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Attualità

Non sono deducibili ai fini Irap le remunerazioni degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale

5 Dicembre 2019

Giosuè Manguso, dottore commercialista e revisore contabile, membro Commissione imprese bancarie ed assicurative ODCEC Roma

Di cosa si parla in questo articolo

Rompendo gli indugi che duravano da alcuni anni, con la risoluzione n. 91/2019 l’Agenzia delle entrate ha espresso la propria posizione interpretativa in merito al trattamento Irap da riservare alle remunerazioni correlate agli strumenti finanziari di adeguatezza patrimoniale. In particolare, l’Agenzia delle entrate sostiene che le remunerazioni degli strumenti finanziari di tipo Additional Tier 1 non assumano rilevanza nella determinazione del valore della produzione netta rilevante ai fini Irap dell’emittente, in quanto tali strumenti sono contabilizzati come strumenti di equity e le relative remunerazioni sono rilevate a patrimonio ([1]).

Il regime fiscale degli strumenti innovativi di capitale è disciplinato dall’art. 2, comma 22, d.l. 138/2011 ed è stato commentato dall’Agenzia delle entrate in occasione dei chiarimenti forniti sull’unificazione dell’aliquota d’imposizione dei redditi di natura finanziaria (circ. Agenzia delle entrate n. 11/2012). Poi, con la ris. n. 30/2019, dopo aver ribadito che ai fini Ires uno strumento finanziario deve essere qualificato ai sensi dell’art. 5 del d.m. 8 giugno 2011, disconoscendo, dunque, che la qualificazione contabile possa essere efficace anche ai fini delle imposte sui redditi, è stato chiarito il riconoscimento ai fini Ires delle remunerazioni maturate sugli strumenti “AT1”, fermo restando l’applicazione dell’art. 96 del T.U.I.R.. Mancava, dunque, un chiarimento in merito al regime Irap attribuibile alle remunerazioni previste da tali strumenti finanziari; l’atteso chiarimento è stato pubblicato con la ris. n. 91/2019.

Leggendo tale risoluzione, si ha l’impressione che l’asserita indeducibilità poggi unicamente su un’interpretazione contabile, non avendo l’Agenzia delle entrate esposto la propria tesi interpretativa sul “filtro fiscale” rappresentato da alcune disposizioni del d.m. 8 giugno 2011. In altri termini, sembrerebbe che l’Agenzia delle entrate condivida la tesi della mancata estensione dell’articolo 5 del dm 8 giugno 2011 all’Irap, con l’effetto che un’eventuale riqualificazione di uno strumento finanziario manifesti i propri effetti soltanto in ambito Ires (vd. Assonime, circ. n. 8/2018) ([2]).

In realtà, indipendentemente dall’ampiezza dell’ambito oggettivo dell’art. 5 del d.m. 8 giugno 2011, l’Agenzia delle entrate avrebbe comunque sostenuto l’indeducibilità ai fini Irap delle remunerazioni sugli strumenti “AT1” senza considerare quanto stabilito dall’art. 2, co. 2, secondo periodo, del d.m. 8 giugno 2011, modificato dal d.m. 3 agosto 2017 Oic/Ifrs. In particolare, per effetto della suddetta modifica, è stato previsto che per i componenti di reddito rilevanti ai fini Irap imputati a patrimonio netto o al prospetto “OCI” per i quali non è prevista il successivo riversamento (c.d. “rigiro”) a conto economico la rilevanza Irap è stabilita dalle disposizioni applicabili ai componenti imputati al conto economico “aventi la medesima natura di quelli imputati a patrimonio o al prospetto OCI”.

Pertanto, l’indagine dovrebbe spostarsi dalla classificazione di bilancio dello strumento finanziario innovativo (strumento rappresentativo di capitale ovvero passività) all’identificazione dei “componenti fiscalmente rilevanti”. In altre parole, occorrerebbe in primo luogo verificare le caratteristiche della remunerazione (es: interesse o dividendo); successivamente, identificato il componente di reddito imputato a conto economico al quale la remunerazione è assimilata (“aventi la medesima natura”), se ne seguirà la disciplina Irap. Per l’identificazione del componente di reddito avente la medesima natura di quella degli strumenti “AT1” è stato lo stesso legislatore a stabilire che a tali remunerazioni (in ogni caso deducibili) si applica l’art. 96 del T.U.I.R.; pertanto, tali remunerazioni sono assimilate, ai fini Ires, agli interessi passivi. Ora poiché l’art. 96 del T.U.I.R. presuppone l’esistenza di un accordo di natura finanziaria (debito e non di capitale), tale qualificazione può essere utilizzata per poter sostenere che, per effetto dell’art. 2, comma 2, del d.m. 8 giugno 2011, la remunerazione degli strumenti “AT1” è assimilata a quella degli interessi passivi, e, dunque, dovrebbero essere ammessi in deduzione dalla base imponibile Irap degli intermediari finanziari di cui all’art. 6, co. 1, d.lgs. 446/1997 ([3]).

Inoltre, se è vero, come sostiene condivisibilmente l’Agenzia delle entrate, che l’assenza dell’obbligo incondizionato di corrispondere flussi di cassa o altre attività determina la contabilizzazione dello strumento “AT1” come strumento equity, pone più di un dubbio che la relativa remunerazione abbia natura di dividendo e che, dunque, rappresenti un onere non riconosciuto ai fini Irap ([4]).

Infine, è la stessa Agenzia delle entrate ad aver chiarito (ris. n. 30/2019) che, in merito alla rilevazione dello strumento finanziario, emittente e sottoscrittore devono adottare un comportamento contabile simmetrico, è che ben possono manifestarsi ipotesi in cui strumenti finanziari classificati come equity siano fiscalmente qualificati come strumenti di debito. La suddetta simmetria dovrebbe potersi applicare anche ai fini Irap (sia in termini di qualificazione dello strumento finanziario che della remunerazione che da esso origina), indipendentemente dall’ambito oggettivo dell’art. 5 d.m. 8 giugno 2011 ([5]).

Tuttavia, la circostanza che la remunerazione spettante al sottoscrittore dello strumento finanziario “AT1” non possa qualificarsi (sia contabilmente che ai fini Irap) come dividendo (IAS 18, par. 5), forse rappresenta una (simmetrica) conferma della natura della remunerazione accertata ai fini Irap presso l’emittente ai sensi del citato art. 2, comma 2. Pertanto, la remunerazione degli strumenti finanziari di adeguatezza patrimoniale dovrebbe essere qualificata come interesse attivo per il sottoscrittore (e, dunque, integralmente rilevante per il sottoscrittore banca) ed avere la medesima natura (e riconoscimento ai fini Irap) in capo all’emittente.

 

[1] Le banche possono migliorare la propria consistenza patrimoniale emettendo anche strumenti finanziari innovativi (nel senso che per il codice civile questi strumenti non rappresentano azioni né obbligazioni) che, ai fini di vigilanza, si qualificano come strumenti finanziari patrimoniali (Direttiva 2013/36/UE e Regolamento UE n. 575/2013), i quali sono contabilmente rilevati dal soggetto emittente tra le componenti patrimoniali, e la relativa remunerazione non è imputata a conto economico bensì, all’atto del pagamento, a riduzione delle riserve di patrimonio; il sottoscrittore, invece, contabilizza questo provento a conto economico (es: se è una banca, alla voce 70 del conto economico).

[2] Secondo Assonime non è chiaro se l’ambito oggettivo dell’art. 5 in questione (secondo il quale gli strumenti finanziari devono essere qualificati come azioni ovvero obbligazioni ai sensi di quanto disposto dall’art. 44, comma 2, del T.U.I.R.) debba estendersi anche all’Irap ovvero limitarsi alle imposte sui redditi. Nel primo caso, uno strumento finanziario contabilizzato come strumento di equity, laddove venisse qualificato come strumento di debito anche ai fini Irap, le relative remunerazioni avrebbero natura di interesse anche ai fini del tributo regionale in questione. Viceversa, se si ritiene che l’art. 5 del d.m. 8 giugno 2011 esplichi la propria efficacia soltanto ai fini Ires, gli strumenti “AT1” rappresenterebbero strumenti di equity anche ai fini Irap, con la conseguente irrilevanza delle relative remunerazioni ai fini del tributo regionale in questione.

[3] Vd. Consorzio Ricerche e Studi fiscali, circolare n. 1/2018.

[4] Infatti, anche laddove la corresponsione degli interessi fosse soggetta a discrezionalità, comunque il relativo pagamento imputato a conto economico verrebbe effettuato corrispondendo una somma fissa non prelevata da riserve di utili. Pertanto, mentre la discrezionalità è un elemento utile a qualificare uno strumento finanziario come strumento rappresentativo di capitale ai sensi dell’art. 44 del T.U.I.R. (richiamato dall’art. 5 del d.m. 8 giugno 2011), la previsione di un onere determinato in una somma fissa, non prelevata da una riserva di utili, dovrebbe comunque riconoscere in tale remunerazione la natura di interesse.

[5] Ciò implicherebbe che per gli intermediari finanziari di cui all’art. 6, comma 1, del d.lgs. 446/1997, la remunerazione contabilizzata alla voce 70 del conto economico, in qualità di dividendo, possa concorrere alla formazione della base imponibile Irap solo per il 50 per cento del proprio ammontare.

 

 

 

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