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MiFID II review: le indicazioni del final report ESMA su incentivi e costi e oneri

11 Maggio 2020

Francesco Mocci, Studio Legale Zitiello Associati

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: 1. L’intervento dell’ESMA nel processo di revisione della MiFID II – 2. La disciplina degli incentivi – 3. La disciplina dei costi e oneri

 

1. L’intervento dell’ESMA nel processo di revisione della direttiva MiFID II

L’art. 24, paragrafo 9, della direttiva MiFID II prevedeva che la Commissione presentasse, sentita l’ESMA, un report al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’impatto l’impatto sul mercato dei requisiti di trasparenza previsti dalla direttiva in tema di inducements.

Il termine per il completamento dei lavori era fissato al 3 marzo 2020; naturalmente, le istituzioni comunitarie sono in tutt’altre faccende affacendate, ed è più che giustificabile il ritardo con cui il processo si sta compiendo.

In ossequio alle previsioni sopra indicate, la Commissione, il 23 maggio 2019, ha conferito mandato all’ESMA, ampliando il perimetro oggettivo di indagine, estendendolo anche al tema dei costi e oneri: iniziativa senz’altro opportuna, atteso che quello dei costs and charges è uno dei punti più dibattuti della direttiva MiFID II.

Il 17 luglio 2019, l’ESMA ha quindi pubblicato una Call for evidence avente ad oggetto l’impatto sul mercato dei requisiti di trasparenza previsti dalla direttiva MiFID II in tema di inducements e costs and charges. Dopo una sommaria ricostruzione della normativa di riferimento e l’illustrazione delle specifiche aree più meritevoli di attenzione, l’Autorità ha formulato una serie di quesiti, otto per gli incentivi e dieci per i costi e oneri.

Destinatari del documento erano gli intermediari e i clienti, anche tramite enti esponenziali.

Delle quarantatré risposte complessive, sei sono pervenute da soggetti italiani: tutte associazioni di categoria di intermediari, consulenti finanziari e reti distributive [1]. La voce dei clienti è stata affidata ad alcune confederazioni europee di associazioni di consumatori.

Il 31 marzo 2020 l’ESMA ha pubblicato il proprio Final Report, che oggi commentiamo, che rappresenta il parere tecnico reso alla Commissione all’esito dell’esame delle risposte pervenute alla citata Call for evidence.

Si tratta di un importante passaggio nei lavori preparatori che dovrebbero condurre alla revisione dell’attuale direttiva. A tale proposito, non si può non ricordare che la Commissione ha posto in consultazione, con termini di risposta originariamente fissati al 20 aprile 2020 e poi opportunamente prorogati al 14 giugno 2020 alla luce della sopraggiunta emergenza sanitaria mondiale, un proprio documento che tocca diversi aspetti della normativa in vigore, tra cui anche temi di investor protection.

Il documento della Commissione, strutturato come un questionario rivolto agli stakeholders, affronta, seppure in modo non pienamente soddisfacente, anche gli argomenti oggetto del Final Report ESMA. Nel prosieguo, daremo quindi conto dei punti di intersezione dei due documenti, che spesso fanno intravedere opinioni divergenti da parte dei rispettivi estensori.

Rimane l’impressione di un processo poco strutturato, in cui le istituzioni europee procedono in ordine sparso.

Anche la tempistica di pubblicazione dei due documenti non convince; sarebbe stato decisamente più utile che la Commissione attendesse l’esito del lavoro dell’ESMA prima di sondare nuovamente il mercato. Tanto più che l’Autorità parigina, come vedremo, ha più volte (e forse troppo spesso) sottolineato la necessità di un’ulteriore consultazione degli stakeholders, prima di procedere a una rivisitazione incisiva della normativa, con il prevedibile corredo di nuovi obblighi e costi per gli intermediari.

Se il suggerimento dell’ESMA fosse accolto dalla Commissione, si aprirebbe quindi una terza fase di consultazione, che si sarebbe potuta certamente evitare.

2. La disciplina degli incentivi

Ancorché la sezione del Final Report dedicata agli incentivi sia rubricata “MiFID II disclosure requirements for inducements”, l’ESMA si occupa ben di più che della semplice illustrazione alla clientela degli inducement, andando ad abbracciare la tematica nel suo complesso.

Tra i vari punti, appare particolarmente significativo quello in cui l’Autorità chiarisce le ragioni dell’inclusione degli incentivi tra i costi del servizio di investimento prestato dall’intermediario.

Ovviamente, viene in rilevo soprattutto la tipologia più diffusa di incentivo, quella delle commissioni di distribuzione incluse nel costo del prodotto pagato dal cliente, una parte del quale, chiamata appunto retrocessione commissionale, viene ribaltata sull’intermediario distributore.

In questo caso, è chiaro (almeno oggi) che l’incentivo non sia altro che un costo del servizio prestato dal distributore che il cliente paga, seppure indirettamente.

La prima direttiva MiFID aveva introdotto il concetto stesso di incentivo, disciplinando i casi in cui esso potesse essere considerato legittimo e sancendo un primo obbligo di disclosure. La direttiva MiFID II sul punto ha notevolmente innovato, spingendosi al punto di rendere evidente per il cliente finale la natura di costo dell’incentivo. Infatti, quando gli intermediari sono chiamati a indicare i costi delle transazioni effettuate per conto dei clienti, devono isolare gli incentivi dai costi dei prodotti (cfr. la tabella predisposta dall’ESMA nelle Q&A in tema di investor protection, sezione 9, risposta 13).

In questo modo, risulta anche chiaro per il cliente che alcuni servizi apparentemente gratuiti tali non sono: non lo è certamente il collocamento, anche se il cliente non paga il collocatore; e non lo è nemmeno la consulenza abbinata al collocamento. Per questo, gli incentivi rilevano sia sotto il profilo dei conflitti di interesse (forse l’aspetto più studiato sotto la prima direttiva MiFID), in quanto potenzialmente in grado di deviare i comportamenti degli intermediari alla ricerca del prodotto, non necessariamente migliore, in grado di assicurare i maggiori ristorni, sia appunto sotto l’aspetto dei costi e oneri.

L’ESMA quindi conferma la bontà di questa impostazione, non ritenendo viceversa corretta la tesi, da alcuni proposta, secondo cui sarebbe da emendare la direttiva nella parte in cui chiede l’indicazione separata degli incentivi e la loro inclusione tra i costi del servizio, con attrazione tra i costi del prodotto come previsto (ma non potrebbe essere altrimenti, essendo tali discipline dedicate ai prodotti e non ai servizi) dalla normativa sugli UCITS e da quella sui PRIIPS.

Altro punto interessante è quello della natura o meno tassativa dei criteri che l’art. 11 della direttiva 2017/593 della Commissione e l’art. 53 del Regolamento Intermediari indicano per considerare superato il quality enhacement test, ovvero la verifica dell’innalzamento della qualità del servizio reso al cliente [2]: uno dei tre requisiti che, sussistendo congiuntamente, giustificano la percezione degli incentivi da parte degli intermediari, ovviamente nei servizi diversi dalla gestione individuale di portafogli e dalla consulenza indipendente (dove l’incasso degli incentivi è vietato, salvo che non vengano immediatamente trasferiti ai clienti).

Secondo taluni partecipanti alla consultazione, i casi sarebbero da considerarsi tassativi, con la conseguenza che non sarebbero mai ammissibili incentivi giustificati da altre forme di innalzamento della qualità del servizio; secondo altri, invece, i tre casi rappresenterebbero solo degli esempi e lascerebbero agli intermediari lo spazio per individuare altre modalità per aggiungere qualità al servizio reso alla clientela. Questa seconda tesi è quella sposata, de iure condito, dall’ESMA. La quale però non esclude a priori che si possa arrivare a stilare un elenco tassativo; tuttavia, una simile soluzione, considerati anche gli impatti che avrebbe sull’industria, andrebbe avallata solo all’esito di una rigorosa e profonda analisi di mercato, che suggerisce alla Commissione di condurre.

Poi c’è forse il punto centrale della questione: se sia opportuno vietare gli incentivi tout court, non solo per la gestione individuale di portafogli e per la consulenza indipendente com’è previsto oggi. Si completerebbe in tal modo un percorso ideale iniziato con l’emersione degli incentivi (direttiva MiFID I), proseguito con la loro limitazione ad alcuni servizi (direttiva MiFID II) e concluso, appunto, con la loro espulsione definitiva. Questa è stata, peraltro, la scelta già operata da Inghilterra e Olanda.

L’istanza è stata avanzata in particolare da un’associazione dei consumatori, che ha sottolineato l’insufficienza dei meccanismi di trasparenza a orientare in modo efficiente le scelte dei clienti, i quali non hanno un’alfabetizzazione finanziaria sufficiente e tendono a farsi condizionare da altri elementi, come il rapporto fiduciario instaurato con il proprio consulente. Inoltre, secondo tale associazione, i clienti conservano una certa ritrosia nel pagare il consulente e quindi, nonostante l’evidenziazione degli incentivi, continuano a non ritenerlo un elemento decisivo nella scelta tra i vari intermediari.

L’ESMA dà atto dei buoni risultati portati dal ban degli incentivi in Inghilterra e Olanda, ove i prezzi dei prodotti si sono abbassati (effetto ampiamente atteso, considerato che le fabbriche non devono più retribuire i distributori retrocedendo loro una quota parte dei propri corrispettivi) e la concorrenza ne ha quindi beneficiato; tuttavia, sottolinea come gli effetti del divieto di incentivi vadano indagati anche tenendo conto della struttura dei mercati dei vari Paesi, posto che ovviamente i distributori devono essere pagati in qualche modo e non è così scontato che lo facciano facendosi pagare una fee di consulenza (soluzione che garantirebbe una completa, auspicabilmente ma forse solo idealmente, indipendenza di giudizio da parte degli intermediari).

Infatti, nei Paesi (come l’Italia, peraltro) con una struttura di mercato c.d. banca-centrica, ossia dove i principali distributori di prodotti finanziari sono le banche, queste potrebbero essere incentivate a operare in regime di architettura chiusa, offrendo solo prodotti di casa o di società del gruppo di appartenenza. Ciò perché ritrarrebbero vantaggi a livello di guadagno sulla vendita dei prodotti, sia direttamente, sia indirettamente a livello di riscossione di utili della società prodotto controllata. Pertanto, l’ESMA suggerisce alla Commissione di non bandire gli incentivi, ma di effettuare un’indagine di mercato per comprendere appieno le possibili conseguenze di una simile, deflagrante, decisione.

La questione è affrontata anche dalla Commissione nel documento in consultazione, in cui si domanda ai partecipanti (domanda 50) se ritengano che il divieto di incentivi possa condurre a un miglioramento del processo distributivo in termini di assenza di conflitti di interesse e, segnatamente, di accesso alla consulenza indipendente.

Sempre in connessione con il tema dei Paesi banca-centrici e in cui sono in voga modelli di architettura chiusa in cui i prodotti di società captive la fanno da padrone (sistemi distributivi in cui l’ostensione degli incentivi non ha particolari vantaggi per la clientela, posto che gli intermediari continuano a comportarsi come prima), l’ESMA suggerisce di rafforzare la tutela degli investitori intervenendo su altri aspetti della regolamentazione, come la necessità di un confronto, in sede di giudizio di adeguatezza, tra i prodotti propri e quelli di terzi, in termini di costi e complessità: confronto di cui dovrebbe comparire traccia nei report di adeguatezza; o come la previsione di meccanismi di record keeping, accessibili su richiesta da parte delle Autorità di Vigilanza competenti, in merito ai prodotti di casa distribuiti negli ultimi dodici mesi; o ancora, estendere il necessario riscontro del quality enhancement anche ai casi in cui non ci siano veri e propri incentivi, perché l’intermediario distributore (e questo avverrebbe probabilmente, come si è visto supra, anche in caso di bando degli incentivi) guadagna in modo indiretto in virtù dei rapporti di gruppo con la società prodotto.

L’ultimo suggerimento dell’ESMA solleva non poche perplessità. Il quality enhancement test è finalizzato a rendere ammissibile o meno un incentivo; se dunque non viene superato, l’incentivo non è consentito. Ora, nei casi di inducement “occulti” insiti nei rapporti di gruppo che intercorrono tra società prodotto e distributori, non si vede come il mancato superamento del test possa condurre a un vero e proprio divieto: non si può certo imporre alle capogruppo di percepire gli utili generati dalle società controllate.

Per ridurre le distorsioni generate da un sistema banca-centrico, il rimedio parrebbe quello del rafforzamento delle misure in tema di conflitti di interesse, più che degli incentivi.

Altro punto affrontato è quello della modifica del catalogo prodotti a seguito dell’inasprimento, operato dalla direttiva MiFID 2, delle condizioni di ammissibilità degli incentivi, con particolare riferimento alla disclosure più profonda ora imposta.

Molti partecipanti hanno osservato che si è in effetti avuto un alleggerimento del catalogo prodotti, ma che ciò è stato a loro avviso da attribuirsi ad altri presidi introdotti dalla nuova direttiva, come le regole in tema di product governance, che hanno imposto ai distributori di ottenere un ingente numero di dati e informazioni da parte delle case prodotto (e che spesso non sono arrivati, con conseguente depennamento dei prodotti dal perimetro di offerta).

Preso atto di ciò, e della scarsa capacità degli investitori di comprendere adeguatamente il fenomeno degli incentivi, l’ESMA suggerisce una serie di interventi, quali la necessità di spiegare con parole semplici ai clienti cosa siano gli inducement, di esporre gli incentivi per ogni strumento finanziario e non in forma aggregata (come avviene già, peraltro, in Italia) e di spiegare ai clienti i benefici e il contenuto delle misure di innalzamento della qualità del servizio adottate dagli intermediari per giustificare e rendere ammissibili gli incentivi.

3. La disciplina dei costi e oneri

Considerata la delusione per i lavori della Commissione, il mercato attendeva con sospetto il lavoro dell’ESMA sulla trasparenza di costi e oneri. Il Technical Advice appare per fortuna di buon livello e affronta gran parte delle problematiche emerse in sede di applicazione della nuova normativa.

Una delle questioni più sentite era l’estensione degli obblighi in commento alle controparti qualificate e ai clienti professionali, solo parzialmente mitigati dalla normativa di riferimento [3].

Infatti, nella risposta alla Call for evidence è stato fatto notare che tali tipologie di clienti non abbisognano delle tutele dell’art. 50 del Regolamento 565/2017 della Commissione.

Si tratta, si è argomentato, di soggetti in possesso di un bagaglio di conoscenza ed esperienza sufficiente per prendere decisioni informate, anche senza necessità di acquisire dettagliate informazioni sui costi dei prodotti; e che sono in grado di negoziare le condizioni economiche con gli intermediari che prestano il servizio, che assume connotati di notevole personalizzazione.

Ancora, è stato sottolineato dai rispondenti che l’osservanza delle regole sull’informativa ex ante ha comportato, nella pratica, un rallentamento nella prestazione del servizio, a nocumento dei clienti più qualificati, che hanno invece bisogno di una immediata esecuzione degli ordini impartiti.

Sulla scorta di tali considerazioni, diversi richiedenti hanno quindi chiesto all’ESMA una rivisitazione degli obblighi in parola con riguardo alle fasce più evolute della clientela. In particolare, sono state proposte diverse soluzioni, come la totale disapplicazione delle regole nei confronti delle clienti professionali e delle controparti qualificate, almeno quando oggetto degli ordini sono prodotti non complessi; l’introduzione della possibilità di opt out dalla disciplinaper tali tipologie di clienti; una applicazione attenuata degli obblighi; l’estensione delle esenzioni previste dall’art. 30 della direttiva MiFID II in favore delle controparti qualificate anche agli obblighi in tema di costi e oneri; un regime differenziato a seconda della tipologia di cliente e di prodotto.

L’ESMA si è mostrata d’accordo sull’opportunità di semplificare gli obblighi quando il cliente è una controparte qualificata o un cliente professionale, proponendo però una regolamentazione differente:

  • per le controparti qualificate: possibilità di chiedere l’esenzione completa dagli obblighi di informativa ex ante e di concordare con l’intermediario se e quali informazioni ricevere ex post. L’obbligo di indicazione dell’impatto dei costi sul rendimento non dovrebbe essere applicato nei confronti delle controparti qualificate, senza nemmeno la necessità di opt out;
  • per i clienti professionali (indifferentemente di diritto o su richiesta): possibilità di domandare l’esenzione totale dagli obblighi, per i servizi di investimento diversi dalla gestione individuale di portafogli e dalla consulenza; per questi ultimi, invece, non dovrebbe essere consentita alcuna deroga al regime attualmente vigente.

La proposta dell’ESMA appare in linea con le opzioni suggerite dalla Commissione nel documento attualmente in consultazione e dovrebbe, se accolta, risolvere la gran parte dei problemi sollevati dagli operatori.

Sarebbe tuttavia certamente più semplice prevedere una esenzione automatica degli obblighi, quantomeno per le controparti qualificate, in modo da evitare complicazioni burocratiche legate alla raccolta e alla conservazione delle richieste espresse dei clienti.

L’ESMA è invece piuttosto laconica nel liquidare la questione, invero molto sentita nel mercato, specialmente nel segmento del private banking, dell’introduzione di una nuova categoria di cliente, quella del retail sofisticato o del semi-professionale: figura già esistente in altri settori della normativa di riferimento [4].

Ad avviso dell’Autorità, infatti, quantomeno con riguardo alla disciplina dei costi e oneri (ma analoga considerazione è stata fatta per gli incentivi, dove peraltro non è permessa deroga nemmeno per i clienti professionali), non si ravvisa l’opportunità di apportare una modifica così significativa all’impianto normativo, se non all’esito di una consultazione accurata del mercato che finora è mancata. La direttiva MiFID II prevede già la possibilità per i clienti al dettaglio di alta fascia di chiedere l’upgrade a cliente professionale: in considerazione delle novità che l’ESMA suggerisce di introdurre, il cambio di classificazione permetterebbe di essere esentati dalle regole in tema di trasparenza su costi e oneri.

È interessante notare come l’approccio seguito dalla Commissione sia, almeno apparentemente, molto più aperto. Nel documento posto in consultazione (cfr. domanda 45), infatti, la Commissione si spinge fino a ipotizzare i criteri per individuare i clienti semi-professionali, indicandoli, alternativamente, in requisiti di conoscenza ed esperienza, ammontare minimo del portafoglio investito/da investire, pregressa esperienza lavorativa nel settore finanziario (e fin qui segue press’a poco gli stessi strumenti delle direttive MiFID per differenziare clienti retail e professionali) e l’effettuazione di un test di adeguatezza iniziale, particolarmente approfondito, da non ripetere in occasione dei singoli investimenti.

Probabilmente quello dei costi e oneri non è il campo d’applicazione migliore per la figura del cliente private: è infatti corretto che anche un cliente al dettaglio sofisticato riceva puntuali informazioni sui costi dei prodotti e dei servizi.

La nuova sotto-categoria avrebbe invece ben altro peso se si parlasse di altri argomenti, come la disciplina della product governance e, in particolare, l’individuazione del target market. Infatti, alcune restrizioni sull’accesso a taluni prodotti per tutti indistintamente i clienti al dettaglio sembrano, alla prova dei fatti, eccessive; e l’introduzione di una nuova categoria, specie se caratterizzata non tanto dal grado di conoscenza ed esperienza (per evitare di avere una sorta di doppione dei clienti professionali su richiesta) quanto dal livello di servizio fornito dall’intermediario, potrebbe risultare giustificata.

Tornando ai costs and charges, nelle risposte alla Call for evidence molti partecipanti avevano fatto notare il disallineamento tra le modalità di calcolo dei costi dei prodotti previste per i KID dei PRIIPS (e per i KIID degli UCITS) e il regime di trasparenza sui costi imposto dalla direttiva MiFID II.

Nonostante l’ESMA, nelle Q&A in tema di investor protection (cfr. le nn. 6 e 7, in particolare), avesse caldeggiato agli intermediari l’utilizzo delle informazioni riportate nei KID ai fini dell’assolvimento degli obblighi di trasparenza, nella pratica non sempre questo è avvenuto. Gli intermediari, infatti, hanno preferito fare affidamento sulle iniziative di autoregolamentazione come la diffusione del file EMT (“European MiFID Template”).

L’ESMA prende atto delle critiche e in qualche modo le condivide, suggerendo però di attendere, prima di apportare modifiche alla direttiva MIFID II, la conclusione del processo di revisione della normativa sui PRIIPS, attualmente in corso.

Su un punto, però, l’Autorità anticipa le proprie conclusioni: la diversità nel trattamento degli incentivi tra i KID dei PRIIPS e le informative sui costi e oneri ai fini della direttiva MIFID II è giustificata dalle diverse finalità perseguite dalle rispettive normative di riferimento.

Infatti, la normativa sui PRIIPS è una normativa di prodotto, che mira a far comprendere ai clienti al dettaglio, in modo semplice e chiaro, le principali caratteristiche dei prodotti pre-assemblati, tramite la lettura di un documento stringato e uguale per tutti. In tale contesto, le retrocessioni commissionali ai collocatori non vengono esposte separatamente ma inglobate nei costi del prodotto.

La direttiva MiFID II ha invece un obiettivo diverso: quello di far emergere il costo complessivo per il cliente degli investimenti effettuati, dovuto sia al prodotto che al servizio. Ed essendo l’incentivo un costo del servizio, per le ragioni viste all’inizio di questo lavoro, esso va scorporato dal costo del prodotto e indicato separatamente, in modo da far comprendere al lettore dell’informativa quale sia il guadagno riconosciuto all’intermediario che presta il servizio [5].

Un punto fondamentale nella disciplina è il dettaglio con cui viene richiesto agli intermediari l’esposizione dei costi e oneri.

Sulla questione i rispondenti hanno espresso opinioni discordanti.

Secondo alcuni, non sarebbe opportuno intervenire in questo momento, inserendo previsioni di maggiore dettaglio, in quanto gli intermediari hanno già investito ingenti risorse per adeguare le proprie procedure e i sistemi informativi al nuovo quadro normativo: risorse che sarebbero del tutto sprecate, se le imprese di investimento dovessero intervenire una seconda volta.

Secondo altri, invece, la normativa andrebbe modificata, almeno per chiarire alcuni aspetti, come l’illustrazione dell’impatto dei costi sul rendimento, il concetto di fair value e la metodologia di calcolo del rendimento.

Ad avviso dell’ESMA, salvo quanto già commentato in relazione ai rapporti con clienti professionali e controparti qualificate, l’impostazione di fondo della disciplina non andrebbe stravolta. Tuttavia, alcune migliorie dovrebbero essere apportate, al fine di assicurare la massima armonizzazione e comparabilità.

In particolare, ad avviso dell’Autorità andrebbero trasposte nel Regolamento UE 565/2017 alcune delle Q&A via via pubblicate sulla protezione degli investitori:

  • la n. 22 e la n. 24 sul grado di aggregazione richiesto per l’informativa ex ante. L’ESMA, richiamando il considerando n. 78 del Regolamento UE 565/2017 e la ratio della normativa sulla trasparenza su costi e oneri, rappresentata dall’esigenza di consentire la comparabilità dei vari prodotti e servizi, suggeriva di fornire un’informativa distinta per strumento finanziario e servizio di investimento oggetto della specifica operazione, salvo che in caso di gestione patrimoniale, dove l’informativa avrebbe dovuto essere a livello di portafoglio gestito;
  • la n. 23 sulla possibilità di assolvere gli obblighi di trasparenza ex ante in caso di prodotti finanziari che non presentano costi, nemmeno impliciti, per il cliente (per esempio, i titoli azionari) tramite tabelle o griglie illustrate nella fase precontrattuale e non in occasione di ogni singolo investimento;
  • la n. 31 sul livello di aggregazione per l’informativa ex post in caso di prestazione del servizio di gestione patrimoniale; l’ESMA propendeva per un’informativa aggregata a livello di portafoglio.

Inoltre, l’ESMA ritiene necessario modificare l’art. 50, paragrafo 9, del Regolamento UE 565/2017 in tema di informativa ex post.

A tale riguardo, appare particolarmente significativa la modifica proposta per i servizi diversi dalla gestione patrimoniale. L’Autorità europea sembra propendere per un’informativa differenziata per strumento finanziario (“on an ISIN-by-ISIN basis”), ponendosi in contrasto sia con quanto recentemente sostenuto dalla Consob, sia con la prassi affermatasi sul mercato italiano.

Il 7 maggio 2020, confermando quanto stabilito nel documento di consultazione diffuso nel mese di febbraio, la Consob ha infatti pubblicato la Comunicazione 1/2020 “sulle modalità di adempimento dell’obbligo di rendicontazione ex post dei costi e oneri connessi alla prestazione di servizi di investimento e accessori”, che apre alla possibilità di fornire un’informativa ex post aggregata per tutte le operazioni concluse nel periodo (un anno) di riferimento. Rectius, l’Autorità nazionale sembra dare per scontato e forse per obbligatorio questo modo di procedere, scendendo anche nel dettaglio delle modalità con cui effettuare l’aggregazione: si suggerisce per esempio di far riferimento alla giacenza media del portafoglio amministrato e di non tenere conto delle disponibilità liquide del cliente.

Del resto, il mercato si era mosso in questa direzione: alcuni intermediari hanno effettuato un’aggregazione per asset class, altri prendendo in considerazione l’intero portafoglio amministrato, altri ancora (e questa è un’opzione non accolta dalla Consob) aggregando patrimonio amministrato con il patrimonio gestito. Solo in pochi hanno optato per una rendicontazione per singolo strumento finanziario o per operazione.

Il “modello ESMA” e il “modello Consob” presentano diverse filosofie e diversi obiettivi.

La soluzione parigina appare la più idonea ad assicurare il confronto tra le stime oggetto dell’informativa ex ante (che sono esposte per operazione e non in forma aggregata)e i dati oggettivi riportati nel rendiconto annuale. Soprattutto, garantisce la comparabilità tra i costi applicati dai diversi intermediari, che rappresenta una delle ragioni giustificatrici della disciplina dei costs and charges. Infatti, sarebbe del tutto impossibile (ed è quello che avviene oggi) per il cliente mettere a confronto informative che aggregano operazioni diverse, con ammontari diversi, relative a strumenti finanziari diversi.

D’altro canto, la soluzione romano-milanese comporta una migliore fruibilità e intellegibilità dell’informativa ex post da parte del cliente. Il rendiconto aggregato è certamente più semplice e breve e verrebbe letto più spesso e con maggiore attenzione di quanto accadrebbe con un ponderoso rendiconto analitico composto da pagine e pagine di descrizione di operazioni e di costi.

Non è chiaro se l’ESMA ritenga necessaria una consultazione del mercato prima di procedere a qualunque modifica, o se consideri opportuna la consultazione soltanto per alcuni specifici interventi, come l’indicazione del periodo di tempo da prendere in considerazione per la stima dei costi nell’informativa ex ante.

Nonostante sia un tema che ha molto affaticato gli intermediari nella pratica operativa, pochi rispondenti alla Call for evidence hanno formulato osservazioni sull’illustrazione dell’impatto dei costi sul rendimento, richiesta dall’art. 50, paragrafo 10, del Regolamento UE 565/2017.

Quei pochi hanno descritto un’applicazione pratica molto differenziata, specie nell’informativa ex ante: alcuni hanno infatti ipotizzato un rendimento pari a zero; altri hanno utilizzato un determinato tasso di crescita, fondato su valutazioni interne distinte per asset class; altri ancora si sono concentrati sulla difficoltà di calare le richieste del legislatore europeo in caso di negoziazione di strumenti finanziari derivati di copertura, per i quali è persino improprio parlare di rendimento (ed è difficile dar loro torto).

Anche sul piano dell’informativa ex post il mercato si è mosso in maniera disordinata, con soluzioni che vanno da un’informativa solo sull’impatto dei costi sull’importo investito all’indicazione degli effetti dei costi sull’ammontare medio del portafoglio del cliente in un determinato arco temporale.

Più o meno tutti i partecipanti hanno quindi chiesto l’eliminazione della previsione in commento o, al più, la limitazione alla sola illustrazione dei costi totali (un duplicato di un’informativa già esistente, in verità).

L’ESMA ha respinto l’approccio demolitorio del mercato e, anzi, ha ritenuto necessari chiarimenti sulle modalità applicative, oggi troppo differenziate a livello europeo. Tuttavia, secondo l’Autorità sarà necessaria un’ulteriore indagine del mercato prima di poter prendere decisioni particolarmente impattanti sulle procedure degli intermediari.

Infine, il Final Report si concentra sulle modalità di fornitura delle informazioni ai clienti (che secondo l’art. 46, paragrafo 2, del Regolamento UE 565/2017, devono essere fornite su supporto duraturo o, a determinate condizioni, tramite sito web), con particolare riferimento all’operatività telefonica e all’utilizzo dello strumento cartaceo.

Sotto il primo profilo, aveva (giustamente) destato più di una perplessità l’utilità pratica della Q&A n. 28, in cui l’ESMA aveva sostenuto che l’obbligo di informare ex ante i clienti circa i costi e gli oneri in caso di utilizzo del telefono potesse essere assolto da parte degli intermediari in due modi: ritardando l’operazione in attesa della fornitura dell’informazione su supporto durevole o fornendo le informazioni contemporaneamente per telefono e su supporto durevole.

Infatti, seguire simili indicazioni significava, il più delle volte, rendere impossibile l’esecuzione dell’ordine del cliente, che necessitava invece di tempi rapidi per evitare il cambiamento delle condizioni di mercato.

Per questo motivo, molti rispondenti alla Call for evidence hanno proposto la soluzione adottata dalla normativa sui PRIIPS per la fornitura dei KID: qualora non sia possibile fornire l’informativa prima dell’esecuzione dell’operazione, essa potrà essere inviata al cliente immediatamente dopo.

L’ESMA ha convenuto con questa soluzione, proponendo una conseguente modifica della direttiva MiFID II.

Sotto il secondo profilo, l’ESMA propone di modificare l’art. 3 del Regolamento UE 565/2017, nella parte in cui prevede che il supporto durevole di default sia la carta e che sia sempre necessaria una scelta del cliente per utilizzare altri strumenti, come le comunicazioni elettroniche.

L’Autorità ritiene che sia più corretto prevedere come standard l’utilizzo dello strumento elettronico, sempre che il cliente abbia fornito un indirizzo e-mail all’intermediario e che abbia comunque il diritto di scegliere la carta.

I tempi odierni fanno propendere per un giudizio favorevole sulla proposta: lo strumento cartaceo appare sempre più obsoleto, in un mondo orientato all’operatività a distanza, più o meno forzata.

 

[1] Si tratta di Assosim, AIPB, ABI, Anasf, Assogestioni e Assoreti.

[2] I criteri sono: (i) la prestazione di consulenza non indipendente in materia di investimenti e accesso a una vasta gamma di strumenti finanziari adeguati, tra cui un numero appropriato di strumenti di fornitori terzi di prodotti che non hanno legami stretti con l’impresa di investimento; (ii) la prestazione di consulenza non indipendente in materia di investimenti in combinazione o con l’offerta al cliente, almeno su base annuale, di valutare il persistere dell’adeguatezza degli strumenti finanziari in cui il cliente ha investito, o con un altro servizio continuativo in grado di costituire un valore per il cliente come la consulenza sull’asset allocation ottimale; (iii) l’accesso, a un prezzo competitivo, a una vasta gamma di strumenti finanziari che possano soddisfare le esigenze dei clienti, compreso un numero adeguato di strumenti di fornitori terzi di prodotti che non hanno legami stretti con l’impresa di investimento, insieme o alla fornitura di strumenti a valore aggiunto, come gli strumenti di informazioni oggettivi, che assistono il cliente interessato nell’adozione delle decisioni di investimento o consentono al cliente interessato di monitorare, modellare o regolare la gamma di strumenti finanziari in cui ha investito, o alla fornitura di relazioni periodiche sulla performance e i costi e oneri collegati agli strumenti finanziari.

[3] L’art. 50 del Regolamento UE 565/2017 attualmente prevede che gli intermediari possano concordare con i clienti professionali un’applicazione limitata degli obblighi di trasparenza, salvo che nel caso di prestazione dei servizi di gestione patrimoniale e consulenza e quando gli strumenti finanziari interessati incorporano un derivato.

Nei confronti delle controparti qualificate, è possibile concordare analoghe limitazioni, salvo che si tratti di strumenti finanziari che incorporano derivati che la controparte qualificata intenda vendere ai propri clienti.

Il considerando 74 chiarisce che per “applicazione limitata” non deve intendersi una totale disapplicazione. Si potrebbe, per esempio, non fornire l’illustrazione dell’impatto dei costi sul rendimento o non indicare la valuta coinvolta e i tassi e i costi di cambio applicabili se una parte dei costi o degli oneri è espressa in valuta estera.

[4] Per esempio, può essere citata la comunicazione Consob 97996/2014 sulla distribuzione di prodotti complessi, che apre alla vendita di prodotti appartenenti alla c.d. “black list” anche in favore di clienti al dettaglio, purché vengano rispettate alcune condizioni come le caratteristiche socio-economiche del cliente, l’importo investito e la prestazione di servizi ad alto valore aggiunto come la consulenza c.d. evoluta.

Sotto-segmentazioni della categoria di cliente al dettaglio sono contenute anche nelle regolamentazioni dei FIA riservati, degli EuSEF e degli EuVECA, in cui l’accesso al prodotto è consentito ai clientiretail purché investano almeno 500.000 euro (per i FIA riservati) o 100.000 euro (per EuSEF e EuVECA).

È più innovativa la disciplina prevista dal Regolamento UE 760/2015 per gli ELTIF, che raccomanda la commercializzazione del prodotto solo a determinati clienti al dettaglio, individuati con un mix di requisiti di conoscenza ed esperienza, soglia minima di investimento e fruizione del servizio di consulenza.

[5] cfr. la Q&A n. 7, in cui l’ESMA espressamente impone che “any inducements mentioned as costs of the PRIIP should be added to the costs of the investment services and deducted from the costs of the PRIIP (as mentioned in the KID)”.

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