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Attualità

Patent box non più per i marchi d’impresa

30 Maggio 2017

Andrea Brignoli, LL.M. (W.U.), Studio Lucchini ACBGroup, Laura Allevi, Ph.D. (BG), Università degli Studi di Bergamo

Di cosa si parla in questo articolo

Dall’anno 2015 tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa possono usufruire della agevolazione patent box, introdotta dall’art. 1 comma da 37 a 45 l. 190/14.[1] Tale agevolazione, di durata quinquennale, consiste in una variazione in diminuzione della base imponibile[2] per l’utilizzo di determinati beni immateriali.[3]

La relazione introduttiva di tale provvedimento intende rendere il “mercato italiano maggiormente attrattivo per gli investimenti nazionali ed esteri di lungo termine”, nonché incentivare il mantenimento ed il trasferimento in Italia di beni immateriali già esistenti,[4] allineandosi così agli altri Stati europei.[5]

Tale istituto è stato analizzato sia dall’OCSE[6] sia in ambito europeo;[7] in ragione del riconoscimento a livello mondiale del ruolo primario dell’attività di ricerca e sviluppo per le moderne economie, nonché dei beni immateriali che contraddistinguono sempre maggiormente le imprese.

Condizione necessaria per fruire dell’agevolazione domestica è il conseguimento, nell’ambito del reddito d’impresa, di un reddito derivante dall’utilizzo del bene immateriale in via indiretta (ad esempio royalties al netto dei costi fiscalmente rilevanti) ovvero nel suo utilizzo diretto: in questo caso sarà necessario attivare un ruling obbligatorio con gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, attraverso il quale verrà concordata la quota di reddito che potrà poi beneficiare del patent box.[8]

Il regime domestico trae origine dal c.d. “nexus approach” elaborato dall’OCSE ma con delle variazioni, permesse dall’Action Plan n. 5 BEPS fino al 30 giugno 2016.[9] In particolare il regime domestico deviava, rispetto alle citate indicazioni, per l’inclusione nell’agevolazione di: i) marchi e altri marketing intangibles, ii) utilizzo illimitato di know-how, nonché per l’aumento forfetario del 30% delle spese qualificate nel calcolo dell’agevolazione.

Con l’art. 56, comma 1, lett. a) del d.l. 24 aprile 2017 n. 50,[10] vi sono state importanti modifiche normative che hanno portato un parziale riallineamento della normativa patent box alle raccomandazioni OCSE.

Si segnala, da subito, che le modifiche varranno solamente a partire dall’annualità 2017 mentre sono fatte salve le opzioni già esercitate per gli anni d’imposta 2015 e 2016 anche se l’eventuale procedura di ruling con l’Agenzia è ancora in corso di definizione.

Da una prima lettura del provvedimento, in attesa di conversione, si osserva che dal novero dei beni immateriali che possono godere del trattamento di favore previsto dal regime italiano di patent box sono stati esclusi i marchi. Viceversa è stata confermata l’agevolazione sull’utilizzo congiunto di beni immateriali collegati tra loro da vincoli di complementarietà, nell’ambito della creazione di un prodotto, di una famiglia di prodotti ovvero di un processo o di un gruppo di processi.

Tra gli atti accompagnatori del decreto di legge è possibile constatare che la ragione di tale modifica è rinvenibile nella volontà di allineare l’attuale regime di patent box alle linee guida OCSE. In effetti, all’interno dell’Action 5, l’OCSE invita i Paesi aderenti ad escludere dai propri regimi agevolativi a favore dei beni immateriali, sia i marchi che il know-how, garantendo mediante una clausola di c.d. “grandfathering” di usufruire dei relativi regimi, fino al 2021, a chi abbia esercitato l’opzione entro fine giugno 2016. A tal riguardo il Final Report dell’Action 5 è chiarissimo nel sostenere un necessario collegamento tra l’investimento, le spese sostenute per la creazione del bene immateriale ed il territorio. Pertanto, secondo l’OCSE, la macro categoria dei marketing intangibles, (tra cui rientra senz’altro il concetto di marchio precedentemente utilizzato dal legislatore nazionale), non si concilia con il previgente regime domestico del patent box.[11]

La relazione illustrativa a tale nuovo provvedimento giustifica inoltre tale restrizione per motivi urgenti di finanza pubblica. Il legislatore, con tale modifica, si attende maggiori entrate per circa 37 milioni di Euro annui. I marchi infatti hanno rappresentato, ad oggi, il 47,2% delle immobilizzazioni immateriali oggetto di ruling di patent box domestico.[12]

In effetti, i marchi possono rappresentare, soprattutto in realtà strutturate, asset aziendali di rilievo, che possono essere oggetto di utilizzo diretto o di concessione in uso da parte del proprietario.

Si segnala che la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11 del 2016 sottolinea che, in caso di utilizzo indiretto del bene, il reddito è costituito dalle royalties percepite derivanti dalla concessione in uso dei beni immateriali, al netto dei costi fiscalmente rilevanti diretti e indiretti a essi connessi. Per quanto riguarda l’utilizzo diretto occorre invece procedere al calcolo del reddito figurativo risultante dal “conto economico virtuale” che tenga conto, da un lato, della “royalty implicita” incorporata nel prezzo di vendita del bene o del servizio e, per la parte delle componenti negative, della sommatoria di tutti i costi relativi alle attività connesse alla creazione, sviluppo, mantenimento e miglioramento del bene immateriale stesso.

Pertanto, fino al 2016, nel caso di patent box con utilizzo diretto dei marchi, il reddito agevolabile era costituito quasi esclusivamente dalla parte di prezzo attribuibile al valore del bene immateriale stesso, considerando che i costi di “creazione, sviluppo” ma, soprattutto, di “mantenimento” del bene erano di fatto abbastanza limitati, in particolare per marchi noti ed affermati.

Ad ogni modo, non è facile stabilire con certezza quali costi siano direttamente o indirettamente attribuibili al marchio. A conferma del breve elenco di costi attribuibili a questa tipologia di bene immateriale, lo stesso OIC 24, al paragrafo 66, relativamente alle immobilizzazioni immateriali, afferma che i costi relativi al marchio prodotto internamente possono ricondursi essenzialmente ai costi sostenuti per la produzione del segno distintivo, essendo esclusi i costi sostenuti per l’avvio del processo produttivo del prodotto tutelato dal marchio e per l’eventuale campagna promozionale. Per quanto sopra riportato, non si può non sottolineare che l’eliminazione dei marchi porta particolari complicazioni di calcolo dell’agevolazione. La stessa circolare 11 del 2016 è stata redatta considerando il marchio un asset agevolabile ai fini del patent box. Per gli anni seguenti il 2016, nel caso di presenza di marchi all’interno dell’impresa, si dovrà comunque provvedere allo scorporo dell’utile derivante da tale asset in presenza di altro know how rimasto ad oggi agevolabile. Al contrario, prima della modifica, know how e marchi erano complementari e non era richiesta alcuna complicata divisione.[13]

Si deve infine segnalare, da un punto di vista operativo, che delle 4.500 istanze depositate oltre 2.000 si sono “autoestinte” al momento di apertura del contraddittorio e sinora sono state definite solamente 15 istanze. Le altre 2000 domande, secondo quanto riferito dal direttore dell’Agenzia, saranno definite in contraddittorio entro il 31 dicembre 2017.[14]



[1] Il comma 39 della l. 190/14 prevedeva, (prima della modifica apportata dall’art. 56, comma 1, lett. a) decreto-legge 24 aprile 2017 n. 50 che ha eliminato la locuzione “da marchi d’impresa”), che sono agevolabili i”(…) redditi dei soggetti indicati al comma 37 derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, da brevetti industriali, da marchi d’impresa, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili, non concorrono a formare il reddito complessivo, in quanto esclusi per il 50 per cento del relativo ammontare. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai redditi derivanti dall’utilizzo congiunto di beni immateriali, collegati tra loro da vincoli di complementarietà, ai fini della realizzazione di un prodotto o di una famiglia di prodotti o di un processo o di un gruppo di processi, sempre che tra i beni immateriali utilizzati congiuntamente siano compresi unicamente quelli indicati nel primo periodo. (…)”.

[2] Ai fini delle imposte dirette ovvero IRES, IRPEF e IRAP.

[3] Cfr. elenco in nota 1).

[4] Cfr. relazione illustrativa al Disegno di Legge di Stabilità per il 2015, p. 5.

[5] Molti dei quali hanno già adottato regimi di patent box anche se, ovviamente, differenti fra di loro; in ordine cronologico Francia (2000), Ungheria (2003), Paesi Bassi (2007), Belgio (2007), Liechtenstein (2011), Canton Nidvaldo in Svizzera (2011), Cipro (2012), Regno Unito (2013) e Portogallo (2014); cfr. P. Arginelli, in Il Patent box nel contesto internazionale e il “caso italiano” in Novità Fiscali, SUPSI 2017 (1) pp. 27-39.

[6] L’OCSE ha affrontato la tematica già nel 1998 con il rapporto “Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue” nonché, più recentemente, attraverso il piano d’azione “Base Erosion and Profit Shifting” meglio conosciuto con l’acronimo BEPS; in tale ultimo report l’azione 5 del progetto BEPS è indirizzato specificamente ai regimi di Intellectual Property box in www.oecd.org.

[7] L’ECOFIN ha già adottato nel 1997 il Codice di Condotta Europeo dove veniva affrontata la tematica di pratiche fiscali dannose in considerazione di regimi di tassazione significativamente bassi; più recentemente la Commissione Europea, nel 2016, ha affrontato la tematica attraverso la comunicazione “strategia esterna per un’imposizione effettiva” in www.consilium.europa.eu.

[8] La variazione in diminuzione viene calcolata in base al cosiddetto “nexus approach”: il reddito prodotto attraverso l’utilizzo del bene immateriale è detassato sino a concorrenza del rapporto tra costi qualificati e costi complessivi, debitamente rettificati, sostenuti per l’acquisizione e lo sviluppo del bene immateriale, moltiplicato per una percentuale crescente (dal 2017 il 50%). Inoltre, sono detassate in misura del 100% le plusvalenze realizzate in seguito a cessione del bene immateriale, purché i proventi derivanti dalla cessione delle stesse vengano reinvestiti entro il secondo esercizio successivo.

[9] Per un’analisi del nexus approach si rimanda al documento OCSE del 2015 “Agreement on Modified Nexus Approach for IP Regimes”, nonché alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11 del 7/4/16, pag. 62

[10] Decreto legge in corso di conversione recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, cfr. nota 1).

[11] BEPS Action 5, Final Report, 27, in www.oecd.org, “The nexus approach focuses on establishing a nexus between expenditures, these IP assets, and income. Under the nexus approach, marketing-related IP assets such as trademarks can never qualify for tax benefits under an IP regime”.

[12] Cfr. relazione illustrativa all’art. 57 del d.l. 24 aprile 2017 n. 50.

[13] Cfr. R. Lenzi, Patent box, sui marchi adesso cala la scure, in Italia Oggi del 21 aprile 2017.

[14] A. Galimberti, Patent box, istanze a regime entro dicembre, in Sole 24 Ore del 9 maggio 2017. Si ricorda a tal riguardo che non tutte le istanze di patent box sono soggette a ruling; per quelle “indirette” il ruling è facoltativo.

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