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Giurisprudenza

Potere purgativo del giudice delegato: le Sezioni Unite fanno il punto

29 Marzo 2024

Corte di Cassazione, Sez. Un., 19 marzo 2024, n. 7337 – Pres. Travaglino, Rel. Terrusi

Di cosa si parla in questo articolo

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 7337 del 19 marzo 2024, si sono pronunciate in tema di esercizio del potere purgativo del giudice delegato ex art. 108 L.F., consistente nella cancellazione di tutti i gravami insistenti sull’immobile oggetto di vendita in ambito fallimentare, ed alla consequenziale ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato per la vendita (posta in essere dal curatore).

Questo il principio di diritto sinteticamente affermato:

Nel sistema della legge fallimentare l’art. 108, comma 2, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo, disciplinata nella Sezione II del Capo VI, secondo le alternative indicate nell’art. 107, perché in essa il curatore esercita la funzione di legge secondo il parametro di legalità dettato nell’interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; mentre è da escludere che la norma possa essere applicata – e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato – nei diversi casi in cui il curatore agisca nell’ambito dell’art. 72, ultimo comma, L. fall. quale semplice sostituto del fallito, nell’adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita.

Le Sezioni Unite, nel caso di specie, si sono pronunciate in merito ad un reclamo contro un decreto emesso dal giudice delegato al fallimento che, dopo aver autorizzato il curatore a subentrare in un contratto preliminare di assegnazione di proprietà della porzione di un immobile a un socio, aveva disposto la cancellazione dei gravami sul bene, tra cui un’ipoteca iscritta a favore della banca.

Nel proporre reclamo la cessionaria del credito garantito ha contestato l’applicabilità dell’art. 108, c. 2, L.F., essendosi trattato di un mero subentro ex lege del curatore nel contratto preliminare (trascritto) di un immobile destinato a costituire abitazione principale dell’acquirente e, quindi, non di una vendita forzata, bensì di un atto consequenziale al preliminare, di natura totalmente privatistica.

Le Sezioni Unite richiamano quindi i due precedenti orientamenti giurisprudenziali sul tema.

Secondo una prima tesi (fatta propria dal Tribunale di merito), l’art. 72, u.c. L.F. ha inteso accordare una tutela rafforzata al diritto alla proprietà del bene destinato alla prima abitazione del promissario acquirente che abbia trascritto il preliminare prima del fallimento: in tali casi, il curatore non ha scelta se subentrare nel contratto in luogo del fallito, e deve necessariamente procedere alla vendita del bene immobile trascritto al promissario acquirente, senza alcune procedimentalizzazione della vendita, e, soprattutto, senza poter decidere di non addivenire alla vendita definitiva.

Secondo tale orientamento, anche queste vendite sarebbero comunque da qualificare come vendite concorsuali, comunque attuate, poiché l’atto di vendita sarebbe comunque posto in essere da un organo del fallimento e non dal proprietario del bene, ovvero di un soggetto che agisce mettendo in pratica un proprio potere che deriva dal fallimento e che partecipa alla natura di liquidare il patrimonio. Solo queste vendite sarebbero soggette all’efficacia purgativa dai gravami, come le ipoteche.

Secondo un diverso orientamento, invece, fatto proprio dalle Sezioni Unite, il risultato al quale tende l’art. 108, comma 2, R.D. n. 267/42 non sarebbe concepibile al di fuori di una procedura coattiva aperta al mercato e finalizzata alla realizzazione dell’intero (e anzi migliore) prezzo di vendita del bene acquisito all’attivo e, solo in tal caso, si giustificherebbe l’effetto purgativo.

Invero, secondo la Corte, la vendita effettuata dal curatore in adempimento del preliminare stipulato dal fallito non possiede natura coattiva, né funzione liquidatoria dell’attivo, neppure quando il preliminare abbia riguardato la casa di abitazione del promissario e sia stato trascritto prima del fallimento; e ciò anche nell’ipotesi, prevista dalla legge in cui il curatore sia obbligato ad effettuare la vendita al promissario acquirente.

In tal caso, il curatore, quale effetto proprio della vendita, è tenuto ad adempiere all’obbligazione accessoria di far conseguire il bene al promissario libero dalle ipoteche: in sostanza, per la Corte, nel caso di cui all’art. 72 u.c. L.F., si rimane nell’ambito delle obbligazioni negoziali, anche per quanto concerne la garanzia dall’evizione.

In sostanza, in questo caso, il curatore non agisce non in rappresentanza del ceto creditorio della fallita, ma come mero sostituto del fallito, obbligato ala vendita in forza del contratto preliminare concernente un immobile da adibire ad abitazione principale.

La massa dei creditori, pertanto, resta esposta pure all’eventualità di non ricevere nulla, in ipotesi di versamento dell’intero prezzo prima di addivenire al definitivo di vendita.

Le Sezioni Unite, infine, si esprimono inoltre sul paventato ambito di continuità tra il regime fallimentare ex art. 72 L.F. e il nuovo art. 173, c. 4 CCII (non applicabile comunque al caso di specie ratione temporis).

Questo il principio di diritto espresso sul punto:

L’art. 173 CCII non ha revisionato la disciplina anteriormente rinvenibile nell’art. 72 L.F., ma ha introdotto un precetto nuovo, enfatizzando una condizione che in quest’ultimo non era data: e cioè che, non essendo gli effetti della trascrizione cessati prima dell’apertura della procedura, il promissario acquirente possa richiedere l’esecuzione del preliminare nel termine e con le modalità per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi su beni compresi nella procedura stessa. L’art. 173, quarto comma, non ha previsto il potere purgativo quale semplice effetto del subentro del curatore nel contratto preliminare e della conseguente vendita, ma ha invece ritenuto di coniugare l’ambito delle tutele, facendo perno proprio sulla necessità di garantire i diritti di prelazione, tanto è vero che ha previsto il potere purgativo a valle della opponibilità alla massa degli acconti, nella misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente possa dimostrare di aver versato prima dell’apertura della liquidazione giudiziale.

Inoltre che:

Nel CCII, in sostanza, non viene in considerazione il fatto (mero) della vendita obbligatoria, e neppure l’assunto che ogni vendita fatta in ambito concorsuale sia una vendita forzata: vengono in considerazione invece l’onere del promissario di conformarsi a un ben preciso schema procedimentale (la domanda di adempimento da fare con le modalità e nel termine stabilito per ordinarie le domande di accertamento dei diritti dei terzi) e il legame con la falcidia degli acconti già versati; l’unica che, sebbene limitatamente, consente di attuare un (parziale) soddisfacimento del creditore ipotecario, e che quindi permette (ancorché in questa misura) di prospettare l’effetto purgativo come sintonico alle caratteristiche effettuali di una vendita forzata.

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