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Attualità

Le “business warranties” nel Sale and Purchase Agreement e i limiti di esclusione della garanzia, con particolare riferimento alle cd. “clausole di stile”

3 Maggio 2018

Manfredi Sclopis, Trainee presso Linklaters LLP

In dottrina è sempre stata oggetto di discussione quali siano le garanzie legali prestate dalla società venditrice nell’ambito di un Sale and Purchase Agreement. E’ stato infatti sottolineato da taluni autori[1] che, in riferimento al patrimonio sociale sotteso alle partecipazioni azionarie, “quando il patrimonio della società è affetto da vizi rilevanti, sconosciuti all’acquirente (e dei quali egli non aveva motivo di essere al corrente al tempo della conclusione del contratto di vendita), tale vizio può assumere rilevanza” tanto da far scattare una garanzia ex lege attivabile dall’acquirente. Ciò in quanto l’azione sociale, oggetto principale dell’acquisto, incorporerebbe altresì la partecipazione alla società in quanto tale, considerata come una universitas rerum.

Alla luce di quanto sopra, qualora l’universitas sia completamente diversa da quella prospettata dal venditore in sede di negoziazione, si porrebbe un problema di aliud pro alio, tale per cui l’acquirente potrebbe esperire le medesime azioni esperibili nel caso in cui vi fossero vizi attinenti alla partecipazione sociale acquistata[2].

L’orientamento sopracitato è stato sconfessato prima da una parte della dottrina[3], che ha evidenziato come l’oggetto principale del Sale and Purchase Agreement non sia il patrimonio della società, bensì la relativa partecipazione azionaria, ed è stato in seguito oltremodo disattesa dalla Suprema Corte, che ha stabilito la massima secondo cui la cessione delle azioni di una società ha come oggetto immediato unicamente la partecipazione sociale e solo come oggetto mediato la quota che tale partecipazione rappresenta. Conseguentemente, “le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale […] possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 cod. civ., la risoluzione per difetto di qualità della cosa venduta, solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulle situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza[4]”.

In seguito, ancor più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha sancito il principio secondo cui, nel contesto di un contratto di compravendita azionaria, il patrimonio della società ha natura accessoria rispetto all’oggetto principale e “non rientra, quindi, nella garanzia di cui all’art. 1497 cod. civ., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto. Pertanto, il diritto del compratore all’indennizzo, fondato su detta clausola, non è soggetto alla prescrizione annuale ex art. 1495 e 1497 cod. civ., bensì alla prescrizione ordinaria decennale[5]”.

Alla luce di quanto sopra, nel contesto di un Sale and Purchase Agreement, non si dovrebbero considerare applicabili analogicamente alle garanzie cd. “convenzionali” (e cioè quelle attinenti al patrimonio sociale) le norme in materia di tutela dell’acquirente dai vizi della cosa, posto che oggetto dell’acquisto sono le azioni e non, viceversa, il patrimonio della società.

Il principio giurisprudenziale appena richiamato ha trovato peraltro conforto in attenta dottrina[6], che ha sottolineato come le lacune del contratto in tema di business warranties non possano essere sopperite dalla legge, poiché esse avrebbero “diversa fonte (convenzionale e non legale), diverso oggetto (il patrimonio della target e non il bene oggetto della rendita), diverso effetto (il pagamento dell’indennizzo, e non la risoluzione, di regola espressamente esclusa)[7]. Ciononostante, occorre considerare come non potrebbe in realtà escludersi del tutto un’applicazione analogica di parte della disciplina del contratto di vendita e, in particolare, di quelle previsioni che siano espressione di principi generali e inderogabili, con particolare riguardo al disposto dell’art. 1491 cod. civ.

Ed infatti, proprio l’art. 1491 cod. civ. stabilisce, nel contemperamento degli interessi contrattuali opposti del venditore e dell’acquirente, come la garanzia non è dovuta se l’acquirente era a conoscenza dei vizi, o se i vizi erano facilmente riconoscibili, “salvo”, tuttavia, “che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi”. Proprio tale ultima locuzione lascia indubbi problemi interpretativi, soprattutto laddove va rapportato con clausole, per nulla infrequenti nella prassi commerciale, caratterizzate da formule di “mero stile”, come, ad esempio, quella in cui le parti concordano che l’acquirente accetta lo stato dei beni “visti e piaciuti”.

A tal proposito, in dottrina ed in giurisprudenza vi è da tempo un intenso dibattito sulla validità di simili clausole, posto che la maggior parte delle volte vengono predisposte senza che se ne determini in concreto il contenuto. Si segnala peraltro che in passato la giurisprudenza ha sancito il seguente principio di diritto:

“In caso di vendita di bene usato, la clausola ‘visto e piaciuto’, non avendo carattere di clausola di stile, ed essendo inserita in una contrattazione ‘elementare’, determina una limitazione della garanzia per vizi della cosa purché la clausola stessa sia espressa in maniera chiara[8]”.

Il Tribunale casalese era stato chiamato ad esprimersi su una controversia avente ad oggetto la vendita da parte di una società ad altra società di un furgone usato che, subito dopo l’atto di cessione, presentava rilevanti avarie tali da rendere necessarie costose riparazioni. Conseguentemente, l’acquirente chiedeva al Tribunale di applicarsi il combinato disposto degli articoli 1490 e 1492 cod. civ. e, dunque, la riduzione del prezzo per l’importo non ancora versato. Il Tribunale ha rigettato le pretese attoree, sottolineando che se da un lato “è congruo con i principi di un mercato ottimale che il bene nuovo sia perfettamente funzionale e idoneo e sia quindi eccezionale l’esclusione di tale garanzia (quella cioè relativa ai vizi della cosa venduta),”, dall’altro lato tuttavia “per la circolazione del bene usato, invece, le esigenze di cui prima sono molto minori ed è quindi comprensibile che per la clausola di esclusione di garanzia si esiga che il tenore sia solo ‘chiaro’. Il ragionamento che si è fatto è incentrato sulle ragioni di mercato” e si sottolineano “i contributi di autorevole, recente dottrina volta a dimostrare come le esigenze del mercato possano diversamente conformare l’interpretazione di una norma”. Con particolare riferimento alla vendita di beni usati, sempre il Tribunale casalese ha ritenuto che “proprio in considerazione della natura del bene, solo i vizi particolarmente gravi, ossia che impediscano di beneficiare della funzione tipica del bene possono essere garantiti. Al riguardo, l’uso della cosa costituisce una imperfezione voluta e accettata da parte del compratore le cui pretese devono, di conseguenza essere legittimamente ridotte, analogamente alle aspettative dell’acquirente di fronte a vizi facilmente riconoscibili[9]”. Tale principio potrebbe assumere rilevanza per escludere la responsabilità del venditore qualora dalla cessione delle partecipazioni sociali l’acquirente richieda una riduzione del prezzo per i vizi occorsi al patrimonio sociale, posto che in una simile circostanza il venditore potrebbe eccepire che i beni venduti erano usati e conseguentemente non in uno stato ottimale.

Va peraltro detto che codesto Tribunale ha oltremodo evidenziato che maggiore è la complessità dell’atto di compravendita, maggiore è il rischio che si incappi in clausole di “mero stile” che debbono pertanto ritenersi invalide. Si pensi al caso di clausole stipulate nell’ambito, ad esempio, di una contrattazione, “ove, usualmente, certe frasi vengano ripetute tralaticiamente”; in tal caso è chiaro che una clausola che si limiti semplicemente a riportare che il bene oggetto della vendita è “visto e piaciuto” da parte dell’acquirente non parrebbe poter escludere la responsabilità del venditore. E’ altresì tuttavia pur vero che la valutazione sulla validità di simili clausole andrà parametrata caso per caso, anche e soprattutto sulla base del livello di diligenza richiesto all’acquirente. Sempre codesto Tribunale ha infatti avuto modo di rilevare come il livello di verifica richiesto all’acquirente sull’assenza di vizi palesi “dipende dalle circostanze di specie, in particolare dalle capacità personali del soggetto considerato e dalla natura della cosa[10]”.

Ed è proprio a tale ultimo proposito che autorevole dottrina[11] ha evidenziato come sia fondamentale nell’ambito di un Sale and Purchase Agreement l’espletamento dell’attività di due diligence, posto che è proprio sulla base della due diligence che l’acquirente richiede le dovute garanzie al venditore nel contratto. Ma l’attività di due diligence nonché la conseguente formulazione del contratto rileva anche per il venditore, il quale non vuole che il compratore possa, successivamente al perfezionamento dell’acquisizione, attivare garanzie che gli permettano di conseguire un risarcimento. Al fine di conseguire un risultato del genere, il venditore insisterà per l’inserimento nel contratto di una clausola con la quale l’acquirente “dichiara di aver effettuato accurati controlli sulla società e, al meglio delle sue conoscenze, di non avere riscontrato alcuna circostanza che gli potrebbe consentire di attivare una garanzia. Siffatta previsione impedisce comportamenti scorretti del compratore, il quale potrebbe in ipotesi – individuati in anticipo i vizi – tacere sui medesimi, per poi chiedere, appena perfezionato il contratto, il risarcimento[12]”.

Frattanto, qualora l’acquirente rilevi già in fase di due diligence dei danni di entità rilevanti al patrimonio sociale, egli dovrà richiedere, come detto, una riduzione del prezzo, oltre ad adeguate garanzie (esplicite) in caso di danno temuto. Al tempo stesso, eventuali clausole di “acknowledgement” dello stato dei beni da parte dell’acquirente dovrebbero operare nel senso di escludere la responsabilità del venditore per i vizi eventualmente sorti dopo il closing[13].

 


[1] Cfr. fra tutti M. RUBINO e SAMMARTANO, Garanzia nella compravendita di pacchetti azionari e di imprese, 2006, Milano, 60 ss. In senso conforme in dottrina, cfr. altresì M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di controllo e garanzie contrattuali, Giuffré editore, 2006, 75 ss., per il quale “La disciplina del contratto di vendita permette infatti di offrire una duplice tutela all’acquirente di partecipazioni sociali in una s.p.a.: da un lato con riferimento ai vizi e ai difetti di qualità relativi all’azione in sé quale titolo di partecipazione, nei casi in cui le quote risultino incorporate in un titolo; dall’altro lato con riferimento ai vizi o ai difetti di qualità relativi alla posizione di parte nel contratto di società, e quindi al diritto o al complesso dei diritti che le partecipazioni attribuiscono”:

[2] Ibidem.

[3] Mi riferisco in particolare a G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Giappichelli Editore, 2011, 171 ss.

[4] Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 16031 del 19 luglio 2007

[5] Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 16963 del 24 luglio 2014.

[6] Cfr. G. DE NOVA, op. cit., 174.

[7] Ibidem, che sottolinea peraltro come vadano “applicate, malgrado il silenzio o la volontà contraria dei contraenti, quelle che sono espressione di principi inderogabili. Un principio di cui si deve tener conto è per esempio il divieto di venire contra factum proprium, applicazione del principio di buona fede”. In senso conforme, cfr. A. TINA, Clausole di garanzia, patti parasociali ed esonero da responsabilità degli amministratori nel trasferimento di partecipazioni societarie, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 2017, per il quale “[…] Avendo le clausole di garanzia negoziali ad oggetto fatti e circostanze estranei alle qualità proprie (essenziali o promesse) del bene (le partecipazioni) oggetto di vendita, deve escludersi un’applicazione degli artt. 1495 e 1497 cod. civ. non soltanto diretta, ma anche in via analogica […]”.

[8] Trib. Casale Monferrato, 31 luglio 2000, Nuova Giur. Civ., 2001, I, 109.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] V. SANGIOVANNI, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, in Notariato, febbraio 2012, 203 ss.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

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