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Attualità

Cessione di credito di società pubblica in assenza di procedura ad evidenza pubblica

11 Marzo 2021

Renzo Ristuccia e Giulia Fabrizi, Ristuccia Tufarelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza n. 5664 pubblicata il 2 marzo 2021, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui il contratto di cessione di credito di una società pubblica non è soggetto all’applicazione del codice dei contratti pubblici e pertanto l’individuazione del cessionario non impone l’esperimento di una procedura ad evidenza pubblica a pena di nullità della cessione.

La vicenda

Con decreto ingiuntivo la società F. ingiungeva ad un’amministrazione il pagamento di crediti consistenti nei corrispettivi relativi ad un appalto pubblico eseguito dalla società pubblica P. in favore della predetta amministrazione. I suddetti crediti erano pervenuti alla F. in virtù di varie successive cessioni.

Il Tribunale accoglieva l’opposizione proposta dall’amministrazione e revocava il decreto ingiuntivo. Successivamente la Corte territoriale rigettava l’appello ritenendo che la cessione del credito effettuata dalla P. fosse nulla per violazione di norma imperativa, posto che il cessionario non era stato individuato mediante una procedura ad evidenza pubblica ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis.

La società cessionaria ha proposto ricorso in Cassazione, la quale ha accolto il ricorso sulla base di tre dei sei motivi proposti, rinviando alla Corte d’appello l’esame dei profili di merito circa la sussistenza del credito. Il presente scritto analizzerà i principi affermati dalla Corte in relazione al quarto motivo di ricorso, che è quello relativo alla riconducibilità o meno del contratto di cessione del credito nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici.

La sentenza

Ad avviso della Corte una singola cessione di credito anche se onerosa non costituisce un “servizio” e pertanto non rientra tra i “servizi bancari e finanziari” di cui all’Allegato II A) del D. Lgs. n. 163/2006 soggetti all’applicazione del codice dei contratti pubblici per effetto del rinvio effettuato dall’art. 20, comma 2 del medesimo D. Lgs. n. 163/2006.

La singola cessione del credito differisce dunque dal contratto di factoring, in cui invece il cessionario o factor svolge un servizio nei confronti del cedente in quanto “si obbliga ad acquistare, per un periodo di tempo determinato e rinnovabile, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare” (par. 4.3.1 sentenza). Così la Corte distingue il presente caso da quello oggetto di sua recente pronuncia[1], in cui aveva ritenuto che il contratto di factoring fosse soggetto alla disciplina dell’evidenza pubblica in virtù della sua equiparabilità ad un appalto di servizi.

La circostanza che rispetto ad un atto singolo di cessione del credito non sia configurabile alcuna prestazione di servizi da parte del cessionario porta la Corte a qualificare la cessione come contratto attivo, ossia un contratto che genera un’entrata per la pubblica amministrazione, al pari di un contratto di vendita di un immobile pubblico. Conclusione che la Corte non ritiene scalfita dalla circostanza che l’amministrazione cedente corrisponda un prezzo per la cessione da detrarre dall’importo anticipato di liquidità ottenuta, circoscrivendo quest’ultimo. In quanto contratto attivo, la cessione del credito non è soggetta né alla disciplina dell’evidenza pubblica, né ai principi a tutela della concorrenza data l’assenza di una previsione normativa nel D.Lgs. n. 163/2006 che estenda l’evidenza pubblica e i principi pro concorrenziali anche ai contratti attivi (all’epoca dei fatti non era stato ancora introdotto l’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016, di cui diremo). La conclusione della Corte a dire il vero non sembra in linea con la prevalente giurisprudenza amministrativa che sosteneva l’opportunità anche per i contratti attivi di una procedura concorrenziale a garanzia dei principi di legalità, imparzialità, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa[2].

La Corte evidenzia che la cessione del credito non costituisce comunque un “servizio finanziario” di cui all’Allegato II A) del D. Lgs. n. 163/2006, non deponendo in senso contrario né il D.Lgs. n. 58/1998 (TUF) che non menziona la cessione di credito tra i servizi finanziari all’art. l, commi 5 e 5 quinquies, né la giurisprudenza amministrativa[3]. Inoltre la direttiva 2004/18/CE relativa agi appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi al Considerando (27) esclude dal suo ambito di applicazione “le operazioni di approvvigionamento di denaro o capitale delle amministrazioni aggiudicatrici”.

La Corte poi critica la ricostruzione operata dalla Corte d’appello secondo cui dato che i “servizi bancari e finanziari” non realizzati tramite emissione, vendita e trasferimento di strumenti finanziari, tra cui rientrerebbe la cessione del credito, non sono ricompresi tra i contratti “esclusi” previsti dall’art. 19 del D.Lgs. n. 163/2006, essi sarebbero assoggettati all’evidenza pubblica.

La Corte evidenzia invece che nell’ambito dei contratti “esclusi” dall’applicazione del codice dei contratti, la giurisprudenza amministrativa da tempo distingue i contratti cd. “esenti” dai contratti cd. “estranei”[4]. Il fatto che la cessione del credito non sia annoverata tra i contratti “esclusi” non vale ad assoggettarla all’evidenza pubblica, ma piuttosto a qualificarla come contratto cd. “estraneo”, e a sottoporla unicamente alla disciplina privatistica del codice civile, avendo ad oggetto attività ed operazioni collocate al di fuori dei settori di intervento delle direttive europee in materia di contratti pubblici.

In ossequio al principio di tassatività e stretta interpretazione, la Corte afferma infine che la nullità del contratto per mancata osservanza dell’evidenza pubblica può dichiararsi solo qualora l’evidenza pubblica sia prevista dal legislatore in relazione al contratto. Secondo la Corte l’obbligo dell’evidenza pubblica è norma imperativa a pena di nullità solo quando costituisce “una regola di «validità» dell’atto negoziale” il che può dirsi in relazione alle procedure aperte o ristrette ma non in relazione ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e proporzionalità previsti dall’art. 27 del D.Lgs. n. 163/2006 in relazione ai contratti cd. “esclusi” che costituirebbero delle “regole minimali di evidenza pubblica” la cui violazione non sarebbe causa di invalidità del negozio. A supporto del ragionamento, la Corte richiama il noto precedente delle Sezioni Unite[5] in materia di violazione degli obblighi di condotta degli intermediari finanziari secondo cui i doveri di informazione al cliente e di corretta esecuzione delle operazioni a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario costituiscono “regole di comportamento” la cui violazione non determina la nullità del contratto.

Conclusioni

Vi è da chiedersi se il principio sancito dalla Suprema Corte secondo cui la singola cessione del credito non è soggetta all’evidenza pubblica tenga alla luce della riforma del Codice dei contratti pubblici.

La disciplina vigente costituita dal D.Lgs. n. 50/2016 all’art. 4 prevede che l’affidamento dei contratti attivi avvenga nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e dunque all’esito di un procedimento di valutazione di offerte di più operatori, e non di una vera e propria gara. Tale conclusione indebolisce il ragionamento della Corte sulla assoluta inapplicabilità dell’evidenza pubblica ai contratti attivi, che peraltro già all’epoca non era condiviso dalla giurisprudenza amministrativa.

Più convincente è invece l’esclusione della cessione una tantum dal novero dei servizi finanziari e dunque la sua estraneità all’ambito di applicazione delle direttive appalti pubblici.

Sulla scorta della pronuncia in commento, potrebbe comunque sostenersi, anche nel vigore della nuova normativa, che i principi di evidenza pubblica non costituiscano “norma imperativa” la cui violazione determini la nullità del contratto. Tuttavia l’innovativa conclusione della Corte è frutto dell’applicazione analogica al settore dei contratti pubblici di principi sanciti in relazione al diverso settore dei contratti di intermediazione finanziaria. La questione non è dunque ancora così pacifica.

 


[1] Cass. Civ. 11202/2019.

[2] TAR Puglia 589/2015.

[3] Non constano precedenti sulla cessione di credito. Per Cons. Stato 3755/2016 il mutuo è un “servizio finanziario”; per Cons. Stato 4999/2013 il contratto di swap è un contratto “escluso”.

[4] Cons. Stato, Adunanza Plenaria 16/2011, secondo cui (i) gli appalti “esenti”, hanno ad oggetto attività che “rientrano nei settori di intervento delle direttive, ma che ne vengono esclusi per espressa previsione del codice, e con riferimento ad essi l’ente aggiudicatore è tenuto al rispetto dei principi del Trattato CE in materia di concorrenza (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità); (ii) gli appalti “estranei” hanno ad oggetto attività “del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive o dello stesso ordinamento comunitario” che qualora affidati da imprese pubbliche soggiacciono al solo rispetto dei principi civilistici

[5] Cass. SSUU 26724/2007

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