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Attualità

Le Guide BCE sul processo interno di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale (ICAAP) e della liquidità (ILAAP) delle banche

15 Marzo 2018

Margherita Gagliardi

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

L’avvio da parte della Banca Centrale Europea (cfr. contenuti correlati) della procedura di consultazione di due progetti di regolazione dei processi interni di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale (internal capital adequacy assessment process, ICAAP) e di valutazione dell’adeguatezza della liquidità (internal liquidity adequacy assessment process, ILAAP) pone le banche di fronte ad una nuova sfida: conformarsi ai desiderata dell’autorità in modalità tali da trarne un vantaggio competitivo. E’ evidente, infatti, che i principi posti a fondamento delle ‘Guide’ abbozzate dalla BCE comportino ulteriori oneri, che – seppur limitati – appaiono destinati a gravare sui (bassi) margini che supportano l’economia degli intermediari in parola.

Scopo delle Guide, del resto, è “rendere pubblicamente nota, a fini di trasparenza, la visione della BCE in merito ai requisiti dell’ICAAP in base all’articolo 73 della CRD IV” e “in merito ai requisiti del rischio di liquidità in base all’articolo 86 della CRD IV”; ciò, attraverso l’individuazione di sette principi fondamentali che la Vigilanza utilizzerà, tra l’altro, per la valutazione degli ICAAP e degli ILAAP di ciascun ente creditizio nel quadro dello SREP.

Si versa, dunque, in presenza di una chiarificazione delle prassi di vigilanza concernenti talune disposizioni in materia di capitale e liquidità introdotte negli ordinamenti domestici a seguito dell’attuazione della direttiva in parola, con l’ovvio effetto di conferire unitarietà ad un sistema ancora segnato dalle divergenze dovute all’azione nazionale di recepimento (della CRD IV)

I Principi

Appare utile premettere che i principi indicati in premessa rappresentano le aspettative della vigilanza in ordine alla implementazione da parte delle banche di “strategie e processi validi, efficaci e globali per valutare e mantenere su base continuativa gli importi, la composizione e la distribuzione del capitale interno che essi ritengono adeguati per coprire la natura e il livello dei rischi a cui sono o potrebbero essere esposti” (cfr. art. 73 CRD 4) e di “strategie, politiche, processi e sistemi solidi per identificare, misurare, gestire e monitorare il rischio di liquidità su una serie adeguata di orizzonti temporali, anche infragiornalieri, in modo da assicurare che gli enti mantengano riserve di liquidità di livello adeguato” (cfr. art. 86 CRD 4). Sicché tali principi risultano (per lo più) speculari per entrambi i processi di valutazione, avendo riguardo alle specificità del contesto di riferimento (i.e. capitale e liquidità).

Viene in prima considerazione l’opzione posta a fondamento del “Principio 1”, il quale stabilisce che “l’organo di amministrazione è responsabile della solida governance” del processo di valutazione (e cioè dell’ICAAP e dell’ILAAP). Si attribuisce, quindi, una specifica incombenza all’organo apicale della società, con l’ovvio effetto di agevolare l’imputazione di eventuali violazioni delle procedure all’uopo previste per gli assessments in esame. Al riguardo, particolare rilievo assume la proposta della BCE in ordine all’obbligo, per l’organo amministrativo, di procedere all’approvazione di tutti gli elementi fondamentali dell’ICAAP e dell’ILAAP (tra i quali appare utile segnalare: il quadro di governance; la documentazione interna richiesta; il perimetro dei soggetti considerati, il processo di identificazione dei rischi, nonché l’inventario e la tassonomia dei rischi interni; le metodologie di quantificazione dei rischi; nonché le metodologie impiegate per valutare l’adeguatezza patrimoniale e della liquidità).

Va altresì evidenziata la previsione di uno specifico «esame critico» dell’ICAAP e dell’ILAAP, attivato dall’organo di amministrazione, previo coinvolgimento dell’alta dirigenza e dei relativi comitati. Va da sé che tale esame si ponga a valle di un processo dialettico che, in base ad una lettura conservativa delle guide, dovrebbe esser consolidato in una specifica valutazione (dei rapporti giuridici e dei flussi finanziari) dell’ente (ulteriore rispetto ai risultati dell’ICAAP e dell’ILAAP), la quale – nel tener conto di qualsiasi informazione rilevante – consenta ai soggetti coinvolti nel predetto esame di sottoscrivere apposite «dichiarazioni» sull’adeguatezza patrimoniale (Capital Adequacy Statement, CAS) e sull’adeguatezza della liquidità (liquidity adequacy statement, LAS).

Ne risulta un approccio onnicomprensivo che impegna l’organo di amministrazione in una responsabilità specifica, concernente l’attuazione degli assessments previa definizione della struttura organizzativa; e ciò, mediante una chiara e trasparente assegnazione delle competenze (nel rispetto del principio di separazione delle funzioni). Non v’è dubbio che tale responsabilità si estenda sino al controllo dei processi e, quindi, alla convalida periodica dell’ICAAP e dell’ILAAP. Non a caso, infatti, la BCE ha specificato che “gli aspetti sia qualitativi sia quantitativi, ivi compresi ad esempio l’utilizzo dei risultati dell’ICAAP [e dell’ILAAP], il quadro di riferimento delle prove di stress, la rilevazione dei rischi e il processo di aggregazione dei dati, siano periodicamente sottoposti a revisione interna, includendo commisurati processi di convalida delle metodologie interne adottate per la quantificazione dei rischi”.

Passando, poi, al “Principio 2”, occorre osservare che la Bce riconduce l’esecuzione dei controlli (ICAAP ed ILAAP) al quadro complessivo di gestione dell’ente creditizio. Ciò, con la conseguenza che gli aspetti quantitativi e qualitativi dell’ICAAP e dell’ILAAP dovrebbero esprimere lo stato di attuazione della strategia imprenditoriale e, per tal via, i livelli di assunzione di rischio da parte dell’ente creditizio. Sul punto, particolare interesse suscita la previsione secondo cui “Il RAF dell’ente dovrebbe formalizzare l’interazione fra lo stesso RAF e gli altri processi strategici, quali l’ICAAP, l’ILAAP, il piano di risanamento e la politica di remunerazione”. Ne consegue l’aspettativa che l’ente riesca ad attenersi ai limiti di rischio stabiliti nella dichiarazione sulla propensione al rischio, in conformità alle decisioni assunte in sede di redazione del programma di attività (in quanto “l’ente dovrebbe pertanto assicurare coerenza e omogeneità tra l’ICAAP [e l’ILAAP] e il piano di risanamento in termini di segnali preliminari di allerta, indicatori, procedure di segnalazione alla gerarchia superiore a seguito di violazioni delle soglie e possibili interventi di gestione”).

Appare evidente – anche dalla lettura del Principio 3 – l’importanza della continuità dell’ente creditizio; prospettiva che influenza ogni valutazione concernente la dotazione patrimoniale e la liquidità, cui consegue l’esigenza di adottare un processo di ICAAP e ILAAP proporzionato, conservativo e prudente (tale cioè da riflettere sia gli orientamenti del management, sia i vincoli normativi che condizionano il mercato di riferimento). Al riguardo di significativa importanza è la proposta della BCE di una prospettiva normativa “che rappresenti una valutazione pluriennale della propria capacità di soddisfare tutte le richieste e tutti i requisiti patrimoniali regolamentari e di vigilanza, nonché di far fronte ad altri vincoli finanziari esterni, su base continuativa nel medio termine” e che sia “integrata dalla prospettiva economica, in base alla quale l’ente dovrebbe individuare e quantificare tutti i rischi rilevanti suscettibili di generare perdite economiche e ridurre il capitale interno. In conformità alla prospettiva economica, l’ente dovrebbe assicurare l’adeguata copertura dei rischi con capitale interno in linea con il concetto interno di adeguatezza patrimoniale.”

Da qui, l’aspettativa che l’ente attui una prospettiva economica, in base alla quale individuare e quantificare tutti i rischi rilevanti suscettibili di influire negativamente sulla propria posizione. Nella prospettiva economica, l’ente dovrebbe assicurare che tutti i rischi cui è esposto siano adeguatamente coperti da una disponibilità liquida sufficiente a supportare eventuali momenti di criticità operativa. Consegue l’obbligo di valutare la propria capacità di soddisfare tutte le richieste e tutti i requisiti in materia di liquidità, nonché di far fronte ad altri vincoli finanziari esterni, su base continuativa nel medio termine.

Non v’è dubbio che un approccio siffatto evidenzi la necessità di un piano formale di emergenza di liquidità (liquidity contingency plan, LCP), tale cioè da definire in modo chiaro le misure volte a fronteggiare le difficoltà di liquidità in situazioni di stress e, quindi, da ovviare ai rischi individuati nell’ILAAP dell’ente. Da qui, un nesso con il piano di risanamento.

Ciò posto, appare utile soffermarsi sul perimetro di riferimento dei processi in esame, in quanto il ‘Principio 4’ stabilisce che “tutti i rischi rilevanti sono identificati e considerati nell’ICAAP [e nell’ILAAP]”. Al riguardo, è esplicita l’aspettativa secondo cui un ente deve dar corso ad “un regolare processo di identificazione di tutti i rischi rilevanti e li compili in un inventario interno dei rischi esaustivo”, all’uopo definendo una propria tassonomia interna. Altrettanto evidente è l’opzione – nel caso di specie – per un “approccio lordo”, suggerendo un superamento delle tecniche specifiche volte a mitigare i rischi sottostanti, fermo l’onere di valutare l’efficacia delle azioni di mitigazione. Ne risulta una sostanziale limitazione degli incentivi ad attivare esposizioni verso i soggetti del sistema bancario ombra, esposizioni che richiederebbero analisi ulteriori con riferimento sia a tutti i rischi potenziali, sia al loro eventuale impatto.

Con riferimento alla qualità, l’intervento della BCE si declina – rispettivamente – nel suggerimento per capitale interno e riserve di liquidità “di qualità elevata e chiaramente definit[i]” (v. Principio 5), le cui fonti di finanziamento debbano esser stabili ed interne. In tale ambito, la BCE orienta l’ente creditizio verso un approccio conservativo e prudente sia alla definizione del capitale interno disponibile, sia agli afflussi futuri (che possono essere considerati disponibili ai fini della valutazione dell’adeguatezza della liquidità).

Ne consegue l’esigenza di ‘metodologie’ di quantificazione dei rischi nell’ambito dell’ICAAP e dell’ILAAP che – alla luce di quanto precede – siano adeguate, coerenti e convalidate in maniera indipendente. In tale contesto, il ‘Principio 6’ ha riguardo all’utilizzo diprocedure idonee alle proprie circostanze specifiche, ossia in linea con la propensione al rischio, le aspettative di mercato, il modello imprenditoriale, il profilo di rischio, le dimensioni e la complessità operativa.

Si versa, dunque, in presenza di un intervento che suggerisce all’organo di amministrazione un nuovo approccio agli assessments in parola; approccio nel quale la responsabilità per la definizione di un corretto processo si compendia – come si è visto – con la capacità di attuarlo, nonché di procedere a prove di stress periodiche al fine di assicurare l’adeguatezza patrimoniale e della liquidità in condizioni avverse (v. Principio 7). Dal tenore delle guide, non v’è dubbio, infatti, che la BCE si attenda un programma delle prove di stress che- negli scenari avversi – ipotizzi «andamenti eccezionali ma plausibili», con un adeguato grado di gravità in termini di impatto sui coefficienti patrimoniali regolamentari e sulla propria posizione di liquidità. In particolare, l’insieme degli scenari avversi dovrebbe considerare in maniera adeguata recessioni economiche, turbative dei mercati e shock finanziari gravi, vulnerabilità specifiche dell’ente, esposizioni verso le principali controparti, dipendenza dalle principali fonti di finanziamento nonché le loro plausibili combinazioni.

Volendo evidenziare una considerazione conclusiva, appare utile osservare che le Guide poste in consultazione appaiono destinate a sollecitare una risposta da parte degli operatori di mercato, spronati da questo “strumento pratico” che, in base alle indicazioni della BCE, dovrà esser regolarmente aggiornato (anche al fine di tenere conto dei nuovi sviluppi e delle esperienze acquisite e, in particolare, delle prassi e delle metodologie di vigilanza bancaria europea nonché della regolamentazione a livello internazionale ed europeo). Ed invero, l’obiettivo dei principi in esame sembra esser quello di assicurare elevati standard prudenziali, promuovendo lo sviluppo di metodologie comuni (rivolgendosi, principalmente, a tutti gli enti creditizi designati come soggetti vigilati significativi ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 16, del regolamento quadro sul meccanismo unico di vigilanza). Trattasi, quindi, di proposizioni in grado di poter assurgere a soft law, in considerazione dell’espressa indicazione secondo cui le stesse “non intendono sostituire né inficiare alcuna disposizione legislativa relativa al recepimento degli articoli 73 e 86 della CRD IV”; articoli che rappresentano una disposizione di armonizzazione minima, attuata in maniera variegata nei vari Stati membri.

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