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Dossier

Il trustee degli obbligazionisti. Qualche precisazione a margine di Cassazione Civile 22 dicembre 2015 n. 25800

2 Maggio 2016

Alberto Gallarati

Massima: Il trustee è l'unico soggetto legittimato a far valere i diritti inclusi nel fondo in trust (fattispecie nella quale era stato istituito un trust nell'ambito di un prestito obbligazionario ed era stata prevista una no action clause, secondo la quale il trustee era l'unico legittimato ad esperire le azioni spettanti agli obbligazionisti nei confronti della società emittente e della società garante l'emissione del medesimo prestito obbligazionario, a meno di protratte omissioni dello stesso trustee, non ravvisabili laddove questi abbia puntualmente proposto istanza di insinuazione al passivo della suddetta società garante).

 

Con la sentenza n. 25800 del 22 dicembre 2015, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione riguardante l'insinuazione al passivo di due obbligazionisti che, per tramite di un trustee, avevano sottoscritto un prestito obbligazionario di una società lussemburghese, successivamente dichiarata insolvente, e garantito da altra società, incorporata in Italia e dichiarata anch'essa fallita.

La Corte conferma, nella sostanza, una precedente decisione del Tribunale di Reggio Emilia, secondo la quale «la legittimazione ad insinuarsi al passivo fallimentare di una società emittente un prestito obbligazionario[1] che sia stato oggetto di un trust istituito allo scopo di assicurare il rispetto del relativo regolamento spetta esclusivamente al trustee il quale abbia, nella sua qualità di creditore, chiesto il fallimento della società stessa, divenuta insolvente, con lo scopo di procedere alla distribuzione della somma ottenuta in conseguenza della liquidazione dell’attivo fallimentare tra tutti gli obbligazionisti garantiti dal trust, in proporzione ai rispettivi crediti»[2].

La sentenza non è facilmente apprezzabile senza aver a disposizione l'intera documentazione processuale, di merito e di legittimità. In particolare, non è di agevole comprensione senza aver letto il regolamento del prestito obbligazionario, il quale, da quanto si evince dalle due pronunce, parrebbe aver attribuito al trustee, l'esclusiva «nella tutela [degli obbligazionisti], a meno di protratte omissioni», che, secondo l'apprezzamento dei Giudici di merito e legittimità non parrebbero essersi verificate, avendo lo stesso gestore proposto tempestivamente insinuazione al passivo della società garante del prestito.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, la legittimazione ad agire avrebbe comunque dovuto esser riconosciuta in capo al manager, quale «unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi», in quanto titolare «del patrimonio vincolato alla predeterminata destinazione».

Mentre questa conclusione è sempre corretta rispetto ai trust che non gestiscano prestiti obbligazionari, potrebbe non esserlo per rapporti a tal fine diretti e nel cui ambito il modello anglo-americano è generalmente adottato al fine di sfruttarne una peculiare caratteristica, che consente, a chi ne fa uso, di unire verso i terzi il controllo di più diritti al loro interno frammentati, con effetti benefici sia per l'emittente che per i sottoscrittori[3].

Questi tipi di trust possono rivestire due differenti forme.

Secondo un primo modello, la società emittente istituisce un trust in favore degli obbligazionisti, avente ad oggetto una promessa di pagamento assunta dalla società stessa nei confronti del manager ed il cui ammontare sarà pari alla somma algebrica dei vari importi oggetto delle obbligazioni di pagamento incorporate nei titoli di ciascun sottoscrittore, oltre agli interessi e ai restanti impegni assunti dall'emittente. In questo modo, il debitore si obbliga tanto nei confronti degli obbligazionisti, quanto nei confronti del trustee, duplicando il debito. Simile duplicazione, tuttavia, nota come parallel debt, non rende indipendenti le due obbligazioni, nel senso che il pagamento effettuato ai primi estingue proporzionalmente il credito del secondo[4].

Una diversa struttura, invece, prevede l'attribuzione, in via esclusiva, in capo al manager, di tutti i diritti relativi al prestito, con l'effetto che egli sarà l'unico creditore della società emittente ed il solo avente diritto ad eseguire il credito nei confronti del debitore. Questa impostazione, adottata per prassi nel common law inglese, è la regola di default negli Stati Uniti[5] e in Canada[6], salva l'eventuale diversa pattuizione nell'indenture, cioè nel contratto concluso tra la banca, che generalmente svolge la funzione di trustee, e la corporation emittente[7].

Inoltre, il manager può essere titolare di diritti di garanzia, reali o personali (ed eventualmente concessi da terzi come ad esempio da una società appartenente al medesimo gruppo del debitore), per assicurare l'adempimento delle obbligazioni emesse dalla società debitrice. In questa ipotesi (che nell'ordinamento inglese comporta, secondo prassi consolidata, l'adozione di un trustee), nella trust property confluiranno anche i diritti di garanzia prestati[8].

Entrambi i modelli descritti attribuiscono al manager, in caso di patologie del prestito, la facoltà di intraprendere, senza ritardo, l'azione che ritenga più efficiente per i sottoscrittori[9]. Egli, infatti, potrà rinegoziare il debito, ovvero dichiarare il debitore decaduto dal beneficio del termine, metterlo in mora e procedere in via giudiziale al recupero delle somme dovute e, se del caso, escutere le garanzie ottenute, anche da terzi.

Queste iniziative potranno essere assunte a prescindere dal consenso dei portatori dei titoli, ovvero dopo aver consultato gli stessi: è infatti frequente, in questi tipi di trust, una previsione che obbliga il gestore ad agire in via esecutiva laddove richiesto da un determinato numero di obbligazionisti-beneficiari[10], che si impegnino contestualmente a tenerlo indenne dei costi a tal fine sostenuti[11]. A tale disposizione è in genere associata una no action clause, che impedisce l'enforcement del credito da parte di ciascun sottoscrittore, a meno che il trustee sia rimasto inerte per un ragionevole periodo di tempo, eventualmente in conseguenza di una decisione dei portatori dei titoli. Tale clausola è ispirata ad un criterio efficientistico di gestione delle situazioni di crisi del prestito obbligazionario, in quanto volta ad impedire comportamenti opportunistici dei singoli, ed evitare, da un lato, pagamenti in via preferenziale, effettuati dall'emittente agli obbligazionisti più aggressivi e, dall'altro, il moltiplicarsi di iniziative giudiziali, in contrasto tra loro o capaci di pregiudicare l'interesse generale dei titolari delle obbligazioni.

Una disposizione di questo tipo parrebbe essere stata incorporata all'articolo 12 del regolamento del prestito obbligazionario sottoposto all'esame della Suprema Corte, la quale non ha rilevato come fosse la citata clausola – e non il trust di per sé – ad escludere la legittimazione dei portatori dei titoli.

Anzi, proprio la necessità di introdurre una no action clause per evitare le azioni di ciascun obbligazionista parrebbe indice di una regola di default opposta, contemplata dalla legge regolatrice del trust, che permetta tali azioni.

Queste considerazioni avrebbero dovuto indurre i Giudici di Legittimità a rimodulare le conclusioni, evitando di adottare, in maniera tranchante, la regola generalmente applicata per i trust, che, come visto, non è sempre applicabile al trustee degli obbligazionisti. Di tal che la ratio decidendi che avrebbe dovuto adottare la Corte in relazione alla fattispecie sottoposta alla sua attenzione avrebbe dovuto recitare: «la no action clause contemplata dall'atto istitutivo di un trust istituito nell'ambito di un prestito obbligazionario – secondo la quale il trustee è l'unico legittimato ad esperire le azioni spettanti agli obbligazionisti nei confronti della società emittente e della società garante, a meno di protratte omissioni – esclude la legittimazione ad agire di ciascun obbligazionista qualora il trustee abbia puntualmente proposto istanza di insinuazione al passivo della società costituitasi garante dell'emissione del medesimo prestito obbligazionario».

 


[1] Si trattava in realtà del fallimento della società costituitasi garante del prestito.

[2] La decisione è pubblicata in Trusts e att. fid., 2009, 645.

[3] Wood, International Loans, Bonds, Guarantees, Legal Opinions, London, 2007, 288 e ss, in relazione ai vantaggi per i sottoscrittori e l'emittente nonché 291 e ss per gli svantaggi. Rinvierei inoltre al mio Trust e s.p.a. tra finzioni e realtà, in Le nuove s.p.a., diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, I, La s.p.a. Profili comparatistici. La costituzione, Bologna, 2013, 237

[4] Wood, International Loans, Bonds, Guarantees, Legal Opinions, cit., 295

[5] Si veda il Trust Indenture Act 1939 e il Trust Indenture Reform Act 1990 che lo aggiorna, nonchè, in dottrina,Landau-Krueger, Corporate trust administration and management, New York, 1998, 22 e ss.

[6] Si veda il Canada Business Corporation Act, Part VII.

[7] Landau-Krueger, Corporate trust administration and management, cit., 40 e ss; Wood, International Loans, Bonds, Guarantees, Legal Opinions, cit., 288.

[8] Wood, International Loans, Bonds, Guarantees, Legal Opinions, cit., 288.

[9] Si vedano Wood, International Loans, Bonds, Guarantees, Legal Opinions, cit., 285-296; Palmieri, I bond covenants, in Banca, impresa, società, 2006, 247; e Bruno, Il ruolo del trustee nei prestiti obbligazionari :a proposito di una sentenza della House of Lords, in Trusts e att. fid., 2009, 525. Si veda anche Cristofaro, Il trust nel contesto delle emissioni obbligazionarie internazionali, in Trusts e att. fid., 2010, 154

[10] Wood, International Loans, Bonds, Guarantees, Legal Opinions, cit., 294.

[11] Fanticini, I giudici europei di civil law e il trustee degli obbligazionisti, in Trusts e att. fid., 2009, 255.


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