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Attualità

SHRD 2: lo schema di decreto legislativo e le novità in materia di operazioni con parti correlate e di remunerazione

13 Febbraio 2019

Prof. Avv. Paolo Valensise, Avv. Irene Bui, Dipartimento società quotate, corporate governance e capital markets, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

In data 7 febbraio 2019, il Consiglio di Ministri ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2017/828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 (“SHRD 2”), che modifica la direttiva 2007/36/CE (“SHRD”), introducendo nuove misure volte a incoraggiare l’impegno a lungo termine degli azionisti.

Come evidenziato nella Relazione illustrativa di accompagnamento allo schema di d.lgs., le disposizioni di quest’ultimo, in linea con l’obiettivo prefissato dalla SHRD 2, mirano a migliorare la governance delle società quotate, rafforzandone “la competitività e la sostenibilità a lungo termine, in particolare tramite un maggior e più consapevole coinvolgimento degli azionisti nel governo societario, nel medio e nel lungo termine, e la facilitazione dell’esercizio dei diritti degli stessi”. Le modifiche previste nello schema di d.lgs. riguardano infatti diverse aree di intervento, spaziando dalle regole sull’identificazione degli azionisti a quelle sulla trasparenza degli investitori istituzionali, dei gestori di attivi e dei consulenti in materia di voto (proxy advisor).

In tale contesto, le novità che interessano, più direttamente, gli interna corporis delle società quotate – e di cui andremo ad occuparci nell’ambito della presente nota – riguardano le modifiche alle disposizioni in materia di operazioni con parti correlate e di remunerazione.

2. Le novità in materia di operazioni con parti correlate

Per quanto concerne la disciplina delle operazioni con parti correlate, l’art. 1 dello schema di d.lgs. introduce un nuovo comma – il terzo – all’articolo 2391-bis del codice civile, volto a precisare i contenuti della delega (già) attribuita alla Consob ai sensi del vigente comma 1, ai fini della definizione e revisione della relativa regolamentazione secondaria, attualmente contenuta nel Regolamento n. 17221 del 12 marzo 2010. Ciò, come viene evidenziato nella Relazione di accompagnamento, laddove tale regolamentazione “non fosse già in linea” con i nuovi principi di delega.

In particolare, lo schema di d.lgs. affida alla Consob il compito di individuare:

  1. la definizione di parte correlata, in linea con i principi contabili internazionali. Ciò comporterà una necessaria modifica della definizione attuale, contenuta nell’Allegato 1 al Regolamento n. 17221/2010, che come noto riprende la nozione di parte correlata contenuta nel principio contabile internazionale (IAS 24) vigente alla data di entrata in vigore del predetto Regolamento, senza tuttavia farne rinvio. La scelta di “cristallizzare” a tale data la definizione di parte correlata era stata fatta dalla Consob proprio al – dichiarato – fine di evitare che il perimetro delle parti correlate potesse/dovesse subire automatiche variazioni in caso in caso di modifiche nei principi contabili internazionali (cfr. sul punto il par. 1 della Comunicazione Consob n. DEM/10078683 del 24 settembre 2010). L’indicazione del Legislatore europeo, secondo quanto si legge nel nuovo art. 2, lett. h), della SHRD (come modificato dalla SHRD 2) va invece nel senso opposto, ed è volta a far sì che il richiamo alla definizione di parte correlata contenuta nei principi contabili debba intendersi proprio come rinvio “mobile” alla versione tempo per tempo vigente;
  2. le soglie di rilevanza applicabili alle operazioni con parti correlate, tenendo conto di indici quantitativi. Lo schema di d.lgs. precisa altresì che, ai fini dell’individuazione delle predette soglie, la Consob potrà individuare anche criteri di rilevanza che tengano conto della natura dell’operazione e della tipologia di parte correlata. Tale principio, pur ponendosi in linea di sostanziale continuità con l’attuale disciplina regolamentare, sembra aprire la strada a possibili interventi, da parte della Consob, in relazione ad alcune previsioni del Regolamento n. 17221/2010, come ad esempio quelle sulle cc.dd. operazioni ordinarie a condizioni di mercato o standard e sulle operazioni di importo esiguo. Con riguardo a queste ultime, del resto, sono già diverse le procedure aziendali che distinguono la soglia di esiguità a seconda della tipologia di parte correlata di volta in volta interessata (un’ipotesi potrebbe essere quella di differenziare il regime tra persone fisiche e persone giuridiche);
  3. regole procedurali e di trasparenza proporzionate rispetto alla rilevanza e alle caratteristiche delle operazioni, alle dimensioni della società ovvero alla tipologia di società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio (azioni quotate o diffuse), nonché i casi di esenzione dall’applicazione, in tutto o in parte, delle predette regole. Previsioni di tale portata già sono contenute nel Regolamento n. 17221/2010; nulla esclude, tuttavia, che la Consob approfitti di tale occasione per mettere mano al quadro vigente, tenendo conto anche dell’esperienza maturata dall’Autorità in questo decennio di vigilanza in materia di operazioni con parti correlate;
  4. i casi in cui gli amministratori, fermo restando quanto previsto dall’art. 2391 del codice civile, e gli azionisti coinvolti nell’operazione sono tenuti ad astenersi dalla votazione sulla stessa ovvero misure di salvaguardia a tutela dell’interesse della società che consentano ai predetti azionisti di prendere parte alla votazione sull’operazione [1]. A tale proposito, occorre rilevare come, mentre con riguardo al voto da parte degli azionisti “correlati” tale previsione consenta alla Consob, quantomeno in linea teorica, di confermare i presìdi già previsti dall’attuale sistema regolamentare (ci si riferisce in particolare al c.d. whitewash assembleare), lo stesso non possa dirsi con riferimento al voto da parte degli amministratori “correlati”, per i quali la Consob dovrà individuare ex novo i casi in cui sarà posto, in capo questi ultimi, uno specifico obbligo di astensione. Tale obbligo di astensione, che per vero già si rinviene in altri settori del nostro ordinamento (cfr., in ambito bancario, l’art. 53 del Testo Unico Bancario), andrà in ogni caso a sommarsi al generale obbligo di informativa sugli interessi (anche non in conflitto) stabilito dall’art. 2391 del codice civile.

Sempre in tema di parti correlate, lo schema di d.lgs. introduce alcune significative novità anche in ambito sanzionatorio.

Ai sensi della normativa vigente, come noto, non sono previste nei confronti degli emittenti e dei loro amministratori sanzioni amministrative per il mancato rispetto delle previsioni in materia di operazioni con parti correlate. Allo stato, gli unici soggetti direttamente sanzionabili dalla Consob per violazione dei propri doveri di vigilanza sulla conformità delle procedure adottate ai sensi del Regolamento n. 17221/2010 nonché sulla loro osservanza sono infatti i componenti del Collegio Sindacale, in virtù del combinato disposto dell’art. 149 TUF, dell’art. 4, comma 6, del Regolamento n. 17221/2010 e dell’art. 193 del TUF.

Lo schema di d.lgs. interviene sul punto, inserendo all’interno del TUF un nuovo articolo, l’art. 192-quinquies, interamente dedicato alle “sanzioni amministrative in tema di operazioni con parti correlate”. Tale norma prevede che, in caso di violazione dell’art. 2391-bis del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, trovino applicazione (i) nei confronti delle società quotate nei mercati regolamentati, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 150.000, e (ii) nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione e di direzione, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 150.000, quando le violazioni da parte di questi ultimi rientrino nei casi previsti dall’art. 190-bis, comma 1, lett. a), del TUF (e cioè quando la loro condotta abbia inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero abbia provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori  per la trasparenza, l’integrità e il corretto funzionamento del mercato).

3. Le novità in materia di remunerazione

Per quanto concerne la materia della remunerazione, l’elemento principale da evidenziare è che lo schema di d.lgs. – in linea con quanto previsto dalla SHRD 2 – mantiene la natura consultiva del voto sulla politica di remunerazione, ferma ovviamente restando l’applicazione delle, più stringenti, norme di settore previste per le società quotate che siano sottoposte anche ad altri regimi normativi speciali, quali le banche e le assicurazioni.

Ciò detto, il nuovo art. 123-ter del TUF rivede la periodicità del voto assembleare sulla relazione sulla remunerazione, ora ri-denominata “Relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti”, distinguendo tra la sezione sulla politica di remunerazione e quella sui compensi corrisposti. L’individuazione delle informazioni da includere in entrambe le sezioni continua invece ad essere demandata alla regolamentazione secondaria della Consob, sentite Banca d’Italia e Ivass per i soggetti rispettivamente vigilati.

Per quanto riguarda la sezione della Relazione dedicata alla politica in materia di remunerazione (Sezione I), il nuovo comma 3-bis precisa innanzitutto che la politica “contribuisce alla strategia aziendale, al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società e illustra il modo in cui fornisce tale contributo”. In considerazione di quanto precede, e al fine di consentire alle società di elaborare politiche di remunerazione che abbiano un orizzonte temporale di applicazione più esteso del singolo esercizio, il nuovo comma 3-bis prevede che le società debbano sottoporre la politica al voto non vincolante dei soci con la cadenza richiesta dalla durata della politica stessa e in ogni caso almeno ogni tre anni o in occasione di modifiche [2] della politica medesima. Inoltre, il nuovo comma 3-ter dispone che, in caso di voto contrario da parte della maggioranza del capitale presente in assemblea, la società debba sottoporre al voto dei soci una nuova politica di remunerazione “al più tardi” in occasione della successiva assemblea annuale di bilancio.

Quanto alla “vincolatività” della politica, il nuovo comma 3-bis prevede che le società possano attribuire compensi “solo in conformità con la politica di remunerazione da ultimo sottoposta al voto dei soci” e che, in linea con quanto indicato nel considerando (30) della SHRD 2, deroghe temporanee alla politica possano essere concesse solo:

  1.  “in presenza di circostanze eccezionali”, per tali intendendosi “solamente situazioni in cui la deroga alla politica di remunerazione è necessaria ai fini del perseguimento degli interessi a lungo termine e della sostenibilità della società nel suo complesso o per assicurarne la capacità di stare su mercato” e
  2. purché la politica preveda “le condizioni procedurali in base alle quali la deroga può essere applicata e gli specifici elementi della politica a cui si può derogare”.

In aggiunta a quanto precede, il nuovo comma 6 dell’art. 123-ter, come previsto dalla SHRD 2, sottopone al voto non vincolante dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio anche la seconda sezione della relazione sulla remunerazione, e cioè quella relativa all’illustrazione dei compensi corrisposti, che attualmente non è invece oggetto di alcuna delibera da parte dell’assemblea. Tale seconda sezione, che ai sensi della nuova lett. b-bis) del comma 4 dell’art. 123-ter TUF dovrà illustrare anche le modalità con cui la società abbia tenuto conto del voto espresso nell’anno precedente sulla seconda sezione della relazione sulla remunerazione, dovrà essere sottoposta al voto non vincolante dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio con cadenza annuale.

In deroga a quanto precede, il nuovo comma 8-bis prevede una disciplina semplificata per le cc.dd. PMI (secondo la definizione contenuta nella direttiva 2013/34/UE), che richiede a queste ultime di sottoporre la sezione della relazione sui compensi corrisposti a una mera discussione assembleare, con separato punto all’ordine del giorno, invece che al voto non vincolante. Resta in ogni caso fermo, anche per tali società, il voto non vincolante sulla politica di remunerazione.

Da ultimo, in attuazione della SHRD 2 il nuovo comma 8-ter dell’art. 123-ter TUF attribuisce al soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti il compito di verificare l’avvenuta predisposizione, da parte degli amministratori, della seconda sezione della relazione sulla remunerazione.

Sul piano sanzionatorio, lo schema di d.lgs. estende la portata applicativa dell’art. 192-bis del TUF, che già contiene le sanzioni amministrative in materia di “informazioni sul governo societario” di cui all’art. 123-bis del TUF, anche alla violazione dell’art. 123-ter del TUF. In particolare, il nuovo comma 1.1. prevede che (i) nei confronti delle società quotate nei mercati regolamentati che violino le disposizioni previste dall’art. 123-ter e le relative disposizioni attuative, nonché (ii) nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo (qualora la loro condotta abbia contribuito a determinare la violazione delle disposizioni sopra richiamate da parte della società), si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 150.000 ovvero le sanzioni previste dal comma 1, lettere a) e b) del medesimo art. 192-bis (i.e.,rispettivamente, la dichiarazione pubblica e l’ordine di eliminare/porre termine alle infrazioni contestate). Viene inoltre prevista, al comma 1-quinquies dell’art. 193 del TUF, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 100.000 per il revisore che ometta di verificare l’avvenuta predisposizione della seconda sezione della relazione sulla remunerazione.

 

[1] Come osservato dalla Consob, da ultimo in data 5 febbraio 2019, in sede di audizione del Vice Direttore Generale Dott. G. D’Agostino avanti alla 14^ Commissione permanente del Senato della Repubblica – Politiche dell’Unione Europea, con riferimento al Disegno di legge n. 944 (Legge di delegazione europea 2018), “la previsione di un obbligo di astensione generalizzato delle parti correlate (es. gli azionisti di controllo) in qualsiasi operazione che li coinvolga – contenuta nella proposta iniziale della Commissione europea – avrebbe rappresentato una soluzione non ottimale in un contesto di assetti proprietari concentrati quale quello italiano in quanto: (i) deresponsabilizzerebbe i soci di riferimento, (ii) attribuirebbe alle sole minoranze le decisioni su operazioni straordinarie talvolta strategiche per l’emittente e (iii) disincentiverebbe la stessa quotazione delle imprese. Pertanto, la delegazione italiana partecipante al progetto normativo in sede UE ha sostenuto il ricorso a presìdi deliberativi alternativi (“adeguate misure di salvaguardia”) volti a tutelare gli interessi della società e degli azionisti, compatibili con l’attribuzione agli amministratori indipendenti dei doveri di verifica dell’interesse della società a porre in essere l’operazione e della convenienza e correttezza delle relative condizioni già previsti dal diritto nazionale. Il testo finale è in linea con la suddetta posizione.

[2] Nella Relazione di accompagnamento si precisa al riguardo che “la sottoposizione della politica di remunerazione ad una nuova votazione in caso di modifiche dei suoi contenuti che non siano meramente formali o chiarimenti redazionali è coerente con il quadro di maggior flessibilità complessivamente delineato e con l’esigenza di limitare il rischio di variazioni della politica in assenza del coinvolgimento dei soci”.

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