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Giurisprudenza

Polizza vita: apporre una clausola nulla è pratica ingannevole

1 Luglio 2025

Cassazione Civile, Sez. III, 26 maggio 2025, n. 14029 – Pres. Scarano, Rel. Fiecconi

Di cosa si parla in questo articolo

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14029 del 26 maggio 2025 (Pres. Scarano, Rel. Fiecconi), ha chiarito, in ambito tutela dei consumatori, se costituisca pratica commerciale ingannevole apporre una clausola contrattuale nulla in una polizza vita, che non abbia alcun effetto per la parte disponente.

Questo il principio di diritto espresso:

Posto che l’elenco dei comportamenti scorretti contenuti nella normativa di settore non rappresenta un numerus clausus, è altrettanto indubbio, che la pratica commerciale di apporre una clausola nulla, non avente alcun effetto per la parte disponente, possa costituire una pratica ingannevole sussumibile nella disposizione di cui all’art. 21 [cod. cons.], in grado di dar luogo a un inadempimento contrattuale e al relativo risarcimento del danno, da cui far conseguire un obbligo informativo correlato alla invalidità della clausola in questione, posto che detta clausola ha un contenuto tale da orientare in maniera ingannevole il consumatore verso quel prodotto anziché un altro.

Nel caso di specie, gli eredi dell’unica beneficiaria di una polizza di assicurazione sulla vita avevano proposto nei confronti di quest’ultima domanda di pagamento dell’indennizzo assicurativo, nonché di risarcimento di danni da violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, non avendo la Compagnia assicurativa comunicato né al contraente né agli eredi della beneficiaria che il termine di prescrizione del diritto alla liquidazione del valore della polizza vita era nella specie di due anni dal decesso dello stipulante, e non già di dieci anni come previsto all’art. 10 della Nota informativa della polizza assicurativa stipulata.

Mentre il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda risarcitoria, la Corte d’Appello, in sede di gravame, la respingeva, con motivazioni cassate dalla Cassazione.

La Corte precisa preliminarmente infatti, che l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, il quale impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso), nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.

Lealtà significa – ricorda la Corte – non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte: il contratto deve essere infatti imprescindibilmente interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale.

Peraltro, la Corte rileva che, nel caso di specie:

  • il contratto era stato concluso su modulo unilateralmente predisposto dall’assicurazione: pertanto, vanno applicate le norme in tema di interpretatio contra stipulatorem ex artt. 1370 c.c. e 35 cod. cons
  • la clausola contrattuale di cui all’art. 13 lett. b) prevedeva a carico dell’assicurazione specifici obblighi di informazione da rendersi in favore della controparte, in ordine ad eventuali variazioni normative incidenti sulle condizioni contrattuali.

L’ art. 20 cod. consumo, sul divieto delle pratiche commerciali scorrette, tra le altre, prevede che una pratica commerciale è scorretta:

  • se contraria alla diligenza professionale
  • falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge

Ai sensi dell’art. 21 codice consumo è ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

La Corte rileva dunque che l’elenco dei comportamenti scorretti contenuti nella normativa di settore non rappresenta un numero chiuso: pertanto, la pratica commerciale di apporre una clausola nulla, non avente alcun effetto per la parte disponente, come quella inserita nella polizza vita oggetto di causa, può costituire una pratica ingannevole come quelle elencate nell’art. 21, in grado di dar luogo a un inadempimento contrattuale e al relativo risarcimento del danno, da cui far conseguire un obbligo informativo verso il consumatore, correlato all’invalidità della clausola stessa.

Tale clausola, infatti, ha un contenuto tale da orientare in maniera ingannevole il consumatore verso quel prodotto anziché un altro.

In conclusione, valutando la clausola in esame sotto questo particolare profilo posto a tutela dei consumatori, la pratica commerciale seguita dall’assicurazione, nel caso di specie, per la Corte:

  • non è conforme alla diligenza professionale dovuta da parte dell’operatore economico che immette un simile prodotto (assicurativo) nel mercato
  • è idonea ad ingenerare il ragionevole affidamento dell’aderente in ordine al differimento della presentazione della richiesta di liquidazione oltre il termine di prescrizione normativamente prescritto
  • non è stata “rimediata” dall’assicurazione neppure in sede di esecuzione del contratto: tale condotta costituisce ulteriore elemento da valutarsi avuto riguardo ai suindicati obblighi di diligenza e buona fede o correttezza, anche a fini risarcitori.
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