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Attualità

Assonime si esprime sulla natura interpretativa delle modifiche apportate all’art. 20 del TUR

9 Febbraio 2018

Gianluca Ferri, Avvocato Tributarista, Elio Andrea Palmitessa, Dottore Commercialista, CBA Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Natura interpretativa dell’art. 20 nel sistema dell’imposta di registro e rinvio alle norme antielusive di cui all’art. 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212 [1] quali forme di presidio ad una corretta qualificazione degli atti giuridici da assoggettare a prelievo d’imposta.

Sono questi i principi richiamati da Assonime nella Circolare n. 3 del 6 febbraio 2018, con la quale l’Associazione ha illustrato le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2018 [2] (art. 1, co. 87, lett. a)) all’imposta di registro (DPR 26 aprile 1986, n. 131, anche Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, per brevità “TUR”).

Il documento si articola in due capitoli che illustrano, rispettivamente, le principali modifiche al testo normativo e supportano la tesi in favore della natura interpretativa e non innovativa dell’art. 20 del TUR e preceduti da un’esaustiva e appropriata premessa con la quale si ripercorrono i tratti tipici dell’imposta, se ne analizzano i profili di criticità e si enucleano i principi che ne hanno segnato l’evoluzione fin dal Regio Decreto 30 dicembre 1923, n. 3276.

In primo luogo, si ricorda che il presupposto di fatto per l’applicazione del tributo è rappresentato dalla qualificazione e successiva registrazione di un atto giuridico, cui consegue la liquidazione dell’imposta in misura fissa o proporzionale. Da qui la tipicità di un’imposta che non colpisce un atto in quanto documento, ma l’atto in quanto produttivo di effetti giuridici meritevoli di tutela dell’ordinamento e nei limiti in cui lo stesso atto sia rilevante ai fini della norma de quo.

Ciò posto, come anche annotato da Assonime, l’art. 20 ha storicamente presentato difficoltà di interpretazione. La prima formulazione, contenuta nell’art. 8 del citato Regio Decreto, faceva infatti riferimento ai meri “effetti degli atti e dei trasferimenti” e solo con la riforma del sistema tributario del ‘71 si è pervenuti ad una modifica strutturale della fattispecie impositiva (poi rifusa nella versione previgente in vigore fino al 31 dicembre 2017), spostando per la prima volta i termini della questione sui presupposti giuridici, e non economici, degli atti sottoposti a registrazione, prevedendo che “le imposte siano applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Ciò nonostante, l’amministrazione finanziaria (e, a seguire, diffusa giurisprudenza) ha sovente attribuito una valenza antielusiva alla norma contenuta nell’art. 20. Pertanto, un atto soggetto a registrazione avrebbe dovuto qualificarsi sulla base della causa reale e degli effetti concretamente realizzati attraverso gli atti posti in essere dal contribuente, anche in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in esame. Così facendo, l’interpretazione della norma è progressivamente scivolata da una valutazione degli effetti giuridici dei singoli negozi ad una valutazione degli effetti economici sottostanti l’atto oggetto di registrazione. Prova ne è la tipologia di contestazioni sollevate dall’amministrazione finanziaria volte a riqualificare come operazioni di cessione d’azienda, soggette ad imposta proporzionale, sia certe operazioni di business combination (una su tutte, il conferimento d’azienda in una newco seguito dalla cessione della partecipazione ricevuta in contropartita) che le operazioni di cessione di azioni o quote societarie. In questo modo valutando una pluralità di operazioni societarie e di negozi tra loro correlati come un unico fenomeno, da qualificare, ai fini dell’imposta di registro, sulla base degli effetti economici prodotti dall’atto giuridico registrato.

In definitiva, secondo Assonime, la novella normativa introdotta con la Legge di Bilancio 2018 dovrebbe far prevalere una interpretazione restrittiva dell’art. 20, convergendo su una riqualificazione giuridica della norma in senso interpretativo e non innovativo. Coerentemente, i poteri di vigilanza in materia di abuso del diritto e dell’elusione dell’imposta di registro sono affidati all’art. 53-bis del TUR, codificando in maniera formale quel principio di diritto in base al quale l’art. 20 deve essere interpretato esclusivamente quale norma qualificatoria degli atti sottoposti a registrazione.

Ciò detto, si pone ora un ulteriore problema: ovvero individuare da quale momento assume efficacia la nuova formulazione dell’art. 20, attesa la circostanza che l’intervento operato con la Legge di Bilancio non avrebbe il rango di norma di interpretazione autentica.

Sul punto, l’Associazione ritiene che l’art. 20 potrebbe esplicare effetti anche sui rapporti pregressi, vale a dire sugli atti posti in essere anteriormente al 1° gennaio 2018, e pone in proposito l’accento sulla funzione “chiarificatrice” della norma che trasparirebbe dalla precisazione contenuta nella Relazione Tecnica secondo la quale, “trattandosi di norma di natura chiarificatrice, dalla stessa non derivano effetti in termine di gettito” [3].

La natura chiarificatrice dell’intervento operato con la Legge di Bilancio risulterebbe, a nostro avviso, confermata da quanto ribadito nella relativa Relazione governativa di accompagnamento [4], laddove si afferma che la modifica “è volta a dirimere alcuni dubbi interpretativi sorti in merito alla portata applicativa della norma rese evidenti anche dall’esame delle pronunce della giurisprudenza di legittimità”.

Ne deriva, dunque, che la norma introdotta è volta a definire la portata della previsione di cui all’articolo 20, stabilendo che la disposizione deve essere applicata per individuare il regime fiscale da applicare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” a quello da registrare. Né, peraltro, rilevano gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui questi potrebbero condurre ad una assimilazione del negozio giuridico effettivamente posto in essere a fattispecie contrattuali distinte.

In quest’ottica, Assonime prende posizione anche rispetto a quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 2007 del 26 gennaio 2018, secondo cui alla norma in esame non si potrebbe riconoscere un effetto interpretativo, per il fatto che la stessa avrebbe introdotto dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti.

Così ragionando, il Supremo Collegio ha ritenuto che l’intervento operato con la Legge di Bilancio, non avendo natura interpretativa ma innovativa, non esplichi effetto retroattivo e, conseguentemente, che gli atti antecedenti alla data di entrata in vigore già oggetto di accertamento debbano continuare ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione dell’art. 20 [5].

A ben vedere, a conferma della natura interpretativa e non innovativa della disposizione in esame, e in linea con quanto sostenuto da Assonime, si sta già orientando certa giurisprudenza di merito (CTP di Reggio Emilia) che, in una recentissima sentenza [6], non ha mancato di criticare l’orientamento espresso dalla Cassazione nella citata Sentenza n. 2007/2018.

Nel merito della questione non si è fatta attendere la replica dell’Agenzia delle Entrate che, in occasione di Telefisco 2018, ha rilevato come, non avendo il legislatore qualificato le modifiche normative in argomento quali norme di interpretazione autentica, deve ritenersi che le stesse trovino applicazione a partire dal 1° gennaio 2018, non essendo stata prevista una diversa decorrenza [7].

In tal senso, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate che sembrerebbe attribuire natura procedimentale alle modifiche apportate all’art. 20, le stesse troverebbero applicazione con riferimento all’attività di liquidazione dell’imposta effettuata dagli uffici competenti a decorrere dal 1° gennaio 2018, anche con riferimento alla liquidazione di atti formati prima dell’entrata in vigore della modifica; al contrario, gli avvisi di accertamento già notificati alla data del 1° gennaio 2018, ancorché non definitivi, non verrebbero toccati dalle nuove disposizioni e per i quali le stesse non avrebbero alcun effetto.



[1] Recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”.

[2] Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017 – Suppl. Ordinario n. 62).

[3] Come rilevato nella Relazione Tecnica, “la misura si limita esclusivamente a precisare le modalità con cui gli uffici devono effettuare le valutazioni ai fini del controllo, in tema di imposta di registro”.

[4] Relazione illustrativa alla L. 27 dicembre 2017, n. 205, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”.

[5] A supporto di tale conclusione, gli ermellini hanno altresì ritenuto che non varrebbe obiettare che la relazione illustrativa alla legge 205/17 avrebbe assegnato alla disposizione disciplinante l’imposta di registro il compito di “chiarire” il criterio di individuazione della natura e degli effetti che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione. Al contrario, a parere della Corte tale elemento potrebbe agevolmente essere superato sulla base del tenore testuale infine adottato dallo stesso art. 1 co. 87 in esame, il quale dichiara espressamente di apportare talune “modificazioni” all’art. 20 del TUR, palesandosi così la natura di disposizione prettamente innovativa del precedente assetto normativo. Non solo, sempre secondo il Supremo Collegio detta ricostruzione troverebbe conferma anche nel fatto che la modifica avrebbe determinato una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa, in particolare laddove l’art. 20 previgente (secondo l’indirizzo di legittimità) imponeva la tassazione sulla base di taluni elementi (il dato extratestuale ed il collegamento negoziale) che vengono oggi espressamente esclusi, facendo in ogni caso salvo il loro “recupero” nel diverso ambito della sopravvenuta disciplina dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bislegge 212/2000.

[6] CTP di Reggio Emilia con la Sentenza n. 4/2/2018 del 31 gennaio 2018. Secondo la CTP di Reggio Emilia “la relazione governativa sottolinea, ripetutamente e con enfasi, che la norma è tesa a sciogliere dubbi interpretativi e conseguentemente nel momento in cui il legislatore sceglie una tra le varie, possibili, interpretazioni di una norma, la norma che cristallizza la scelta del legislatore non può che qualificarsi come norma di natura interpretativa al di là del fatto che, formalmente, non sia qualificata come tale”. In particolare, secondo la Commissione Tributaria Reggiana l’obiezione della Cassazione “secondo cui il Legislatore sarebbe intervenuto modificando la norma, non ha pregio logico, posto che dà per dimostrato, ciò che deve dimostrare è, e cioè che la norma non possa avere natura interpretativa solo perché il legislatore ha modificato, testualmente, la norma. Altrettanto infondata logicamente, è l’obiezione secondo cui vi sarebbe stata una rivisitazione strutturale della norma rispetto alla sua precedente versione secondo l’interpretazione datane in sede di legittimità: ovvio, posto che il legislatore ha scelto, con la modifica testuale apportata alla norma, un’interpretazione difforme da quella prevalente di legittimità”.

[7] Risposta a Quesito n. 38 “La qualificazione degli atti” Telefisco 2018.

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