europeo.

ABSTRACT: The renewed emphasis on corporate competitiveness within the European Union’s policy framework has prompted the European Commission to identify regulatory complexity as a substantial constraint on the full realization of the Union’s productive capacity. In response, a regulatory simplification process has been initiated, with a first set of measures aimed at alleviating the compliance burdens associated with sustainable finance. However, the simplification objective must not result in a lowering of sustainability-related regulatory standards. This article critically examines the Commission’s current regulatory approach, employing the mechanisms of market efficiency theory to expose structural weaknesses in the prevailing reliance on transparency as the primary regulatory instrument. he underlying assumption that investors systematically prefer ESG-compliant financial products is likewise subjected to scrutiny. This advocates for a reconsideration of the current demand-side paradigm. In particular, a shift toward supply-side regulatory strategies—such as normative prohibitions or issuer-targeted governance obligations—may offer a more effective and less costly path toward the advancement of sustainability objectives within the European financial system.


1. La scelta verso la competitività e il problema di salvaguardare l’obiettivo della sostenibilità

La competitività delle imprese nel mercato interno è tornata a rivestire un ruolo prioritario nell’agenda politica dell’Unione[1]. In tale contesto, i rilevanti costi che il complesso sistema normativo impone alle imprese sono stati individuati come uno dei principali fattori di ostacolo alla piena valorizzazione di questo obiettivo[2]. Di qui, la scelta della Commissione europea di avviare uno «sforzo di semplificazione senza precedenti»[3].

In attuazione di questo indirizzo strategico, la Commissione ha adottato un “primo pacchetto” di misure volte alla semplificazione della normativa in materia di finanza sostenibile, ritenuta da più parti particolarmente costosa[4]. Tali misure si concentrano sugli obblighi di rendicontazione, sulla due diligence e sul regime della tassonomia, con l’obiettivo di «ridurre l’onere di rendicontazione» e «contenere le ripercussioni a cascata degli obblighi sulle imprese più piccole»[5]. Per consentire una transizione ordinata verso le nuove disposizioni che saranno adottate, la Commissione ha inoltre ritenuto opportuno posticipare la data di applicazione degli obblighi previsti dalle normative oggetto di revisione. Ciò ha condotto all’adozione della Direttiva (UE) 2025/794, c.d. Stop the Clock.

La semplificazione non deve, tuttavia, «compromettere gli obiettivi politici e gli standard elevati che contraddistinguono l’UE»[6]. Tra questi rientrano, in particolare, gli obiettivi in materia di sostenibilità, perseguiti in generale attraverso il Green Deal del 2019[7] e, con specifico riferimento al settore finanziario, mediante il Piano d’Azione del 2018 e la successiva Strategia per la finanza sostenibile del 2021[8]. La Commissione ha infatti chiaramente affermato che «sustainability and competitiveness should go hand in hand»[9].

Il bilanciamento tra semplificazione normativa e salvaguardia degli obiettivi di sostenibilità si presenta come un’operazione complessa. Un eccessivo alleggerimento regolatorio potrebbe infatti compromettere l’efficacia delle politiche ambientali, sociali e di governance, sacrificando gli obiettivi di lungo termine in nome della competitività; di contro, uno snellimento normativo troppo “timido” rischierebbe di mantenere invariati gli oneri regolatori, vanificando lo sforzo di stimolo alla crescita economica. Come sottolineato dalla Banca Centrale Europea, «it is important to strike the right balance to ensure that the benefits of sustainability reporting for the European economy and for the financial system are retained while ensuring that the framework is proportionate»[10].

Muovendo dall’analisi dell’approccio delineato dalla Commissione europea, il presente contributo intende promuovere una possibile impostazione differente. Applicare alla strategia sulla finanza sostenibile il modello relativo all’efficienza informativa dei mercati condurrà ad esiti utili a tal fine.

2. Le criticità della proposta avanzata dalla Commissione europea

La strategia normativa del primo pacchetto sulla semplificazione si basa su tre direttrici principali. In primo luogo, per diminuire i costi di compliance per le imprese, la Commissione ha ritenuto opportuno ridurre il numero dei soggetti tenuti a rispettare gli obblighi di rendicontazione previsti dalla Direttiva 2013/34/UE (d’ora in poi “Accounting Directive”, così come modificata dalla Direttiva (UE) 2022/2464: c.d. Corporate Sustainability Reporting Directive, d’ora in poi “CSRD”)[11]. In secondo luogo, per mitigare le lacune informative derivanti dalla restrizione dell’ambito soggettivo di applicazione della normativa, la Commissione ha prospettato l’introduzione di meccanismi di disclosure volontaria, destinati ai soggetti esclusi dagli obblighi di legge. In terzo luogo, per contrastare il fenomeno del c.d. effetto di “scivolamento”, la Commissione ha ritenuto necessario impedire che le regole imposte alle imprese più grandi si ripercuotano “a cascata” sulle imprese più piccole, e ha proposto, pertanto, di estendere e rafforzare il limite riguardante la catena del valore[12].

Una simile impostazione non è, tuttavia, esente da criticità. La riduzione della platea dei soggetti obbligati a rispettare l’obbligo sulla rendicontazione di sostenibilità comporta inevitabilmente una contrazione del flusso informativo complessivo disponibile. Tale esito rischia di compromettere il contributo che la rendicontazione può offrire al perseguimento delle priorità dell’Unione[13]. Un’informazione incompleta o limitata può, infatti, comportare una concentrazione degli investimenti su un numero ristretto di imprese, sostanzialmente quelle di grandi dimensioni, nonché accrescere il rischio di favorire pratiche elusive o fenomeni di greenwashing[14].

D’altra parte, la previsione di standard volontari di rendicontazione non appare in grado di per sé di colmare efficacemente tali lacune. Oltre ai ben noti problemi di sottoproduzione di informazioni volontarie potenzialmente pregiudizievoli per l’emittente, occorre considerare, infatti, i rischi connessi al problema dell’informazione selettiva e all’assenza di obblighi di verifica. Tali criticità possono generare un quadro informativo fuorviante per i destinatari delle informazioni e, in ultima analisi, ampliare ancora una volta il rischio di fenomeni di greenwashing[15].

Interrompere il “flusso” di informazioni per le imprese di minori dimensioni, infine, se da un lato contribuisce ad attenuare lo svantaggio competitivo connesso a fenomeni di diseconomie da compliance[16], dall’altro lato acuisce il divario nella disponibilità di informazioni ESG tra diverse categorie di società, frammentando così l’efficacia della strategia normativa relativa alla sostenibilità.

In conclusione, l’approccio volto a ridurre gli oneri normativi attraverso l’introduzione di deroghe ed esclusioni generalizzate (c.d. carve-out strategy) può condurre all’esito indesiderato di esporre gli investitori a prendere decisioni di investimento in un contesto di informazioni incomplete[17], compromettendo l’efficienza informativa del mercato finanziario sostenibile e la conseguente efficienza allocativa.

3. La strategia di trasparenza nella finanza sostenibile europea e l’efficienza informativa dei mercati

Le criticità appena sollevate suggeriscono l’adozione di un approccio differente. Per discutere di possibili riforme occorre, tuttavia, partire dalla comprensione della logica di fondo che ha animato il progetto europeo relativo alla finanza sostenibile.

Muovendo dalla constatazione che il settore pubblico non abbia capacità sufficienti per soddisfare la domanda degli investimenti richiesti, la Commissione ha ritenuto il settore finanziario in grado di «svolgere un ruolo di primo piano»[18] fissando, quindi, «l’obiettivo principale del quadro della finanza sostenibile» nell’indirizzare «i flussi finanziari privati nelle attività economiche pertinenti»[19]. Di conseguenza, l’integrazione dei fattori ESG «nel processo decisionale relativo agli investimenti»[20] ha assunto rilievo cruciale, in quanto condizione necessaria per raggiungere lo scopo. A tal fine, è imprescindibile allora che gli investitori dispongano di informazioni ESG[21]. Nelle parole della Commissione europea, la trasparenza è un «prerequisito che consente agli attori del mercato finanziario di valutare adeguatamente la creazione di valore a lungo termine da parte delle imprese nonché la relativa gestione dei rischi di sostenibilità»[22].

Nel contesto del mercato dei capitali, i principali destinatari di queste informazioni – come, più in generale, di tutte le informazioni rilevanti per valutare gli strumenti finanziari negoziati – sono in particolare i gestori di fondi comuni e le banche di investimento, comunemente qualificati come information traders[23]. Essi sono in grado di usufruire di queste informazioni perché, a causa delle economie di scala di cui possono godere e delle competenze specialistiche di cui dispongono, riescono a sostenere in modo efficiente i relativi costi strumentali. Le decisioni di investimento così assunte possono, a loro volta, influenzare l’andamento dei prezzi dei relativi strumenti finanziari e contribuire in questo modo all’efficienza informativa dei mercati[24].

In sintesi, il processo decisionale degli information traders si articola in tre fasi. Gli information traders devono anzitutto raccogliere le informazioni rilevanti per poterle inserire nel proprio processo decisionale. Successivamente, devono verificare le informazioni raccolte, perché un’informazione falsa o fuorviante compromette la capacità di prendere decisioni di investimento corrette. Infine, devono elaborare le informazioni – raccolte e verificate – per comprendere in che modo possano influire sull’andamento dell’emittente e quindi sul prezzo del relativo strumento finanziario[25].

La strategia di trasparenza volta a promuovere la finanza sostenibile risulta efficace, allora, solo se i costi sostenuti dagli information traders per le attività di raccolta, verifica ed elaborazione delle informazioni ESG[26] sono inferiori ai benefici attesi dagli investitori[27]. In caso contrario, l’attivazione di tali processi non risulterebbe efficiente, venendo così scartata da un investitore razionale.

All’analisi di come gli interventi del legislatore europeo influiscano su tali costi[28] sono dedicati i paragrafi che seguono.

4. L’attività di raccolta delle informazioni sulla sostenibilità

Il costo di raccolta delle informazioni ESG dipende dalla facilità con la quale gli information traders possono reperirle. Essendo spesso private, per ridurre tale costo il legislatore europeo ha imposto un obbligo di trasparenza in capo agli emittenti[29].

Così, per esempio, nel mercato primario gli emittenti includono informazioni ESG nel prospetto, dovendo inserire una «descrizione della strategia e degli obiettivi aziendali dell’emittente, sia finanziari che non finanziari»[30] e, con riferimento alla situazione finanziaria, un’analisi che comprenda «indicatori chiave di prestazione sia finanziari che, se del caso, non finanziari pertinenti per l’attività specifica dell’emittente»[31]. Se emettono le c.d. «obbligazioni verdi europee», devono poi compilare «la scheda informativa sulle obbligazioni verdi europee»[32] e il relativo prospetto[33], oltre a relazioni sull’allocazione dei proventi e sull’impatto delle obbligazioni verdi europee[34]. Per quanto riguarda il mercato secondario, inoltre, insieme ad altri soggetti, le società quotate, ad eccezione delle microimprese, devono pubblicare periodicamente la rendicontazione di sostenibilità e, quindi, devono includere «nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione»[35]. Nella rendicontazione di sostenibilità, gli emittenti devono inoltre includere le «informazioni su come e in che misura le attività dell’impresa sono associate ad attività economiche considerate ecosostenibili» e, in particolare, devono comunicare «la quota del loro fatturato proveniente da prodotti o servizi associati ad attività economiche considerate ecosostenibili» e «la quota delle loro spese in conto capitale e la quota delle spese operative relativa ad attivi o processi associati ad attività economiche considerate ecosostenibili»[36].

Rendendo pubbliche informazioni altrimenti private, tali interventi riducono il costo di raccolta delle informazioni[37]. La disponibilità delle informazioni ESG non ha, tuttavia, la stessa tempestività assicurata dalla legge nel caso di informazioni finanziarie. Diversamente da queste ultime, infatti, le informazioni ESG non sono oggetto di uno specifico dovere di informazione continua. Qualora non siano informazioni privilegiate, non devono quindi essere comunicate al mercato[38]. Se è vero che il dovere di informazione continua può avere poco senso in un contesto come quello della sostenibilità in cui le decisioni dovrebbero mirare al lungo periodo, anziché al breve, è altrettanto vero che la minore disponibilità di informazioni può ostacolare, in definitiva, l’attività degli information traders e conseguentemente l’efficienza informativa del mercato finanziario sostenibile.

5. L’attività di verifica delle informazioni sulla sostenibilità

Il costo di verifica delle informazioni ESG dipende dalla facilità con la quale gli information traders possono accertarne la veridicità, distinguendole così da quelle false o fuorvianti. Per ridurre tale costo il legislatore europeo si è affidato a una pluralità di strategie di enforcement, ex ante ed ex post, pubbliche e private[39]. L’efficacia di tali soluzioni dipende, tra l’altro, dal fatto che le informazioni siano rese pubbliche in forza di un obbligo di legge oppure su base volontaria.

Così, per esempio, con riferimento alle informazioni divulgate in conformità a previsioni di legge, secondo un approccio ex ante, il prospetto non può essere pubblicato senza approvazione dell’autorità competente[40]. I revisori legali, inoltre, rilasciano, se del caso, una «attestazione» relativa alla conformità della rendicontazione di sostenibilità alla legge[41]. Allo stesso tempo, la relazione finanziaria annuale pubblicata dagli emittenti deve comprendere, tra le altre cose, le attestazioni delle persone responsabili attestanti che la relazione sulla gestione «è redatta in conformità dei principi di rendicontazione di sostenibilità»[42]. Se emettono le obbligazioni verdi europee, gli emittenti devono poi assicurarsi che «la scheda informativa sulle obbligazioni verdi europee compilata sia stata sottoposta a una revisione pre-emissione con parere favorevole di un revisore esterno»[43]. A posteriori, invece, gli emittenti sono responsabili per le informazioni contenute nel prospetto[44] e i membri degli organi di amministrazione, gestione e controllo di un’impresa sono responsabili per i documenti relativi al bilancio e alla relazione sulla gestione, compresa la rendicontazione di sostenibilità[45].

Avendo riguardo alle informazioni diffuse in modo volontario è possibile ricorrere a una pluralità di regimi. Tralasciando le possibili soluzioni adottate dagli Stati membri[46], nella prospettiva dell’ordinamento europeo possono trovare applicazione anzitutto le norme di settore, come quella che impone che le informazioni contenute nella pubblicità relativa a un’offerta al pubblico di titoli non debbano essere «imprecise o fuorvianti», mentre devono «essere coerenti con quelle contenute nel prospetto»[47]. Più in generale, nel sistema finanziario si applica il divieto di manipolazione informativa[48], mentre avendo riguardo al più ampio mercato interno si può applicare la disciplina che vieta le pratiche commerciali ingannevoli[49].

Le strategie impiegate non sono prive di ostacoli. Ad esempio, al pari di ogni strategia di gatekeeping, anche per i cc.dd. green gatekeepers, il perseguimento dell’obiettivo di mantenere la reputazione e il controllo di mercato non risulta sempre idoneo a neutralizzare gli incentivi distorsivi tipicamente associati al c.d. firm-pays model[50]. Il divieto di manipolazione informativa non è poi applicabile in ogni caso, secondo una dinamica accentuata dalle norme di settore. Anche il private enforcement nel contesto della finanza sostenibile può non trovare applicazione, quando mancano obblighi di condotta o danni concretamente risarcibili[51]. Infine, sussiste in ogni caso la possibilità di una diffusione di informazioni vere ma parziali e, dunque, potenzialmente fuorvianti (c.d. selective disclosure).

A ciò si aggiungano le caratteristiche specifiche delle informazioni ESG e, in particolare: la loro natura di credence attribute che, diversamente dai cc.dd. search o experience goods, impedisce una verifica prima o dopo l’acquisto del bene a cui fa riferimento[52]; la circostanza che sono spesso previsionali, il che rende all’evidenza più complessa la verifica della veridicità di quanto comunicato, rispetto ai meri dati storici[53]; l’indeterminatezza di nozioni chiave, come quella di «investimento sostenibile», che favorisce il greenwashing[54].

Non stupisce, pertanto, l’elevata attenzione alle pratiche di diffusione di informazioni false o fuorvianti in cui le affermazioni sulla sostenibilità non riflettono in modo chiaro e onesto il profilo di sostenibilità della relativa attività, strumento o servizio finanziario (con specifico riferimento alla componente ambientale: il greenwashing)[55]. Come è stato sottolineato da ESMA, «cherry-picking, omission, ambiguity, empty claims (including exaggeration), misleading use of ESG terminology such as naming and irrelevance, are seen as most widespread misleading qualities»[56].

6. L’attività di elaborazione delle informazioni sulla sostenibilità

Il costo di elaborazione delle informazioni dipende dalla loro confrontabilità e dalla loro complessità. Informazioni comparabili e semplici consentono agli investitori di selezionare con maggiore facilità gli strumenti finanziari migliori. La strategia tradizionalmente utile a tal fine consiste nell’imporre agli emittenti di diffondere le informazioni secondo un modello che favorisca l’uniformità dei documenti e attraverso una modalità che assicuri chiarezza dei contenuti.

Le informazioni ESG presentano, tuttavia, tre criticità che ne limitano la comparabilità. Anzitutto, coprono ambiti eterogenei (quali quello ambientale, sociale e di governance), rendendo difficile il confronto diretto[57]. Il problema non sembra risolto nemmeno con l’adozione dei c.d. principi di rendicontazione di sostenibilità (c.d. European Sustainability Reporting Standard: cfr. il Regolamento delegato (UE) 2023/2772: d’ora in poi “Accounting Directive RD”). Sebbene il regolamento delegato preveda requisiti molto dettagliati, riducendo la discrezionalità dei destinatari dell’obbligo informativo, esso non consente un confronto realmente agevole tra imprese, nemmeno su singoli aspetti, quale quello ambientale. Si pensi, ad esempio, alla difficoltà di comparare un’impresa con buone performance sul fronte dei «cambiamenti climatici», ma con risultati negativi in materia di «acque e risorse marine», rispetto a una diversa impresa che, invece, ha risultati positivi su «biodiversità ed ecosistema», ma mostra criticità sul piano dell’«inquinamento»[58]. In secondo luogo, le informazioni ESG non impattano sempre il prezzo dello strumento finanziario, come invece accade per i dati finanziari tradizionali, e in questo modo non offrono agli investitori un criterio per confrontare “agilmente” le informazioni. Infine, queste informazioni possono essere veicolate con l’utilizzo di termini simili anche quando si riferiscono a fattispecie diverse, in ragione dei differenti regimi normativi previsti, il che aumenta la confusione per gli information traders. Esistono, ad esempio, definizioni diverse a seconda che si applichi la definizione di «investimento sostenibile»[59] o il Regolamento Tassonomia[60].

Sotto un diverso profilo, le informazioni ESG presentano una complessità maggiore rispetto a quelle finanziarie classiche. Quando sono relative a strumenti finanziari strutturalmente articolati, come i fondi comuni che investono in più asset, è più difficile l’analisi dei profili di sostenibilità rispetto a strumenti più lineari, come azioni o obbligazioni[61]. In via generale, inoltre, non riguardano necessariamente i fondamentali dell’emittente, ma aspetti eventuali e spesso qualitativi, rendendo così più difficile capire in che modo potrebbero avere un impatto sul prezzo dei relativi strumenti finanziari. Questa complessità spiega la diffusione dei rating ESG[62] che, tuttavia, non sempre riducono il costo di elaborazione delle informazioni a causa di molteplici problemi che il Regolamento (UE) 2024/3005 non sembra pienamente in grado di risolvere, quali i potenziali conflitti di interesse delle agenzie di rating ESG, la possibile inefficacia della disciplina di trasparenza e l’assenza a livello europeo di regole sulla responsabilità delle agenzie di rating ESG[63].

7. Le soluzioni ai problemi riscontrati

Gli ostacoli alla strategia di trasparenza in materia di sostenibilità – segnatamente: la minore disponibilità di informazioni ESG rispetto a quelle finanziarie; le difficoltà connesse alle strategie di enforcement in presenza di comunicazioni false o fuorvianti e le peculiarità delle informazioni sostenibili; la scarsa confrontabilità e l’elevata complessità delle informazioni ESG (supra, rispettivamente, parr. 4, 5 e 6) – suggeriscono allora di non enfatizzare il ruolo degli investimenti privati e, nello specifico, di riconsiderare l’importanza da attribuire alla disciplina strumentale di trasparenza (supra, par. 3).

Per raggiungere un punto di equilibrio tra competitività e sostenibilità (supra, par. 1) potrebbe allora essere più sensato ridimensionare la strategia di trasparenza e affidarsi a differenti strategie.

Anzitutto, avendo riguardo all’obbligo di divulgare le informazioni, anziché ridurre la platea di destinatari (supra, par. 2), più sensato risulta ridurre l’ammontare delle informazioni da divulgare (ad esempio, concentrando l’attenzione sulle informazioni ambientali e trascurando, invece, quelle sociali). Individuare con precisione il contenuto specifico dell’obbligo informativo può portare con sé una pluralità di benefici: nella prospettiva della competitività, riduce i costi di compliance per gli emittenti; dall’angolo visuale della sostenibilità, migliora la comparabilità delle informazioni, così da ridurre il costo di elaborazione delle informazioni e aumentare l’efficienza informativa del mercato finanziario sostenibile (supra, par. 6).

Relativamente ai problemi connessi al costo di verifica delle informazioni, inoltre, sebbene non si possa imputare una responsabilità all’emittente solo per il mancato verificarsi di un evento futuro, è possibile valutare la ragionevolezza dei presupposti utilizzati per la previsione effettuata[64]. Un ulteriore rimedio potrebbe consistere nell’obbligo di aggiornamento in caso di errore evidente, come avviene ad esempio con i profit warning o gli earning surprise. Con specifico riferimento al problema della selective disclosure, prevedere che un’eventuale omissione rilevante rende l’autore responsabile[65] e, per le informazioni diffuse in modo volontario, introdurre il divieto di diffondere informazioni false o fuorvianti – che scatta nel momento in cui l’emittente decide volontariamente di comunicare una determinata informazione[66] – appaiono le strategie normative più efficaci.

Il problema della difficile comparabilità delle informazioni può essere affrontato, invece, attraverso un duplice passaggio. Anzitutto, è opportuna la standardizzazione delle informazioni, tipicamente imposta da un intervento normativo, più efficiente rispetto a dinamiche di mercato a ottenere questo obiettivo, in forza della sua qualifica come bene pubblico[67]. In questo senso, l’Accounting Directive RD contribuisce senz’altro in modo positivo. Occorre, tuttavia, un secondo passaggio e, in particolare, l’individuazione delle sole informazioni rilevanti (ad esempio: l’inquinamento). Pur nella consapevolezza che possa essere troppo o troppo poco inclusiva (i cc.dd. problemi di over-and under-inclusiveness)[68], questa scelta rappresenta una condizione necessaria per il corretto funzionamento del meccanismo relativo alla trasparenza.

8. Un possibile approccio differente

Pur trascurando le sue conseguenze non volute[69], è opportuno osservare che la strategia normativa volta a promuovere la finanza sostenibile nell’Unione europea si fonda su un presupposto della cui presenza è lecito dubitare.

La strategia di trasparenza che può favorire l’efficienza informativa del mercato sostenibile richiede, infatti, che ci siano preferenze degli investitori verso prodotti con queste caratteristiche[70]. Il modello adottato, in particolare, assume che gli investitori preferiscano strumenti finanziari sostenibili, ma faticano a identificarli come tali, e che dunque maggiori informazioni su questi aspetti stimolino le forze produttive del mercato[71]. Sebbene tali preferenze possano fondarsi su motivazioni sia finanziarie che non finanziarie[72], è discusso se in termini aggregati sussistano effettivamente[73].

D’altra parte, al di fuori dei casi in cui sostenibilità e rendimento risultino congiuntamente perseguibili, laddove emerga un conflitto tra i due obiettivi, la scelta in favore del rendimento – anche a discapito della sostenibilità – non appare priva di giustificazione dal punto di vista strettamente economico.

I limiti del ricorso al meccanismo di mercato appena evidenziati suggeriscono allora che, in attesa di una politica fiscale o industriale comune a livello europeo, per realizzare gli altri obiettivi relativi alla sostenibilità (per esempio, quelli sociali, non considerati nel modello di trasparenza proposto: supra, par. 7), ricorrere a strategie incentrate sull’offerta di prodotti ESG, anziché sulla domanda, potrebbe risultare più opportuno. È infatti possibile conformare “dall’esterno” il mercato introducendo per gli emittenti divieti relativi a talune pratiche o obblighi di governance. Sotto il primo profilo, è possibile, ad esempio, introdurre divieti di immettere sul mercato prodotti ottenuti con il lavoro forzato[74]. Sotto il secondo profilo, è possibile introdurre obblighi diretti o indiretti, come la previsione che lega la remunerazione degli esponenti aziendali di una società quotata al perseguimento di politiche di sostenibilità.

In definitiva, è possibile ridurre gli oneri regolatori a favore della competitività delle imprese senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità, a condizione di ricalibrare il ruolo attribuito alla strategia di trasparenza. Una disclosure mirata su ambiti selezionati e l’adozione di strategie normative orientate all’offerta di prodotti ESG possono concorrere efficacemente al perseguimento degli obiettivi di sostenibilità, mantenendo al contempo i costi di compliance a un livello più adeguato.

 

 

[1] European Commission, A Competitiveness Compass for the EU, Communication, Brussels, 29.1.2025, COM(2025) 30 final, 1 (d’ora in poi “EC Competitiveness Compass”). Per un primo commento, M. Maggiolino, La Bussola per la Competitività: un futuro tutto da realizzare, in Questa rivista, 2025, 387 ss.

[2] EC Competitiveness Compass, 16.

[3] EC Competitiveness Compass, 17.

[4] Per l’affermazione secondo cui «the EU’s sustainability reporting and due diligence framework is a major source of regulatory burden, magnified by a lack of guidance to facilitate the application of complex rules and to clarify the interaction between various pieces of legislation», M. Draghi, The future of European competitiveness, Part B | In-depth analysis and recommendations, September 2024, 318; in termini più generali, E. Letta, Much More Than a Market – Speed, Security, Solidarity. Empowering the Single Market to deliver a sustainable future and prosperity for all EU Citizens, April 2024, 130.

[5] Commissione europea, Proposta di Direttiva che modifica le direttive (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760, Bruxelles, 27 febbraio 2025 (OR. en) 6595/25, 4 (d’ora in poi “CE Proposta 2025”).

[6] Commissione europea, Un’Europa più semplice e più rapida – Comunicazione sull’attuazione e la semplificazione, Comunicazione, Strasburgo, 11.2.2025 COM(2025) 47 final, 5.

[7] Come noto, la Commissione europea ha inteso trasformare l’Unione europea «in una società … efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse»: così Commissione europea, Il Green Deal europeo, Comunicazione, Bruxelles, 11.12.2019 COM(2019) 640 final, 2.

[8] Cfr. Commissione europea, Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, Comunicazione, Bruxelles, 8.3.2018 COM(2018) 97 final (d’ora in poi, “Piano d’Azione 2018”) e Commissione europea, Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy, Comunicazione, Strasburgo, 6.7.2021 COM(2021) 390 final (d’ora in poi, “CE Strategia 2021”).

[9] European Commission, Questions and answers on simplification omnibus I and II, 26 February 2025, Q&A n. 4.

[10] European Central Bank, Opinion on proposals for amendments to corporate sustainability reporting and due diligence requirements, CON/2025/10, 8 May 2025, 2 (d’ora in poi “ECB Opinion 2025”).

[11] Più nel dettaglio, «il numero di imprese soggette agli obblighi vincolanti di rendicontazione di sostenibilità si ridurrebbe di circa l’80 %»: CE Proposta 2025, 4.

[12] Più nel dettaglio, il limite «si applicherebbe direttamente all’impresa che comunica le informazioni anziché costituire soltanto un limite a quanto può essere specificato dagli ESRS. Esso tutelerebbe tutte le imprese fino a 1 000 dipendenti e non solo le PMI, come avviene attualmente, e sarebbe definito nel principio volontario adottato dalla Commissione come atto delegato»: CE Proposta 2025, 4.

[13] ECB Opinion 2025, 7 s.

[14] Cfr. la definizione delle tre European Supervisory Authorities: ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, 31 May 2023 ESMA30-1668416927-2498, 5 e 11 e ESMA, Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, Final Report on Greenwashing, 4 June 2024 ESMA36-287652198-2699, 78.

[15] ECB Opinion 2025, 10.

[16] Essendo i costi di compliance relativi alla divulgazione delle informazioni sostanzialmente dei costi fissi, le imprese di minori dimensioni sono svantaggiate rispetto a quelle di maggiori dimensioni, non potendo sfruttare le economie di scala.

[17] In via generale, ECB Opinion 2025, 3.

[18] Piano d’Azione 2018, 1; in termini non dissimili, CE Strategia 2021, 1. In dottrina, per tutti, di recente F. Capriglione, Clima Energia Finanza. Una difficile convergenza, UTET, Torino, 2023, 133, ma v. già F. Capriglione, Il sistema finanziario verso una transizione sostenibile, in Riv. trim. dir. ec., 2021, 243, per l’osservazione secondo cui «si assiste attualmente ad un’incisiva integrazione dell’assetto teleologico che connota la funzione della finanza rispetto alla sua originaria formulazione, circoscritta in un ambito meramente tecnico».

[19] CE Strategia 2021, 2.

[20] Piano d’Azione 2018, 2. Al riguardo, F. Capriglione, Sostenibilità mercato ambiente. Una riflessione introduttiva, in Riv. dir. banc., 2024, 369, osserva che «l’adesione a tale modello non si risolve nella rinuncia alla dimensione finanziaria dell’investimento, bensì rende possibile computare (nel calcolo della performance di quest’ultimo) una serie di elementi i quali permettono di accertarne la sostenibilità in un’angolazione che va al di là dei risultati economici dello stesso».

[21] Riconduce la strategia normativa della disclosure alla categoria delle «misure di tutela», diversa da quella delle «misure di spinta», V. Troiano, Regolamentazione finanziaria, finanza sostenibile e obiettivi ESG, in Riv. trim. dir. ec., 2023, 590 s.

[22] Così Piano d’Azione 2018, 4; nello stesso senso, sottolineando che «a key requirement of forming sustainable investment strategies is access to high-quality sustainability-related data, ratings and research», European Commission, Study on Sustainability-Related Ratings, Data and Research, November 2020, i. Definiscono, infine, l’«EU Sustainable Finance Framework» come una «data strategy», D. A. Zetzsche – M. Unterstell – R.P. Buckley – D.W. Arner, Datafication of Sustainable Finance (2024), disponibile su https://ssrn.com/abstract=4879687, 5.

[23] Nel senso che l’informazione sui fattori ESG sia prioritariamente destinata agli investitori istituzionali, F. Accettella, Sostenibilità e disclosure nei mercati finanziari: uno sguardo oltre le apparenze, in Riv. Trim. Dir. Ec., 2024, 310 s. e note 31 e 32 per ulteriori riff.

[24] Il tradizionale riferimento è al ben noto modello dell’Efficient Market Hypothesis: per tutti, cfr. E.F. Fama, Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical Work, in 25.2. The Journal of Finance (1970), 383, sintesi delle formulazioni di modelli antecedenti (P.A. Samuelson, Proof That Properly Anticipated Prices Fluctuate Randomly, in 6.2. Industrial Management Review (1965), 41, B. Mandelbrot, Forecast of Future Prices, Unbiased Markets, and “Martingale” Models, in 39.1. The Journal of Business (1966), 242 e E.F. Fama – L. Fisher – M.C. Jensen – R. Roll, The Adjustment of Stock Prices to New Information, in 10.1. International Economic Review (1969), 1).

[25] Per un approfondimento, sia consentito il riferimento a M. Arrigoni, Informazioni privilegiate e funzionamento dei mercati finanziari, Milano, 2022, 12 ss.

[26] La tassonomia dei costi relativi alle informazioni presentata da R.J. Gilson – R.H. Kraakman, The Mechanism of Market Efficiency, in 70.4. Va. L. Rev. (1984), 594 ss. è stata poi sviluppata da Z. Goshen – G. Parchomovsky, The Essential Role of Securities Regulation, in 55.4. Duke L. J. (2006), 721.

[27] Con specifico riferimento alla c.d. grande crisi finanziaria, R.J. Gilson – R.H. Kraakman, Market Efficiency after the Financial Crisis: It’s Still a Matter of Information Costs, in 100 Virginia Law Review (2014), 313 ss., spec. 333.

[28] Ritiene che il framework europeo sulle regole relative alla finanza sostenibile «needs to ‘facilitate the investor journey’ by helping investors navigate through a broad selection of sustainable products with different sustainability characteristics and varying degrees of sustainability ambition», ESMA, Sustainable investments: Facilitating the investor journey. A holistic vision for the long term, Opinion, 24 July 2024, ESMA36-1079078717-2587, 2.

[29] Per l’affermazione secondo cui «mandatory disclosure duties reduce the cost of searching for information», Z. Goshen – G. Parchomovsky (nt. 26), 738, ma v. anche 758 ss.

[30] All. 1, punto 5.4, Regolamento Delegato (UE) 2019/980 (d’ora in poi “Regolamento Prospetto RD”).

[31] All. 1, punto 7.1.1, Regolamento Prospetto RD.

[32] Art. 10, par. 1, lett. a, Regolamento (UE) 2023/2631 (c.d. EU Green Bond Regulation: d’ora in poi “EU GBR”).

[33] Art. 14 EU GBR.

[34] Artt. 11 e 12 EU GBR.

[35] Art. 19-bis, par. 1, co. 1, Accounting Directive, introdotto dalla CSRD. Come è stato riconosciuto, «la comunicazione, da parte di alcune categorie di imprese, di informazioni pertinenti, comparabili e affidabili sulla sostenibilità è condizione preliminare per la realizzazione» degli obiettivi fissati nel piano d’azione del 2018 (così il Considerando n. 2 della CSRD).

[36] Art. 8, parr. 1 e 2, Regolamento (UE) 2020/852 (d’ora in poi “Regolamento Tassonomia”). Per ulteriori dettagli, cfr. l’Allegato I del Regolamento Delegato (UE) 2021/2178.

[37] Come è stato osservato, il Regolamento (UE) 2019/2088 (c.d. Sustainable Finance Disclosure Regulation: d’ora in poi “SFDR”), il Regolamento Tassonomia e la CSRD «rappresentano iniziative legislative fondamentali per migliorare la disponibilità, la qualità e la coerenza dei requisiti ESG lungo l’intera catena del valore dei partecipanti ai mercati finanziari» (così il Considerando n. 35 del Regolamento (UE) 2024/3005: d’ora in poi “Regolamento Rating ESG”). Con specifico riferimento alla CSRD, cfr. inoltre European Commission, Accompanying the document Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on the transparency and integrity of Environmental, Social and Governance (ESG) rating activities, Impact Assessment Report, Strasbourg, 13.6.2023 SWD(2023) 204 final, 5.

[38] Per quanto riguarda il dovere di informazione continua, cfr. gli artt. 7 e 17, par. 1, Regolamento (UE) n. 596/2014, c.d. Market Abuse Regulation (d’ora in poi “MAR”). In argomento, P.O. Mülbert – A. Sajnovits, The Inside Information Regime of the MAR and the Rise of the ESG Era, ECGI Working Paper Series in Law, N. 548/2020, October 2020, 1, ma v. già F. Denozza, La nozione di informazione privilegiata tra “Shareholder Value” e “Socially Responsible Investing”, in Giur. Comm., fasc. 5, 2005, 585.

[39] Per un approfondimento con riferimento alle informazioni al mercato primario e al mercato secondario, nel contesto dell’Unione europea, A. Perrone, Il diritto del mercato dei capitali4, Giuffrè, Milano, 2024, rispettivamente, 98 ss. e 119 ss.

[40] Art. 20, par. 1, Regolamento (UE) 2017/1129 (d’ora in poi “Regolamento Prospetto”). I bilanci dell’emittente devono inoltre essere sottoposti a revisione legale (art. 34, par. 1, Accounting Directive; nella relazione di revisione sono poi illustrati i «risultati della revisione legale dei conti»: art. 10, par. 1, Regolamento (UE) n. 537/2014).

[41] Art. 34, par. 1, co. 2, lett. a bis), Accounting Directive.

[42] Art. 4, par. 2, lett. c, Direttiva 2004/109/CE (c.d. Transparency Directive).

[43] Art. 10, par. 1, lett. b, EU GBR.

[44] Art. 11 Regolamento Prospetto.

[45] Art. 33, par. 1, Accounting Directive.

[46] Nell’ordinamento italiano, ad esempio, potrebbe trovare applicazione il divieto di concorrenza sleale quando la diffusione di informazioni false o fuorvianti sulla sostenibilità sia considerato come «mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda» (art. 2598, n. 3, c.c.): sul punto, L. Zoboli, Il greenwashing e la tutela della corretta comunicazione d’impresa, in Riv. dir. banc., 2024, 318 ss.; più cauto, invece, D. Rossano, Il fenomeno del greenwashing alla luce delle recenti evidenze empiriche. La proposta di direttiva green claims, in Riv. trim. dir. ec., 2023, 609, che sottolinea «la complessità di ricondurre ad atti atipici di concorrenza sleale le condotte poste in essere, cui si aggiunge l’ulteriore difficoltà di dimostrare che queste ultime siano contrarie alle regole di correttezza professionale e idonee a danneggiare l’altrui azienda».

[47] Art. 22, par. 3, Regolamento Prospetto.

[48] Art. 12, par. 1, lett. c, e art. 15 MAR. Nel senso che può risultare utile a ridurre il rischio di greenwashing, ESMA, Response (nt. 13), 11.

[49] Di recente, infatti, il legislatore ha integrato l’elenco degli elementi rilevanti per considerare una pratica commerciale come ingannevole e dunque vietata (ex art. 5, par. 1, Direttiva 2005/29/CE, c.d. Unfair Commercial Practices Directive: d’ora in poi “UCPD”), includendo anche «le caratteristiche ambientali o sociali» di un prodotto (cfr. art. 6, par. 1, lett. b, UCPD, così come modificata dalla Direttiva (UE) 2024/825), e ha integrato anche l’elenco degli effetti di una pratica commerciale (cfr. art. 6, par. 2, UCPD, così come modificata dalla Direttiva (UE) 2024/825). Per un primo commento, A. Genovese, La comunicazione d’impresa sulla sostenibilità e il diritto della concorrenza, in Questa rivista, 2024, 1.

[50] Sottolineando i problemi derivanti dalla trasformazione della certificazione dei gatekeepers in una “regulatory license” e dalla natura concentrata del mercato, L. Enriques – A. Romano – A.F. Tuch, Green Gatekeepers, ECGI Law Working Paper N° 800/2024, November 2024, 8 ss. e 25 ss.

[51] Per un approfondimento, E. Macchiavello, “Greenwashing” in investment intermediation: investor protection and the difficult role of enforcement, EUSFiL Research Working Paper Series 2024 no. 28, September 2024, Forthcoming on European Business Law Review, disponibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=4957242, 48 ss.; con specifico riferimento alla CSRD, T. Pantazi, The Introduction of Mandatory Corporate Sustainability Reporting in the EU and the Question of Enforcement, in 25 European Business Organization Law Review (2024), 521 ss.

[52] L. Enriques – A. Romano – A.F. Tuch (nt. 50), 11 s.

[53] Con specifico riferimento al rischio di greenwashing, cfr. ESMA, Progress Report on Greenwashing Response (nt. 14), 6 e 32 s.

[54] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response (nt. 14), 44. Per le affermazioni secondo cui «greenwashing is facilitated by the uncertainty about what should be considered sustainable» e «as regards the SFDR, the same definition of “sustainable investment” (Art. 2(17) SFDR) appears quite vague and unclear», E. Macchiavello (nt. 51), 9 e 16.

[55] Affrontare il problema del greenwashing è una delle priorità indicate da ESMA nella sua Roadmap (ESMA, Sustainable Finance Roadmap 2022-2024, 10 February 2022 | ESMA30-379-1051, 11 ss.) e nella sua strategia (ESMA, ESMA Strategy 2023 2028, September 2022, 27).

[56] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response (nt. 14), 6 e 25.

[57] Sottolineando il rischio di «comparare le mele con le arance», S. Steuer – T.H. Tröger, The Role of Disclosure in Green Finance, in 8 Journal of Financial Regulation (2022), 5 e 33.

[58] I termini della legge si trovano nell’Appendice A, RA 16, ESRS E1 – ESRS E4, Accounting Directive RD.

[59] Art. 2, n. 17, SFDR.

[60] Per una critica di tale impostazione e per il suggerimento di eliminare la definizione di «investimento sostenibile» utilizzando solamente il Regolamento Tassonomia come punto di riferimento, ESMA (nt. 28), 4.

[61] S. Steuer – T.H. Tröger (nt. 57), 8.

[62] Secondo una diffusa definizione, il rating ESG è «un parere, un punteggio o una combinazione di entrambi, in merito al profilo o alle caratteristiche» di un soggetto «riguardo a fattori ambientali, sociali, dei diritti umani o di governance o all’esposizione a rischi o all’impatto su fattori ambientali, sociali, dei diritti umani o di governance, che si basano sia su una metodologia consolidata sia su un sistema di classificazione definito costituito da categorie di rating», indipendentemente dalla sua denominazione (Art. 3, n. 1, Regolamento Rating ESG): avendo riguardo, in particolare, all’approccio, alla divulgazione, alla strategia e alla performance del soggetto valutato sulle questioni ESG, European Commission (nt. 22), 57; considera, invece, l’esposizione ai rischi e/o alle opportunità, IOSCO, Environmental, Social and Governance (ESG) Ratings and Data Products Providers, Final Report, November 2021, 10; sottolinea, invece, gli aspetti del rischio e dell’impatto dei fattori ESG, ESMA, On Market Characteristics for ESG Rating Providers in the EU, Call for evidence, 3 February 2022 | ESMA80-416-250, 3; si concentra, infine, solamente sui rischi ESG, European Commission Regulatory Scrutiny Board, Environmental, social and governance (ESG) ratings and sustainability risks in credit ratings, Opinion, 16.12.2022 SEC(2023) 241, 1. Per l’analisi del problema terminologico, European Commission (nt. 37), 18.

[63] Per una prima analisi, sia consentito il riferimento a M. Arrigoni, Semplificare la complessità? Il regolamento europeo sui rating ESG, in Sostenibilità e mercati vigilati: regolatori e operatori nella “galassia” ESG (a cura di F. Riganti), Giappichelli, Torino, 2024, 385 ss.; v. anche F. Annunziata – M. Siri, The EU Regulation on ESG Ratings: Fit for Purpose?, EUSFiL Law Research Working Paper Series No. 2/2025, disponibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=5138977.

[64] Avendo riguardo alla finanza sostenibile, sottolinea che «enhanced transparency on underlying assumptions and parameters appears necessary to help investors make informed investment decisions taking into account the ambition and the credibility of sustainability commitments», ESMA, Progress Report on Greenwashing Response (nt. 14), 6.

[65] Ad esempio, «le persone responsabili del prospetto» attestano che «per quanto a loro conoscenza, le informazioni del prospetto sono conformi ai fatti e che nel prospetto non vi sono omissioni tali da alterarne il senso» (art. 11, par. 1, Regolamento Prospetto).

[66] Per l’affermazione secondo cui «the ban on fraud and manipulation reduces verification costs, because explicit information cannot be misstated, material facts cannot be omitted, and implicit information cannot be manipulated», Z. Goshen – G. Parchomovsky (nt. 26), 738. Poiché chi diffonde l’informazione sopporta minori costi di verifica dell’informazione, il dovere di diligenza richiesto a tal fine dovrebbe consistere nella colpa e non nel dolo: in questo senso, sottolineando che il management di una società quotata è il c.d. cheapest cost avoider, Z. Goshen – G. Parchomovsky (nt. 26), 719 e 777 ss.

[67] S. Steuer – T.H. Tröger (nt. 57), 33.

[68] Con riferimento alla strategia di mandatory disclosure in generale, M. Gargantini, Mandatory Disclosure – A Comparative Analysis, 2023, Forthcoming in E.D. Martino – H. Nabilou – A.M. Pacces (eds), Research Handbook on Comparative Financial Regulation, Edward Elgar, disponibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=4491737, 4.

[69] In particolare, orientare le scelte degli investitori verso prodotti sostenibili comporta: l’assoggettamento a rischi tipici di tali prodotti; la necessità per le imprese che svolgono attività non sostenibili di riconvertire il proprio business, per accedere al capitale privato, anche quando questo sia particolarmente costoso; una possibile discriminazione delle imprese che – per una pluralità di ragioni, quali la loro dimensione, la loro collocazione geografica, il settore industriale in cui operano o la lingua che utilizzano – potrebbero avere caratteristiche non particolarmente conciliabili con la realizzazione dei rating ESG (sul punto, cfr., ex multis, A. Del Giudice, La finanza sostenibile. Strategie, mercato e investitori istituzionali2, Giappichelli, Torino, 2022, 42; European Commission (nt. 37), 16 e OECD, ESG Investing: Practices, Progress and Challenges, OECD Paris, 2020, 64; ESMA, On Market Characteristics of ESG Rating and Data Providers in the EU, Outcome of ESMA Call for Evidence, 24 June 2022 | ESMA22-328-603, 19 e T.M. Doyle, Rating That Don’t Rate. The Subjective World of ESG Ratings Agencies, ACCF, July 2018, 9 s.).

[70] Il buon esito della strategia impiegata dipende, infatti, dal modo in cui le preferenze eterogenee degli investitori potrebbero trasformarsi in una domanda aggregata di attività ESG e dal modo in cui gli emittenti risponderebbero a loro volta agli spostamenti della domanda per mantenere l’accesso al capitale in condizioni favorevoli: S. Steuer – T.H. Tröger (nt. 57), 4.

[71] S. Steuer – T.H. Tröger (nt. 57), 19.

[72] Sul punto, cfr. S. Steuer – T.H. Tröger (nt. 57), rispettivamente 19 ss. e 27 ss.

[73] Nel senso che, col passaggio delle scelte di investimento alle generazioni dei Millennial e della GenZ, è probabile che con riferimento agli investitori al dettaglio la tendenza verso investimenti ESG si rafforzi, G. Strampelli, ESG, Sustainability Disclosure, and Institutional Investor Stewardship, in 81.6 Wash. & Lee L. Rev. Online (2024), 418 s.; di contro, la messa in discussione della legittimità di perseguire politiche ESG hanno sollecitato gli investitori istituzionali a comportamenti ispirati a una maggiore cautela (ivi, 420). Azoria Partners intende lanciare, ad esempio, un fondo “anti-woke”: A. Pollard – J. Fontanella -Khan, New ‘anti-woke’ ETF makes Starbucks its first target, in Financial Times, 5 December 2024. Dubita che gli investitori istituzionali siano interessati a «salvare il mondo (o il pianeta)», F. Accettella (nt. 23), 311 s. e, con riferimento alle decisioni di voto e alle scelte di investimento, 315 e nota 46 ove altri riff. V. anche E. Macchiavello (nt. 51), 34 s.

[74] In questo senso, nell’Unione europea, cfr. l’art. 3 del Regolamento (UE) 2024/3015 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 novembre 2024 che vieta i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato dell’Unione e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937.

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