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Attualità

Brevi riflessioni sul nuovo art. 20 del TUR: davvero un passo avanti?

8 Marzo 2019

Gabriele Giusti, Dottore di ricerca in diritto tributario, Tinelli & Associati – Studio legale e Tributario

1. Come noto, l’art. 1, comma 87, lett. a), legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio per il 2018) ha parzialmente riscritto l’art. 20, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), che, nel dettare i criteri per interpretare gli atti soggetti al registro, stabilisce ora l’applicazione dell’imposta secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici «dell’atto presentato alla registrazione», anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, «sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto previsto dagli articoli successivi».

Rispetto al testo previgente, la nuova formula sancisce l’irrilevanza degli elementi extratestuali nell’interpretazione degli atti soggetti a registrazione, nell’evidente tentativo di superare la posizione della quasi unanime giurisprudenza di legittimità che, sino ad oggi, nell’applicazione dell’art. 20 del TUR, richiamandosi al concetto di causa concreta, ha ritenuto di poter valorizzare il collegamento sussistente tra più atti separatamente presentati per la registrazione, onde individuare la misura della tassazione in base al risultato finale della sequenza negoziale adottata[1].

Si tratta, invero, di una modifica da tempo auspicata e perciò salutata con apprezzamento dagli operatori[2], essendosi lodato il tentativo di riportare l’interpretazione degli atti soggetti a registrazione in quello che si è tradizionalmente ritenuto il naturale ambito di definizione del presupposto. Infatti, nella sistematica del T.U. n. 131/1986 la valorizzazione del collegamento negoziale è stata per lo più guardata con sospetto da chi ha ritenuto rappresentasse null’altro che uno strumento per reintrodurre un sindacato sulla sostanza economica degli atti soggetti a registrazione, in palese contrasto con la scelta del legislatore della riforma tributaria degli anni settanta. Infatti, nel passaggio dall’art. 8 del R.D. n 3269/1923 all’art. 19 del D.P.R. n. 634/1972 (poi riprodotto nell’art. 20 dell’attuale T.U.) si era chiaramente optato per la rilevanza dei soli effetti giuridici in sede di applicazione del tributo.

In ogni caso, nel richiamarsi al concetto di causa in concreto, la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha tendenzialmente negato l’assimilazione dell’art. 20 del TUR ad una norma di carattere antielusivo, avendo ritenuto, piuttosto, che l’attività di interpretazione degli atti fosse, in realtà, finalizzata semplicemente a rivelare la causa reale dell’operazione, consentendo di determinare in funzione di essa la misura del prelievo. Per tali ragioni, la ricerca della causa reale attraverso la valorizzazione del collegamento negoziale avrebbe ben potuto prescindere dal concreto riscontro degli elementi che caratterizzano le condotte elusive, ossia il conseguimento di un vantaggio fiscale, la sua natura indebita e l’inesistenza di valide ragioni economiche capaci di giustificare il percorso negoziale adottato prescindendo dai vantaggi fiscali ottenuti[3].

Per fare un esempio, il conferimento di azienda, seguito, a breve distanza, dalla cessione delle partecipazioni (atti entrambi sottoposti all’imposta in misura fissa) è stato riqualificato tout court come cessione di azienda, da assoggettare al prelievo in misura proporzionale.

2. Proprio per evitare tali riqualificazioni, il legislatore è intervenuto chiarendo che, nell’interpretazione degli atti presentati per la registrazione, non possa ammettersi la valorizzazione di elementi extratestuali o, più in generale, del collegamento teleologico in ipotesi sussistente tra più atti separatamente presentati per la registrazione. Si è tuttavia fatta salva l’applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000, che come noto ha introdotto nel nostro ordinamento una clausola generale antiabuso che l’art. 1, comma 87, lett. b) della legge n. 205/2017, nel modificare l’art. 53-bis del T.U. n. 131/1986, ha espressamente esteso all’imposta di registro.

Da ultimo, l’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019), ha invece espressamente attribuito all’intervento sull’art. 20 del TUR valore di interpretazione autentica, chiarendo un passaggio che all’indomani della novella aveva suscitato non poche perplessità. Infatti, la prima giurisprudenza di legittimità ne aveva riconosciuto la natura innovativa, negandone, quindi, l’estensione retroattiva[4].

Ed in effetti, l’asserita irrilevanza degli elementi extratestuali e del collegamento negoziale nell’interpretazione degli atti soggetti a registrazione pare strettamente connessa ad una visione del prelievo inteso come “imposta d’atto”, ossia come tributo diretto a colpire l’atto in funzione degli effetti ad esso anche solo “potenzialmente” riconducibili[5], il che, se può dirsi confermato da molte disposizioni contenute nel Testo Unico (su tutti, l’art. 38, che assoggetta a tassazione anche gli atti invalidi), non sembra, ad esempio, tenere in adeguato conto i riflessi che, sul sistema dell’imposta, derivano dal coordinamento con altre forme di prelievo.

L’individuazione di un corretto perimetro di applicazione del principio di alternatività con l’IVA (art. 40 del TUR), può ad esempio richiedere la valutazione unitaria di più atti, posto che il sistema dell’IVA impiega, ai fini della definizione del presupposto, il concetto di “operazione”[6], tendendo, in molti casi, ad unificare, ai fini del prelievo, i singoli passaggi negoziali in cui essa si articola.

3. Ma soprattutto, si è dell’avviso che l’aver riaffermato l’irrilevanza dei collegamenti negoziali renda assai difficile coordinare il sistema dell’imposta con il nuovo art. 10-bis dello Statuto. Infatti, il ritorno ad una concezione del prelievo in termini di “imposta d’atto” sembra lasciare pochi spazi per l’applicazione dell’art. 10-bis, poiché rende difficile ravvisare, anche nell’artificioso frazionamento di un’operazione unitaria, un vantaggio indebito, ossia un risparmio fiscale in contrasto con le norme applicabili ed i principi del sistema. Ciò proprio perché i principi del sistema paiono rifiutare la valutazione unitaria di una sequenza negoziale, esaltando l’esclusiva rilevanza dei singoli passaggi, rendendo, di fatto, coerente con la struttura del tributo il vantaggio conseguito attraverso l’adozione di percorsi negoziali indiretti o frazionati.

Il rischio, in tutto questo, è che, come spesso accaduto in passato, la valutazione dell’elusività di una condotta, anche nell’imposta di registro, finisca per esaurirsi in un sindacato sull’assenza di sostanza economica, senza un’adeguata ponderazione circa la natura indebita del vantaggio conseguito, il che potrebbe con facilità portare ad una sostanziale conferma delle pretese tributarie sino ad oggi fondate sull’art. 20 del TUR, semplicemente invocandosi il rimedio dell’abuso del diritto[7]

 


[1] Così per prima Cass., Sez. trib., 23 novembre 2001, n. 14900, in Rass. trib., 2002, 1337, con nota di S. Donatelli, La rilevanza degli elementi extratestuali ai fini dell’interpretazione dei contratti nell’imposta di registro.

[2] Cfr. Circolare Assonime n. 3/2018. Per un commento cfr. G. Ferri, E.A. Palmitessa, Assonime si esprime sulla natura interpretativa delle modifiche apportate all’art. 20 del TUR, in www.dirittobancario.it del 9 febbraio 2018.

[3] Così per prima Cass., Sez. trib., 19 giugno 2013, n. 15319, in Giur. it., 2014, 557, con nota di D. Canè, Imposta di registro sull’apporto di beni ad un fondo immobiliare seguito da cessione delle quote.

[4] Tra le tante Cass., Sez. trib., 26 gennaio 2018, n. 2007. Per un commento cfr. D. Canè, Legge di bilancio 2018: novità in tema di imposta di registro e atti collegati, in www.dirittobancario.it, del 6 febbraio 2018.

[5]  Cfr. G. Girelli, Forma giuridica e sostanza economica nel sistema dell’imposta di registro, Padova, 2017, 21.

[6] Cfr. G. Fransoni, Il presupposto dell’imposta di registro tra tradizione ed evoluzione, in Rass. trib., 2013, 955 ss.

[7] Si veda in tal senso Cass., Sez. trib., 14 febbraio 2018, n. 3533 ed il commento di G. Fransoni, L’elusione e la qualificazione degli atti negoziali ai sensi dell’art. 20 T.U.R. fra le vane speranze e il van dolore (del contribuente), in Riv. dir. trib., supplemento online del 26 febbraio 2018.


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