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Approfondimenti

MAP: la composizione delle controversie fiscali internazionali in materia di “transfer pricing”. Profili generali.

7 Maggio 2020

Franco Pozzi e Lisa Vascellari Dal Fiol, SBNP Studio Legale Tributario Biscozzi Nobili Piazza

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Gli accertamenti fiscali riguardanti fattispecie cross-border rappresentano senza dubbio controversie con elevati profili di complessità tecnica e potenziali impatti economici significativi, sia per le imprese che per le Amministrazioni fiscali, in quanto coinvolgono valutazioni riguardanti i delicati principi di ripartizione della potestà impositiva tra Stati.

In questo ambito, una quota di assoluto rilievo è sicuramente rappresentata dalle controversie riguardanti la materia del transfer pricing; e ciò specialmente dopo l’avvio e il completamento del progetto BEPS da parte dell’OCSE, che ha incrementato la convergenza delle amministrazioni fiscali verso un approccio sostanziale e la sensibilità delle stesse verso gli effettivi driver di creazione di valore.

Le contestazioni in materia di transfer pricing, in particolare, colpiscono significativamente le imprese multinazionali in termini di doppia imposizione[1], traducendosi in aggravi economici e finanziari a livello consolidato, non solo con conseguenti incertezze sui bilanci, ma anche sui relativi modelli di business.

A tale riguardo si deve, comunque, ricordare che con riferimento agli atti di accertamento aventi ad oggetto la materia del transfer pricing vi è certamente la possibilità di avvalersi degli ordinari mezzi di impugnazione previsti dalle legislazioni nazionali, nonché degli istituti deflativi del contenzioso; tuttavia, in caso di soccombenza (totale o parziale), o comunque in presenza di accordi “transattivi” che ridimensionano, ma non annullano la pretesa, il gruppo multinazionale rimane inciso da fenomeni di doppia imposizione.

Gli strumenti di composizione delle controversie fiscali internazionali (comunemente identificati come “mutual agreement procedures” o “MAP”) rappresentano, dunque, meccanismi fondamentali per riequilibrare ex post il carico fiscale a livello di gruppo, quando la doppia imposizione si è già realizzata; tuttavia il corretto funzionamento degli stessi consente anche di ridurre (e in linea teorica di eliminare) le incertezze che i gruppi riscontrano ex ante, in fase di pianificazione delle strategie economiche di gruppo, rendendo astrattamente “neutrale” l’allocazione dei profitti tra Stati (ad eccezione di quanto si dirà in seguito in tema di interessi e sanzioni, oltre che per le differenti aliquote fiscali applicate dagli Stati).

Lo scopo del presente contributo, suddiviso in due parti, è quello di evidenziare le criticità, sia di natura normativa che pratico/organizzativa, che rendono – ad oggi – le procedure internazionali non pienamente efficaci, con particolare riferimento all’ambito del transfer pricing. In questa prima parte verranno inquadrati gli strumenti giuridici ad oggi disponibili nel nostro ordinamento, illustrandone gli effetti concreti e i relativi limiti, oltre a presentare una sintesi del recente rapporto elaborato dall’OCSE sullo stato di attuazione delle procedure amichevoli in Italia.

Nella seconda parte, ci si soffermerà, in particolare, sulle attuali criticità legate alla sospensione del contenzioso tributario interno e della riscossione; si evidenzieranno, inoltre, gli aspetti che saranno auspicabilmente risolti a seguito della norma di recepimento della Direttiva UE 2017/1852 (il cui iter di approvazione è attualmente in corso[2]) e dell’adozione della cd. “Multilateral Convention”.

1. Gli strumenti di composizione delle controversie fiscali internazionali: cenni generali

In primo luogo, si ritiene opportuno illustrare, in via di estrema sintesi, il quadro degli strumenti giuridici attualmente contemplati dal nostro ordinamento. Si tratta, in particolare: (i) dei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni, stipulati dall’Italia e dagli Stati partner[3] (il cui riferimento è principalmente rappresentato dall’art. 25 della Convenzione Modello OCSE[4] e dal relativo Commentario; tali procedure sono definite nel seguito “MAP Convenzionali”); e (ii) della Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 (c.d. “Convenzione Arbitrale”), ratificata in Italia con la L. 22 marzo 1993, n. 99 (di seguito anche “MAP UE”). Per l’applicazione della Convenzione Arbitrale occorre fare riferimento alle Raccomandazioni contenute nel Codice di condotta del 22 dicembre 2009, approvato dal Consiglio dell’Unione Europea[5].

Per quanto attiene, invece, ai documenti di prassi interna, si rileva che la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 5 giugno 2012 (di seguito “Circolare MAP”) rappresenta la guida con riferimento alle predette procedure, illustrando, tra l’altro i diversi effetti delle medesime, ma anche le peculiarità di ciascuna di esse, per quanto attiene specificamente ai rapporti con il contenzioso interno.

In maggiore dettaglio, si osserva che, se dal punto di vista procedurale non si riscontrano elementi sostanziali di diversità in merito alle modalità di attivazione delle MAP secondo i due strumenti giuridici menzionati[6], né in termini di coinvolgimento del contribuente[7], le MAP convenzionali e le MAP UE si differenziano, invece, ai fini che interessano in questa sede, per due aspetti fondamentali, illustrati nel seguito, che impattano anche sull’efficacia delle stesse.

a. Obbligo di risultato

In termini generali, le MAP Convenzionali non prevedono per gli Stati un vincolo a raggiungere un accordo; in questo senso, si osserva che l’art. 25 del Modello OCSE prevede un generalizzato obbligo di “diligenza” nell’effettiva conduzione delle trattative[8] (“The competent authoritiy shall endeavour (…) to resolve the case by mutual agreeement (…)”), mente l’effettiva risoluzione della controversia è demandata alla fase arbitrale, prevista dal paragrafo 5 dell’art. 25 (nella formulazione attuale). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le convenzioni bilaterali siglate dall’Italia con gli Stati partner non contengono tale clausola arbitrale, in quanto negoziate prima dell’inserimento della stessa nel Modello OCSE; i trattati che contemplano una siffatta clausola attribuiscono, peraltro, carattere puramente facoltativo alla fase arbitrale, essendo la relativa implementazione demandata alla mera volontà degli Stati[9].

Poiché il Modello OCSE non rappresenta una base giuridica idonea a modificare in automatico le convenzioni pro-tempore vigenti tra Stati, l’inserimento del paragrafo 5 dell’art. 25 è demandato alla volontà degli Stati di rinegoziare il contenuto dei singoli trattati; a questo proposito, giova anche ricordare che l’Italia ha aderito alla “Multilateral Convention”[10].

Potrebbe, dunque, accadere – ed è accaduto di frequente in pratica – che gli Stati non raggiungano alcun accordo in seno alla MAP Convenzionale, e che, dunque, il gruppo rimanga gravato dalla doppia imposizione.

Per quanto riguarda la MAP UE, si evidenzia che l’obbligo di risultato è, invece, espressamente imposto dalla Convenzione Arbitrale, la quale prevede che, qualora entro due anni dall’avvio della fase amichevole gli Stati non abbiano raggiunto un accordo, il caso venga sottoposto ad una commissione consultiva. L’emissione del parere da parte della predetta commissione è vincolante per gli Stati contendenti, i quali devono adeguarsi allo stesso o prendere una decisione alternativa, idonea a rimuovere la doppia imposizione, entro sei mesi. Come si vedrà più in dettaglio nel punto seguente, tuttavia, poiché il periodo biennale previsto per l’avvio della fase arbitrale inizia a decorrere solo a partire dalla rinuncia al contenzioso interno, anche in questo caso l’obbligo di risultato potrebbe – nella pratica – non rivelarsi totalmente efficace.

b. Rapporto con il contenzioso interno

Il paragrafo 1 dell’art. 25 del Modello OCSE dispone la facoltà di attivare la MAP Convenzionale indipendentemente dagli strumenti giuridici di impugnazione previsti dalla legislazione nazionale (“(…) irrespective of the remedies provided by the domestic law (…)”); tale locuzione è stata interpretata dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare MAP nel senso di non porre in rapporto di alternatività il ricorso nazionale e l’attivazione della MAP Convenzionale, anche sulla scorta di un’apposita disposizione inserita nel Protocollo di gran parte dei trattati stipulati dall’Italia, con la quale si chiarisce che l’avvio della MAP Convenzionale è subordinato alla preventiva instaurazione del contenzioso interno, al fine di evitare che la pretesa diventi definitiva e, dunque, immodificabile ad opera di un eventuale – successivo – accordo tra Stati[11]. Il problema dell’immodificabilità della pretesa domestica, invero, può porsi anche in pendenza contestuale di procedimento giurisdizionale interno e MAP Convenzionale, qualora intervenga un giudicato[12] prima del raggiungimento di un accordo tra gli Stati coinvolti.

Se, dunque, da un lato, l’attivazione del contenzioso interno è imprescindibile per evitare che la contestazione dell’Amministrazione finanziaria acquisisca carattere definitivo, dall’altro pone dei problemi pratici in termini di tempistica e dell’eventuale riscossione provvisoria degli importi (o di parte degli stessi) contestati (tuttavia mitigati dalle disposizioni relative alla sospensione del giudizio e della riscossione, come si vedrà più in dettaglio nella seconda parte del contributo). Tali criticità sono strettamente connesse con l’assenza di un obbligo di risultato (vedasi punto a. che precede), che pone la MAP Convenzionale quale strumento giuridico non alternativo rispetto al contenzioso domestico.

Diverso è l’inquadramento della MAP UE, in quanto la Convenzione Arbitrale stessa sancisce l’incompatibilità di tale procedura con il giudizio nazionale. In questo caso, tuttavia, poiché la procedura della MAP UE impone un obbligo di risultato (amichevole o arbitrale), essa si pone in rapporto di alternatività (sostanziale e formale) rispetto al contenzioso domestico, il quale deve essere abbandonato (o non incardinato) per il decorso del biennio funzionale al passaggio alla fase arbitrale (in caso di mancato accordo precedente tra Stati). Come chiarito anche dalla Circolare MAP, la mancata impugnazione dell’accertamento o la rinuncia al giudizio instaurato presso la Commissione di primo grado, in seno alla MAP UE, non è espressione di “acquiescenza” o volontà definitoria da parte del contribuente, dunque non ha l’effetto di consolidare la pretesa domestica, rappresentando il presupposto per “trasferire” la controversia alla sede internazionale. Diversamente, l’eventuale intervento di una sentenza[13] nell’ambito del giudizio interno determinerebbe l’impossibilità di addivenire ad una soluzione confliggente in sede di MAP UE (al pari della MAP convenzionale).

2. Limiti alla composizione delle controversie: mancata copertura delle sanzioni (ed interessi), istituti deflativi, inerenza e fattispecie con rilevanza penale

Oltre agli aspetti critici solo accennati nel paragrafo precedente, che denotano – ad oggi – una non piena adeguatezza rispetto allo scopo delle procedure internazionali[14] sul piano giuridico, si evidenziano ulteriori carenze normative che limitano l’efficacia degli strumenti attualmente previsti nel nostro ordinamento.

Innanzitutto, per quanto attiene alla materia del contendere, si rileva che la stessa è circoscritta alle imposte oggetto di accertamento, mentre non rientrano nell’ambito di operatività delle suddette procedure amichevoli gli eventuali maggiori importi contestati a titolo di interessi e sanzioni, in quanto gli stessi non attengono alla ripartizione della potestà impositiva tra Stati, bensì hanno natura compensativa i primi e punitiva le seconde e – pertanto – nella prassi internazionale di norma rimangono a carico dei contribuenti[15].

La neutralità nell’allocazione dei profitti (ex ante o ex post, come già evidenziato) a cui mirano gli strumenti di composizione delle controversie internazionali tramite l’obiettivo di eliminazione della doppia imposizione, dunque, riguardano (a parità di aliquota) solo le imposte[16]; a questo proposito, gli accertamenti in materia di transfer pricing, con conseguente “riallocazione” della potestà impositiva tra Stati, non avrebbero alcun impatto sui bilanci consolidati, in quanto (a parte i differenziali di aliquota) le maggiori imposte accertate in capo ad una legal entity sarebbero compensate con i rimborsi spettanti ad un’altra legal entity, sempre all’interno dello stesso gruppo.

Qualora, a seguito dell’accordo amichevole o dell’esito della procedura arbitrale, i profitti (o parte di essi) vengano riallocati da un’impresa che ha versato le imposte in un determinato Stato (Stato “originario”) ad un’impresa associata che ha subito un accertamento in un altro Stato (Stato “accertatore”), l’esecuzione dell’accordo dovrebbe dar luogo ai seguenti effetti:

  1. l’impresa che ha subito l’accertamento versa le imposte corrispondenti allo Stato accertatore, oltre agli interessi (dovuti in relazione alla dilazione temporale rispetto al periodo di competenza del maggior reddito accertato) e alle eventuali sanzioni amministrative applicate;
  2. lo Stato originario rimborsa all’impresa associata le imposte versate (indebitamente) nel periodo di competenza, oltre agli interessi rispetto al periodo in cui il versamento originario è stato effettuato[17].

In merito agli interessi, il diverso timing di pagamento delle somme dovute per effetto dell’accertamento allo Stato accertatore e del recupero del primo versamento allo Stato originario, nonché l’eventuale differenziale di tasso applicato, potrebbero incidere sulla neutralità della riallocazione. Tuttavia, laddove vi fosse il riconoscimento degli interessi attivi da parte dello Stato originario, questi compenserebbero, quantomeno su un piano concettuale, a livello di gruppo, gli interessi passivi corrisposti allo Stato accertatore.

Un secondo aspetto non trascurabile è rappresentato dalla tempistica di attuazione di una procedura amichevole. Si consideri, infatti, che l’eventuale esito positivo con raggiungimento di un accordo tra Stati, in forza del paragrafo 2 dell’art. 25 della Convenzione Modello, dovrebbe trovare attuazione, prescindendo dai termini di rettifica[18] dei periodi d’imposta (nonché della formulazione delle istanze di rimborso) previsti dalla legislazione interna degli Stati contraenti. In tale contesto, giova sottolineare che numerosi Stati, tra i quali l’Italia, hanno posto una specifica riserva a tale previsione della Convenzione Modello, precisando che i termini di accertamento previsti dalla normativa interna[19] rappresentano, invece, una limitazione alle rettifiche d’imposta o ai rimborsi anche in occasione di MAP Convenzionali; solo nelle più recenti convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia la disposizione di cui al paragrafo 2 dell’art. 25 risulta essere presente[20]. Tale aspetto a tutt’oggi risulta particolarmente critico, sia alla luce delle tempistiche dell’attività accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria (spesso ravvicinate rispetto alla scadenza dei termini), sia alla luce della durata delle procedure amichevoli; non risulta che l’Amministrazione abbia mai assunto una posizione esplicita a tal proposito[21].

Proseguendo nella disamina del contesto attuale, un altro aspetto rilevante dal punto di vista economico e finanziario è, senza dubbio, quello sanzionatorio. Se è vero che taluni Stati non prevedono sanzioni amministrative in relazione alle contestazioni di transfer pricing (in quanto rientranti tra le materie valutative), ove – invece – applicate, le misure sanzionatorie possono essere particolarmente severe (basti pensare che in Italia, in assenza di documentazione ai fini della “penalty protection”[22], ma anche nei casi in cui la documentazione predisposta non sia ritenuta “idonea” dai verificatori, si rende applicabile la sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta accertata, prevista ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 471/1997 per le ipotesi di “dichiarazione infedele”). Sotto questo profilo, dunque, le procedure amichevoli (che si tratti di MAP convenzionali o MAP UE) non sono idonee a garantire la neutralità fiscale della (ri)allocazione dei profitti tra società del gruppo.

Per il contribuente nei confronti del quale sono comminate le sanzioni restano – peraltro – disponibili gli ordinari mezzi di impugnazione previsti dalla legislazione nazionale; a questo proposito, vale la pena evidenziare che, qualora la prosecuzione della procedura internazionale nel richieda il preventivo abbandono del contenzioso interno contemporaneamente incardinato (ai fini dell’accesso alla fase arbitrale, per quanto riguarda la MAP UE, nonché per dare esecuzione all’accordo eventualmente raggiunto dalle autorità fiscali in seno ad una MAP Convenzionale), si pone il problema del mantenimento “in vita” dell’impugnazione delle sanzioni. Ciò in ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 35, comma 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (che disciplina il contenzioso tributario), il giudicato è necessariamente unitario in relazione ad un medesimo atto[23]; tuttavia non è precluso al contribuente “abbandonare” il giudizio in relazione solo ad alcuni motivi di impugnazione e portarne avanti altri, prestando, così, un’acquiescenza parziale, solo in relazione all’imposta, mantenendo pendente il giudizio interno in relazione alle sanzioni[24]. A tal proposito, nella Circolare MAP, l’Agenzia delle Entrate ha precisato, nell’ambito di un impianto normativo ad oggi non più del tutto coerente con il contesto internazionale a seguito del progetto BEPS, che questa possibilità sarebbe praticabile solo nei casi in cui il motivo di impugnazione legato all’illegittima applicazione delle sanzioni fosse un motivo autonomo rispetto all’infondatezza della pretesa impositiva (ad esempio, legato al disconoscimento della documentazione ai fini della “penalty protection”, oppure alla generica causa esimente dovuta ad obiettive condizioni di incertezza). Viceversa, qualora il motivo di impugnazione delle sanzioni fosse basato esclusivamente sull’asserita infondatezza della pretesa impositiva, anche questo motivo dovrebbe essere “abbandonato” dal contribuente, non potendosi ammettere un’eventuale pronuncia in merito da parte del giudice nazionale in conflitto con il contenuto dell’accordo raggiunto in sede internazionale.

Sul punto, il Commentario alla Convenzione Modello raccomanda che laddove sanzioni ed interessi non siano ricompresi nell’ambito di applicazione della MAP, la normativa interna non dovrebbe prevedere meccanismi penalizzanti tali da sterilizzare l’effetto della procedura esperita con successo[25]; a ciò si aggiunga che nell’ambito del progetto BEPS, l’Action 14 ha affrontato il tema in maniera esplicita, raccomandando che sul tema i singoli Stati provvedano ad emanare indicazioni specifiche, ritenendo opportuno affrontare tale aspetto in modo dettagliato nella prossima revisione al Commentario alla Convenzione Modello.

Altre ipotesi in cui le procedure internazionali non si rivelano efficaci per la riduzione degli aggravi derivanti dagli accertamenti in materia di transfer pricing riguardano gli istituti deflativi del contenzioso (i.e. accertamento con adesione, mediazione tributaria, conciliazione giudiziale), a seguito dei quali non è possibile richiedere l’attivazione di una procedura internazionale (né in base ai Trattati bilaterali, né in base alla Convenzione Arbitrale). A tal proposito, la Circolare MAP chiarisce che, in questi casi, l’unica possibilità di eliminazione della doppia imposizione risiede nell’adozione di un aggiustamento corrispondente unilaterale da parte dell’autorità estera, essendo – di fatto – “chiusa” la posizione dell’amministrazione fiscale italiana, per le ragioni di definitività ed immodificabilità della pretesa tributaria già espresse sopra in relazione al giudicato interno. A tal proposito, le raccomandazioni formulate dall’OCSE nell’Action 14 del “Progetto BEPS” vanno nel senso di non precludere l’accesso alle procedure amichevoli anche a seguito di “settlement agreement” con le Amministrazioni finanziarie locali, per non obbligare i contribuenti ad operare una scelta preventiva che potrebbe, a posteriori, rivelarsi svantaggiosa[26]. Per quanto attiene, inoltre, l’ambito oggettivo di applicazione delle procedure internazionali, va ricordato che esso è limitato (in relazione alle fattispecie di cui si discute nel presente contributo) alle contestazioni formulate in relazione al prezzo delle operazioni infragruppo, e non si estende alle ipotesi in cui le stesse siano contestate sotto il profilo dell’inerenza. A questo proposito, le fattispecie da valutare con maggiore attenzione ai fini di un corretto monitoraggio preventivo sono senza dubbio le prestazioni di servizi intercompany, con particolare riferimento alle cd. “management fees”.

Va, infine, evidenziato che, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Arbitrale, l’accesso alla MAP UE è precluso in presenza di atti che diano luogo all’applicazione di “sanzioni gravi”, in merito alle quali l’Italia ha chiarito[27] che “si intendono le sanzioni previste per illeciti configurabili, ai sensi della legge nazionale, come ipotesi di reato fiscale”. A tal proposito, come precisato anche dalla Circolare MAP, nonché sulla base delle raccomandazioni contenute nel Codice di condotta, si deve ritenere che tali casi siano limitati ad ipotesi fraudolente di carattere eccezionale, normalmente non ravvisabili in presenza di contestazioni relative al transfer pricing[28]. In merito alla rilevanza penale delle contestazioni in materia di transfer pricing va tenuto in considerazione, inoltre, l’intervento normativo del 2015[29] (dunque, successivo alla Circolare MAP), con il quale è stata modificata la disposizione relativa alla rilevanza penale delle fattispecie di dichiarazione infedele, con l’effetto di limitare (se non precludere del tutto) la punibilità come reati delle rettifiche di transfer pricing[30].

3. Il rapporto OCSE sull’effettivo stato di implementazione e sul grado di efficacia delle procedure amichevoli in Italia[31]

In data 9 aprile 2020, l’OCSE ha pubblicato un Report specifico relativo al nostro Paese (cosiddetto Peer Review), riguardante lo stato delle procedure amichevoli e del loro grado di efficacia, declinando la valutazione in base alla coerenzadelle stesse con l’Action 14 del progetto BEPS[32].

La percezione generale è positiva, tuttavia l’OCSE, pur sottolineando l’ampia rete di trattati bilaterali sottoscritti dall’Italia e l’adozione della Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 (c.d. “Convenzione Arbitrale”), evidenzia che i casi di MAP pendenti sono estremamente numerosi (circa 600 al 31.12.2017).

Nell’ambito della periodica analisi svolta dall’OCSE è stato rilevato che gli standard adottati dall’Italia riflettono (seppur non completamente) quelli minimi previsti dall’Action 14 del progetto BEPS e che le competenti autorità italiane stanno adottando i provvedimenti più adeguati, anche dal punto di vista organizzativo, per giungere ad una maggiore coerenza con il contesto internazionale (cosiddetto BEPS Framework) e per rendere più efficiente la gestione delle pratiche.

In relazione alle attuali carenze, nonostante le convenzioni bilaterali siano sostanzialmente coerenti con i paragrafi 1 e 3 dell’articolo 25 della Convenzione Modello OCSE, si è riscontrato che specifici interventi sono richiesti nelle seguenti aree:

  1. più dei tre quarti delle convenzioni bilaterali prevedono nel protocollo una disposizione che impone ai contribuenti di avviare un giudizio interno al momento di istaurazione di una procedura MAP, al fine di evitare, che possa formarsi un giudicato, preclusivo della procedura MAP medesima (si veda quanto illustrato al paragrafo 1);
  2. oltre i due terzi dei trattati non includono una disposizione che preveda l’implementazione di procedure MAP oltre i termini di accertamento previsti dalla legge nazionale;
  3. più della metà dei trattati non include una disposizione che consenta alle autorità competenti una consultazione volta all’eliminazione di casi di doppia imposizione anche non espressamente previsti dalla convenzione applicabile.

In tale ambito, l’OCSE evidenzia che l’Italia, per una più un’efficace risoluzione delle controversie, ha sottoscritto la Multilateral Convention (cd. “Multilateral Instrument” o “MLI”) prevista dall’Action 15 del progetto BEPS, che – allo scopo di semplificare il processo di rinegoziazione delle migliaia di trattati bilaterali esistenti – ha prospettato la predisposizione di uno strumento multilaterale aperto all’adesione da parte degli Stati interessati, il quale è stato poi approvato, unitamente ad una relazione illustrativa, e sottoscritto da oltre 100 Stati[33].

In tale ambito, l’Italia, allo stato attuale, ha optato per l’introduzione di una disposizione vincolante di arbitrato nelle convenzioni fiscali al fine di risolvere problematiche di doppia imposizione. Se i trattati non saranno modificati, in conseguenza dell’entrata in vigore della MLI, l’Italia ha riferito a livello internazionale di aver già programmato la rinegoziazione bilaterale delle convenzioni che prevedono disposizioni, all’interno del relativo protocollo, non coerenti all’Action 14 del progetto BEPS (il riferimento è ai protocolli che richiedono ai contribuenti di avviare un’azione giudiziale domestica come condizione prodromica alla presentazione di una richiesta di MAP Convenzionale – vedasi supra).

Da quanto risulta dalla survey dell’OCSE e dalle interlocuzioni con le competenti autorità italiane, il piano di adeguamento del quadro domestico, finalizzato alla semplificazione della risoluzione delle controversie a mezzo di procedure amichevoli, dovrebbe avvenire – dunque – secondo le seguenti linee guida:

  1. trattati che richiedono esclusivamente una modifica del protocollo: l’Italia ha proposto, a tutti i partner convenzionali interessati, di sottoscrivere provvisoriamente un memorandum of understanding, per eliminare gli effetti pratici del predetto protocollo;
  2. trattati che richiedono modifiche ulteriori o diverse rispetto al protocollo: in questi casi, l’azione sarà diversificata tra Stati contraenti che hanno sottoscritto la MLI e / o hanno preso parte al progetto BEPS e Stati che non hanno aderito alle predette iniziative.

Da ultimo, giova ricordare che – per quanto argomento non di principale interesse ai fini del presente contributo – l’OCSE ha posto in evidenza che la prassi italiana non è coerente all’Action 14 del progetto BEPS in tema di prevenzione delle controversie. Nonostante sia presente un programma di advance pricing agreements (APA) bilaterale, l’Italia non consente il cosiddetto rollback di APA bilaterali (i.e. applicazione anche per i periodi d’imposta pregressi).

Conclusioni

Sulla base di quanto sinora illustrato, appare di tutta evidenza come le principali criticità che condizionano l’efficacia delle procedure amichevoli di risoluzione delle controversie fiscali internazionali nel nostro Paese siano legate in particolar modo agli effetti giuridici delle stesse, anche in relazione al contenzioso domestico. Ciò che emerge anche dall’analisi OCSE, infatti, è un quadro formalmente in linea con gli standard internazionali, tuttavia, condizionato negativamente da alcuni ostacoli (di natura giuridica / procedurale) che impediscono, in molti casi, l’effettiva eliminazione della doppia imposizione, per ragioni estranee (e pregiudiziali) alla valutazione del merito della pretesa.

Nella seconda parte del contributo ci si soffermerà su alcuni rimedi operativi, già previsti, che permettono di mitigare i predetti limiti (i.e. istituti che consentono la sospensione del giudizio interno, nonché della riscossione provvisoria); si discuterà, inoltre, degli sviluppi futuri, attesi a seguito dell’implementazione della MLI e della Direttiva 2017/1852.

 


[1] In quanto gli accertamenti da parte di uno Stato riguardano materia che è già stata oggetto di imposizione in un altro Stato, seppur in capo ad un soggetto giuridico differente (i.e. impresa associata), ma sempre all’interno del gruppo. L’eliminazione della doppia imposizione tramite recepimento delle rettifiche operate in uno Stato estero rientra, più in generale, nella tematica dei cd. “corresponding adjustments”, trattata anche nelle Linee Guida OCSE in materia di transfer pricing (OECD Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations, versione luglio 2017).

[2] A tal proposito, si dà atto che in data 6 maggio 2020 è previsto l’esame del testo da parte delle Commissioni 2° e 6° del Senato.

[3] Ad oggi l’Italia ha stipulato n. 104 Convenzioni contro le doppie imposizioni, di cui 9 non ancora in vigore; inoltre, l’Italia ha sottoscritto la cd. “Multilateral Convention”, di cui si tratterà nella seconda parte del contributo.

[4] Cfr. OECD Model Tax Convention on Income and on Capital nella versione del 2017.

[5] Revisione del Codice di condotta 2006/C 176/02.

[6] In merito ai termini di decadenza per l’avvio delle procedure, si evidenzia che sia il Modello OCSE, sia la Convenzione arbitrale prevedono che l’istanza debba essere formulata entro tre anni dalla notifica della prima misura idonea a generare la doppia imposizione. Tale locuzione è stata interpretata dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare MAP in un’ottica di favore verso il contribuente, nel senso di intendere per “notifica della prima misura” la notifica dell’avviso di accertamento, consentendo, tuttavia, l’avvio delle procedure amichevoli anche anteriormente alla stessa (ad esempio, in presenza di un processo verbale di constatazione). I trattati effettivamente in vigore, tuttavia, prevedono di norma un termine biennale.

[7] Le procedure amichevoli, infatti, consistono nella consultazione diretta tra le amministrazioni fiscali degli Stati contendenti, nell’ambito delle quali non è prevista la partecipazione del contribuente al contraddittorio; questi preserva, tuttavia, il diritto di informazione e la possibilità di presentare documenti illustrativi del caso, ed è tenuto a prestare la propria collaborazione, anche rispondendo ad eventuali richieste che dovessero emergere nel corso della procedura.

[8] Cfr. paragrafo 37 del Commentario all’art. 25 del Modello OCSE: “Paragraph 2 no doubt entails a duty to negotiate; but as far as reaching mutual agreement through the procedure is concerned, the competent authorities are under a duty merely to use their best endeavours and not to achieve a result (…)”.

[9] Attualmente, tredici convenzioni in vigore (22 complessive) con l’Italia comprendono una clausola arbitrale. In alcuni casi, inoltre, l’effettività della clausola è sottoposta alla condizione del preventivo scambio di note tra gli Stati.

[10] Si fa riferimento alla “Multilateral Convention to Implement Tax Treaty Related Measures to Prevent BEPS” (cd. “MLI”), sottoscritta nel Novembre 2016 da oltre 100 Stati appartenenti all’OCSE. I contenuti e gli impatti della MLI saranno discussi nella seconda parte del contributo.

[11] Il quale potrebbe, al più, concludersi con l’adozione di un “unilateral corresponding adjustment” da parte dello Stato estero, qualora il contenzioso nazionale si concluda in senso sfavorevole al contribuente. Viceversa, la vittoria del contribuente nel giudizio italiano consentirebbe l’eliminazione della doppia imposizione, anche in assenza di procedura amichevole.

[12] A tal proposito, in base ad una lettura rigorosa della Circolare MAP, si dovrebbe ritenere che anche una sentenza di primo grado, non passata in giudicato, sia ostativa alla prosecuzione della MAP, in quanto l’Agenzia afferma che l’autorità fiscale non avrebbe il potere di assumere una posizione difforme da quella del giudice; tale interpretazione risulta particolarmente cautelativa, atteso che l’Amministrazione stessa avrebbe comunque la possibilità di modificare la propria pretesa in senso favorevole al contribuente (dunque, in senso funzionale al raggiungimento di un accordo in sede di MAP) fino alla formazione di un giudicato sostanziale sulla materia;  peraltro, va evidenziato che il riferimento alla sentenza (anche non definitiva) come elemento ostativo alla prosecuzione di una MAP Convenzionale è espressamente previsto anche nella riserva formulata dall’Italia sulla MLI (per la quale si rinvia alla seconda parte del presente contributo).

[13] Valgono, anche a questo proposito, le considerazioni esposte nella nota precedente.

[14] Per lo meno nel quadro giuridico domestico.

[15] La prassi internazionale in proposito è estremamente variegata.In Australia, ad esempio, gli interessi (e sanzioni) sono esclusi espressamente dalla definizione di “imposta”, peraltro è prassi dall’amministrazione locale disapplicare le medesime laddove il pagamento delle imposte sia differito sino a conclusione di una procedura MAP. La Francia, di contro, pretende il pagamento degli interessi nel caso di accertamenti in tema di transfer pricing, ma non riconosce interessi attivi in caso di rimborsi dovuti a corresponding adjustments. Altri stati (Belgio, Islanda, Irlanda, Israele) non hanno norme specifiche in merito ed adottano un approccio case by case. Per un quadro completo in proposito si veda OECD MAP profiles, www.oecd.org/tax/dispute/country-map -profiles.htm.

[16] In merito ai differenziali di aliquota eventualmente esistenti tra uno Stato e l’altro, si osserva che, secondo i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione (in linea con l’orientamento OCSE), la disciplina del transfer pricing non ha funzione antielusiva, bensì rappresenta un criterio universale di ripartizione delle basi imponibili. Dunque, le argomentazioni alla base degli accertamenti operati dall’autorità nazionale per attrarre a tassazione maggior materia imponibile in Italia non possono far riferimento all’eventuale minore aliquota fiscale applicata nello Stato estero (e viceversa).

[17] Si veda – peraltro – quanto osservato alla precedente nota 15.

[18] Sia ai fini dell’accertamento, sia della presentazione di dichiarazioni integrative a favore.

[19] OECD, Commentaries on Model Tax Convention, art.  25 par. 98.

[20] Si vedano le convenzioni stipulate a decorrere dal 2018 con Cina, Colombia, Giamaica ed Uruguay, peraltro non ancora vigenti.

[21] La Circolare MAP non prende in considerazione tale problematica, che può rappresentare per il contribuente una criticità non risolvibile, soprattutto laddove la procedura MAP sia incardinata in uno Stato estero e – a conclusione della stessa – non siano rinvenibili linee guida certe per l’attuazione dell’accordo e, dunque, l’eliminazione della doppia imposizione.

[22] A tal proposito, si rammenta che il comma 6 dell’art. 1 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, prevede una specifica esimente sanzionatoria, in caso di dichiarazione infedele conseguente a rettifiche in materia di transfer pricing, disponendo che “In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati (…)”. Si ritiene, inoltre, che, nell’ottica di ridurre gli impatti degli accertamenti in materia di transfer pricing, connotati da una forte componente valutativa e non oggettiva, sarebbe comunque possibile ed opportuno da parte degli Uffici accertatori, anche in assenza dei presupposti formali per l’applicazione della specifica “penalty protection”, ricorrere alle altre cause generali di riduzione / disapplicazione delle sanzioni.

[23] Ovvero, non sono ammesse sentenze limitate solo ad alcune domande.

[24] È, altresì, contemplato (con riferimento alla MAP UE) che, a fronte dell’accertamento, il contribuente decida di formulare il ricorso interno solo in relazione all’applicazione delle sanzioni, rimettendo direttamente l’imposta alla sede internazionale.

[25] Commentario alla Convenzione Modello, art. 25, par. 49. A mero titolo esemplificativo, si consideri che alcune giurisdizioni prevedono sanzioni ed interessi più elevati in caso di rettifiche in tema di prezzi di trasferimento poste in essere a seguito della definizione di procedure amichevoli.

[26] Ad esempio, qualora un contribuente italiano rinunciasse a concludere un accertamento con adesione con l’Agenzia delle Entrate, e la procedura amichevole non giungesse ad un risultato, il gruppo si troverebbe pienamente gravato dalla doppia imposizione, la quale avrebbe potuto – quantomeno – essere mitigata per effetto dell’adesione.

[27] Nella dichiarazione unilaterale allegata alla Convenzione arbitrale.

[28] In particolare, la Circolare MAP si esprime nel senso di limitare l’efficacia della preclusione all’accesso alle MAP “alla sola dimensione fraudolenta (peraltro non strettamente compatibile con la materia dei prezzi) o alle eccezionali ipotesi, in concreto non risultanti ancora intercorse, di chiaro intento evasivo con presenza di dolo specifico di evasione”.

[29] In particolare, il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 è intervenuto, tra l’altro, sul testo dell’art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, modificando (nell’ambito del comma 1, lett. b) del medesimo articolo) l’espressione “elementi passivi fittizi” in “elementi passivi inesistenti”, nonché introducendo il comma 1-bis, che prevede: “Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi di attività o passività oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”.

[30] A tal proposito non va, tuttavia, taciuto il fatto che residua un dibattito dottrinale in merito (non oggetto di approfondimento nel presente contributo) e che la prassi di alcuni Uffici accertatori è quella di continuare a formulare (solo per talune fattispecie) le segnalazioni alle competenti autorità.

[31] Si fa riferimento al documento “Making Dispute Resolution More Effective – MAP Peer Review Report, Italy (Stage 2)”, pubblicato dall’OCSE il 9 aprile 2020.

[32] OECD (2020), Making Dispute Resolution More Effective – MAP Peer Review Report, Italy (Stage 2): Inclusive Framework on BEPS: Action 14, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing, Paris

[33] La principale eccezione è data dagli Stati Uniti, i quali hanno da tempo sviluppato un proprio modello di convenzione (US Model) e, ad oggi, non hanno manifestato alcuna intenzione di apportare modifiche ai trattati in essere; dal canto suo l’Italia, pur avendo sottoscritto la convenzione multilaterale, non ha ancora perfezionato le procedure per l’entrata in vigore, a differenza di altri (circa 50) Stati.

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