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Dossier

Mancato inserimento del codice IBAN e responsabilità della banca per il ritardo nella esecuzione di un ordine di bonifico estero

A proposito di ABF Milano n. 2825/2015

14 Settembre 2015

Maddalena Semeraro

ABF Milano 13 aprile 2015, n. 2825 – Pres. Lapertosa – Est. Greco.

Bonifico fuori PSD – ritardo nell’esecuzione – responsabilità della banca – risarcimento dei danni – interessi legali.

Nel caso di ritardo nell’esecuzione di un ordine di bonifico estero su piattaforma online dovuto al mancato inserimento del codice IBAN da parte del cliente, la banca non è esonerata da responsabilità; ciò in ragione dell’elevato grado di diligenza richiesto a fronte dell’utilizzo di procedure sempre più automatizzate e standardizzate. In assenza della compilazione di un dato obbligatorio, pertanto, l’istituto di credito è tenuto a bloccare il flusso elettronico e informare prontamente il cliente della mancata indicazione del codice identificativo unico oppure a impedire, con un controllo formale sul campo “conto”, che la disposizione potesse essere accettata in assenza di un valore alfanumerico corretto.

 

1 – L’Abf si pronuncia sulla responsabilità di un istituto di credito per l’inesatta esecuzione di una operazione di pagamento – nella specie un ordine di bonifico in favore di un beneficiario residente fuori dall’area SEPA – cui non è applicabile la disciplina di derivazione comunitaria contenuta nel d.lg. 27 gennaio 2010, n. 11 (attuativo della Payment Services Directive)[1].

Il fatto, nelle sue linee essenziali, è il seguente. Il cliente, tramite piattaforma online, ordina l’esecuzione di un bonifico a beneficio di un suo fornitore estero. L’istituto di credito esegue oltre l’ordinario termine previsto in contratto: segnatamente, dopo 25 giorni dalla disposizione di bonifico. Il cliente lamenta il ritardo nell’adempimento e, vista l’«importanza della fornitura», chiede un risarcimento del danno pari a 10,000 euro. La banca ovviamente resiste. Lo fa eccependo la mancata indicazione in sede di compilazione dell’ordine di bonifico dell’IBAN del beneficiario, ossia del c.d. codice identificativo unico. E a ciò aggiunge di avere pattuito con il cliente, in deroga a quanto dettato dall’art. 1223 c.c., una limitazione di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per i danni eventualmente subiti dal medesimo cliente in seguito all’utilizzo dei servizi di pagamento.

Scontata sarebbe la soluzione della controversia quanto alla sussistenza dei presupposti per reputare imputabile alla banca il ritardo nell’adempimento, se alla fattispecie fosse applicabile la direttiva sui servizi di pagamento[2]. Disponendo in via generale che l’istituto di pagamento va esente da ogni responsabilità nell’ipotesi in cui abbia dato corso all’operazione in conformità al codice identificativo unico indicato dal cliente, essa in effetti eleva esattamente tale codice a dato principale la cui presenza o assenza determina tra le parti, in linea di massima, l’allocazione del rischio relativo all’esito infausto dell’operazione di pagamento[3].

La regolamentazione specifica delle diverse ipotesi – mancata o inesatta indicazione dell’IBAN – è contenuta nel provvedimento di attuazione della stessa direttiva emanato dalla Banca d’Italia. Proprio con particolare riguardo alla prima – mancato inserimento dell’identificativo unico, appunto – è dettata una norma (punto 2.2, Sezione VI) che non lascia adito al dubbio: la banca deve rifiutare di dare corso all’ordine di pagamento. Dunque, conseguente e inequivocabile responsabilità della medesima ove venga effettuata la scelta opposta.

A irrobustire il divieto v’è poi la norma immediatamente successiva, che specifica la portata della clausola di salvezza contenuta nella precedente. Segnatamente, la prima disposizione del punto 2.2 del provvedimento di attuazione stabilisce che la banca deve rifiutare l’ordine, a meno che non sia già in possesso dell’IBAN mancante. Ebbene, la disposizione seguente, nell’individuare le modalità mediante le quali dare corso all’ordine in tale specifica evenienza, impone all’istituto di credito di dare previa comunicazione dell’integrazione al cliente.

Chiara è la regola di responsabilità nel complesso prescelta: se un codice identificativo è stato inserito nella compilazione dell’ordine e l’istituto di pagamento procede correttamente alla sua esecuzione, il rischio del cattivo esito dell’operazione è, quantomeno tendenzialmente[4], a carico del cliente; ove, invece, il codice manchi e la banca riceva ugualmente l’ordine senza informare della necessità della integrazione, il rischio è sempre a suo carico. Insomma: se manca l’IBAN alla banca conviene stare accorta.

La disciplina è piana e di buon senso. Il caso de quo, però, fuoriesce dal suo ambito applicativo.

L’istituto di credito convenuto difronte all’Arbitro bancario versa in atti, tra le altre, copia delle condizioni contrattuali sottoscritte dal cliente ove è stabilito che «i flussi elettronici devono essere predisposti secondo gli standard tecnici»; che il cliente «è responsabile del contenuto dei flussi elettronici inviati tramite il Servizio» e che «la Banca si riserva la facoltà di bloccare i flussi elettronici inviatigli dal Cliente per il mancato rispetto degli standard concordati […] dandone immediata informazione al Cliente stesso».

A ciò si aggiunga che il foglio informativo pubblicizzato sul sito dell’istituto di credito specifica che ai sensi della disciplina positiva l’indicazione dell’IBAN è necessaria per l’esecuzione dell’ordine di pagamento. E che per i bonifici verso l’estero le regole confezionate dall’istituto di credito stabiliscono che «non verranno prese in considerazione [ai fini del rispetto del termine di esecuzione] disposizioni prive di uno qualsiasi degli elementi necessari all’esecuzione del bonifico».

2 – Sulla esistenza dei presupposti della responsabilità della banca per il ritardo nell’adempimento, l’Arbitro bancario e finanziario non ha dubbi: senza esitazione alcuna, dà ragione al cliente. Centrale, nell’economia della argomentazione, è il ruolo svolto dalla diligenza professionale nella valutazione del comportamento esecutivo del debitore. A essa l’Arbitro si appoggia, quale fonte non già di un mero obbligo di informazione gravante sull’istituto di pagamento, bensì dello specifico obbligo di bloccare l’operazione di bonifico.

Nonostante l’inapplicabilità delle previsioni di derivazione comunitaria in materia di servizi di pagamento, dunque, l’esito del giudizio è egualmente sfavorevole all’istituto di credito. Quest’ultimo avrebbe dovuto «bloccare il flusso elettronico» e informare prontamente il cliente della mancata indicazione del codice identificativo unico oppure «impedire, con un controllo formale sul campo “conto”, che la disposizione potesse essere accettata in assenza di un valore alfanumerico corretto».

Di primo acchito la decisione sembra anzitutto destinata a ingrossare le fila delle molte pronunce, pure della giurisprudenza, particolarmente favorevoli alle posizioni dei clienti quanto alla individuazione del contenuto della diligenza professionale del banchiere. Costante è l’orientamento che, alla stregua dei principi generali dell’ordinamento in materia di responsabilità del mandatario, ricostruisce sì fatta diligenza in maniera assai rigorosa, sì da configurare un sistema di responsabilità omogeneo, idoneo ad assicurare una elevata tutela delle ragioni dei medesimi clienti anche a prescindere dalla stessa applicabilità della disciplina di derivazione comunitaria[5].

La bontà dell’indirizzo non è certo discutibile. Soprattutto ove si tratti di giudicare della esattezza della condotta esecutiva dell’istituto di credito nell’ambito della erogazione di servizi tramite home banking, con particolare riguardo alla adozione di accorgimenti, anche tecnici, nella sua esclusiva sfera di dominio.

V’è però che a stretto rigore l’obbligo legale di rifiutare l’ordine – cui dà attuazione la misura di sicurezza consistente nel relativo blocco in caso di bonifico disposto su una piattaforma on line – riguarda le operazioni di pagamento effettuate entro l’area SEPA e che l’istituto di credito, nel caso di specie, aveva in effetti reso edotto il cliente – sebbene soltanto tramite la pubblicazione sul proprio sito di apposito foglio informativo relativo alle operazione del tipo di quella in contestazione – della necessità dell’inserimento dell’IBAN, prevedendo, per di più, che per i bonifici esteri non sarebbero state prese in considerazione, ai fini del rispetto dei termini di esecuzione, le disposizioni carenti degli elementi necessari.

Ciò nondimeno, si ripete, l’Arbitro decide in favore del cliente. E, a dire il vero, non sembra che sbagli.

In apice c’è la natura di alcune delle regole – tra le quali quella che impone di rifiutare il bonifico in assenza dell’indicazione dell’IBAN – dettate dalle misure di attuazione della disciplina comunitaria emanate dalla Banca d’Italia. Si tratta di regola tecniche, in quanto tali, idonee ad arricchire il contenuto della diligenza professionale richiesta all’istituto di credito nella esecuzione della prestazione dovuta, in tutte le ipotesi in cui sia possibile la relativa adozione[6]. Ne consegue che esse sono destinate ad avere una portata applicativa più ampia rispetto agli stretti confini caratterizzanti il provvedimento nel quale sono contenute, anche ove si voglia reputare che la disciplina di derivazione comunitaria e, con essa, soprattutto le relative misure di attuazione – imponendo comportamenti specifici agli istituti di credito – abbiano innalzato il grado di diligenza solitamente richiesto alla luce dei principi generali del nostro ordinamento.

A fronte di servizi identici peraltro, l’adozione di misure differenti, non idonee ad assicurare un eguale grado di tutela delle ragioni del cliente, si porrebbe in contrasto pure con la clausole generale di buona fede, comportando nella sostanza una diversa allocazione dei rischi insiti nella adozione di procedure automatizzate.

Nel caso di specie, l’ordine di bonifico è in favore di un beneficiario residente in uno Stato che, sebbene fuori dall’area SEPA, ha aderito alla convenzione IBAN; tant’è che lo stesso istituto di credito adduce a sua discolpa esattamente la relativa mancata indicazione da parte del cliente. Il ritardo nell’esecuzione è perciò imputabile alla banca, che ha proceduto con l’esecuzione dell’ordine nonostante la mancanza di una informazione fondamentale.

L’avere preventivamente informato il cliente della necessaria indicazione di alcuni dati ai fini della esecuzione dell’ordine di pagamento online, in definitiva, non è mai sufficiente a escludere la responsabilità della banca nell’ipotesi della inesatta esecuzione, qualunque sia la modalità mediante la quale viene resa l’informazione. Ove un dato essenziale manchi e l’istituto di credito proceda ugualmente, il rischio dell’inesattezza è sempre a suo carico.

3 – L’Arbitro riconosce la responsabilità della banca per il ritardo nella esecuzione del bonifico, senza soffermarsi tuttavia sulla valenza della previsione posta dall’istituto di credito a tenore della quale «non verranno prese in considerazione [ai fini del rispetto del termine di esecuzione] disposizioni prive di uno qualsiasi degli elementi necessari all’esecuzione».

La sua collocazione non è chiara. Non è chiaro se si tratti di una clausola contrattuale o di una condizione generale di contratto resa altrimenti conoscibile al cliente. Indubbia è invece la sua portata sul piano della regolamentazione della responsabilità dell’istituto bancario: essa comporta infatti una limitazione di tale responsabilità esattamente per il caso in cui il ritardo nell’esecuzione dell’ordine dipenda dal mancato inserimento di un dato da parte del cliente. L’Arbitro, pertanto, avrebbe dovuto esplicitare le ragioni della sua invalidità.

Complicato sarebbe stato percorrere la strada della invalidità per contrarietà a norma imperativa. Vero è che le regole di derivazione comunitaria dettate in materia di servizi di pagamento non sono derogabili ove il rapporto contrattuale corra con un consumatore o una micro impresa. Vero è anche, tuttavia, che esse non sono direttamente applicabili al caso di specie. Quella di cui si discute lo è, applicabile, soltanto in quanto regola tecnica idonea ad arricchire il contenuto della diligenza professionale alla stregua dei principi generali dell’ordinamento.

In quanto regola di diligenza, però, l’Arbitro avrebbe dovuto valutare la legittimità della clausola di esonero alla luce dell’art. 1229 c.c. e, quindi, giudicare dell’attitudine della norma privata a escludere la responsabilità della parte disponente per colpa grave[7]. Sulla ricorrenza di tale attitudine peraltro non sembra possano sussistere dubbi. Per un verso, elevato è il grado di diligenza richiesto al banchiere nella esecuzione della prestazione posta a suo carico, soprattutto alla luce della spersonalizzazione dei rapporti obbligatori rispetto ai quali l’adempimento è affidato all’utilizzo di procedure automatizzate. Per altro verso, l’istituto di credito già si avvale di misure di sicurezza analoghe a quelle che avrebbe dovute adottare nel caso di specie, in attuazione dell’obbligo legale di rifiuto dell’ordine vigente nell’area SEPA qualora il cliente ometta di inserire un dato fondamentale. È la banca a dovere comunicare al cliente quali sono le informazioni necessarie ai fini del buon esito dell’ordine; la percezione di tale necessarietà non può che passare per il blocco dell’ordine stesso quando esso viene impartito mediante piattaforma online.

Tutto questo ovviamente, dando per scontata la sottoscrizione della menzionata previsione da parte del cliente, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c.

4 – Riconosciuta la responsabilità della banca, l’Arbitro passa a valutare la richiesta di risarcimento del danno quantificato dal cliente. Reputa che il danno non sia stato sufficientemente provato e liquida quanto previsto, a titolo di provvisionale per l’inesattezza dell’esecuzione degli ordini da parte dell’istituto di credito, nel foglio informativo relativo al servizio richiesto: gli interessi legali sulla somma oggetto del pagamento, dalla data di scadenza prevista per l’esecuzione del bonifico a quella dell’effettivo accredito e le spese sostenute per l’operazione di pagamento.

Su tale piano, c’è da distinguere, da un lato, il danno subito dal cliente a causa della inesattezza dell’adempimento, a lui ovviamente imputabile nel rapporto con il suo creditore, della prestazione avente a oggetto la fornitura; dall’altro, quello conseguente alla non corretta esecuzione della diversa prestazione oggetto del rapporto obbligatorio con la banca. Il primo è quello che l’Arbitro afferma non essere stato provato. Il secondo è quello che poi nei fatti liquida, appoggiandosi alla previsione contenuta nel foglio informativo.

L’interesse legale, infatti, va a compensare il danno subito in ragione della perdita della disponibilità della somma di danaro oggetto dell’ordine di bonifico, seguita alla sua ricezione da parte dell’istituto di credito; danno il quale non necessita di una prova particolare essendo in re ipsa, ossia nel fatto stesso della sottrazione della menzionata disponibilità[8]. Non sembra che gli si possa attribuire altra funzione; non quella sicuramente di modalità di risarcimento forfettario alla stregua di una penale, atteso il luogo e il titolo della sua previsione. Certo è che, ove in contratto fossero stati previsti interessi attivi convenzionali sulla somma iscritta in conto superiori a quelli legali, sarebbe stata opportuna da parte dell’Arbitro la relativa liquidazione.

 


[1] Direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno.

[2] V. l’art. 24 del d.lg., 27 gennaio 2010, n. 11.

[3] ABF, 8 ottobre 2012, n. 3186 e ABF, 25 luglio 2013, n. 4023.

[4] L’imputabilità dell’inesatta o mancata esecuzione dell’ordine è a carico del cliente nell’ambito del rapporto tra costui e il suo istituto di pagamento anche qualora siano state fornite informazioni ulteriori, oltre l’IBAN, relative al beneficiario. Quanto alla responsabilità della banca del beneficiario che dia comunque esecuzione a un ordine di bonifico nel quale non vi sia corrispondenza tra il nome beneficiario indicato dell’ordinante e quello del titolare del conto cui fa riferimento l’IBAN inserito v. ABF, 3 luglio 2014, n. 4172.

[5] In giurisprudenza, tra le ultime, Trib. Firenze, 3 novembre 2014, in de jure, secondo il quale «con specifico riferimento all’utilizzazione di servizi e strumenti, con funzione di pagamento o altra, che si avvalgono di mezzi meccanici o elettronici, non può essere omessa la verifica dell’adozione da parte dell’istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio; infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell’accorto banchiere». V., anche, ABF, 3 dicembre 2010, n. 1408.

[6] Molti degli obblighi imposti dalla disciplina di derivazione comunitaria presuppongono l’adozione da parte dei singoli Stati nazionali di standard tecnici comuni nell’esecuzione degli ordini di pagamento. Nel caso specifico dell’IBAN, ad esempio, non tutti gli Stati del mondo aderiscono alla relativa convenzione, sicché la prescrizione dell’obbligatorietà del suo inserimento ai fini della eseguibilità degli ordini di pagamento – obbligatorietà anzitutto volta a semplificare e velocizzare la circolazione dei capitali – necessità della esistenza di un accordo a valle (la SEPA) in base al quale ciascuno Sato partecipante si impegna a utilizzare il codice identificativo unico.

[7] Non è la prima volta che l’Arbitro bancario, attraverso il richiamo alla diligenza, si pronuncia in maniera decisa in favore del cliente nell’ambito di controversie non rientranti nell’ambito applicativo della disciplina di derivazione comunitaria. Spicca la decisione del 14 gennaio 2013, n. 219. In quella occasione l’Arbitro dovette decidere della responsabilità di un istituto di credito per l’inesatta esecuzione di ben undici ordini di bonifici – impartiti nell’arco di otto mesi – attribuibile all’errata indicazione dell’IBAN da parte del cliente. Sebbene in contratto fosse stato previsto che la banca non avrebbe risposto né dei flussi elettronici immessi dal cliente nel sistema né della autenticità delle informazioni da costui fornite, l’Arbitro reputò comunque non operante tale limitazione di responsabilità, riconoscendo nel suddetto comportamento dell’istituto di credito un’ipotesi di colpa grave. Fu dunque, anche in quel caso, la diligenza professionale a svolgere un ruolo centrale nell’economia dell’argomentazione; diligenza la quale avrebbe dovuto indurre l’istituto di credito ad assumere tutte le accortezze necessarie a garantire la sicurezza del sistema.

[8] Con i dovuti distinguo, la funzione ascrivibile all’interesse legale liquidato dall’Arbitro è la medesima attribuibile all’interesse dovuto dal mandatario al mandante secondo il disposto dell’art. 1714 c.c. a tenore del quale: «il mandatario deve corrispondere al mandante gli interessi legali sulle somme riscosse per conto del mandate stesso, con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto fargliene la consegna o la spedizione ovvero impiegarle secondo le istruzioni ricevute».


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